da Baltazzar | Giu 12, 2013 | Chiesa sofferente, Islam, Post-it
di Leone Grotti da www.tempi.it
Scuole attaccate e bruciate, professori e studenti uccisi. Così Boko Haram cercano di imporre la sharia nel nord della Nigeria
«Sappiamo chi sei. Sappiamo quali ore frequenti. Tu insegni agli studenti le materie imposte dal governo. Noi vogliamo che tu non vada più a scuola». Recitava così un sms arrivato sul cellulare di Sherif Daggash, insegnante di 28 anni della scuola secondaria Sanda Kyarimi di Maiduguri, capitale dello Stato del Borno, Nigeria. Il messaggio portava la firma di Boko Haram, il gruppo terrorista islamico che dal 2009 ha ucciso in Nigeria oltre 3 mila persone in più di 700 attacchi. Boko Haram vuole imporre la sharia in Nigeria e cacciare i cristiani dal nord del paese.
ATTACCHI ALLE SCUOLE. La scuola di Daggash ha ignorato il pericolo, ma pochi giorni dopo, in pieno giorno, miliziani di Boko Haram hanno attaccato la scuola uccidendo un professore e diversi studenti, scappati in mezzo al panico. Come racconta un reportage del Washington Post, la nuova strategia di Boko Haram nel nord della Nigeria, dove il governo ha imposto un coprifuoco per difendere i cittadini dalle incursioni dei terroristi, è quella di attaccare tutte le scuole tranne quelle islamiche. «Le scuole sono la chiave per cambiare la mentalità delle persone», afferma Labaran Usman, membro della Commissione nazionale per i diritti umani in Nigeria. E Boko Haram vuole che agli studenti si insegni solo la sharia.
ESAMI DI STATO PROTETTI. Negli ultimi mesi decine di scuole a Maiduguri sono state attaccate o bruciate da Boko Haram, che hanno anche ucciso professori e studenti, portando diversi insegnanti a lasciare il loro lavoro temendo nuovi attacchi. Gli esami di Stato si svolgono solo in aree protette, accerchiate dall’esercito nigeriano, ma nelle scuole che hanno subito attacchi gli studenti e i professori non tornano più.
GOVERNO IMPOTENTE. Venerdì scorso Boko Haram ha ucciso in un attacco 13 membri delle forze dell’ordine, che non riescono a garantire la sicurezza nel paese: «Non possiamo essere dappertutto», spiega un portavoce del governo. «Questi terroristi hanno sempre più armi e cambiano tattica ogni volta. Se colpiscono di notte e tu ti organizzi per fermarli di notte, cominciano ad attaccare in pieno giorno. Le scuole sono uno degli obiettivi principali, le colpiscono tutte, anche nei villaggi più remoti».
L’APPELLO DEI VESCOVI. A fine maggio i vescovi cattolici della Nigeria hanno lanciato un appello, “Salvare la Nigeria dal crollo”, in cui chiedevano al governo di «valutare gli strumenti di dialogo più efficaci e riportare il paese alla normalità», per fermare «un’escalation di violenza e criminalità senza precedenti» sfociata ormai in «una guerra di bassa intensità».
da Baltazzar | Giu 12, 2013 | Chiesa, Papa Francesco
I vertici dei religiosi latinoamericani (CLAR) riferiscono di un’udienza durante la quale Francesco ha parlato anche della riforma della Curia
di Andrea Tornielli da Vatican Insider
«Nella Curia c’è gente santa, davvero», ma c’è anche una «corrente di corruzione». Sono parole attribuite al Papa dai vertici della CLAR, la Confederazione Latinoamericana di Religiosi, ricevuti in udienza privata da Francesco lo scorso 6 giugno nella biblioteca vaticana. I contenuti del dialogo, sono stati resi noti dagli stessi religiosi su un sito cileno.
Secondo quanto riportato dai religiosi latinoamericani il Papa ha fatto anche un cenno alla «lobby gay» in Vaticano: «Si parla di una “lobby gay” e in effetti c’è… bisogna vedere che cosa possiamo fare». Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi ha detto di non avere «alcuna dichiarazione da fare sui contenuti della conversazione», dato che si trattava di «un incontro di carattere privato» e dunque non è stato registrato né trascritto.
Secondo i vertici della CLAR, Francesco avrebbe incoraggiato i religiosi ad «avanzare verso nuovi orizzonti», senza paura «di correre rischi andando verso i poveri e i nuovi soggetti emergenti nel continente». Anche se «vi arriva una lettera della Congregazione per la dottrina, affermando che aveva detto questa o quella cosa… Non preoccupatevi. Spiegate quello che dovete spiegare, però andate avanti… Aprite porte, facendo qualcosa là dove la vita chiama. Preferisco una Chiesa che si sbaglia per fare qualcosa che una che si ammala per rimanere rinchiusa…».
Il Papa, secondo quanto riferisce la CLAR, ha parlato anche della sua elezione: «Non ho perso la pace in nessun momento e questo, sapete? non è mio, io sono uno che si preoccupa e che diventa nervoso… Ma non ho perso la pace in nessun momento. Ciò mi conferma che è qualcosa che viene da Dio».
