da Baltazzar | Feb 25, 2019 | Chiesa, Ecumenismo
Presentiamo ai nostri lettori un’importante dichiarazione di S.E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana (Kazakistan), redatta in seguito al recente viaggio di papa Francesco negli Emirati Arabi.
La verità della filiazione Divina in Cristo, che è intrinsecamente soprannaturale, costituisce la sintesi di tutta la rivelazione Divina. La filiazione Divina è sempre un dono gratuito della grazia, il dono più sublime di Dio per l’umanità. Questo dono si ottiene, però, unicamente attraverso la fede personale in Cristo e attraverso la ricezione del battesimo, come insegnò il Signore stesso: «In verità, in verità Io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto» (Giov. 3, 5-7). Nei decenni passati si sentiva spesso – persino dalla bocca di alcuni rappresentanti della gerarchia ecclesiastica – dichiarazioni sulla teoria dei “cristiani anonimi”. Questa teoria dice quanto segue: la missione della Chiesa nel mondo consisterebbe ultimamente nel suscitare la consapevolezza che tutti gli uomini devono avere della loro salvezza in Cristo e conseguentemente della loro filiazione Divina. Giacché, secondo questa stessa teoria, ogni essere umano possiederebbe già la filiazione Divina nella profondità della propria persona. Tuttavia, una tale teoria contraddice direttamente la Rivelazione Divina, come la insegnò Cristo e come i Suoi Apostoli e la Chiesa hanno sempre trasmesso per due mille anni immutabilmente e senza ombra di dubbio. Nel suo saggio “La Chiesa dai Giudei e Gentili” (Die Kirche aus Juden und Heiden) Erik Peterson, il noto convertita ed esegeta, già da tempo (nel 1933) metteva in guardia contro il pericolo di una tale teoria, quando affermò, che non si può ridurre l’essere cristiano (“Christsein”) all’ordine naturale, nel quale i frutti della redenzione, operata da Gesù Cristo, sarebbero generalmente imputati ad ogni essere umano come una sorta di eredità, solamente perché egli condividerebbe la natura umana con il Verbo incarnato. Tuttavia, la filiazione Divina non è un risultato automatico, garantito attraverso l’appartenenza alla razza umana. Sant’Atanasio (cf. Oratio contra Arianos II, 59) ci lasciò una semplice e allo stesso tempo precisa spiegazione della differenza tra lo stato naturale degli uomini come creature di Dio e la gloria dell’essere figli di Dio in Cristo. Sant’Atanasio sviluppa il suo pensiero partendo dalle parole del santo Vangelo secondo Giovanni, che dice: “Egli ha dato potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Giov. 1, 12-13). Giovanni usa l’espressione “sono stati generati” per dire che l’uomo diviene figlio di Dio non per natura ma per adozione. Questo fatto dimostra l’amore di Dio, poiché Colui che è loro creatore diviene poi tramite la grazia anche loro Padre. Ciò accade, come l’Apostolo dice, quando gli uomini ricevono nel loro cuore lo Spirito del Figlio Incarnato, che grida in loro: “Abba, Padre!” Sant’Atanasio continua nella sua riflessione dicendo: Come esseri creati gli uomini possono divenire figli di Dio esclusivamente attraverso la fede e il battesimo, ricevendo lo Spirito del vero e naturale Figlio di Dio. Precisamente per questa ragione il Verbo si fece carne, per fare gli uomini capaci dell’adozione filiale e della partecipazione alla natura Divina. Di conseguenza, per natura Dio, in senso stretto, non è il Padre degli esseri umani. Solo colui chi accetta coscientemente Cristo ed è battezzato, sarà capace di gridare in verità: “Abba, Padre” (Rom. 8, 15; Gal. 4, 6). Fin dall’inizio della Chiesa esisteva l’asserzione, come testimonia Tertulliano: “Non si nasce cristiano, cristiano si diviene” (Apol., 18, 5). E San Cipriano di Cartagine ha accertatamente formulato questa verità, dicendo: «Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre» (De unit., 6). Il compito più urgente della Chiesa ai nostri giorni consiste nel prendere cura del cambiamento del clima spirituale e del clima di migrazione spirituale, ovverosia che il