Pakistan, 13enne rapita e costretta a convertirsi all’islam

Pakistan, 13enne rapita e costretta a convertirsi all’islam

da www.avvenire.it

Il suo nome è Saba Waris, è una 13enne cristiana di Jameelabad. Da oltre cinque mesi non si hanno più notizie. La ragazzina è stata rapita, convertita all’islam con la forza e costretta a sposare Syed Munawar Hussain, un musulmano di 32 anni. Lo riferisce l’agenzia AsiaNews alla quale si è ora rivolta Naseem, Bibi, la madre della piccola chiedendo «ogni aiuto possibile. Voglio mia figlia indietro e voglio giustizia». Finora la donna si è rivolta alla polizia, ma senza successo.

L’incubo comincia il 20 giugno scorso. La famiglia di Saba, povera, la ritira da scuola per difficoltà economiche. Di solito accompagna la madre a lavoro, ma quel giorno sta poco bene e preferisce restare a casa. Nelle poche ore in cui sta da sola, Hussain si introduce nell’abitazione e la porta via. Naseem Bibi non trovando la figlia sta per denunciare la scomparsa, quando si presentano la madre, la sorella e un fratello del musulmano. Sono costoro a comunicarle che Munawar Hussain ha rapito Saba. Naseem dice loro che andrà alla polizia: gli altri la fermano e le chiedono di aspettare quattro giorni, durante i quali cercheranno il modo di riportarle la figlioletta. Un paio di giorni dopo, la donna riceve una telefonata di Saba, che dice: «Munawar Hussain mi ha rapito e ha cercato di convertirmi all’islam con la forza». Poco dopo, cade la linea.

Passati i quattro giorni, la madre e la sorella dell’uomo tornano da Naseem Bibi e le dicono che Munawar ha sposato Saba e che lei si è convertita all’islam. «Non andare dalla polizia o in tribunale – la minacciano – o sarai responsabile di gravi conseguenze. Ora è una musulmana: smettila di pensare a lei, dimenticala». In seguito, la donna cristiana riceve un certificato di matrimonio, firmato anche dalla figlia.

È troppo: con la sua famiglia, il 28 giugno Naseem va dalla polizia e registra un Fir (First Information Report) contro Syed Munawar Hussain, in base all’articolo 365B (sequestro di una donna per matrimonio forzato) del Codice penale. Ad assisterla nella sua battaglia legale c’è la Human Rights Focus Pakistan (Hrfp), che fornisce le prove del sequestro e della conversione forzata della piccola alla corte di Sargodha. Il 17 ottobre, il tribunale emette un mandato d’arresto per Syed Munawar Hussain: da allora, gli agenti non sono ancora riusciti a rintracciare l’uomo.

Secondo Naseem Bibi, il musulmano ha rapito sua figlia per vendetta: «Mio figlio Moon Waris lavorava con lui, ma non veniva pagato. Gli ho detto di non andare più con Hussain, e questi per farmela pagare ha preso la mia bambina».

«Le conversioni forzate all’islam – spiega ad AsiaNews Shazia George, attivista cristiana – sono diventate una pratica comune in Pakistan. Il motivo principale di questo incremento è la presenza di un sistema legale e giudiziario che non dà sostegno alle minoranze».

Pakistan, 13enne rapita e costretta a convertirsi all’islam

I crimini d’odio contro i cristiani in Europa. I numeri e i casi nel rapporto Osce

L’Europa centrale è la più colpita da atti di odio contro i cristiani. Nel solo 2012 ci sono state 89 profanazioni di chiese in Ungheria, 74 in Austria e 35 in Germania 

da www.tempi.it

«C’è un’ondata di crimini d’odio contro i cristiani e la Chiesa cattolica in Europa». Le parole del sociologo torinese Massimo Introvigne, segnalate da tempi.it la scorsa primavera, sono confermate dai dati del rapporto annuale sui crimini d’odio redatto dall’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). I fatti, segnalati da strutture governative, Ong e dalla Santa Sede riguardano il più delle volte «vandalismo e profanazione contro luoghi di culto, cimiteri e monumenti religiosi».