Riguardo ai suoi gesti e alla decisione di abitare a Santa Marta, Francesco ha detto: «Lo faccio perché ho sentito che era ciò che il Signore voleva. Ma questi gesti non sono miei, c’è un Altro qui…»
«Sono venuto a Roma solo con pochi vestiti, li lavavo di notte, e all’improvviso questo… Ma se io non avevo alcuna possibilità! Nelle scommesse di Londra stavo al quarantaquattresimo posto, immaginatevi. Chi ha scommesso su di me ha guadagnato moltissimo denaro…».
Francesco, dopo aver ripetuto che la morte di un barbone non fa notizia mentre la fanno tre punti persi dalla Borsa, ha accennato all’aborto: «Bisogna andare alle cause, alle radici. L’aborto è un male, e questo è chiaro. Ma che cosa c’è dietro l’approvazione di questa legge, che interessi ci sono dietro… a volte sono le condizioni che pongono i grandi gruppi per dare appoggi economici. Bisogna andare alle cause, non fermarci solo ai sintomi. Non abbiate paura di denunciarlo… avrete problemi, ma non abbiate paura di denunciare, questa è la profezia della vita religiosa».
Bergoglio ha poi condiviso con i religiosi, secondo la trascrizione del colloquio, due «preoccupazioni». Una è la «corrente pelagiana che c’è nella Chiesa in questo momento». Un riferimento ad alcuni «gruppi restauratori». «Ne conosco alcuni, mi è capitato di riceverli a Buenos Aires. Uno ha l’impressione di tornare indietro di 60 anni! Prima del Concilio…». Il Papa avrebbe quindi riferito questo episodio: «Quando mi hanno eletto, ho ricevuto una lettera da uno di questi gruppi e mi dicevano: “Santità, le offriamo questo tesoro spirituale, 3.525 rosari”. Non dicono preghiamo per lei, chiediamo… ma questo tenere una contabilità…».
Questo accenno al «pelagianesimo» delle correnti più tradizionali sembra riecheggiare le parole dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, che durante un corso di esercizi spirituali tenuti nel 1986 (pubblicati nel 2009 con il titolo «Guardare Cristo: esempi di fede, speranza e carità», Jaca Book) aveva affermato: «L’altra faccia dello stesso vizio è il pelagianesimo dei pii. Essi non vogliono avere nessun perdono e in genere nessun vero dono di Dio. Essi vogliono essere in ordine: non perdono ma giusta ricompensa. Vorrebbero non speranza ma sicurezza. Con un duro rigorismo di esercizi religiosi, con preghiere e azioni, essi vogliono procurarsi un diritto alla beatitudine. Manca loro l’umiltà essenziale per ogni amore, l’umiltà di ricevere doni a di là del nostro agire e meritare…».
La seconda delle preoccupazioni espresse da Francesco, riguarda «una corrente gnostica. Questi panteismi… Entrambe sono correnti d’elite, ma questa è di un’elite più formata… Ho saputo di una superiore generale che incoraggiava le suore della sua congregazione a non pregare al mattino, ma immergersi spiritualmente nel cosmo… cose così… Mi preoccupano perché saltano l’incarnazione! E il Figlio di Dio si è fatto carne nostra, il Verbo si è fatto carne… Che succede con i poveri e i loro dolori, quella è la nostra carne… Il Vangelo non è la legge antica, ma nemmeno questo panteismo. Se si guardano le periferie, i senza tetto… i drogati! Il traffico di esseri umani… Questo è il Vangelo. I poveri sono il Vangelo».
da Baltazzar | Giu 12, 2013 | Chiesa, Libri
di Rino Cammilleri da www.lanuovabq.it
La Madonna, dice il Vangelo, ha inaugurato la storia della salvezza il 25 marzo dell’anno zero col suo assenso a Dio (il quale, si noti, le chiese il permesso). Poi ha forzato la mano al Figlio alle nozze di Cana, prendendo sul serio il suo ruolo di Madre dell’Umanità (Cristo è il nuovo Adamo) e provocando un miracolo non strettamente necessario solo per aumentare la festa. La sua prima «apparizione» in qualità di Aiuto dei Cristiani (uno dei suoi titoli nelle Litanie) reca la data del 40 d.C.: all’apostolo san Giacomo il Maggiore, in Spagna, e venne portata dagli angeli sul Pilar, il pilastro che si venera a Saragozza. In quell’anno era ancora in vita (terrena). Dopo la sua Assunzione apparve molte altre volte, la più anticamente documentata delle quali diede origine all’attuale basilica di santa Maria Maggiore in Roma.
Da allora non c’è stato secolo in cui non si sia ripresentata per aiuto, soccorso, esortazione, rimprovero. Il più delle volte ha chiesto una cappella, che poi è diventata un santuario. E la Cristianità è piena di questi luoghi mariani dove il pellegrinaggio non è mai cessato. Pensate che solo nella piccola Croazia ci sono ben 222 santuari dedicati alla Vergine. La Madonna è apparsa anche in luoghi in cui bisognava dare una mano all’evangelizzazione. Così è stato, per esempio, a Guadalupe, in Messico, nel XVI secolo. O a Vailankanni, in India, quasi contemporaneamente. Man mano che i missionari avanzavano, dovunque andassero, Maria era con loro. Poi venne la spaccatura della Cristianità con la rivolta protestante, e la Vergine aggiunse ai suoi compiti anche quello di incoraggiare o addirittura difendere i cattolici «papisti». Ma arrivarono i secoli del positivismo e della miscredenza anche tra questi ultimi, e Maria cominciò a mostrarsi piangente.
