Siria, ribelli: «Abbiamo fatto esplodere noi per sbaglio le armi chimiche». Il reportage che nessuno cita

Siria, ribelli: «Abbiamo fatto esplodere noi per sbaglio le armi chimiche». Il reportage che nessuno cita

di Leone Grotti da www.tempi.it

Un clamoroso reportage da Ghouta, dove si sarebbe verificato l’attacco chimico, di Mint Press News raccoglie le testimonianze dei ribelli: «Le armi venivano dall’Arabia Saudita» 

In Siria, a Ghouta, sono esplose armi chimiche ma secondo ribelli locali non è stato il dittatore Bashar al-Assad ad utilizzarle ma i ribelli stessi, per errore. La notizia è contenuta in un reportage pubblicato lo scorso 29 agosto su Mint Press News, che non è stato ripreso dai quotidiani italiani, firmato da Dale Gavlak (che dalla Giordania collabora da anni con Associated Press) e Yahya Ababneh, che ha condotto interviste e ricerche sul campo in Siria. Interviste che hanno dell’incredibile (e suscitano qualche sospetto) dal momento che le dichiarazioni dei ribelli contenute vanno contro il loro stesso interesse, scagionando di fatto Assad.

«UN QUADRO MOLTO DIVERSO». «Da numerose interviste con dottori, residenti di Ghouta, ribelli e le loro famiglie, emerge un quadro molto diverso» rispetto a quello prospettato da Barack Obama, Regno Unito e Francia, secondo cui Assad avrebbe ucciso con un attacco a base di armi chimiche il 21 agosto tra le 355 e le 1700 persone a Ghouta, un sobborgo della capitale Damasco. Il reportage cita l’intervista a Abu Abdel-Moneim, padre di un combattente ribelle: «Mio figlio è venuto da me due settimane fa chiedendomi se sapevo che armi fossero quelle che gli avevano chiesto di trasportare», armi«con una struttura a forma di tubo» e altre simili a «grandi bombole di gas».

ARMI CHIMICHE USATE DAI RIBELLI. Abdel-Moneim rivela che suo figlio insieme ad altri 12 ribelli è morto per i gas chimici in un tunnel dove erano soliti stoccare le armi che un militante dell’Arabia Saudita, che guida una fazione ribelle, portava da Riyad. Un’altra combattente ribelle, soprannominata solo “K” per non farsi identificare, afferma: «[I sauditi] non ci avevano detto che cos’erano queste armi o come usarle. Non sapevamo fossero armi chimiche, non potevamo neanche immaginarlo». Secondo un altro ribelle di Ghouta, “J”, «queste armi hanno subito destato la nostra curiosità. Sfortunatamente, alcuni dei combattenti le hanno maneggiate con leggerezza e le hanno fatte esplodere».

RUOLO DELL’ARABIA SAUDITA. Secondo i reporter, dunque, delle armi chimiche sono effettivamente esplose in Siria ma non per mano del regime di Assad, bensì per mano dei ribelli, che le hanno ottenute dall’Arabia Saudita. «Oltre una dozzina di ribelli intervistati ci ha detto di essere stipendiato dal governo saudita», continua l’articolo.

«CHI HA USATO LE ARMI?». Dopo una disamina attenta del coinvolgimento a fianco dei ribelli dell’Arabia Saudita nel conflitto siriano, l’articolo riprende, condividendola, anche una considerazione di Peter Oborne per il Daily Telegraph: «Gli unici che hanno tratto benefici dalle atrocità sono stati i ribelli, che stavano perdendo la guerra e che ora hanno l’America e la Gran Bretagna pronte a intervenire al loro fianco. Mentre sembrano esserci pochi dubbi che le armi chimiche siano state usate, non è ancora certo chi le abbia usate. È importante ricordare che Assad è già stato accusato in precedenza di aver usato gas velenoso contro i civili. Ma allora, Carla del Ponte, commissario delle Nazioni Unite in Siria, ha concluso che i ribelli, non Assad, erano probabilmente responsabili».