BOSNIA-ERZEGOVINA. In Bosnia-Erzegovina la Santa Sede segnala un’aggressione fisica contro una suora, un caso di minacce, una chiesa deturpata con graffiti, due casi di danni contro una scuola e una contro un’automobile, otto profanazioni di chiese, cinque delle quali sono state anche derubate. La Missione Osce registra altri ventiquattro episodi di odio rivolti a simboli e luoghi cristiani, compresi i danni a venti tombe in un cimitero ortodosso e la deturpazione di una chiesa.

PAESI NORDICI. In Svezia i rapporti della polizia dell’anno scorso identificano 258 crimini fondati sull’odio contro la religione, di cui 200 nei confronti dei cristiani. Per quanto riguarda i paesi baltici, gli episodi si concentrano soprattutto in Lituania: quattro casi di incendio doloso, un caso di graffiti su una chiesa e un atto di vandalismo. In Finlandia e Norvegia i dati ufficiali delle forze dell’ordine non distinguono fra religioni: in Finlandia si parla di cinquantadue crimini anti-religiosi, in Norvegia di trentanove.

FRANCIA E GERMANIA. In Francia, la Santa Sede segnala quattro casi di profanazione di tombe (oltre 130, quelle coinvolte) e la dissacrazione di una chiesa. L’Osservatorio sulla intolleranza contro i cristiani aggiunge al conto un incidente in cui sono state vandalizzate icone cristiane in luoghi pubblici, tre attacchi incendiari contro le proprietà della Chiesa cattolica, tra cui uno nei confronti di un presepe e due contro una chiesa, inoltre dodici episodi di vandalismo, tre di furto, quattro episodi di dissacrazione di cimiteri. In Germania, i dati delle forze dell’ordine segnalano 414 crimini basati su pregiudizi contro la religione, di cui diciotto comprendono violenze. La Santa Sede parla di quattro casi di profanazione dei cimiteri e trentacinque di profanazione di chiese, la maggior parte cattoliche, e un atto di vandalismo.

ITALIA, AUSTRIA E UNGHERIA. Anche nei paesi storicamente cattolici, la Santa Sede registra crimini fondati sull’odio anti-cristiano: in Italia, si sono verificati ventidue casi di profanazione, di cui otto con furto, e la vandalizzazione di un presepe. In Austria, nel 2012, ci sono stati tre attacchi incendiari contro le chiese, settantaquattro profanazioni, che comprendono anche cinquantacinque furti. In Ungheria, la Santa Sede segnala dieci casi di danni alle proprietà della Chiesa, ottantanove profanazioni, compresi sette furti.

Pakistan, 13enne rapita e costretta a convertirsi all’islam

Pakistan, nei libri di scuola uccidere i cristiani diventa un “obiettivo formativo”

Lo rivela un rapporto di Memri, secondo cui i cristiani sarebbero così aiutati a cercare anche loro il martirio per la fede 

da www.tempi.it

Uccidere i cristiani? In Pakistan, secondo alcuni libri di testo, è un “obiettivo formativo” che aiuterebbe gli stessi membri della minoranza nel paese a cercare il martirio per la fede. Questo emerge, secondo quanto riporta AsiaNews, da un rapporto pubblicato da Memri.

COSTRETTI A STUDIARE IL CORANO. La ricerca afferma che i testi scolastici, che normalmente discriminano i cristiani, sono diffusi «nella maggior parte delle scuole pubbliche primarie pakistane e anche i cristiani e membri di altre minoranze sono costretti a leggerli e studiarli». Nel 2011 è emerso nel paese che anche gli studenti non musulmani sono costretti a studiare l’islam. Nel 2012 la Commissione nazionale di Giustizia e pace della Chiesa cattolica ha pubblicato un rapporto in cui denuncia la legge approvata dal Parlamento del Punjab che rende obbligatorio nel piano studi l’apprendimento del Corano.

DISCRIMINAZIONE SUL LAVORO. Secondo quanto da Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale pakistana, «i cristiani sono discriminati non solo a scuola ma anche sul luogo di lavoro, dove è quasi impossibile che ottengano promozioni proprio a causa della loro fede».