Talvolta le lacrime erano addirittura di sangue. Guardando a volo d’uccello l’insieme storico delle apparizioni mariane si vede un loro incremento continuo, con un affollarsi negli ultimi secoli e quasi un parossismo nell’ultimo, il XX. L’equazione che se ne trae pare essere questa: meno la gente crede e più Maria interviene; più le potenze sataniche riescono a far breccia nelle coscienze e più la Madonna moltiplica i suoi interventi. Nel mio libro Medjugorje. Il cammino del cuore (Mondadori) mi sono interrogato sulla più clamorosa delle apparizioni contemporanee, non nascondendomi le perplessità (Medjugorje, si sa, non è ancora riconosciuta dalla Chiesa) e soffermandomi sui quei link che si accendevano in una mente, la mia, da oltre trent’anni ripiegata sul cristianesimo e la sua storia. Ne è uscita una sorta di indagine a tutto campo sulle apparizioni mariane, indagine non ridotta a mero elenco apologetico, bensì curiosa di domande sul senso complessivo della strategia della Vergine. Ivi comprese le domande su quanto sempre più spesso viene attribuito alla Madonna, la quale avrebbe fatto capire -forse- che quelli che stiamo vivendo sono i tempi «ultimi». Domande, ovviamente, senza pretesa di risposta.
Ma il discorso non poteva concludersi con un solo libro, perché una di queste domande riguarda i «pianti» della Madonna, sempre più copiosi. Così, con lo stesso editore, ho proseguito l’indagine in Le lacrime di Maria. Da Medjugorje a Civitavecchia. Con lo stesso metodo, passando per tutti i luoghi e le occasioni in cui la Madonna ha pianto. Lo spunto è stato offerto dal fatto che la statuetta che lacrimò sangue a Civitavecchia nel 1995 raffigura la Gospa di Medjugorje. A quattordici anni esatti dalle apparizioni in Bosnia, quattordici esatte lacrimazioni a Civitavecchia. Vuol dire qualcosa? Perché proprio là? Domande, e link mentali che ne provocavano altre. L’impressione complessiva è che la Madonna stia prendendo in mano personalmente la famosa nuova evangelizzazione, stante una Chiesa gerarchica in grave difficoltà e quasi inebetita di fronte all’assedio «interno» (strapotere dei media laicisti, aperta cristofobia della politica soprattutto internazionale) ed «esterno» (islam, comunismi residui, nazionalismi religiosi). Una Chiesa che, a differenza di quella dei secoli precedenti, soffre pure di una gravissima crisi di identità. Come i cattolici ottocenteschi che, esclusi dalla vita pubblica, si rivolsero direttamente alla società, così sembra che Maria, snobbata dai teologi moderni, abbia deciso di fare. In fondo è storia vecchia, evangelica: Cristo, rifiutato dai capi di Israele, si rivolse alla gente. E Maria, come a Cana, viene sempre più spesso a dirci: «Fate quel che Lui vi dirà».
da Baltazzar | Giu 12, 2013 | Chiesa, Liturgia
dal Vangelo secondo Mt 5,17-19 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno senza che tutto sia compiuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”.
Il commento di don Antonello Iapicca
Nulla di noi è marginale. Tutto ci è donato per essere “compiuto”, colmato, “riempito trabocchevolmente” secondo il greco originale. Ogni istante è come uno yod (iota in ebraico), la più piccola lettera dell’alfabeto ebraico, eppure importantissima; decisivo per definire il significato di molte parole spesso simili, lo Yod è fondamentale per illuminare il senso delle frasi. “Ci sono due possibilità per esprimere il passato: o il verbo senza il prefisso Yod, al compiuto; o il verbo con lo Yod, all’incompiuto, preceduto da un altro prefisso che cambia l’incompiuto in compiuto. Perché allora non dire semplicemente il compiuto? Affinché il passato contenga anche la lettera dell’avvenire, per indicare che la storia non è definitivamente terminata, e che il passato contiene germi di speranza” (Marie Vidal, Un ebreo chiamato Gesù). La nostra vita è una raccolta di yod disseminati sul cammino di salvezza pensato e donato da Dio, una storia (il passato) che si fa presente come un grembo fecondo e gravido nell’attesa del compimento. “Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, disse per compiere la Scrittura: Ho sete”: il Signore ha sete di dare compimento alle nostre esistenze, “desidera ardentemente” accogliere ogni loro momento, ogni aspetto, anche i peccati, sì, soprattutto quelli; ha sete del nostro aceto, delle amarezze, sofferenze, angosce e dei fallimenti; ricevendolo sulla croce come l’ultimo yod necessario perché tutto sia colmato, ha reclinato il capo e spirando ci ha inondato del suo Spirito: liberandoci dal peso dei nostri peccati ci ha preparati perché potessimo essere riempiti trabocchevolmente della sua vita. Da quel momento, in essa non vi è più nulla da mettere tra parentesi, rifiutare e buttar via. L’amore infatti “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Esso impregna ormai la nostra vita facendone una nuova creazione: “alla fine di ogni giorno di creazione il testo biblico dice: Dio vide che era “cosa buona”. In ebraico dice: ki tob. Tob vuol dire “buono”, ma anche “bello”. Ed è questa l’idea: “E vide che (era) buono e bello, ciò che aveva fatto”. C’è proprio il godimento, il compiacersi di Dio per ciò che ha fatto” (Bruna Costacurta, Meditazioni su Genesi 1-4: creazione, peccato e redenzione). Lo Spirito Santo effuso dallo spirare di Cristo fa di ogni giorno della nostra vita come un giorno della nuova creazione, dove tutto della nostra storia è ki tob, kalos in greco, buono e bello, perché “tutto è compiuto”. La bellezza e la bontà