Firma l’appello contro l’intervento armato in Siria

Anche la Kyenge vuole sostituire i termini “padre” e “madre” con «genitore 1 e 2»

Anche la Kyenge vuole sostituire i termini “padre” e “madre” con «genitore 1 e 2»

La proposta di un consigliere veneziano incontra le critiche di diversi politici in Laguna. Ma non quelle del ministro all’Integrazione: «Se rafforza le pari opportunità, sono favorevole» 

Avrà pure incontrato tante critiche in Laguna la proposta della consigliera del Comune di Venezia Camilla Seibezzi: la delegata ai “Diritti Civili e alle Politiche contro le discriminazioni” ha fatto parlare di sé per la proposta di togliere dai moduli d’iscrizione ad asili e scuole la denominazione “padre” e “madre” per lasciare invece spazio a “genitore 1” e “genitore 2”. Una benedizione però l’ha ricevuta: è quella del ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge, due giorni fa proprio a Venezia per la presentazione al Festival del Cinema di un documentario dedicato all’integrazione e allo “ius soli”.

“PADRE” E “MADRE” SONO OBSOLETI. «Mi sono sempre battuta per le pari opportunità, se questa è una proposta che le rafforza, mi trova d’accordo», è stata la risposta del ministro a chi le chiedeva un suo parere sull’idea della Seibezzi. È «obsoleto» (questo l’aggettivo usato dalla consigliera) continuare a rifarsi a quella denominazione così vetusta e stereotipata, giusto cambiare sulla scia di quanto accade in altri Paesi europei. La Kyenge si schiera così a fianco della Seibezzi, sebbene quest’ultima sia già messa alle strette in consiglio comunale a pochi giorni della sua nomina a “delegata anti-discriminazione”: alla sua uscita sulle diciture “genitore 1 e 2″ era stato lo stesso sindaco Orsoni a dichiararsi sorpreso, dicendo di «cadere dalle nuvole» e chiosando poi con fermezza che la sua delegata «parte male».

da www.tempi.it

Il grido di dolore del Papa per la Siria: «C’è un giudizio di Dio e della storia sulle azioni»

Il grido di dolore del Papa per la Siria: «C’è un giudizio di Dio e della storia sulle azioni»

da www.tempi.it

Drammatico appello del pontefice che condanna l’uso di armi chimiche e invita tutta la Chiesa, ma anche le altre religioni e i non credenti, a una giornata di digiuno e preghiera per la pace. Appuntamento a Roma il 7 settembre 

Il primo Angelus  di Papa FrancescoL’espressione cupa, la voce grave. È un papa Francesco visibilmente addolorato quello che si è affacciato stamane alla finestra su piazza San Pietro per la recita dell’Angelus domenicale. Il Papa quest’oggi non ha commentato il Vangelo della domenica ma ha subito espresso il proprio profondo dolore e turbamento per quello che sta accadendo in Siria, dicendosi «profondamente ferito, angosciato per gli sviluppi che si prospettano». Papa Francesco ha proclamato per il 7 settembre, vigilia della ricorrenza della natività di Maria regina della pace, una giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo intero a cui ha invitato a partecipare, nelle forme che riterranno opportune, anche le altre chiese, le altre religioni e i non credenti.

LA VIA DELLA PACE. «Quest’oggi cari fratelli e sorelle – ha detto il Papa – vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica famiglia umana, con angoscia crescente: è il grido della pace. Il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, essere uomini di pace. Il grido dell’umanità dilaniata da conflitti: scoppi la pace, mai più la guerra, mai più la guerra, la pace è un dono troppo prezioso che deve essere promosso e tutelato».