Quegli ignoti film sui martiri cristiani di Spagna

Quegli ignoti film sui martiri cristiani di Spagna

di Marco Respinti da www.lanuovabq.it

locandina

C’è in giro, da qualche mese, un bel film sui martiri cattolici massacrati dagli anarco-comunisti durante la Guerra civile spagnola (1936-1939) e nessuno lo sa. Anzi, i film sono addirittura due, no tre, e però nemmeno la potenza di YouTube, dove se ne possono tranquillamente visionare i trailer, sortisce effetti.

Il primo film si chiama Un Dios prohibido e il suo regista Pablo Moreno. Lo ha realizzato la Contracorriente producciones di Ciudad Rodrigo, nella provincia di Salamanca, che dal 2006 ha dato vita a 15 fra lungometraggi e cortometraggi (uno, La llamada, uscito già dopo Un Dios prohibido), tutti di argomento religioso e apologetico, tutti diretti dall’infaticabile Moreno. Ora sta promuovendo il grande sforzo di Euangelion, una serie in sei puntate preparata per la televisione e dedicata alla vita di Gesù che letteralmente sconvolge quella di quanti lo incontrano .

Un Dios prohibido è una storia tutta vera. Si svolge nell’agosto del 1936, pochi mesi dopo lo scoppio di quella Guerra civile che a lungo era incubata dopo l’instaurazione, il 14 aprile 1931, della cosiddetta Seconda repubblica spagnola, presto divenuta un vero e proprio regime liberticida con tutto il suo corollario di vessazioni anticlericali e di persecuzioni religiose. A Barbastro, un borgo della provincia aragonese di Huesca allora popolato da 8mila anime (oggi ne conta circa 15mila), 51 Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, detti clarettiani dal nome del fondatore, sant’Antonio María Claret y Clará (1807-1870), furono barbaramente uccisi dal Fronte Popolare in odio alla fede cattolica che professarono senza compromessi, reticenze e rinunce. La pellicola ne racconta le ultime settimane di vita prima della fucilazione. Un film bello (alla cui realizzazione ha partecipato, finanziariamente e non solo, pure l’ordine dei clarettiani), ma soprattutto forte nei contenuti e politicamente scorretto con naturalezza in quel suo semplice narrare una storia emozionante di virtù eroiche.

Il secondo dei tre film annunciati d’esordio è Mártires Oblatos, sempre diretto dal prode Moreno nel 2011, sempre per la Contracorriente producciones: è un corto di taglio narrativo-documentaristico sull’assassinio, nel 1936, di 22 Missionari Obliati di Maria Immacolata falcidiati a Pozuelo de Alarcón, oggi nella comunità autonoma di Madrid.

Il terzo è Bajo un manto de estrellas, diretto da Óscar Parra de Carrizosa per la Mystical Films, un’altra bella impresa cattolica spagnola nata nel 2012. Narra del martirio, ancora e sempre in quel famigerato 1936, di 19 dominicani del Convento de la Asunción de Calatrava di Almagro, nella provincia castigliana di Ciudad Real, avvalendosi della supervisione storico-religiosa di due esperti, don Jorge López Teulón, postulatore della causa di beatificazione dei martiri (altri ancora) di Toledo, e il padre domenicano José Antonio Martínez Puche, direttore della casa editrice dell’Ordine dei predicatori Edibesa di Madrid, nonché autore di studi in materia. Bajo un manto de estrellas sta ultimando le riprese e uscirà nel 2014.

Nel complesso, i martiri cattolici mietuti dalla persecuzione che ha accompagnato ma pure preceduto la Guerra civile spagnola sono una legione. Papa Francesco ne ha esaltati all’onore degli altari 522 il 13 ottobre: con loro, il conto totale sale a 1.512 beatificati e 11 canonizzati. In tutto, la persecuzione anticattolica ha causato in Spagna 6.832 morti. Di questi, 4.184 erano membri del clero secolare, fra cui 12 vescovi (di cui 9 già beatificati) e un amministratore apostolico; 2.365 erano i religiosi; e 283 religiose. Dei laici cattolici uccisi per motivi religiosi non esistono statistiche certe, ma siamo nell’ordine delle diverse centinaia. Le violenze più intense si ebbero tra il 18 luglio 1936 e il 1º aprile 1939, quando anche il 70% delle chiese del Paese venero distrutte con profanazioni e atti palesemente sacrileghi. Per farsi un’idea di quell’abisso, resta sempre validissimo il libro di mons. Vicente Càrcel Ortì, Buio sull’altare. 1931-1939: la persecuzione della Chiesa in Spagna (trad. it. Città Nuova, Roma 1999).

