San Tommaso Apostolo

San Tommaso Apostolo

dal Vangelo secondo Gv 20,24-29

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Il Commento di don Antonello Iapicca

Tommaso ci indica il cammino che conduce alla fede che non si ferma ai sentimenti e, attraverso la carne, supera di slancio le zavorre mondane. Gesù oltrepassa la porta sprangata delle paure e dei dubbi, il velo ostinato che copre occhi e mente e cuore ed impedisce di riconoscere, oltre le apparenze, nelle pieghe della carne e della storia, la sua presenza certa e amorevole.

Dio è. Dio è oltre la morte, oltre il peccato, oltre la contingenza che ci atterrisce. Ma, per crederlo, occorre un supplemento d’anima, uno sguardo diverso, una testimonianza piantata nel cuore. Occorre una rivelazione celeste, il sigillo dello Spirito Santo; quello che è mancato a Tommaso, e di cui, la sua povera carne piena di esigenza, aveva bisogno. La sera di Pasqua, infatti, era fuori, lontano dalla comunità, e non aveva ricevuto lo Spirito del suo Signore risorto. I sensi cercavano certezze, le parole dei suoi fratelli, per quanto impreviste e piene di speranza, non gli bastavano. Non si può credere alla predicazione se non plana dal Cielo lo Spirito Santo a sigillare nel cuore e confermare in certezza quanto ascoltato. Per questo Tommaso è immagine di quanti, allontanatisi dalla Chiesa, cercano e sperano nella carne le ferite del Signore.

Chi di noi ha occhi per riconoscere Tommaso e il suo struggente desiderio di verità e di amore più forte della morte, nel figlio che ha scambiato la casa per un albergo? Oppure nel collega che passa da un amante all’altra? Chi guarda alle persone che brancolano nel buio dei peccati come Gesù, con la compassione che lo ha spinto a tornare e “stare in mezzo” alla sua chiesa per incontrare Tommaso, quel suo fratello disperso ma non spacciato? Quanto è importante che la Chiesa sia sempre pronta ad accogliere i suoi figli che tornano, anche solo per un matrimonio o un funerale, per annunciare e presentare loro Cristo risorto e vivo! Quanto è importante che i genitori siano pronti a riaccogliere i figli che, seppure per un attimo, ritornano a casa, e sappiano presentare loro le ferite d’amore di Cristo, parole e gesti che siano pura misericordia!
La fede, infatti, non si compra al supermercato, ma si impara. Per questo Gesù non rimprovera Tommaso, ma lo invita a porsi in cammino, a diventare un “credente”, ad imparare la fede che oltrepassa la carne. I segni che aveva mostrato agli altri apostoli una settimana prima, i sacramenti della sua risurrezione, sono ora davanti a Tommaso. Ma, da soli, non bastano. E’ necessario, come lo è stato per i suoi fratelli, ricevere lo Spirito Santo, la Rivelazione del Padre che ha fatto beato Pietro, quel supplemento d’anima che libera lo sguardo oltre le ferite nella carne e induce a oltrepassare le porte della sola ragione, della propria carne esigente di prove e conferme.

E’ necessaria l’esperienza della misericordia, del perdono che nulla esige e sa ricreare in un disperato la speranza e la fede: è necessaria la scintilla che solo l’amore di Dio rivelato in Cristo e sigillato dallo Spirito Santo, può far scoccare nell’anima: allora, come San Paolo, la “conoscenza” di Cristo non sarà più secondo la carne, necessaria all’inizio, come la notte di Betlemme fu necessaria l’incarnazione. Ma come la mangiatoia profetizzava la tomba, così in ogni esperienza sensibile e consolatoria del Signore è profetizzata la notte oscura della fede, dove la carne non basta più: per resistere al pericolo che anche la fede divenga uno struggente ricordo, occorre lasciarsi crocifiggere con Cristo, per restare ben piantati con Lui nella storia, e vivere, pur non “sentendo” nulla, anche senza consolazioni, appoggiati al mistero del suo amore, spesso invisibile ma sempre all’opera.