«IL MIO CUORE FERITO». «Il mio cuore – ha proseguito il Papa – è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato dai drammatici sviluppi che si prospettano. Pensiamo quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro. Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche: ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini. C’è un giudizio di Dio e della storia alle nostre azioni, a cui non si può sfuggire. Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace, la guerra chiama la guerra, la violenza chiama la violenza».

L’INVITO AI NON CREDENTI. «Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo come diceva papa Giovanni? A tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell’amore. Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà. È un invito che rivolgo all’intera Chiesa cattolica, ma anche ai cristiani di altre confessioni, agli uomini e donne di altre religioni e anche a coloro che non credono: la pace è un bene che supera ogni barriera perché è un bene di tutta l’umanità. Lo ripeto a voce alta: non è la cultura dello scontro, del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma quella dell’incontro, del dialogo. Questa è l’unica strada per la pace»

APPUNTAMENTO IL 7 SETTEMBRE. «Il grido della pace si levi alto perché giunga al cuore di tutti e tutti depongano le armi e si lascino guidare da un anelito di pace. Per questo fratelli e sorelle ho deciso di indire per tutta la Chiesa il 7 settembre, vigilia della ricorrenza della natività di Maria regina della pace, una giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo intero». L’appuntamento è per sabato 7 settembre alle 19 in piazza san Pietro, ma il Papa ha invitato anche tutte le parrocchie e le diocesi lontane da Roma a organizzare iniziative per unirsi alla veglia.

Firma anche tu il nostro appello contro l’intervento armato in Siria

Terra piatta? Ius primae noctis? Falsità contro il medioevo

Terra piatta? Ius primae noctis? Falsità contro il medioevo

Lentamente tutte le bufale sui cosiddetti “secoli bui”, ovvero il Medioevo, stanno crollando grazie all’onestà intellettuale di molti storici. Per quanto riguarda l‘”Inquisizione medioevale“, ad esempio, è stato dimostrato che in realtà il fenomeno si diffuse nel Rinascimento e maggiormente in ambito protestante anzi, lo storico Christopher Black ha osservato che quella romana era decisamente “meno oscura di quanto si pensi”, anzi fu più umana e con poche condanne.

In questi giorni ha voluto smontare ancora una volta la leggenda dei “secoli bui” lo storico Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale. Scrivendo su “La Stampa” ha osservato accennando a George Orwell: «Al popolo si insegna che nel brutto, lontano passato esistevano creature malvage chiamate i capitalisti, che opprimevano il popolo con le pretese più infami. Il procedimento immaginato da Orwell, creare un’immagine tenebrosa del passato allo scopo di esaltare il presente, è stato praticato davvero in Europa, dal Rinascimento fino all’Ottocento: vittima designata, il Medioevo. Umanisti e artisti rinascimentali orgogliosi della loro nuova cultura, riformatori del XVIII secolo in lotta contro il feudalesimo, positivisti dell’Ottocento intenti a celebrare il progresso e combattere la superstizione, si sono trovati tutti d’accordo a dipingere con le tinte più nere il millennio medievale. Sono nate così alcune istantanee, chiamiamole così, che tutti visualizziamo facilmente, tanto sono inseparabili dall’immagine popolare del Medioevo».

Sono molte queste leggende e il prof. Barbero le affronta smontandole: «Le folle atterrite che riempiono le chiese negli ultimi giorni prima dell’anno Mille, nella certezza che il mondo sta per finire; i dotti, in realtà ignorantissimi, che credono che la Terra sia piatta, o comunque non osano insegnare il contrario per paura di essere puniti dalla Chiesa; e naturalmente lo ius primae noctis evocato da Orwell, la legge infame per cui il signore del villaggio ha diritto alla verginità di tutte le ragazze, e biecamente riscuote quel che gli è dovuto la sera di ogni festa di nozze». Niente di tutto questo è vero e gli storici lo sanno. Anzi, lo storico, ha spiegato Babero, «si sente un po’ un guastafeste quando, dopo lunghe e accurate verifiche, gli tocca sentenziare che tutte queste immagini così pittoresche sono false, e che nulla di tutto ciò è mai accaduto davvero. Eppure è proprio così: se si va a controllare si scopre, con non poco stupore, che di queste cose nel Medioevo non si parlava affatto, e che sono tutte state inventate dopo».