clima della non-fede in Gesù Cristo e il clima di rigetto della regalità di Cristo si tramutino in un clima di fede esplicita in Gesù Cristo e di accettazione della Sua regalità, e che gli uomini possano migrare dalla miseria della schiavitù spirituale della non-fede alla felicità di essere figli di Dio e dalla vita in peccato migrare nello stato di grazia santificante. Questi sono i migranti dei quali dobbiamo urgentemente prendere cura. Il cristianesimo è l’unica religione voluta da Dio. Pertanto, il cristianesimo non può mai essere messo in modo complementare accanto alle altre religioni. Violerebbe la verità della Divina Rivelazione, come essa è inconfondibilmente affermata nel Primo Comandamento del Decalogo, chi sosterrebbe la tesi che Dio vorrebbe la diversità di religioni. Conforme alla volontà di Cristo la fede in Lui e nel Suo Divino insegnamento deve sostituire le altre religioni, tuttavia non con forza, ma con una persuasione amorevole, come lo esprime l’inno delle Lodi della festa di Cristo Re: “Non Ille regna cladibus, non vi metuque subdidit: alto levatus stipite, amore traxit omnia” (“Non con la spada, la forza e la paura Egli sottomette i popoli, ma esaltato nella Croce attira amorosamente tutte le cose a Se”). C’è solo una via verso Dio, e questa è Gesù Cristo, giacché Egli stesso disse: “Io sono la Via” (Giov. 14, 6). C’è solo una verità, e questa è Gesù Cristo, giacché Egli stesso disse: “Io sono la Verità” (Giov. 14, 6). C’è solo una vita veramente soprannaturale, e questa è Gesù Cristo, giacché Egli stesso disse: “Io sono la Vita” (Giov. 14, 6). Il Figlio di Dio Incarnato ha insegnato che fuori della fede in Lui non vi può essere una vera religione gradita a Dio: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato” (Giov. 10, 9). Dio ha comandato a tutti gli uomini, senza eccezione, di ascoltare Suo Figlio: “Questi è il Figlio Mio amato: ascoltatelo!” (Mc. 9, 7). Dio non ha detto: “Potete ascoltare il Mio Figlio o altri fondatori di religioni, giacché è la Mia volontà che ci siano differenti religioni.” Dio ha vietato di riconoscere la legittimità della religione di altri dèi: “Non avrai altri dèi di fronte a me” (Ex. 20, 3) e “Quale comunione può essere fra luce e tenebre? Quale intesa fra Cristo e Bèliar, o quale collaborazione fra credente e non credente? Quale accordo fra tempio di Dio e idoli?” (2 Cor. 6, 14-16). Se le altre religioni corrisponderebbero altrettanto alla volontà di Dio, non ci sarebbe stato la condanna Divina della religione del vitello d’oro al tempo di Mosé (cf. Ex. 32, 4-20); allora, i cristiani di oggi potrebbero impunemente coltivare la religione di un nuovo vitello d’oro, giacché tutte le religioni sarebbero, secondo tale teoria, altrettanto gradite a Dio. Dio diede agli Apostoli e attraverso loro alla Chiesa per tutti i tempi l’ordine solenne di istruire tutte le nazioni e i seguaci di tutte le religioni nell’unica vera fede, insegnando loro ad osservare tutti i Suoi comandamenti Divini e battezzarli (cf. Mt. 28, 19-20). Fin dall’inizio della predicazione degli Apostoli e del primo Papa, l’Apostolo San Pietro, la Chiesa ha sempre proclamato che in nessun altro nome c’è salvezza, vale a dire, non c’è nessun’altra fede sotto il cielo, nella quale gli uomini possono essere salvati, che nel Nome e nella fede in Gesù Cristo (cf. At. 4, 12). Con le parole di Sant’Agostino la Chiesa insegnava in tutti i tempi: “Solo la religione cristiana indica la via aperta a tutti per la salvezza dell’anima. Senza di essa non se ne salva alcuna. Questa è la via regia, perché essa soltanto conduce non a un regno vacillante per altezza terrena ma a un regno duraturo nella stabile eternità” (De civitate Dei, 10, 32, 1). Le seguenti parole del grande Papa Leone XIII rendono testimonianza dello stesso immutabile insegnamento del Magistero in tutti i tempi, quando egli affermò: “Il grand’errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti è la via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre” (Enciclica