E’ il frutto dello Spirito Santo che, nel cammino della storia, condurrà san Tommaso, e ciascuno di noi, a riconoscere “il nostro Signore e il nostro Dio” nelle nostre stesse piaghe, nelle ferite della nostra vita: nella Croce gloriosa, la vita oltre la morte. Tommaso,gemello del Signore (questo significa Didimo), stava cercando, come tutti i gemelli quando si separano dal fratello, la parte di sé che gli era venuta meno! Cercava un segno nelle piaghe di Gesù, perchè cercava un senso alle sue ferite, al dolore della sua vita: infatti, “colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi… Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che dalla morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (cfr. Eb. 2, 11-14).

Tommaso, mosso dalla carne e dal bisogno di toccare e vedere, era andato a cercare il suo gemello, l’unica parte di sé che poteva dare compimento e completezza alla sua vita; ma lo era andato a cercare lontano dalla verità, paradossalmente, proprio lontano dalla carne di Gesù, dal corpo di Cristo che è vivo nella comunione della Chiesa, la comunità dei suoi fratelli. Forse era andato a cercarlo alla tomba, come la Maddalena, laddove i suoi occhi lo avevano visto deporre; forse non si rassegnava a vedere la carne della propria carne scendere e marcire in un sepolcro; forse Tommaso, come noi, stava rovistando tra le speranze deluse, i progetti restati in sospeso, le zone oscure del passato dove si è sbagliato qualcosa; forse Tommaso cercava la pace tra i sensi di colpa mai sopiti, tra le angosce di quella relazione così importante ma scivolata via senza poterci fare nulla.

O forse voleva un rapporto diverso ed esclusivo, forse desiderava seguire il suo istinto, gli schemi mondani; forse voleva, semplicemente, restare solo a piangere il suo dolore. Di certo, come ciascuno di noi, Tommaso era andato a cercare il Signore, l’unico che – lo aveva sperimentato – poteva dare Pace alla sua vita. Ma, come noi, aveva dimenticato che l’unico luogo dove ricevere la virtù soprannaturale della fede, dove toccare e vedere Cristo risorto, dove sperimentare il suo amore più forte della morte, è la Chiesa, la comunità. Perchè un cristiano è un gemello nel cui cuore risuona sempre l’eco della presenza del proprio fratello, anch’egli a sua volta gemello di Cristo, come ciascuno di noi. Per questo le sue ferite sono le nostre, e la fede non si ferma ad un evento registrato dai sensi, ma va al di là, alla presenza misteriosa eppure concreta e reale, della sua vittoria, della sua vita dentro la nostra vita. “Credente”, ovvero in cammino nella notte oscura dei santi, senza consolazioni, senza prove carnali, con la sola certezza della fede sigillata istante dopo istante, l’appoggio sicuro di un amore che mai ci abbandona, mai.

Il Signore ama Tommaso, e ama noi. E ci attende con pazienza, e viene a cercarci ancora. Anche i momenti in cui ci siamo allontanati e abbiamo preferito la solitudine dell’orgoglio o del dolore, anche quelli infilati nel buio più oscuro, sono fecondi e preparano all’incontro decisivo che muove alla professione di fede più bella. Tommaso è tornato nella comunità, attirato dall’annuncio dei suoi fratelli.  Li ascolta, non crede senza condizioni, pone le sue per abbandonarsi: troppo forte il dolore, troppo indurito il cuore dalle delusioni e dall’orgoglio; ma, anche se balbettando, anche se mormorando, ha prestato un po’ di fese alle parole dei suoi fratelli, e ora era lì, nella sua comunità. E tanto basta, e questo è tutto. Perchè Gesù torna dai suoi, e cerca Tommaso, e accetta ogni sua condizione! Gesù accoglie anche le nostre, e si fa carne, storia, vita dentro le nostre ore, e schiude le sue ferite, la sua misericordia, perché le possiamo toccare. Gesù ha pazienza e, come un fratello maggiore, ci prende per mano e, nella Chiesa Madre e Maestra, ci insegna a camminare con la Parola e i Sacramenti, per “diventare”, passo dopo passo nel catecumenato di conversione, “un credente”, uno che, in ogni circostanza, vive appoggiato al suo amore incorruttibile.