della vita infatti sono il suo compimento nell’amore. Con la Croce Dio apre le porte alla resurrezione, all’ottavo giorno del riposo e del compimento definitivo di ogni promessa. “Alla fine di tutto il testo biblico cambia la formula e invece di dire solo che era buono e bello, dice che era molto buono e bello. E questo è il senso del sabato. L’esplosione della bellezza e della bontà della creazione di Dio, di cui Dio stesso gode, e di cui Dio fa dono all’uomo perché anche l’uomo ne goda entrando anche lui nel sabato. Allora l’uomo è l’ultima opera di creazione, fatto nel sesto giorno, ma per poter entrare nel settimo, per poter entrare in quella dimensione di godimento del creato che è molto buono. A questo serve l’osservanza del sabato, per poter celebrare questo Dio della creazione come Dio buono che fa le cose buone, delle quali si può godere senza paura perché Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (Bruna Costacurta, ibid). Nel compiere la Scrittura Cristo ha compiuto la nostra ri-creazione, rendendo bello e buono ogni giorno della “settimana” che è immagine della nostra storia; e ha fatto di ciascuno di noi, del nostro essere più intimo, del nostro carattere, dei nostri pensieri, del nostro cuore, l’opera più buona e bella tra quelle da Lui compiute, orientate alla pienezza alla quale ci spinge lo Spirito Santo che ci ha resi “esseri viventi”. Attraverso il compimento dell’ultimo yod della Scrittura sulla Croce, Gesù è sceso sino al fondo del non senso di tanta parte delle nostre esistenze senza amore, per risuscitare e trascinarci con Lui sul cammino di liberazione, e introdurci così nella nuova creazione dove si vive stendendo le braccia nell’offerta libera e gratuita di se stessi, l’opera che fa belli e buoni gli istanti. Lo yod che ha trapassato le sue mani e i suoi piedi ha conficcato per sempre i nostri peccati alla Croce perché non abbiano più il potere di fare brutta e malvagia la nostra vita e potessimo godere del suo riposo e della sua gioia. Gesù ci ha amati sino alla fine, sino al compimento secondo l’originale greco – sino all’ultimo yod – per farci felici accogliendo e amando Lui incarnato in noi stessi, e guardare e vivere la nostra vita come la soglia che ci introduce nel sabato eterno dell’intimità con Lui; per vivere tutto senza paura, come figli amati, in una storia buona e bella tutta da gustare. Pulire la casa, studiare quella materia insopportabile, cambiare l’ennesimo pannolino, l’odore acre dell’autobus pullulante di zombi mattutini, il capoufficio, il traffico alienante, la precarietà economica, il dolore di denti, la cellulite, l’altezza, i nostri occhi, i difetti, il carattere, tutto: ogni Yod della nostra vita può essere decisivo, e cambiare il corso dell’esistenza. La misericordia di Dio trasforma il momento più routinario in una sorgente di salvezza e di letizia. Vivere pienamente la vita è allora accogliere il senso profondo che Lui consegna ad ogni nostra ora, anche la più dolorosa, l’ultima che ci viene donata, senza trascurare nulla.
I Suoi comandamenti infatti sono il Suo stesso amore declinato nella vita dell’uomo. Esso è attento ad ogni dettaglio, non lascia nulla al caso; i suoi precetti, parole di vita e di libertà, abbracciano in uno sguardo amorevole ogni millimetro della nostra esistenza, ogni giorno della settimana perché siano vissuti come un fidanzamento fondato nell’attesa delle nozze pronte a compiersi nel sabato del riposo. I comandamenti sono le parole che accolgono la Parola creatrice perché ne dia il compimento nell’amore. Osservarli, nella pura Grazia di una vita abbandonata al soffio dello Spirito Santo, significa non disprezzare nulla della nostra vita, e lasciare che l’amore colmi ogni istante, fedeli nelle piccole cose per esserlo nelle grandi, quando sarà preparato l’altare dove sacrificare la vita. Chi, al contrario, non è fedele ai particolari sarà incapace di amare davvero, inciamperà quando urterà contro l’eccezionale di una crisi del coniuge, del figlio, dell’amico o del fidanzato. Chi trascura il “precetto minimo” si ritroverà con un “amore minimo” incapace di far fronte al bisogno dell’altro, quando questo esonderà dalla routine. Ciò che agli occhi del mondo sembra irrilevante, nel Cielo è considerato decisivo. Insegnare agli altri ad essere sciatti e superficiali mascherando il tutto con presunte libertà e maturità capaci di stabilire da sé ciò che nella vita è importante e ciò che non lo è per cogliere e saziarsi di ogni attimo fuggente, conduce ad una degradazione dell’esistenza e del destino alla quale essa è chiamata. Chi vive disattento e insegna ad esserlo in una celata superbia che rivela l’origine satanica di colui che pretende di farsi Dio, è condannato ad essere “considerato minimo nel Regno dei Cieli”, dove è grande l’insignificante, il povero, il peccatore, i ladri e le prostitute che hanno accolto l’amore e il perdono e in essi hanno vissuto. E’ paradossale, ma un peccatore che si converte è “più grande” – capace di una gioia e una pace e un amore “più grandi” – di chi, subdolamente, sovverte la volontà di bene del Signore smontandone gli ingranaggi più piccoli e nascosti, comunque decisivi. E’ molto difficile stanare l’inganno che si nasconde dietro un’esistenza apparentemente a posto e giusta ma che, nella penombra dei “precetti minimi” incompiuti, tiene ben saldo il timone decidendo autonomamente cosa sia di valore e cosa no. I “novantanove” ironicamente indicati giusti da Gesù nella parabola della pecora