Humanum genus, n. 16) In tempi recenti il Magistero ha presentato sostanzialmente lo stesso insegnamento immutabile nel Documento “Dominus Iesus” (6 agosto 2000), dal quale citiamo rilevanti affermazioni: “Spesso si identifica la fede teologale, che è accoglienza della verità rivelata da Dio Uno e Trino, e la credenza nelle altre religioni, che è esperienza religiosa ancora alla ricerca della verità assoluta e priva ancora dell’assenso a Dio che si rivela. Questo è uno dei motivi per cui si tende a ridurre, fino talvolta ad annullarle, le differenze tra il cristianesimo e le altre religioni” (n. 7) “Risulterebbero contrarie alla fede cristiana e cattolica quelle proposte di soluzione, che prospettassero un agire salvifico di Dio al di fuori dell’unica mediazione di Cristo” (n. 14) “Non rare volte si propone di evitare in teologia termini come « unicità », « universalità », « assolutezza », il cui uso darebbe l’impressione di enfasi eccessiva circa il significato e il valore dell’evento salvifico di Gesù Cristo nei confronti delle altre religioni. In realtà , questo linguaggio esprime semplicemente la fedeltà al dato rivelato” (n. 15) “Sarebbe contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, anzi sostanzialmente equivalenti ad essa, pur se convergenti con questa verso il Regno di Dio escatologico” (n. 21) “La verità di fede esclude radicalmente quella mentalità indifferentista «improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l’altra”» (Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptoris missio, 36)” (n. 22). Gli Apostoli e innumerevoli martiri cristiani di tutti i tempi, specialmente quelli dei primi tre secoli, si avrebbero risparmiati il martirio se avessero detto: “La religione pagana e il suo culto è una via che anche corrisponde alla volontà di Dio”. Non ci sarebbe stato, per esempio, una Francia cristiana, “la figlia primogenita della Chiesa,” se San Remigio avesse detto a Clodoveo, re dei Franchi: “Non devi abbandonare la tua religione pagana; puoi praticare insieme alla tua religione pagana la religione di Cristo”. In realtà il santo vescovo parlò diversamente, anche se in modo piuttosto brusco: “Adora ciò che hai bruciato e brucia ciò che hai adorato!” La vera fratellanza universale può esistere solamente in Cristo, vale a dire tra persone battezzate. La piena gloria della filiazione Divina sarà raggiunta solo nella visione beatifica di Dio in cielo, come la Sacra Scrittura lo insegna: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Giov. 3, 1-2). Nessuna autorità sulla terra – nemmeno la suprema autorità della Chiesa – ha il diritto di dispensare qualsiasi seguace di un’altra religione dalla fede esplicita in Gesù Cristo, cioè dalla fede nel Figlio Incarnato di Dio e nell’unico Redentore degli uomini con l’assicurazione che le religioni differenti sono come tali volute da Dio stesso. Indelebili – perché scritte con il dito di Dio e cristalline nel suo significato – rimangono, tuttavia, le parole del Figlio di Dio: “Chi crede nel Figlio di Dio non è condannato ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Giov. 3, 18). Questa verità era valida fino ad ora in tutte le generazioni cristiane e rimarrà valida fino alla fine dei tempi, indipendentemente dal fatto che alcune persone nella Chiesa del nostro tempo così instabile, codardo, sensazionalista e conformista, reinterpretino questa verità in un senso contrario al tenore delle parole, spacciando con ciò questa reinterpretazione come continuità nello sviluppo della dottrina. Al di fuori della fede cristiana, nessun’altra religione può essere un cammino vero e voluto da Dio, giacché questa è la volontà esplicita di Dio, che tutti gli uomini credano nel Suo Figlio: “Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna” (Giov. 6, 40). Al di fuori della fede cristiana nessun’altra religione è capace di trasmettere la vera vita soprannaturale: “Questa è la vita eterna: che conoscano Te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Giov. 17, 3).