APPROFONDIRE


RATZINGER – BENEDETTO XVI. San Tommaso
RATZINGER – BENEDETTO XVI. Domenica in Albis: Gesù è un Dio ferito dall’amore verso di noi
RATZINGER – BENEDETTO XVI. Domenica in Albis: la pace del Cielo
Il Papa al Regina Caeli: Cristo risorto ci dona la pace, frutto del suo amore
Omelie di Giovanni Paolo II, nelle Domeniche in Albis
Ravasi. Tommaso: l’incredulo che diventò credente
S. Fausti. Commento esegetico al Vangelo dell’apparizione a San Tommaso
IGNACE DE LA POTTERIE Gesù e Tommaso
Ignace de la Potterie. Gesù disse a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto”.
Vangelo della II domenica di Pasqua anno A. Piste esegetiche
LE APPARIZIONI «UFFICIALI» DEL RISORTO AL GRUPPO APOSTOLICO (GV 20,19-31)
TOMMASO FEDERICI COMMENTO AL VANGELO DELLA II DOMENICA DI PASQUA ANNO A
Omelie di Giovanni Paolo II, nelle Domeniche in Albis
Ravasi. Tommaso: l’incredulo che diventò credente
Madre Teresa di Calcutta. EDUCARCI ALLA FEDE
Card. Caffarra. Omelia su San Tommaso
Carlo Maria Martini, Partenza da Emmaus

COMMENTI PATRISTICI

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
Dai Discorsi di san Pietro Crisologo
Basilio di Seleucia. Sii credente, e sii mio apostolo
Dal trattato “Sulla Trinità” di sant’Ilario di Poitiers
Da “La vita in Cristo” di Nicola Cabàsilas
II Domenica di Pasqua (o in Albis). Dai «Discorsi» di sant’Agostino

ARTE E LITURGIA

La risurrezione secondo Caravaggio
Leggere un quadro stupendo: l’ INCREDULITA’ DI TOMMASO DI CARAVAGGIO
Stupende immagini del dubbio di San Tommaso nell’arte

Kiko Argüello, Dottor Honoris Causa dall’Università di Lublino

Kiko Argüello, Dottor Honoris Causa dall’Università di Lublino

L’ ateneo Giovanni Paolo II ha concesso il titolo all’iniziatore del Cammino Neocatecumenale per il contributo al rinnovamento della Chiesa

da Vatican Insider

Questa mattina si è svolta la cerimonia d’investitura Dottor Honoris Causa in Sacra Teologia all’iniziatore e responsabile del Cammino Neocatecumenale in tutto il mondo, Kiko Argüello, nel chiostro dell’Università Cattolica Giovanni Paolo II di Lublino, Polonia.

Secondo il centro di studi, il motivo della concessione di tale titolo risiede nell’“aver contribuito validamente al rinnovamento della Chiesa, seguendo attentamente le indicazioni del Concilio Vaticano II, riconducendo i cristiani allontanatisi dalla comunità ecclesiale alle fonti della fede che scaturiscono dalla Bibbia e dalla liturgia; nell’aver dato inizio, insieme alla signora Carmen Hernández, ad una istituzione postbattesimale, opera estremamente preziosa per il mondo odierno, conosciuta universalmente como Cammino Neocatecumenale. Tale forma di iniziazione cristiana, arricchita dalla bellezza della nuova estetica, svolge, oggigiorno, un’opera di evangelizzazione e rievangelizzazione, in tutto il mondo; prepara le missio ad gentes; interviene attivamente affinché cristianesimo ed ebraismo si avvicinino l’uno all’altro; difende i valori della vita e della dignità umana, del matrimonio e della famiglia cristiana.”

Durante l’evento, Argüello ha detto di sentirsi “imbarazzato” di fronte a tanto elogio, e ha spiegato a coloro che vi hanno assistito: “Come ogni cristiano, mi aspetto solamente persecuzioni”, perchè “Cristo è stato sempre odiato e perseguitato. Oggi, sono chiamato all’umiltà, accettando tutto questo”. Inoltre, ha affermato “Carmen Hernandez merita molto più di me questa laurea” (insieme a lui iniziatrice del Cammino). “Oggi io lo ricevo al posto suo, perché è lei che ha apportato, oltre a molto altro, tutta la teologia pasquale e ci ha avvicinati al popolo ebreo”. Dopo queste parole, ha annunciato il kerigma affermando che “la cosa più grande che possiamo fare in questa vita è annunciare il Vangelo”.