In questo martirologio enorme, i 51 clarettiani di Barbastro narrati in Un Dios prohibido sono stati canonizzati dal beato Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1992. I 22 martiri oblati di Pozuelo de Alarcón rappresentati in Mártires Oblatos sono stati beatificati da Papa Benedetto XVI il 18 dicembre 2011. E i 19 domenicani di Almagro immortalati in Bajo un manto de estrellas lo saranno presto ; nel convento che ne vide il martirio già riposano del resto alcuni testimoni eroici della fede, canonizzati il 28 ottobre 2007 da Papa Benedetto XVI.

Insomma, la cinematografia alternativa dei cattolici iberici è una piccola potenza di bellezza, fascino e apologetica che si muove senza un briciolo di vergogna in uno degli haut liuex dell’apostasia occidentale, la Spagna fu-cattolica divenuta ora un ridotto di eroi semiclandestini, assediati da secolarismi incrociati, ideologie in ritardo, statalismi irritanti, persecuzioni democratiche e “orgogli” il più contro-natura possibile. Bisognerebbe che le loro significative pellicole non finissero per diventare un secondo “caso Cristiada”, il film sui cristeros messicani prima arenatosi, poi uscito di soppiatto, poi ancora e sempre non distribuito in Italia, e quindi per forza di cose mero appannaggio del fai-da-te via Internet. Volete mettere invece l’effetto che farebbero film così nei cinema veri, con i giornaloni costretti a parlarne e i soliti noti a stracciarsi le vesti?

A parole, l’Europa difende i cristiani perseguitati. Nei fatti, li perseguita. Ecco come

A parole, l’Europa difende i cristiani perseguitati. Nei fatti, li perseguita. Ecco come

Lorenzo Fontana, deputato al Parlamento Europeo, spiega come la risouluzione contro l’obiezione di coscienza e per l’educazione Lgbti può diventare vincolante
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it 

Il 10 ottobre scorso il Parlamento europeo ha condannato la persecuzione dei cristiani in Siria, Pakistan e Iran, approvando una risoluzione votata durante la seduta plenaria in corso a Strasburgo. Solo un mese prima, la commissione parlamentare dei Diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere aveva approvato un’altra risoluzione che spingeva gli Stati a limitare l’obiezione di coscienza per garantire il diritto all’aborto. Una contraddizione evidente: da una parte si condannano i cristiani perseguitati per le loro idee e, dall’altra, si chiede di limitare un diritto fondamentale che li riguarda.

DIRITTI UMANI ALL’ABORTO E ALLA FECONDAZIONE LGBT.
 Com’è possibile? «La prima risoluzione è passata perché cadrà nel vuoto, la seconda invece sarà approvata dal Parlamento e poi tradotta in un’azione concreta dalla Commissione Europea. Sanno bene che accade sempre così». Lorenzo Fontana (foto), deputato del gruppo Europa della Libertà e della Democrazia al Parlamento Europeo, spiega che a prendere le decisioni vincolanti per gli Stati dell’Unione Europea non è il Parlamento ma la Commissione, che ha il compito di stabilire quali risoluzioni trasformare in leggi. «Tutte le condanne ai cristiani perseguitati sono state snobbate dai commissari. Mentre le risoluzioni relative a temi legati alla vita, alla salute e all’educazione sono sempre ben accette».
Fontana pensa a quando una minoranza di parlamentari chiese alla Commissione di indire una giornata contro la cristianofobia: «Ci fu risposto che la materia non era di competenza della Commissione». Anche la salute, la vita e l’educazione non lo sono. «Per questo, come si legge nella bozza contro l’obiezione di coscienza, si parla di diritto umano all’aborto, per far rientrare la questione in un ambito in cui l’Europa possa legiferare. Questo è lo stratagemma che viene utilizzato».
Significa che l’invito a «regolare e monitorare l’obiezione di coscienza» potrà diventare legge, che «l’accesso all’aborto sicuro» non sarà più ostacolato «dall’abuso dell’obiezione di coscienza» o che  sarà garantito «l’accesso ai trattamenti per la fertilità e alla procreazione medicalmente assistita anche per le donne senza un partner e le lesbiche»? «Sì – risponde Fontana – se la risoluzione sarà oggetto dell’azione legislativa della Commissione Europea». Non solo, perché nel testo si parla anche di assicurare «un’educazione obbligatoria, sensibile al tema delle relazioni e della sessualità di genere», che deve «includere la lotta contro gli stereotipi, i pregiudizi, far luce sull’orientamento “gender” e sulle barriere per rendere sostanziale l’uguaglianza».