Per quanto riguarda il presunto terrore della fine del mondo nell’anno Mille, secondo alcuni teorizzato dalla Chiesa, occorre sottolineare che «il 31 dicembre 999 il papa Silvestro II confermava i privilegi di un monastero per molti anni a venire a patto che in futuro ogni abate, quando veniva eletto dai monaci, si facesse consacrare dal Papa». Lo si evince dal foglio dell’Apocalisse di San Severo, manoscritto francese dell’XI secolo…è evidente che il Pontefice non aveva affatto in mente che il mondo stesse per finire.

Vogliamo parlare della terra piattaSecondo il poco scientifico Alessandro Cecchi Paone fu Galileo Galilei a dimostrare che aveva una forma sferica, attirandosi così le ire della Chiesa. Eppure chiunque nel Medioevo dava per scontato che la Terra fosse sferica, proprio come oggi, tant’è che «ogni imperatore medievale si faceva raffigurare con in mano il simbolo del suo potere sul mondo: un globo sormontato dalla croce» ha commentato lo storico.

Ed infine, ultimo esempio, si parla della menzogna dello “ius primae noctis” (diritto della prima notte), la legge per cui ogni feudatario aveva il diritto di trascorre, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa. Eppure non vi sono testimonianze di una sua diffusione nell’Europa medievale e le fonti storiche non rintracciano direttive né da parte delle autorità laiche (re, imperatori), né da parte di quelle ecclesiastiche. Anche per questo, ha spiegato lo storico Barbero, «non lo incontriamo mai, se lo cerchiamo dove ci aspetteremmo di trovarlo. Il Medioevo ci ha lasciato un’infinità di novelle come quelle del Boccaccio, in cui si parla di sesso con grande franchezza», eppure «non c’ènemmeno un autore medievale che abbia pensato di trarre profitto da uno spunto così succulento come lo ius primae noctis, di cui oggi sceneggiatori del cinema e autori di romanzi storici si servono continuamente». Si è cominciato a parlarne dopo il ’500, in pieno Rinascimento, «secondo uno schema preciso e che è sempre il medesimo: come qualcosa che capitava ai brutti vecchi tempi […] nella fantasia di eruditi creduloni che descrivono un passato leggendario, che comincia a circolare questa storia incredibile: quel passato era così barbaro che i signori pretendevano addirittura di godersi le spose dei loro servi nella notte delle nozze».

Da queste leggende è difficile sbarazzarsi, «non importa se da cent’anni nessuno storico serio le ripete più, e se grandi studiosi come Jacques Le Goff hanno insistito tutta la vita a parlare della luce del Medioevo», ha concluso laconico lo storico Barbero. «Nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora».

da http://www.uccronline.it

Usa, la rieducazione degli psicologi “omofobi”

Usa, la rieducazione degli psicologi “omofobi”

di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Il 29 agosto 2013 la Corte d’Appello Federale per il Nono Circuito degli Stati Uniti, competente per la California, ha reso pubblica un’attesa sentenza sulla legittimità e la costituzionalità di una legge californiana – la prima del genere negli Stati Uniti, seguita lo scorso 19 agosto da una analoga del New Jersey – che dichiara illegale l’uso delle terapie riparative per pazienti minorenni. Gli psichiatri e psicologi che offrono queste terapie a minori rischiano la perdita della licenza professionale e anche il carcere. Come è noto, le terapie riparative sono quei metodi psico-terapeutici che mirano ad aiutare le persone che percepiscono come un problema il loro orientamento omosessuale e desiderano cambiarlo.