8 febbraio 2019 + Athanasius Schneider, Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana
Fonte:https://www.corrispondenzaromana.it/il-dono-della-filiazione-divina-la-fede-cristiana-lunica-valida-religione-e-unicamente-voluta-da-dio/
da Baltazzar | Mar 24, 2016 | Blog, Cultura e Società, Flatulenze
(di Rodolfo de Mattei suOsservatorio Gender) Una decisione figlia di una ideologia falsa e iniqua che, negando l’esistenza di un principio di verità, mette sullo stesso piano il bene e il male e, paradossalmente, eleva a suo valore supremo e assoluto il principio relativista.
Una scuola materna di Milano, zona quartiere Isola, ha abolito la “Festa del Papà” per “rispetto” dei bambini figli di coppie same-sex che un papà, purtroppo per loro, non ce l’hanno e non lo hanno mai avuto, essendo composte da due mamme. A riportare la notizia è l’“ANSA” che scrive come ai bambini della scuola al centro del nuovo “caso gender”, in occasione della tradizionale ricorrenza del 19 marzo, festa di San Giuseppe, sia stato chiesto di preparare un insolito lavoretto politically correct sull’origine delle diverse etnie, piuttosto che realizzare un disegno o preparare una poesia per il proprio papà:
“Lo scorso anno avevano portato a casa un disegno con i colori della varie squadre di calcio e al centro la foto del loro papà. Come tutti i loro coetanei anche i bambini della scuola materna del quartiere Isola di Milano, erano stati impegnati per settimane a completare il loro lavoretto per la Festa del Papà. Ma quest’anno la programmazione è cambiata: il lavoretto non sarà legato alla ricorrenza del 19 marzo, ma all’origine delle varie etnie”.
Alle tante polemiche, sorte in seguito a tale inedita decisione, ha replicato, in consiglio comunale, l’assessore all’Educazione del Comune di Milano, Francesco Cappelli che ha liquidato la vicenda come una semplice montatura mediatica:
“Il collegio insegnanti ha deciso quest’anno di non fare il tradizionale lavoretto per la festa del papà, ma di far realizzare ai bambini un biglietto per l’occasione, con una missiva. Tutto il resto è solo una montatura”.
Di tutt’altro avviso un papà che, intervistato davanti alla scuola, ha sottolineato il proprio totale disappunto per l’abolizione di una festa di lunga tradizione, cosi carica di significato, in particolare modo per i bambini:
“Sì la maestra mi ha appena spiegato che i bambini faranno un biglietto d’auguri con una frase dettata da lei, ma non è la stessa cosa: non capisco perché eliminare una consuetudine che si concretizzava con un gesto d’affetto e restava nel tempo”.
Il vero motivo alla base di tale folle disposizione scolastica lo ha rivelato, senza giri di parole,una nonna di una piccola alunna, la quale ha sottolineato come, dietro alle varie giustificazioni di facciata, vi sia la volontà di non urtare la sensibilità di alcuni bambini con due mamme o due papà:
“Non ci sono dubbi che il motivo è questo, nella classe di mio nipote c’è una bimba che vive con due mamme”.