All’investitura hanno partecipato vari vescovi, tra i quali monsignor Kiernikowski, vescovo di Siedle, e monsignor Grzegorz Rys, vescovo di Cracovia, e circa mille persone. L’università ha conferito la laurea honoris causa a personalità importanti, quali Benedetto XVI (quando era cardinal Ratzinger), Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’ Egidio, e Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolarini.

San Tommaso Apostolo

Lunedì della XIII settimana del T.O.

dal Vangelo secondo Mt 8,18-22

In quel tempo, Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: “Maestro, io ti seguirò dovunque andrai”. Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.
E un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli rispose: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”.

Il commento di don Antonello Iapicca

Quando la mattina apriamo gli occhi, si dipana dinanzi ai nostri occhi un futuro incerto di impegni, lavoro, rapporti, soldi, famiglia, studio. Passarvi dentro senza lasciarci la vita e giungere indenni alla fine della giornata, è il desiderio che, prepotente, ci brucia dentro. Non restare invischiati tra le maglie dei problemi, delle preoccupazioni, delle angosce. Ma sappiamo che scappare è solo una pura illusione. Abbiamo provato tante droghe nella nostra vita, ci hanno reso più fragili e meno felici. Il Vangelo di oggi risponde al desiderio insaziabile di libertà e di felicità che ci accompagna ogni giorno. Gesù ordina perentoriamente di passare all’altra riva, di entrare nella Pasqua, il seno da cui è stato tratto Israele. Gesù ci spinge a lasciarci attirare nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà.

Quello che abbiamo dentro, dunque, è molto più che un desiderio, è un ordine del Signore, la chiamata che ci ha tratto all’esistenza, e nella quale viviamo, esistiamo, siamo. Il “senso” profondo della nostra vita ovvero la “direzione” che dà consistenza e pienezza ad ogni istante, è quella che ci fa “passare all’altra riva”, ogni giorno. Una vita incastrata nella concupiscenza e incapace di “passare” attraverso il fuoco delle passioni, un’esistenza atrofizzata e installata nelle sicurezze schierate come reggimenti a difesa di una pace che neanche possediamo, una vita seduta con le noccioline in mano e il telecomando puntato sullo schermo sperando di poter cambiare insieme ai canali anche i programmi “in diretta” dalle nostre giornate, una vita che non segue il cammino pasquale del Signore è già preda dei vermi: la corruzione delle menzogne, invidie, gelosie, rancori, egoismi, ha preso il sopravvento, tutto marcisce tra le mani e ormai nulla soddisfa e nulla rallegra.

Passare all’altra riva è l’unico modo di seguire il Signore. Lui “non ha dove reclinare il capo”, lo farà sulla Croce, offrendo gratuitamente la propria vita. Su di essa ha disteso le braccia per accogliere ogni uomo, rivelandoci che ogni istante della vita è operoso e fecondo, e sulla terra non troveremo mai il riposo autentico, quello carnale e mondano che scorre negli spot pubblicitari: le Maldive e nessuna spiaggia ci daranno mai il riposo che desideriamo, perché il cuore non smette mai di battere e l’amore non va mai in vacanza. Come per Gesù, la Croce non è il riposo ma la via, non è la meta ma il passaggio ad essa. Il riposo di chi “segue” il Signore è l’amore che dimentica se stesso, prendendo la Croce d’ogni giorno che introduce nel Cielo del suo compimento, per gustare su questa terra il perdono e la presenza di Gesù, anticipi e caparre della Vita eterna che ci attende.