smarrita, devono essere proprio quelli che lasciano scivolare l’osservanza dei precetti minimi: questa giustizia è fragile, considerata “minima” nel Cielo, insufficiente quando si tratta di vivere da figli di Dio. Tralasciare il particolare conduce sempre a non accorgersi dell’insieme, che, alla fine, senza tutti i colori e tutte le sfumature, appare diverso da quello che è. Tralasciare i particolari nel rapporto con la moglie conduce a non accorgersi della complessità che questo suppone e, alla fine, il rapporto esplode perché la donna accanto si rivela diversa da quella immaginata e creata dalla disattenzione. La superficialità si risolve sempre in un deterioramento della Verità: così anche il Cielo, la vita divina, la gioia e la pienezza promesse all’uomo, si diluiscono risolvendosi in consolazioni “minime”, incapaci di saziare, perché la concupiscenza esige dalla carne la sua soddisfazione. Il demonio gioca negli spazi stretti e apparentemente irrilevanti per condurre, giorno dopo giorno, a perdere il “grande” amore nel quale e per il quale siamo stati creati. La nostra società vive in una sorta di analfabetismo esistenziale. Ogni aspetto della vita è un atollo dove ciascuno, come Robinson Crosué, deve imparare a sopravvivere, a darsi delle regole sempre mutevoli a seconda degli appetiti, cercando sempre qualcosa da mangiare, fruire nel miglior modo possibile quello che vi si trova per saziarsi. L’isola della sessualità, l’isola del lavoro, l’isola del denaro; e poi quella delle famiglia, degli amici, del proprio corpo e così via. Tutto è slegato e dissipato, i giorni si affastellano su vecchi galeoni in cerca di vita, navigando tra un’isola e un’altra, e in ciascuna una faccia diversa, un diverso modo di essere, di intendere. Sono troppe le lingue da apprendere, alla fine non si riesce più a parlare, e allora ci si nasconde nei profili dei social networks dove ci si può adattare ad una realtà che ormai si è trasformata in un’alienazione virtuale. La Babele dell’orgoglio ha confuso tutto sotto la feroce dittatura del relativismo. Per questo i precetti di Dio, l’attenzione al particolare perché sia preservata l’unità nel generale, sono l’unica salvezza, l’unica possibilità data all’uomo: “Nella prospettiva dei credenti dell’Antico Testamento, la Legge stessa è la forma concreta della grazia. Infatti la grazia è conoscere la volontà di Dio. Conoscere la volontà di Dio significa conoscere se stessi, significa comprendere il mondo, significa sapere dove si va. Significa anche che veniamo liberati dall’oscurità delle nostre domande senza fine, che è giunta la luce, senza la quale non possiamo vedere e procedere. “A nessun altro popolo hai manifestato la tua volontà” (J. Ratzinger, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo). Il compimento di cui oggi ci parla Gesù è proprio la realizzazione di una perfetta unità all’interno della vita dell’uomo attraverso il compimento dello Shemà sulla Croce di ogni giorno: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze. E il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Dt 6,4 ss). Amerai Dio e il prossimo con tutti gli yod, con tutto te stesso. Ma ne siamo incapaci, lo sperimentiamo in ogni situazione. Per questo sulla Croce Gesù ha compiuto per noi la Torah: la corona di spine sulla mente, i chiodi a trapassarne le forze, la lancia a trafiggere il cuore. Così anche il più piccolo frammento della Legge ha trovato compimento nella più piccola goccia di sangue da Lui versata. La Croce, infatti, è la Torah compiuta che svela la realizzazione dell’uomo: la sua bellezza e bontà appaiono nella ritrovata integrità di una vita che dal frammentario susseguirsi di giorni e ore dissipate, trova in Cristo Crocifisso il suo axis. “Caratteristico del Messia, come nuovo e più grande Mosè, è il fatto che egli porta l’interpretazione definitiva della Torah, in cui la stessa Torah viene rinnovata, perché la sua vera essenza ora si svela completamente e il suo carattere di grazia appare indubitabilmente come realtà. “La Torà del Messia Gesù è una “interpretazione” mediante la croce del Messia Gesù”. La sua autorità “svela la legge nella sua parola essenziale, come appello originario, suscitatore di vita, di colui che l’ha adempiuta”… La Torah del Messia è il Messia stesso, è Gesù. In essa, ciò che delle tavole di pietra del Sinai è davvero essenziale e permanente appare ora iscritto nella carne vivente: il duplice comandamento dell’amore, che trova espressione nei “sentimenti” che furono in Gesù (Fil 2,5). ( J. Ratzinger, ibid.). Anche oggi il Signore distende le sue braccia sulla Croce che ci attende, per accoglierci e donarci, compiuta, tutta la Torah, l’amore tradotto in tutte le lingue e in tutti i gesti che la storia ci chiede. Amare Dio con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta la mente, e il prossimo come se stessi significa dunque lasciarci attirare da Cristo che ci chiama da ogni evento, dal volto di ogni persona per compiere in noi tutta la Legge. In essa sono annotati i più piccoli segni, perché l’amore tutto copre, tutto crede, tutto spera. Nulla è dimenticato dall’amore. L’amore rivelato in Cristo non è distratto, conosce anche il numero dei capelli del nostro capo. L’amore compie il bene per se stesso, non cerca il proprio interesse, spinge a donarsi perché è la sua stessa natura. E così in questo amore la nostra vita è finalmente compiuta, la Parola essenziale ne irrora ogni yod, e la fa traboccare di letizia in ogni istante.