Le terapie riparative sono al centro di una grande polemica internazionale, di cui anche la nostra testata si è occupata, e toccano un nervo scoperto della comunità degli attivisti gay. In Italia la semplice menzione di queste terapie da parte del vice-presidente dei Giuristi Cattolici, l’avvocato Giancarlo Cerrelli, in una trasmissione televisiva, ha scatenato un’aggressione senza precedenti nei confronti del giurista, di cui pureabbiamo avuto occasione di occuparci. Non ripeterò in questa occasione – né ne avrei la competenza – gli argomenti sul carattere non scientifico, ma piuttosto ideologico, dell’aggressione contro le terapie riparative che uno psicologo ha esposto sulla Nuova Bussola Quotidiana lo scorso 27 agosto, in polemica con il presidente dell’Ordine degli Psicologi – e già candidato (trombato) nella lista di Nichi Vendola alle elezioni regionali pugliesi del 2010 –, il dottor Giuseppe Luigi Palma, che era stato tra i più violenti nell’attacco a Cerrelli. M’interessa invece qui commentare l’intervento del legislatore californiano – e di quello del New Jersey – in una controversia scientifica.

La Corte d’Appello del Nono Circuito stabilisce un principio molto pericoloso – tanto più in un Paese come gli Stati Uniti dove, felicemente, le decisioni delle associazioni professionali, spesso su questi temi ideologicamente orientate, sono meno cogenti che in Europa –, e cioè che le leggi e i tribunali hanno il diritto di rendere obbligatoria un’ortodossia scientifica stabilita dai gruppi maggioritari – o che si presentano come maggioritari – in una determinata branca della scienza. Di norma, afferma la sentenza, il diritto alla libertà di espressione negli Stati Uniti è assoluto. Benché nessuno scienziato affermi che la Terra è piatta, esistono curiose associazioni che insistono sul fatto che il nostro pianeta è proprio piatto, non è rotondo, e propagandando le loro idee non si va in prigione.

Ma c’è un ma. La Corte d’Appello spiega che le teorie anti-scientifiche non possono essere liberamente insegnate, e tanto meno se ne possono derivare conseguenze pratiche o terapeutiche, quando interferiscono con i diritti di categorie protette o favoriscono la discriminazione. Tra le categorie protette contro la discriminazione ci sono gli omosessuali, e la pratica delle terapie riparative implica necessariamente – afferma la sentenza – la tesi che l’omosessualità «sia una malattia», «non sia normale» o comunque sia una condizione meno positiva e desiderabile dell’attrazione verso persone dell’altro sesso. Questa opinione, oltre che «condannata dalla scienza», non è protetta dalla libertà di espressione, ma al contrario la sua manifestazione implicita o esplicita è vietata dalle leggi contro l’omofobia.

L’evidente obiezione è che se l’omosessualità sia una condizione «normale» e desiderabile, o se invece – come insegna per esempio il Magistero della Chiesa Cattolica – l’inclinazione omosessuale sia «oggettivamente disordinata» e «costituisca per loro [le persone omosessuali] una prova» (così afferma, al n. 2358, il «Catechismo della Chiesa Cattolica»), non è una questione che possa essere decisa esclusivamente dalla scienza psichiatrica, o da una maggioranza di psichiatri. Presenta profili che interessano la sociologia – la quale s’interessa della questione se esistano effettivamente gruppi di omosessuali che considerano la loro condizione «una prova» e preferirebbero cambiarla – la filosofia e anche la teologia. La questione è enormemente complicata e controversa. Come ha rilevato, intervenendo sul caso Cerrelli con un articolo su «Avvenire» del 29 agosto, lo stesso professor Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione dei Giuristi Cattolici Italiani – non proprio un talebano dell’opposizione alle leggi sull’omofobia e le unioni omosessuali, come sanno i nostri lettori – imporre per legge o affidare ai tribunali la decisione su quali opinioni siano lecite e quali no in questo campo costituisce una gravissima violazione della libertà di opinione e di espressione.