La soppressione della tradizionale Festa del Papà in favore di un lavoretto “multietnico” rappresenta magistralmente il volto nichilista e falsamente neutrale della odierna dittatura gender e omosessualista. Nichilista, in quanto abolisce e disconosce, in un’irrazionale impeto autodistruttivo, le proprie identità e tradizioni, in nome di un vuoto e insignificante principio di non-discriminazione. Falsamente neutrale, poiché ogni scelta, per definizione, implica effetti e conseguenze, e la cancellazione della “Festa del Papà” costituisce il coerente e logico esito del riconoscimento sociale di ogni tipo di famiglia. Una decisione figlia di una ideologia falsa e iniqua che, negando l’esistenza di un principio di verità, mette sullo stesso piano il bene e il male e, paradossalmente, eleva a suo valore supremo e assoluto il principio relativista. (di Rodolfo de Mattei su Osservatorio Gender)
da Baltazzar | Mar 24, 2016 | Cultura e Società, Media
I media asserviti all’ideologia Lgbtq, sempre più, sempre peggio, veri e propri strumenti di riprogrammazione delle coscienze nelle mani delle solite lobby. Che non si smentiscono mai. La strategia è chiara ed è sempre la stessa: usare le avanguardie della decadenza morale, per introdurre anche in Europa prassi lontane anni-luce dal comune sentire e dall’immaginario collettivo. Da questo punto di vista, i Paesi Bassi sono stati individuati come il “cavallo di Troia”, con cui tentare l’omologazione dei cervelli all’ammasso.
Per questo l’emittente televisiva olandese Tlc, specializzata in reality, da oltre un anno ha deciso di proporre ogni settimana le vicende di «Luisa e Rosanna», dal titolo dell’incredibile serie omonima. Serie, in cui Luisa, 29 anni, zingara con la passione per il mondo della tv e dello spettacolo, si scopre, in realtà, essere il nome acquisito da Lowieke (o Loïc, più confidenzialmente) dopo diverse operazioni chirurgiche per il cambio di sesso. Contro tale scelta, ovviamente, si erano schierati la sua famiglia e tutta la sua comunità nomade d’origine: al punto da spingerlo a lasciare casa, pur di non ascoltare i continui richiami al buon senso. Oggi egli ostenta una parvenza di esuberante, esplosiva, ma artefatta ed innaturale “femminilità”. Rosanna Jannsen, 31 anni, di Venlo, “gioca” invece a fare l’uomo nell’improbabile coppia: si presenta come “giovanotto” tutto sport, motocross e calcio, pur però mantenendo le proprie specifiche caratteristiche muliebri. Nonostante le iniziali ritrosie, la sua famiglia d’origine ha accettato la convivenza con Luisa, nel consumato filone del più bieco ed ipocrita «l’importante è che ci sia l’amore», slogan trito e ritrito, tipico dell’odierno obnubilamento valoriale, che spinge all’oblio dell’anima a costoro evidentemente poco importa.
E’, dunque, in fin dei conti, la storia di due trans, raccontata – come recita il sito della televisione – in modo «comico» (sinonimo qui di superficialità e banalizzazione parodistica), nella certezza che – si legge – «il letto» possa rappresentare la soluzione giusta per tutti i litigi. Decisi più che mai, dopo 14 anni di convivenza, non solo a “sposarsi”, bensì anche ad aggiungere aberrazione ad aberrazione (e, dal punto di vista delle anime, peccato a peccato), i due “partner” hanno deciso di “regalarsi” un bambino in provetta, naturalmente tramite fecondazione artificiale e con tanto di utero in affitto. Ecco un ottimo motivo, anzi un motivo in più, per spegnare la televisione… (fonte: Osservatorio Gender).
da Baltazzar | Mar 24, 2016 | Biopolitica, Blog, Cultura e Società, Famiglia
di Caterina Giojelli
Un libro di Aldo Vitale per non “tranquillizzare la propria coscienza” e tornare finalmente a ragionare.
«Non è vero – scriveva Pier Paolo Pasolini in Lettere Luterane – che comunque, si vada avanti. Assai spesso sia l’individuo che la società regrediscono o peggiorano. In tal caso la trasformazione non deve essere accettata: la sua “accettazione realistica” è in realtà una colpevole manovra per tranquillizzare la propria coscienza e tirare avanti».