Quando Gesù passa e chiama il tempo si ferma, ed è impossibile cercare di comprendere quello che accade se non ci lascia raggiungere e avvolgere dal suo amore; chi non ha l’esperienza del suo perdono, della Pasqua che fa risorgere dalla morte ogni relazione, ogni situazione che sembrava spacciata, non potrà “seguire il Maestro ovunque andrà”. Nei suoi ovunque vi saranno luoghi e persone che la carne rifiuterà, e le buone intenzioni di fedeltà e amore si scioglieranno come neve al sole. Può “seguire” Gesù solo chi ha fatto l’esperienza cruda e autentica di Pietro, chi, come i catecumeni della chiesa primitiva, è disceso nelle acque del battesimo attraverso un serio catecumenato di verità sulla propria vita, chi ha camminato nel deserto e ha conosciuto il proprio cuore. Solo dopo aver toccato con mano la propria debolezza e la friabilità delle proprie promesse e lì ha incontrato lo sguardo misericordioso del Signore e l’abbraccio liberante della sua Croce, può “seguire” Colui che lo ha amato senza condizioni. Solo chi è libero e può “tendere le mani” negli eventi più incomprensibili per “andare dove non vuole”, può “seguire” Gesù “ovunque”, “lasciando che i morti seppelliscano i propri morti”, consegnando fiducioso a Lui le situazioni irrisolte della propria storia.

Come Giacobbe, siamo chiamati a “posare il capo” su di una pietra, nel luogo di Dio: istante dopo istante,  famiglia, lavoro, scuola, i luoghi che ci attendono seguendo il Signore divengono le “porte del Cielo”: “Rabbì Berekhiah dice in nome di Rabbì Levi: Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo furono trasformate in un letto e un cuscino. Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse” (GenR 68,43). Così il Midrash. Così per la nostra vita, freschezza e asprezza caratterizzano le pietre del carattere del coniuge, le difficoltà con i figli e i genitori, i sacrifici per non restare invischiati nell’egoismo; ma, proprio per quello che sono, i volti e i luoghi che ci attendono ci parlano del Cielo, ci annunciano il riposo per il quale siamo nati. Pietre come la pietra del sepolcro del Signore, aspra nella morte, fresca nella risurrezione. Non è stato possibile che la morte tenesse in potere il Signore, per questo non è possibile riposare nella morte, nei fallimenti, nei dolori. Non è quello il nostro luogo. E’ un momento. Un passo nel passaggio. Colui che è di Cristo non è un rassegnato, un cultore macabro della sofferenza e della morte. Chi è di Cristo lo segue, ovunque.

Era il desiderio dello scriba, come è il nostro desiderio, il frutto dell’esser passati all’altra riva. L’esperienza della Pasqua, le viscere battesimali della nostra nuova vita sempre protesa verso un’altra riva, sino a che non giunga l’ultima, la sponda del Cielo. Seguire il Signore ci rende come il vento, che non sai di dove venga o dove vada, solo se ne apprezza la presenza. Nessuna sicurezza se non Lui. La precarietà che denuda e svuota d’ogni appoggio e schiavitù. Sul mare passa il cammino del Signore e le orme ne restano invisibili. Lui. E in Lui tutto. Lo sguardo nel suo sguardo, senza fughe all’indietro a cercare di seppellire il passato, le cose lasciate in sospeso, che sembra sempre di non aver risolto, sistemato, spiegato, compreso. Seguirlo è lasciare che il passato seppellisca il passato, per non diventare come la moglie di Lot, una statua di sale fissata in uno sguardo di rimpianto. La nostra vita è chiamata a superare anche gli obblighi religiosi, la Legge di Mosè che prescriveva giusta attenzione per i defunti: seguire Gesù è molto più che un andare al cimitero per seppellire i morti, è invece un camminare nella morte per giungere alla vita e tirar fuori i morti dal sepolcro e accompagnagli in Cielo. Seguendo Gesù siamo chiamati a spargere il suo profumo di vita e misericordia, dando compimento ad ogni relazione, non limitandosi alle dovute attenzioni, andando ben oltre il “minimo sindacale” che, oggi, nessuno è più disposto a fare. La vita cristiana è “seguire” l’Amato nelle ore infinite di “straordinario” spese per ascoltare e correggere un figlio, prendere silenziosamente il lavoro che il collega non vuol fare, amare la suocera o la nuora così com’è; gli straordinari di un amore straordinario, che non ha nessuno stipendio in terra se non la gioia del Cielo che esplode quando un peccatore, il nostro fratello, si converte e crede all’amore di Dio.