La sentenza californiana considera questa obiezione e risponde che la libertà di opinione non c’entra, in quanto la legge non vieta ai medici e terapisti di discutere in astratto le terapie riparative o di «scrivere un libro o tenere un comizio» dove affermano che le terapie riparative sono utili e funzionano, ma vieta loro soltanto di utilizzarle nella loro pratica medica e psichiatrica rivolta a minori. La risposta, anche qui, non è convincente: anzitutto perché, una volta stabilito che ogni affermazione in favore delle terapie riparative nasce necessariamente da un pregiudizio omofobo, l’espressione pubblica di questo pregiudizio – se non sarà colpita dalla nuova legge contro le terapie riparative – cadrà nell’ambito di applicazione delle leggi esistenti contro l’omofobia. In secondo luogo, perché è molto curioso riconoscere a un medico la libertà di affermare in pubblico che una certa terapia è benefica e utile, e nello stesso tempo vietargli di utilizzarla.
Si dovrebbe tenere conto anche della libertà del paziente di prestare il suo consenso informato a terapie che reputa utili a migliorare la sua condizione.

Curiosamente, la sentenza non insiste molto sul fatto che la legge californiana vieta solo di offrire le terapie riparative ai minorenni, ma non ne vieta l’uso con i maggiorenni. Certo è singolare che – mentre le possibilità di un sedicenne di prendere decisioni sulla sua vita si ampliano continuamente – l’unica scelta vietata è quella di intervenire per modificare il proprio orientamento omosessuale. C’è un clamoroso parallelo con la decisione di cambiare sesso: una pratica – come rivelò un’inchiesta televisiva della CBS nel 2012 – sempre più offerta a minorenni negli ospedali americani, per non parlare dell’accompagnamento psicologico di ragazzine teenager che si dichiarano lesbiche e sono «aiutate» ad adottare la nuova identità che si sono scelte.

Ma la sentenza non insiste su questo punto per una ragione politica. Sa bene che il divieto delle terapie riparative offerte a minorenni è solo il primo passo, e che le organizzazioni gay ora si battono per una legge che mandi in galera chiunque offra terapie riparative a persone omosessuali di qualunque età. Così recita il progetto di legge che ogni settimana in Gran Bretagna raccoglie nuove firme di membri del Parlamento di tutti i partiti, con il sostegno della stampa «politicamente corretta». E si ha l’impressione, leggendo tra le righe, che anche i giudici californiani ritengono che alla fine il problema sia culturale: occorre educare le minoranze non illuminate a capire che l’omosessualità non è un disagio, ma una condizione simpatica, gradevole e alla moda. Quando le leggi diventano strumento per rieducare chi è riluttante a entrare nel meraviglioso mondo del «politically correct» siamo sbarcati in quella che Benedetto XVI nell’enciclica «Caritas in veritate» chiama la peggiore delle ideologie: la tecnocrazia, dove le opinioni presentate come «scientifiche» sono imposte a tutti con la minaccia della galera, in una sinergia perversa fra tecnocrati in camice bianco e tecnocrati in toga, tristi gendarmi gli uni e gli altri della dittatura del relativismo.

Solo all’ultimo posto il Vangelo è autentico e credibile

Solo all’ultimo posto il Vangelo è autentico e credibile

Commento al Vangelo della XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

di don Antonello Iapicca

Presentandoci la vita come il funerale dei desideri, il demonio vuole indurci a non accogliere l’«invito a nozze» che il Signore ci consegna attraverso i fatti e le persone. Ogni giorno, infatti, rifiutiamo qualcosa della volontà del Padre, spinti a tentare di «occupare il suo posto» per saziare in libertà le concupiscenze. Sperperiamo la sua eredità per «esaltarci» ai «primi posti» del prestigio e dell’onore, dove ci illudiamo si possa realizzare la nostra esistenza. Umiliamo e strumentalizziamo gli altri, mentiamo esibendo curriculum artefatti, sino a che il pallone gonfiato dagli inganni non ci scoppia tra le mani.