DUE PESI E DUE MISURE. Il deputato ride ricordando l’ipersensibilità del Parlamento Europeo verso le minoranze: «Ogni volta che si parla di un gruppo, in Europa il sentimento prevale sul giudizio giuridico-filosofico. Ogni istanza, presentata come la difesa di una minoranza, deve essere votata per forza a prescindere dal merito». Anche in difesa dei cristiani quindi: «Ecco, questo è l’unico caso in cui avviene il contrario. Chi difende il credo di un cristiano e la sua libertà è un oscurantista da combattere. Prevale anche in questo caso il sentimento, ma al contrario. Così tutti possono essere liberi, tranne i cristiani. Questo avviene in Europa».
«Sono i paradossi dell’emotività irrazionale – prosegue Fontana. Per difendere la campagna contro il tabacco, ad esempio, i Verdi stanno facendo di tutto. Hanno parlato persino del diritto del bambino in grembo a non respirare il fumo. Quando sentii quella frase, chiesi come mai, visto che prevaleva la sua vita al volere della madre, lei poteva scegliere di ucciderlo. Mi hanno risposto dicendomi che sono retrogrado».
Rischiano anche i minorenni a cui si vuole imporre l’educazione sessuale: «In nome dell’uguaglianza degli omosessuali ogni aspetto della vita dei bambini viene sessualizzato con corsi e lezioni apposite». E chi si oppone? «È un reazionario, appunto».

Meeting. Morire per la fede: Paul Bhatti e il martirio di suo fratello Shahbaz

Meeting. Morire per la fede: Paul Bhatti e il martirio di suo fratello Shahbaz

di Rodolfo Casadei da www.tempi.it

«In Pakistan ci sono forze che puntano all’instabilità. E non è solo colpa degli estremisti islamici. Ma l’esempio di mio fratello ci dà il coraggio di vivere in qualsiasi condizione» 

shahbaz-bhatti-morte-anniversario-jpg-crop_displayPaul Bhatti, ex ministro dell’Armonia nazionale e degli Affari delle minoranze e medico, è il fratello maggiore di Shahbaz Bhatti, il politico e ministro cattolico pakistano ucciso dagli estremisti islamici nel marzo del 2011 a Islamabad per la sua azione in difesa delle minoranze religiose. Paul, che è stato invitato a rendere la sua testimonianza alla Giornata dei Movimenti il 19 maggio scorso a Roma, è oggi ospite per la seconda volta del Meeting per l’Amicizia fra i popoli. Qui anticipa i temi che tratterà nel corso dell’appuntamento riminese.

Dottor Bhatti, lei ha testimoniato a Roma alla Giornata dei Movimenti. Che giudizio dà di questa sua esperienza?
Per me è stata una vera sorpresa ricevere l’invito mentre mi trovavo in Germania. Era una cosa bella, e come tale l’ho vissuta. Da una parte è stato un onore parlare davanti a tante persone, dall’altra è stato molto utile perché la testimonianza di fede forte di Shahbaz, che ho rievocato, è un esempio da seguire per i giovani di oggi. La vita e la morte di Shahbaz significano che la nostra fede e la Chiesa sono vivi anche oggi, che ci sono persone come mio fratello che credono, vivono e muoiono per questa fede. Spero inoltre di poter collaborare in futuro coi movimenti ecclesiali che ho incontrato, non solo per le nostre comunità cristiane pakistane, ma per tutte le persone che sono emarginate e maltrattate in nome della religione.