Terrorismo in Nigeria: è proprio guerra santa

Terrorismo in Nigeria: è proprio guerra santa

di Anna Bono da www.lanuovabq.it

guerrigliero

Non si allenta in Nigeria la morsa di Boko Haram, il gruppo terrorista islamico che dichiara di voler imporre la legge coranica in tutto il paese e fa strage di cristiani. Dal 16 giugno una serie di attentati hanno causato ben 70 vittime. Uno degli episodi più gravi si è verificato tra il 16 e il 17 giugno a Damaturu, capitale dello stato di Yobe, dove un commando è penetrato di notte nel collegio di una scuola secondaria uccidendo sette studenti e due insegnanti. Nelle stesse ore, sempre a Damaturu, è stato attaccato un check point dell’esercito e tre militari sono stati feriti gravemente. Il giorno successivo, nello stato di Borno, i terroristi hanno assalito una scuola privata della capitale Maiduguri, uccidendo nove degli studenti che vi stavano sostenendo gli esami di fine anno, e un’altra strage si è verificata ad Alau Dam, un villaggio di pescatori in prossimità della principale diga della regione: qui le vittime sono state almeno 13, sembra uccise perché accusate da Boko Haram di aver favorito l’arresto di alcuni esponenti del gruppo armato.

Tutto questo avviene nonostante che il governo abbia dichiarato il 15 maggio lo stato d’emergenza in tre stati del nord est, Borno, Yobe e Adamawa, e dal 12 maggio a caccia dei terroristi abbia dispiegato migliaia di militari con il supporto aereo di caccia ed elicotteri da combattimento. Si affievoliscono così le speranze riposte nel processo di conciliazione contemporaneamente avviato dal governo, con il sostegno di alcune autorevoli personalità religiose islamiche, e nell’amnistia proposta all’inizio di aprile ai terroristi disposti a deporre le armi. Peraltro, all’annuncio dell’amnistia, Boko Haram aveva risposto sostenendo di non aver commesso nulla di male: “al contrario, siamo noi che dovremmo perdonarvi” aveva sprezzantemente replicato Abubakar Shekau, il leader del gruppo su cui alcuni giorni or sono gli Stati Uniti hanno posto una taglia di sette milioni di dollari.

Quanto sta accadendo sembra purtroppo dare ragione al presidente nigeriano Goodluck Jonathan che nel gennaio del 2012, in un memorabile discorso alla nazione, aveva definito la situazione creatasi nel paese peggiore, più pericolosa di quella sfociata negli anni 60 nella guerra civile del Biafra. Concordano da tempo con il presidente i vescovi nigeriani. In un documento dal titolo “Salvare la Nigeria dal crollo”, pubblicato lo scorso maggio, parlano di “un’escalation di violenza e criminalità senza precedenti”, di una situazione “che nel modo più ottimistico può essere definita una guerra di bassa intensità”. A proposito dell’amnistia, il documento auspica che sia intesa come strumento di pacificazione e non come mezzo per “placare i criminali e i loro sostenitori perché stiano tranquilli”. I vescovi mettono poi il dito sulla piaga quando spiegano il successo crescente di Boko Haram presso la popolazione con i fattori che impediscono lo sviluppo del paese: “è chiaro – scrivono – che il nostro paese sta vivendo gli effetti cumulati e l’impatto corrosivo della corruzione; se i nostri leader politici non troveranno il coraggio di utilizzare le istituzioni dello Stato per combatterla, questo mostro divorerà la nazione intera”.

Per capire la gravità delle parole dei vescovi cattolici, basti pensare che la Nigeria da decenni è il primo produttore di petrolio del continente africano. Tuttavia il 68% della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno ed è quindi sotto la soglia di povertà. La Nutrition Society of Nigeria ha appena pubblicato un rapporto in cui si dice che un bambino nigeriano su tre muore di denutrizione e che 11 milioni di bambini di età inferiore a cinque anni soffrono di disturbi della crescita dovuti ad alimentazione insufficiente.