Precipitiamo allora all’«ultimo posto», accanto ai porci come il figlio prodigo, dove ci scopriamo «nudi» come i progenitori e, avvolti nella stessa «vergogna», ci nascondiamo dagli altri, affamati e soli. È quando il Signore, certo «più ragguardevole di noi», appare attraverso i fatti che ci umiliano, e il Padre ci dice di «lasciare a Lui il primo posto» nella nostra vita, come in quella della moglie, del marito, dei figli, del fidanzato o degli amici. Grazie all’amore di Dio che, geloso della sua creatura, attraverso la Croce ci umilia seriamente, la superba scalata alla menzogna del primo posto ci precipita sempre nella verità dell’ultimo.

Ma proprio in quel porcile immondo, seduti al «nostro posto», quello che ci spetta quale giusta conseguenza delle nostre scelte, ci raggiunge, gratuito e del tutto inaspettato, l’amore di Dio. Egli, infatti, vede in noi il suo Figlio disceso nel sepolcro, sino al «posto» dell’«ultimo» dei peccatori. E qui, con Gesù, il Padre abbraccia anche noi, ci risolleva e ci sussurra le parole più dolci: «amico mio vieni più avanti», ecco per te l’«onore» che ho dato a mio Figlio risuscitandolo dalla morte.

Il Signore ci chiama dunque a riconoscerci peccatori, ad accettare «umilmente» la nostra debolezza e a «metterci all’inferno e non disperare» (Silvano del Monte Athos) in attesa che ci «innalzi» nel suo perdono. A vivere ogni relazione nella verità che ci fa liberi davvero, senza stupirci di non essere considerati, «diminuendo» agli occhi degli altri perché il Signore «cresca» in noi e in loro, divenendo così il centro dove incontrarci e amarci.

Per questo la Chiesa ogni giorno è messa all’ultimo posto «davanti a tutti»; è solo lì che può annunciare l’«onore» di Cristo risorto preparato per ogni figlio scappato di casa. Altro che onori, legittimazioni, accoglienze nei parterre culturali. La Chiesa, cioè ciascuno di noi, esiste per occupare l’ultimo posto, quello che nessuno vuole. Mamma mia, a scuola ogni giorno come l’ultimo degli studenti? A casa sempre un passo dietro a mio marito? Al lavoro seduto a raccogliere il mobbing ingiusto, a sbrigare le pratiche che nessuno vuole guardare? Io, il parroco, in ginocchio davanti a ogni pecora affidata, lasciando che le nevrosi, le invidie e le gelosie si infrangano su di me?

Sì, perché questo è il posto che Dio ha riservato ai suoi apostoli, quello scelto da suo Figlio per salvare ciascuno di noi. Con Lui siamo chiamati ad essere gli ultimi per lavare i piedi di tutti; come scrive San Paolo, “spettacolo e spazzatura per il mondo”. Perché solo all’ultimo posto il Vangelo è autentico e credibile.

Così accadde a San Francesco Saverio, apostolo indomito dell’Asia. Un giorno si trovava a Yamaguchi, in Giappone, annunciando il Vangelo; in giapponese sapeva solo il Credo, e questo ripeteva, con un sorriso disarmante. Alcuni ragazzini, vedendolo vestito così stranamente e con una faccia così ridicola, e udendolo balbettare in un giapponese improbabile parole astruse, presero a insultarlo, a sputargli e a tirargli pietre. E Francesco impassibile continuava “seduto all’ultimo posto”, il sorriso sul viso e il Credo sulle labbra. Passava di lì un samurai, osserva la scena e si ferma impietrito. Poi, stordito, si avvicina a Francesco. Attraverso il suo compagno e interprete gli dice: “Che cos’hai tu più di me? Io sono il primo in questa città, e l’onore è la cosa più importante per la mia vita. Tu qui sei l’ultimo, eppure devi avere una cosa più grande e importante dell’onore, per essere così libero da lasciare che te lo tolgano. Voglio quello che tu hai”. Fu il primo samurai convertito al cristianesimo. L’ultimo posto lo aveva attirato a cercare il tesoro meraviglioso che vi si nasconde.