Sono passati due anni e mezzo dall’assassinio di suo fratello. Che legame c’è ora fra di voi?
Io ho avuto sempre un rapporto particolare con lui quando era vivo. In famiglia eravamo sei fratelli, e io ero il maggiore. Lui mi prendeva a modello: studiava per essere il primo della classe come me. Accettava i miei consigli, c’era un affetto molto forte fra noi. Quando mi sono trasferito in Italia con una borsa di studio, lui ha sofferto per l’interruzione della nostra relazione. Quando tornavo in Pakistan lui sospendeva tutti i suoi impegni e passava il tempo con me a chiacchierare. Andavamo a passeggiare in campagna e lui mi raccontava tantissime cose, ma soprattutto la sua visione della Chiesa e di Gesù Cristo, quello che lui avrebbe voluto fare. Mi sembrava solo l’esaltazione di un giovane, ma parenti e amici mi dicevano: «Attento, Shahbaz è una persona particolare, ha un grado di intelligenza e di fede molto diverso da quello di un ragazzo comune». Negli ultimi anni la sua fede era sempre più intensa; pregava col Rosario, e quando gli comunicavo qualche piccolo problema in Italia mi diceva: «Pregherò, e vedrai che il problema si risolverà». Adesso tengo molte fotografie di lui, in soggiorno e in ufficio. Ogni tanto, quando mi trovo in difficoltà, ne guardo una e parlo con lui: «E adesso cosa facciamo?». Tantissime volte quando dovevo parlare col primo ministro, o prendere una decisione importante come nel caso di Rimsha Masih, prima parlavo con lui: «Shahbaz, adesso tu cosa faresti?». Soltanto quando penso al fatto che è stato assassinato mi rendo conto che è morto, altrimenti tantissime volte parlo con lui come se fosse una persona viva. E molto allegra, com’è sempre stato.

Paul BhattiIncontra spesso persone a lei sconosciute che invece hanno frequentato suo fratello? Che cosa le dicono?
La cosa che mi meraviglia di più sono le tante persone importanti con cui Shahbaz aveva familiarità molto tempo prima di diventare ministro. Noi eravamo una famiglia comune e lui apparteneva a una minoranza, non aveva allora cariche politiche. Eppure persone ricche e importanti lo conoscevano. Quando aveva solo 24-25 anni i suoi ospiti erano già le persone più elevate della società: politici, governatori, ministri, parlamentari. E anche oggi la sua figura affascina: nei giorni scorsi a Islamabad trecento giovani cristiani appartenenti anche a classi elevate si sono riuniti e mi hanno chiamato dicendo che volevano seguire il suo cammino. La settimana prossima celebreranno una Messa durante la quale giureranno di mettersi alla sequela della missione di mio fratello Shahbaz. Sono trecento studenti.

Lei è stato ministro dell’Armonia nazionale e degli Affari delle minoranze per due anni. Che bilancio fa della sua esperienza?
Direi positivo. E ho intenzione di continuare l’opera iniziata anche senza essere più ministro. Durante il mio mandato ho avuto un buon dialogo con tantissimi leader religiosi, coi vertici dello Stato e coi diplomatici stranieri. Oggi la comunità internazionale è più decisa nel fornirci appoggio: la settimana prossima sono inviato al parlamento britannico a Londra a parlare di libertà religiosa e di minoranze. Anche se non sono più ministro sarò ricevuto con lo stesso protocollo, e questo significa in qualche modo che loro hanno apprezzato quello che abbiamo fatto. Il mio più grande successo è stato la soluzione del caso di Rimsha Masih.

Perché invece Asia Bibi è ancora in prigione?
Il caso di Rimsha Masih l’ho seguito sin dall’inizio personalmente. Il caso di Asia Bibi, dopo l’assassinio del governatore del Punjab e di mio fratello, ha preso una piega particolare. Io credo che questo caso possa essere ancora risolto, ma purtroppo è stato strumentalizzato da tantissime Ong per farsi pubblicità e raccogliere fondi. Io finora non ho ricevuto nessuna richiesta di seguire il suo caso. Comunque proporrei una strategia diversa da quella che si sta seguendo attualmente.