da Baltazzar | Giu 11, 2013 | Carismi, Chiesa, Post-it
Oltre 10.000 giovani e famiglie ieri nel Palasport del capoluogo toscano provenienti dall’Italia e dall’estero. Circa 90 le ragazze “alzate” per partire in missione in Cina
Di Salvatore Cernuzio da www.zenit.org
A volte si dimentica che Kiko Arguello ha 74 anni. Un’età in cui si tende, di norma, a concludere un ciclo della propria vita e ad iniziarne un altro fatto di ricordi e riposo. Lui invece ieri pomeriggio era a Livorno, reduce dai continui spostamenti tra Spagna, Austria e Italia, pronto a gridare l’amore del Signore davanti a più di 10.000 giovani riuniti nel Palamodì.
Perché “la cosa più grande che posso fare è annunziare il kerygma” ha detto. Non si può stare fermi allora, a fare “i cristiani da salotto” come dice Papa Francesco, ma bisogna andare ovunque a portare questa buona notizia “che salva gli uomini e il mondo”. Soprattutto in una città “secolarizzata” come Livorno, ha dichiarato a ZENIT il vescovo mons. Simone Giusti. Una città “paradossale” ha detto, dove “il 35% dei bambini non è battezzato e si registra una percentuale molto alta di funerali e matrimoni civili, ma che al tempo stesso “è una città che, seppur lontana dalle parrocchie, ha un grande senso religioso”.
“Occorre pertanto quello che gli ultimi Papi hanno chiamato nuova Evangelizzazione” ha aggiunto; dunque, “una predicazione come quella di Kiko è necessaria a Livorno, come negli anni ’60 nelle periferie di Madrid”. Il Cammino Neocatecumenale, ha affermato il presule, “è infatti un dono grande del Concilio per far sì che le persone riscoprano il Signore. E mi sembra che i frutti ci siano”.
Il clima, ieri pomeriggio, non è stato d’aiuto. Una pioggia ininterrotta ha messo in difficoltà il percorso dei pullman provenienti non solo dalla Toscana, ma anche da Lazio, Piemonte, Triveneto, Umbria, Liguria e addirittura Sardegna, Svizzera e Francia. Il diluvio non ha impedito, però, che i giovani neocatecumenali si riversassero in città già dal mattino a cantare e danzare, attirando l’attenzione dei cittadini.
Qualcuno li definisce “euforici”, eppure non si può negare che ci sia lo Spirito Santo di mezzo quando si assiste a scene come quella della distribuzione degli oltre 150 rosari per pregare per le missio ad gentes in Francia e Olanda, in cui file incontenibili di ragazzi e ragazze (alcuni sotto i 15 anni) quasi si spintonavano pur di prendere una coroncina. O la corsa sul palco al momento delle “alzate” dei 64 ragazzi che hanno voluto rispondere alla chiamata al seminario e delle 90 ragazze pronte a partire in missione in Cina. (“Per la prima volta nella storia, le donne hanno ‘battuto’ i maschi” ha esclamato Kiko).
Per non parlare dei frutti delle Missioni in 10.000 piazze di tutto il mondo, dovuti proprio a giovani pronti a spendere la domenica per regalare ai passanti l’esperienza del loro incontro con Dio. “Facendo una media di quattro persone per ogni piazza, sono almeno 40.000 i lontani che si sono riavvicinati alla Chiesa” ha affermato Kiko. Veri “miracoli e prodigi” che “Papa Francesco ha apprezzato molto”, quando, incontrando gli iniziatori del Cammino a Santa Marta il 18 maggio, ha visto alcune foto delle missioni. “Il Santo Padre – ha raccontato Kiko – mi ha raccomandato: Dopo questi frutti, ora sta attento ai colpi di coda del demonio”.
Come nelle piazze, anche nel Palasport si respirava un’aria di festa. Prima dell’arrivo di Kiko, è partita una Ola che ha coinvolto tutti gli spalti, seguita da canti e applausi. Un clima forse un po’ troppo da stadio, per un incontro principalmente di preghiera. Ma Arguello l’ha riportato subito nella giusta dimensione dopo l’invocazione allo Spirito Santo e la lettura della Lettera ai Corinzi in cui San Paolo esorta ad essere “ambasciatori di Cristo”.