In parte dissonante rispetto al documento dei vescovi è il discorso pronunciato dall’arcivescovo di Abuja, cardinale John Onayekan, durante il X convegno di Oasis, la rivista fondata dal cardinale Angelo Scola, svoltosi a Milano il 17 e 18 giugno. Pur ammettendo la crescente popolarità di Boko Haram e i cristiani uccisi, il cardinale sostiene: “è difficile capire se gli attacchi ai cristiani e alle chiese abbiano un chiaro movente religioso e quale scopo. Notiamo – prosegue – che di tanto in tanto questi gruppi manifestano la loro volontà di istituire in Nigeria uno stato islamico governato da una severa forma di shari’a”. Dato che nel compiere le loro azioni “gridano sempre lo slogan islamico ‘Allah u akbar’ (più che uno slogan, l’inizio della dichiarazione di fede islamica; significa: “Allah è il più grande”, n.d.A), la comunità musulmana della Nigeria non può rinnegarli”. Il cardinale Onayekan conclude quindi la sua analisi della situazione asserendo: “in Nigeria non vi è ‘guerra di religione’, ma una serie di attacchi terroristici con autori in parte locali e in parte stranieri”.

In verità è difficile dubitare del movente religioso quando dei cristiani vengono uccisi in chiesa, durante la messa. Neanche induce a dubitarne il fatto, spesso rimarcato, che vengano uccisi anche dei musulmani: infatti, in Nigeria come altrove, il terrorismo islamico colpisce i correligionari ritenuti non abbastanza devoti, trasgressivi, di ostacolo all’imposizione di un’interpretazione rigorosa della legge coranica e alla diffusione dell’Islam nel mondo intero. Il nome ufficiale di Boko Haram è “Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad”, Gruppo votato alla diffusione degli insegnamenti del Profeta e al jihad. Può darsi che quella in corso in Nigeria non si possa chiamare “guerra di religione”, ma si tratta senza ombra di dubbio di jihad, guerra santa.

Irlanda, i vescovi contro l’aborto legale: «È un crimine»

Irlanda, i vescovi contro l’aborto legale: «È un crimine»

L’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, guida la mobilitazione “pro-life” per sensibilizzare la società

GIACOMO GALEAZZI
da Vatican Insider

L’episcopato irlandese in campo contro la legalizzazione dell’aborto (definito un “crimine”). La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l’essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita. Perciò l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin guida la mobilitazione “pro-life” per sensibilizzare  la società sui temi etici. La legislazione dell’Irlanda riconosce l’interruzione della gravidanza in caso di rischi “gravi e sostanziali” per la salute della donna. Nel resto dell’Unione europea la malformazione fetale è invece sempre considerata una causa legalmente riconosciuta per ricorrere all’aborto. Eppure in Irlanda le gerarchie ecclesiastiche, nel timore di interventi legislativi che estendano le possibilità per l’interruzione di gravidanza, hanno richiamato i sacerdoti a porre particolarmente l’accento nelle loro riflessioni sui principi basilari dell’insegnamento della Chiesa cattolica in tema di tutela della dignità umana e difesa della vita. Secondo il catechismo della Chiesa cattolica la vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente. Il messaggio cristiano, infatti, è un messaggio di vita, quindi, si tratta, come ogni vita umana, di un riflesso della vita stessa di Dio e la dottrina cattolica afferma che ogni vita umana ha una dignità unica e insostituibile. Da parte sua la Chiesa si impegna a fornire assistenza alle donne che si trovano nella condizione di affrontare scelte difficili che comportano sofferenza psicologica e fisica: «La compassione e il sostegno alle donne in situazioni difficili appartiene all’essenza dell’insegnamento cattolico». Infatti, il diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente rappresenta un elemento costitutivo della società civile e della sua legislazione. L’embrione (che fin dal concepimento deve essere trattato come una persona) deve essere difeso nella sua integrità, curato e guarito, per quanto è possibile, come ogni altro essere umano. A dare sostegno alla campagna dell’episcopato irlandese è il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, che un mese fa ha disertato la cerimonia di conferimento delle lauree del Boston College, in segno di protesta contro la presenza del premier irlandese Enda Kenney, favorevole alla legge sull’aborto. E’ da sempre tradizione che l’arcivescovo di Boston (città con una forte componente di immigrati irlandesi) intervenga a questa cerimonia annuale. Il quinto comandamento proibisce qualsiasi azione fatta con l’intenzione di provocare indirettamente la morte di una persona. La legge morale vieta tanto di esporre qualcuno ad un rischio mortale senza grave motivo, quanto di rifiutare l’assistenza ad una persona in pericolo. Dunque il porporato statunitense che fa parte del consiglio istituito da papa Francesco per riformare la Curia ha puntato l’indice contro il premier irlandese in quanto “ha promosso in modo energico la legge sull’aborto”.