Tirare avanti: fin dove? Thomas Beatie non è un uomo, ma una donna: si chiamava Tracy Lagondino prima di innamorarsi di Nancy. I due decidono di avere un figlio: grazie alla donazione del seme da parte di un amico e a una inversa terapia ormonale, si procede con una fecondazione assistita eterologa e a portare avanti la gravidanza è proprio Tracy-Thomas. Oggi i due hanno tre figli che hanno una madre che vuole fare il padre (Tracy-Thomas, appunto), una madre “sociale” (Nancy) e un padre biologico (il donatore) grazie al quale è stata innescata l’intera procedura. Una vicenda resa ancora più complicata dalla separazione, dopo lungo travaglio giudiziario, dei due, un arresto per stalking di Tracy-Thomas nei confronti dell’ex moglie e una intervista rilasciata lo scorso dicembre al Sun in cui l’ormai celebre “pregnant man”, parlando dei suoi figli e dichiarando di volerne altri dalla sua nuova compagna Amber, racconta che il piccolo Austin «aveva i capelli lunghi e ha iniziato a dire che voleva essere una ragazza quando aveva tre anni», mentre Susan, la primogenita, a 7 anni gli ha già chiesto se tutte le ragazze debbano, prima o poi, diventare maschi. Una storia che è un caso limite? No, una storia con tutti i limiti del caso, piena di risvolti etico-giuridici e paradossi etico-esistenziali di immediata (e drammatica) comprensione.
La vicenda di Tracy-Thomas, una delle molte restituiteci da questi assurdi tempi di opposizione dei diritti/desideri/amori umani all’esercizio stesso del diritto, non è che infatti una delle tante propaggini connesse al tema del pensiero gender, per cui «ciò che è rilevante ai fini della propria identità non è più ciò che uno è, ma ciò che uno ritiene di essere; per cui ci si può percepire come maschio, come femmina, come entrambi o come nessuno dei due», un pensiero radicato in un soggettivismo etico, che combinato agli sviluppi tecnoscientifici conduce in fretta «a tutta una complicata e insolita tipologia fenomenologica che, invece di mettere in evidenza il diritto rivendicato, espone sotto gli occhi di tutti quanto il diritto, nella sua essenza strutturale, venga semmai violato».
Non manca il coraggio della verità ad Aldo Rocco Vitale, autore dell’efficace Gender questo sconosciuto (Ed. Fede & Cultura, 12 euro), 133 pagine e 30 capitoli che rispondono ai tanti punti oscuri sul pensiero poco conosciuto, sottovalutato e da più parti negato come invenzione propagandistica della Chiesa cattolica: il gender, appunto, andato configurandosi nella storia come quel «momento di negazione della differenza sessuata dell’essere umano, o meglio, come pensiero teso a elidere il dato dell’elemento biologico-naturale per sostituirlo con l’elemento psicoculturale». Avvocato, firma preziosa di numerose testate online (fra cui Tempi), socio dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, Vitale si destreggia tra storia e casi di cronaca, mostrando con chiarezza per ciascuno di essi paradossi e problemi antropologici e biogiuridici che il pensiero gender porta inevitabilmente con sé, arrivando ad esprimere «il livello più avanzato di annientamento radicale dell’essere dell’uomo».