La processione con la Vergine è stata poi un momento di grande intensità. Preceduti dalla croce astile in oro, i seminaristi dei Redemptoris Mater di Firenze, Trieste, Lugano e Pinerolo hanno trasportato l’effigie della Madonna di Montenero, patrona della Toscana, mentre Kiko e tutti i presenti cantavano “Vittoria, vita eterna in Cristo Risorto”.
È seguito poi l’annuncio del kerygma. “Non siamo qui a fare uno show” ha esordito Kiko, ma a “dire che qui, a Livorno, alle 18, è arrivata la salvezza, il momento favorevole”. Perché “il kerygma annunzia un atto: che il Signore che conosce te, i tuoi problemi e le tue sofferenze, e per questo ha inviato Suo Figlio a soffrire la morte, affinché diventassimo uno con Lui, primogeniti di una nuova creazione”.
Il problema è avere “l’orecchio chiuso” per accogliere questa notizia. In quel caso, ha avvertito Kiko, si rompe la relazione tra uomo e Dio e si dà ascolto alla ‘contro-catechesi’ del demonio che “vuole convincerti che Dio ti castra, ti limita e che devi essere autonomo, cercando da solo la tua felicità”.
Questo porta “all’inferno del non essere”, al non sentirsi amato, e genera la morte. “È come essere abbandonato negli spazi siderali” ha affermato Arguello, in un “abisso di sofferenza” che spinge a gesti tragici “come l’omicidio della diciassettenne pugnalata e bruciata viva dal fidanzato”. “Dio permette questo – ha detto Kiko – perché dona la libertà all’uomo anche di peccare, in modo da fargli capire che non è un burattino nelle Sue mani”. Soprattutto Dio – ha soggiunto l’iniziatore del Cammino Neocatecumenale – ha “inviato il Suo unico Figlio, Lo ha risuscitato come garanzia che il peccato è perdonato”. E di fronte a questo kerygma“dobbiamo dire si o no come Maria”.
Lo stesso annuncio è stato ribadito da mons. Giusti. Con un accento marcatamente toscano, il vescovo ha fatto sorridere e commuovere parlando dei miracoli, di quei fatti, cioè, che dimostrano che “il Vangelo non è una bella speranza, ma vita che cambia”. “Cosa ha permesso che il cristianesimo si diffondesse ovunque, con la predicazione di un traditore come Pietro e un persecutore come Paolo?” si è chiesto il presule: credere in quei miracoli “che Cristo ha compiuto” e che vanno oltre quell’“idolo della morte che appare onnipotente”.
“Noi ci sentiamo condannati a morte”, per cui diciamo:“Tanto se devo morire, mando ‘affantasca la mi’ moglie, la mi’ famiglia e arraffo quel che succede…’” ha detto il vescovo. Ma “la morte è vinta” ha esclamato: “Giovanni Paolo II, da quella lastra di marmo nelle grotte vaticane, e tutti gli altri Santi, hanno dovuto dimostrare ciò attraverso grazie, più di mille bambini nati…”. La morte, però, ha precisato mons. Giusti, “la vince chi sa amare”: l’amore “tiene in vita anche le persone care defunte”. E quando “chiama qualcuno – ha concluso il vescovo – è perché vuole che si disseti alla sorgente eterna dell’amore”.
Vale la pena quindi spendere la propria vita per Dio: “Egli è fedele sempre – ha assicurato Giusti – moglie e marito possono fare qualsiasi cosa, con Dio invece si può essere una ‘coppietta’ sempre felice e sempre innamorata”. Sarà per questo che Kiko ad ogni incontro vocazionale ripete: “Se Dio ti chiama, Congratulations!”.
da Baltazzar | Giu 11, 2013 | Chiesa, Cultura e Società, Post-it
di Diego Molinari da www.lanuovabq.it

Caro direttore,
vorrei mettere al corrente i lettori della Nuova BQ di un fatto sconcertante avvenuto sabato 8 giugno nella Basilica Palladiana di Vicenza, in occasione del Festival Biblico, organizzato tra gli altri dalla Società San Paolo, da Famiglia Cristiana e dal Pontificio Consiglio per la Cultura. Dura diversi giorni e quest’anno, tra gli ospiti in calendario abbiamo visto monsignor Vincenzo Paglia, Edoardo Bennato, Lucetta Scaraffia, Alessandro D’Avenia, Philippe Daverio, Natalino Balasso e Michela Marzano.
Proprio quest’ultima è la protagonista del fatto che vorrei raccontare. Già la scelta di farle tenere una “lezione” senza alcun contraddittorio lasciava perplessi. Non solo perché la Marzano è deputata del PD, eletta in questa legislatura per la circoscrizione Lombardia 1, ma soprattutto per la sua attività di filosofa, con docenza presso l’Université Paris-Descartes.
Infatti, più che in un discorso filosofico assimilabile al cattolicesimo o almeno in dialogo, nei libri della Marzano ci si può imbattere in un abortismo forsennato, quasi mistico. In quello che forse è il suo libro più noto, Sii bella e stai zitta – volume assai polemico contro quella che definisce la «regressione delle donne italiane» – si trovano dichiarazioni piuttosto esplicite, del tipo: «Nel caso dell’aborto, ogni donna sa che il problema non riguarda solo il suo corpo, ma anche una “relazione impossibile” con un figlio che, per motivi spesso diversi, non si vuole o non si è in grado di avere. Lo difendo soprattutto perché la legalizzazione dell’aborto è l’unica possibilità che esiste, in uno stato civile, per garantire il rispetto delle donne. Non solo perché la vita di una donna – che esiste, vive, soffre, agisce – è infinitamente più preziosa di quella di un essere che non è ancora nato; ma anche perché sono convinta che non basta vivere perché la propria vita abbia un senso».