Forse per noi continua ad essere diverso… Nella nostra vita sperimentiamo che ogni relazione, precaria nella friabilità degli affetti e instabile sotto la dittatura degli umori, nasce ferita da un’assenza. Nessuno può dare l’amore che il cuore dell’altro desidera. E invece ci ostiniamo a chiedere al prossimo di saziare i nostri vuoti. Quando «invitiamo amici, fratelli e parenti» ad entrare in comunione con noi ai nostri «banchetti», e sembriamo aprirci alle loro necessità, in realtà «offriamo» sofisticati menù a base di compromessi e ipocrisia; pensieri, parole e gesti come lacci tesi perché ci «invitino a loro volta» nell’intimità.

Come incantatori di serpenti cerchiamo di ipnotizzare e legare a noi il coniuge, i figli, gli amici. La nostra identità dipende dall’esile filo che ci lega al «contraccambio» degli sforzi profusi per contare qualcosa nel cuore degli altri. Non possiamo vivere senza la loro attenzione, l’indifferenza ci polverizza. Così, ad esempio, diluiamo i «no» che dovremmo dire ai figli e gli permettiamo vestiti e orari inaccettabili, discoteche sature di droga e sesso, vacanze promiscue, gadget costosissimi: li tempestiamo di «inviti» al dialogo per non perdere l’affetto e non dover sopportare ribellione e rifiuto. Allo stesso modo con il coniuge, il fidanzato e gli amici: non amiamo perché non ci interessa il bene dell’altro. Non siamo “inquieti” per loro, come dice Papa Francesco. Al contrario, siamo sterili perché in tutto cerchiamo i primi posti” dove saziare noi stessi.

Ma la verità è che siamo tutti «poveri, storpi, zoppi e ciechi». Abbiamo bisogno di gustare le primizie della «ricompensa» celeste, la vita e l’amore più forti della morte capaci di liberarci dalla paura e dall’esigenza. Il compimento di ogni vita è in Cielo, inutile e dannoso sperare di cambiare i rapporti per perfezionarli qui sulla terra, mentre proprio la precarietà che è un’eco del peccato e del disordine da esso provocato, ci impedisce di appropriarcene aprendoci alla beatitudine. Dietro ad essa vi è l’amore di Dio, non il suo castigo.

Attraverso di essa ci chiama a guardarlo e a cercare le cose di lassù in ogni cosa di quaggiù. Lavorare, studiare, cucinare, lavare e stendere, fare qualunque cosa aspettando o esigendo una ricompensa è stolto e frustrante, perché ci schiaccia sulla carne e ci impedisce di sperare il Cielo. «Beato», invece, è colui che «invita» il prossimo accogliendolo proprio quando non ha nulla per «contraccambiare»: è allora che il Signore si fa presente provvedendo con più generosità, facendoci così gustare le primizie della Vita Beata.

Siamo chiamati ad “invitare” la moglie quando è più povera e più debole; a perdonarla e a donarci a lei quando la carne la rifiuterebbe perché non vi trova nessuna soddisfazione. Questo è il Cielo sulla terra! Questo amore è il segno che esiste la vita eterna, infinitamente più grande, libera e felice di quella della carne. Ogni rapporto è un cantiere aperto al dono di Dio; l’unico modo per vivere in pienezza il matrimonio, la famiglia, l’amicizia e il fidanzamento è accogliere insieme l’«invito» del Signore alla sua mensa della Parola e dei Sacramenti; e qui lasciarsi sfamare ogni istante dai frutti fecondi della sua «risurrezione».