Che si tratti di un vero e proprio totalitarismo, «lo si comprende facendo riferimento agli elementi che secondo la più nota ed autorevole teorizzatrice del tema, Hannah Arendt, sono necessari per dar vita, appunto, ad un totalitarismo: l’ideologia, la massa da indottrinare e la polizia politica per tacitare chiunque dovesse resistere all’indottrinamento». Vitale non ha paura di usare le parole giuste, avvalorare la sua scrittura chiara con i contributi di numerosissimi pensatori, da Karl Marx a Judith Butler, dal professor Francesco D’Agostino a Benedetto XVI, e instrada il lettore sulle vie della nascita e dello sviluppo complesso del gender che lungi dal rappresentare un’invenzione vaticana si afferma in un preciso momento storico, come frontiera ultima ed evoluzione sofisticata del pensiero femminista; svela l’interesse dei sostenitori del gender a promuovere l’equivoco che esso c’entri con l’omosessualità; rimette ordine su ciò che è diritto, fondato, come diceva Cicerone, «non su una convenzione ma sulla natura»; smaschera la pretesa di chi vorrebbe porre quale causa prima della famiglia («quell’istituto riconosciuto dal diritto statuale che su quest’ultimo non si fonda, ma che è fondamento di quest’ultimo») non il diritto naturale – che attiene alla natura dell’uomo ed è dunque accessibile attraverso l’esercizio della ragione – bensì il diritto positivo e statale, e quella di chi vede nell’amore «un principio ordinante del diritto che a sua volta deve disciplinare e ordinare l’esistenza», come è accaduto lo scorso giugno quando Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha statuito che i singoli Stati non potessero rifiutarsi di riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso senza violare la Costituzione: incentrata non sulla razionalità del diritto, ma sulla passionalità dell’amore, «la suddetta sentenza, lungi dall’essere espressione di giustizia rappresenta piuttosto il triste volto di un diritto violato, cioè, in definitiva dell’ingiustizia».
La diffusione del fast-divorce, la proliferazione delle convivenze more uxorio, le richieste di riconoscimento e tutela giuridica di situazioni «che normalmente dovrebbero essere sottratte al diritto per natura (loro intrinseca e del diritto medesimo), come per esempio in matrimonio omosessuale o l’omogenitorialità (cioè la genitorialità come diritto delle coppie omosessuali attraverso l’istituto dell’adozione o le tecniche di procreazione medicalmente assistita)», evidenziano con forza le spinte contrarie e opposte a cui è soggetta l’istituzione famigliare, tra questi marosi è tuttavia possibile distinguere due principali prospettive «quella che in tende la famiglia come uno dei numerosi prodotti sociali che storicamente si vengono a determinare e succedere» (tipicamente sociologica e marxista) e «quella che rivela la famiglia come società naturale evidenziandone la struttura giuridica sostanziale e sottraendola così a tutte le ipotizzabili manipolazioni»: ecco allora come leggere l’articolo 29 della Costituzione Italiana ai sensi del quale «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», ovvero l’unione tra uomo e donna, requisito naturale, essenziale e logico della società naturale.
Uomo e donna: è qui che Vitale affronta i paradossi che derivano dalla negazione della natura propagata dal gender, sostituita dal sentimento e dal desiderio che una volta benedetti dalla politica e dal legislatore approdano facilmente alle storture del caso Beatie, al sostegno delle lobby gender all’industria dell’utero in affitto con la surrogazione di maternità che rappresenta per gli individui LGBT l’opportunità di avere una famiglia. Dai più recenti casi internazionali a quelli italiani, il libro racconta i problemi biogiuridici legati a omoconiugalità e omogenitorialità giocati sulla pelle di bambini ridotti a prodotti ultimi di una catena di montaggio procreativa: valga per tutti il caso del 31enne omosessuale messicano Jorge che nel 2010 decide di diventare padre senza nemmeno essere fidanzato, usa il proprio seme e l’ovulo donato da un’amica e l’utero della madre: nasce un bambino che è figlio di Jorge e della sua amica, figlio della sua amica e di sua madre, figlio e fratello di Jorge, figlio e nipote della madre di Jorge, «essendo figlio di tutti, paradossalmente, è figlio di nessuno. È più figlio o più nipote? E di chi è figlio? E si possono avere due madri e un padre? E se il proprio padre è proprio fratello? E se la propria madre è la propria nonna? Contorsioni esistenziali derivanti da una concezione e da un’applicazione del possibilismo tecnico assolutamente svincolate da ogni paradigma veritativo dell’essere umano».