Ovvia quindi l’entusiastica accettazione della pillola abortiva RU486 («da quando, in Francia si utilizza la RU486, le complicazioni post-aborto sono diminuite»), così come l’ormai consumato ma sempreverde affondo sugli aborti clandestini: «Coloro che vogliono criminalizzare l’aborto non solo cercano di imporre agli altri la loro concezione del mondo e della morale, ma sono anche “indifferenti” di fronte alle tragiche conseguenze che potrebbe avere, per molte donne, il fatto di tornare a praticare l’aborto clandestino». Infine, il libro della Marzano apre ad un nuovo tipo di abortismo, un abortismo che osiamo definire “mistico”: «Senza un preliminare riconoscimento dell’altro, la maternità non esiste. La procreazione è un atto relazionale, un processo lungo e complesso che implica l’esistenza di un dialogo, seppur silenzioso, tra il futuro bambino e la madre all’interno del corpo materno. Se il riconoscimento non avviene, questo dialogo silenzioso non comincia, ed è difficile pensare che un dialogo mai nato possa instaurarsi in seguito. Ciò che, invece, è certo è che non si può imporre a una donna di portare avanti una gravidanza con la scusa che “avrebbe dovuto pensarci prima”».
Chi si chiede cosa ci faccia al Festival Biblico una persona con simili idee, chiamata ad esprimersi senza contraddittorio, potrebbe avere qualche ragione.
Il tema scelto per l’incontro con la Marzano è la fiducia. Nella sua la Marzano riesce a dire cose memorabili come «la fiducia non può essere assimilata alla fede, anche se hanno la stessa radice etimologica». Poi, trattando del tradimento della fiducia, dice qualcosa che ferisce un po’ di più: «L’uomo tradisce perché è un essere finito; se promettessi ad una persona di non tradirla mai, mentirei». La cosa dovrebbe urtare la sensibilità di qualcuno dei presenti, che magari ha mandato avanti decenni di matrimonio senza adultèri, ma tra il pubblico regna il silenzio. Anche i religiosi presenti, tra cui gli organizzatori, non hanno nulla da ridire, anche se magari hanno fatto e rinnovato la Professione di fede.
Arrivati al momento delle domande, un incauto spettatore chiede di rendere conto delle posizioni abortiste della relatrice. Va ricordato peraltro che il banchetto di «Uno di Noi» che raccoglie le firme per i diritti dell’embrione è all’ingresso, pochi metri più in là. Succede il finimondo. Larga parte del pubblico – probabilmente non bene informata sulle posizioni della Chiesa rispetto all’aborto – rumoreggia, insulta, inveisce; interviene il servizio d’ordine, che minaccia di portare fuori il malcapitato. La Marzano se la ride, poi grida al microfono: «E lei come si permette di giudicare la mia fede?». Applausi. Una risposta alla domanda, o una replica dell’interlocutore, non sono previste.
Quindi, una signora chiede alla onorevole professoressa lumi in merito a concetti espressi durante la conferenza, concetti molto inclini, dice la signora, al «relativismo». La Marzano risponde senza toccare nessuno dei punti posti nella domanda, sfornando però un breve cantico dell’irrazionalità totale dell’uomo.
Un’altra elegante signora, evidentemente colpita dal fatto che al Festival biblico le stanno presentando una filosofa in totale antitesi con la Dottrina della Chiesa, torna a chiederle rispetto all’aborto: urli dal pubblico, insulti alla bella signora, la Marzano torna a ghignare.
«Per fortuna quando leggo il Vangelo, io ci trovo tanto amore». Giù applausi, ed insulti del pubblico alla signora della domanda. Nessuna risposta concreta è prevista.
Al termine dell’incontro, andiamo incontro a don Ampelio Crema, Superiore Provinciale d’Italia della Società San Paolo, organizzatore del Festival Biblico. Rivendica pienamente la scelta di aver portato la Marzano, nonostante le sue posizioni in netto contrasto con l’insegnamento della Chiesa. Un omino del servizio d’ordine – che ci tiene ad urlare a squarciagola il suo essere «insegnante di religione» – alza un po’ il tono contro i tre delle domande scomode, accusati di essere dei «fanatici provocatori». Inutile dire che l’unica provocazione dei tre sventurati è stata quella di porre, ordinatamente e con rispetto, alcune semplici domande, a cui una risposta che non fosse irrisione ed insulto proprio non è arrivata.
Se si fosse trattato di un convegno dei Radicali o del PD (il partito della Marzano), e cioè di luoghi dove anche legittimamente si può sostenere l’abortismo, si sarebbe potuto parlare di atti di disturbo. Ma ad un Festival organizzato da cattolici, questo no: con ogni evidenza, è un po’ troppo attendersi che la lectio magistralis di un evento dei paolini sia riservata ad una persona che quantomeno sia a difesa della vita (come insegna la Bibbia, i Papi, l’umano buonsenso). Al festival vicentino vediamo così sorgere all’orizzonte cose inedite: dopo il «relativismo biblico», abbiamo la sorpresa dell’«abortismo biblico».