Inoltre la conferenza episcopale americana ha invitato le istituzioni cattoliche a non onorare quanti sostengono e promuovono idee contrarie agli insegnamenti della Chiesa. La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana.

Il Papa: «Un cristiano non può essere antisemita»

Il Papa: «Un cristiano non può essere antisemita»

Il pontefice lo ha detto nella udienza all’International Jewish Committee on Interreligious Consultations

ALESSANDRO SPECIALE
da Vatican Insider

“Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita”: nel suo primo incontro ufficiale con il Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose (Ijcic, il partner del Vaticano per il dialogo interreligioso con l’ebraismo mondiale) papa Francesco è andato dritto al cuore dei rapporti tra cattolici ed ebrei. Il pontefice si è rivolto alla delegazione di rabbini arrivati da tutti il mondo come a dei “fratelli maggiori” e li ha salutati con la parola shalom, pace in ebraico. Nel suo breve discorso, il pontefice ha evidenziato la lunga relazione di amicizia tra cristiani ed ebrei ed ha incoraggiato a proseguire sulla strada intrapresa. D’altra parte, papa Francesco ha una lunga esperienza di rapporti con il mondo ebraico. Nella sua Buenos Aires, aveva stretto un rapporto profondo con il rabbino Abraham Skorka, che ha incontrato in Vaticano qualche giorno fa. Il rapporto era sfociato nella stesura con lui di un libro intervista “Il cielo e la terra”, in cui ha affrontato, pochi mesi prima di diventare papa, tutti i temi caldi della fede.

“In questi primi mesi del mio ministero ho già avuto modo di incontrare illustri personalità del mondo ebraico, tuttavia questa è la prima occasione di conversare con un gruppo ufficiale di rappresentanti di organizzazioni e comunità ebraiche”, ha ricordato oggi Francesco.

Per il papa, il “dialogo regolare” tra ebrei e cristiani, che hanno contribuito a rafforzare “la reciproca comprensione ed i legami di amicizia”. “La Chiesa – ha aggiunto – riconosce che ‘gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti’. E, quanto al popolo ebraico, il Concilio ricorda l’insegnamento di San Paolo, secondo cui ‘i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili’, ed inoltre condanna fermamente gli odi, le persecuzioni, e tutte le manifestazioni di antisemitismo. Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita!”

Negli ultimi decenni, i rapporti tra ebrei e cattolici sono diventati sempre più profondi e fecondi, grazie anche a dichiarazioni e gesti importanti da parte dei pontefici precedenti. Questo percorso, ha ricordato Francesco, non è che “la parte più visibile di un vasto movimento che si è realizzato a livello locale un po’ in tutto il mondo”.

Questo rapporto di amicizia è indispensabile per il futuro dell’umanità, che “ha bisogno della nostra comune testimonianza in favore del rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza di Dio, e in favore della pace che, primariamente, è un dono suo”. “Papa Francesco è un ottimo amico del popolo ebraico e ci rallegriamo del fatto che continuerà a portare avanti l’opera dei suoi predecessori per approfondire ancora di più i rapporti tra cattolici ed ebrei”, ha commentato il rabbino David Rosen, direttore per gli affari interreligiosi internazionali dell’American Jewish Committee, una della associazioni che compongono l’Ijcic.

Per il presidente dell‘Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, le parole del papa “testimoniano il consolidamento di un percorso iniziato 50 anni fa con la pubblicazione della Nostra Aetate e con risultati estremamente significativi nel segno del dialogo e della reciproca comprensione tra i popoli. In un’epoca segnata da tensioni e criticità molto forti le religioni, oggi più che mai, sono chiamate a farsi promotrici di valori e di sfide comuni”.