Un’altra storia che è un caso limite? No, un’altra storia con tutti i limiti del caso, una delle tante provenienti dagli Stati dove l’ideologia gender, sotto l’ipocrisia della tutela dei diritti riproduttivi (un pensiero unico in cui trova accoglimento anche la promozione del reato di omofobia), va frammentando i ruoli genitoriali e trasformando le tecniche di procreazione medicalmente assistita da rimedio estremo per i casi di sterilità e infertilità in mezzi in cui poter strumentalizzare i figli a soddisfazione dei propri desideri e delle proprie aspirazioni.
Scrive Donna Haraway in “A manifesto for cyborgs: science, technology and socialist feminism in 1980s”, pubblicato nel 1985 sulla rivista Socialist Review: «Il cyborg è una creatura di un mondo post-genere: non ha niente da spartire con la bisessualità, la simbiosi pre-edipica, il lavoro non alienato o altre seduzioni di interezza organica ottenute investendo un’unità suprema di tutti i poteri delle parti. Il cyborg non ha nemmeno una storia delle origini nell’accezione occidentale del termine. (…) Il cyborg definisce una polis tecnologica in parte fondata sulla rivoluzione delle relazioni sociali nell’oikos. (…) Il cyborg non sogna una comunità costruita sul modello della famiglia organica». E ben si comprende l’orizzonte in cui si muove l’homo faber, che può modificare a proprio piacimento la realtà e la sua stessa natura, raccontato da Vitale. Un libro per non “tranquillizzare la propria coscienza” e tornare finalmente a ragionare.
Fonte: www.tempi.it
da Baltazzar | Mar 24, 2016 | Biopolitica, Segni dei tempi
Benedetta Frigerio
Il Collegio dei medici si è visto costretto a pubblicare nuove linee guida: «Da un punto di vista morale, il dovere di agire per salvare la vita del paziente si fonda sui principi di fare il bene e non fare il male»
Dopo aver legalizzato l’eutanasia, il Quebec è costretto a correre ai ripari. Se la legge è entrata in vigore solo a dicembre, è dal giugno del 2014 che l’omicidio su richiesta (anche dei pazienti con fragilità psicologiche) è passato al Parlamento, che ha dato 17 mesi di tempo ai medici per prepararsi alla rivoluzione.
CASI ALLARMANTI. In questo arco temporale si sono verificati degli episodi che hanno allarmato il Collegio dei medici del Quebec, fino a portarlo a varare delle nuove linee guida etiche in cui si ricorda al personale sanitario che bisogna salvare la vita ai pazienti che cercano di suicidarsi. Yves Robert, segretario del Collegio, ha dichiarato al National Post che un numero indefinito di medici ha interpretato il tentato suicidio in modo arbitrario come un’implicita richiesta di rifiuto delle cure.
«FARE IL BENE, NON IL MALE». Data la legalizzazione dell’eutanasia, l’interpretazione non è così insensata. Eppure Robert ha sottolineato che, «da un punto di vista morale, questo dovere di agire per salvare la vita del paziente, o di prevenire gli effetti di un intervento troppo tardivo, si fonda sui principi di fare il bene e non fare il male e su quello di solidarietà», per cui non intervenire «sarebbe una negligenza». Il Collegio dunque afferma quanto viene negato dalla legge sull’eutanasia, riconoscendo che esistono principi etici oggettivi a cui le procedure si devono attenere. E ricorda anche che potrebbero essere necessari dei trattamenti psichiatrici, perché «il riconoscimento della sofferenza psichica può permettere a una persona che si vuole uccidere di ripensare differentemente alla sua vita».
OLTRE 1.000 SUICIDI. Facendo emergere il problema, il direttore del Poison Control Center del Quebec, Maude St-Onge, ha spiegato che in pronto soccorso i medici spesso non sanno come procedere con chi ha provato a uccidersi. In molti casi di tentato suicidio tramite avvelenamento, l’autore poteva essere salvato facilmente senza ripercussioni per la sua salute futura. Ma questo non è stato fatto. E i casi potrebbero non essere pochi dato che in Quebec più di mille persone ogni anno si suicidano.
Fonte: www.tempi.it