Una strategia diversa?
Sì, completamente diversa.

asia-bibiRecentemente in Pakistan un attentato contro un bus di studentesse ha provocato una strage a Quetta. Perché succedono queste cose?
Le ragazze sono state attaccate in quanto sciite, ma non è una questione di persecuzione religiosa. In Pakistan ci sono forze molto attive che puntano all’instabilità. Non sempre si tratta di fanatismo religioso o di estremismo: spesso ci sono dietro grandi organizzazioni o Stati stranieri che vogliono creare instabilità in Pakistan.

È possibile far cambiare idea agli estremisti? Cosa si dovrebbe fare?
Non è questo il punto. Gli estremisti sono organizzati in gruppi che sono il risultato di un lungo lavoro di formazione e di preparazione da parte di sostenitori di certe ideologie. Io non punto il dito contro il ragazzo o il fanatico in genere che si fa esplodere o che uccide: questi soggetti sono stati cresciuti sin da piccoli in base a una determinata ideologia, è stato fatto loro il lavaggio del cervello in scuole che accoglievano i più poveri. È gente che non conosce nulla del mondo e non ha gli strumenti né la capacità per valutare. Si tratta di andare alle radici, di prosciugare le sorgenti che riescono a creare questo tipo di scuole dove si insegna l’odio ai bambini.

Lo Stato potrebbe fare di più per proteggere i cristiani, gli sciiti o le studentesse da questa violenza?
Io credo di sì, ma per fare di più lo Stato deve avere una sua integrità e stabilità. Sfortunatamente questi gruppi estremisti agiscono in modo che nessun governo diventi stabile e forte. I politici dedicano tutti i loro sforzi a sopravvivere al terrorismo, e non fanno altro.

blasfemia-pakistanOggi i cristiani sono più accettati o meno accettati nella società pakistana di quando era vivo Shahbaz?
Dipende dal gruppo sociale al quale appartengono. Molti cristiani sono anche persone economicamente emarginate, discriminate perché fanno i lavori più umili, e vivono in contesti degradati e pericolosi. Finché questi cristiani non vengono aiutati, quel tipo di discriminazione e di violenze continuerà a esistere. Al livello di noi professionisti, invece, i cristiani sono accettati come gli altri.

Come vivono i cristiani la loro condizione di evidente persecuzione?
Alcuni sono ottimisti, perché hanno una fede forte. Però bisogna dire che l’attuale condizione dei cristiani non è soltanto colpa del governo e colpa di estremisti: anche noi cristiani siamo colpevoli della situazione. Le migliori scuole del Pakistan sono cristiane, appartengono alla Chiesa, ma non le abbiamo usate per educare i nostri emarginati; Asif Ali Zardari e Yousaf Gilani, rispettivamente primo ministro e presidente, hanno studiato nelle scuole cristiane, come me e Shahbaz. Ma pochi o nessuno dei nostri cristiani poveri ha studiato a quel livello.

Come vede il futuro del cristianesimo in Asia? Come dovrebbe essere condotta l’evangelizzazione in questo continente?
È importante potenziare il dialogo fra le grandi religioni. Mettere in evidenza i valori comuni dell’amore per gli esseri umani e allentare le loro paure nei nostri confronti: credono che vogliamo distruggere le loro religioni per convertirli alla nostra. Dobbiamo trasmettere il messaggio che il cristiano non ha per obiettivo convertire l’altro, ma portare l’amore di Cristo a tutti e l’amore per il prossimo.

Lei è stato invitato anche quest’anno al Meeting di Rimini. Di cosa parlerà ai giovani che saranno presenti?
Della fede. E di Shahbaz, di come, pur avendo risorse limitate, si è impegnato e non ha avuto mai paura di niente. La fede ci dà il coraggio di vivere anche in condizioni molto difficili, ci toglie la paura. La società materialista di oggi ci insegna a vivere solo per noi stessi, ma quelli come mio fratello testimoniano che il modo giusto di vivere è un altro. È quello di vivere per un Altro e per gli altri.