Giovedì della XIII settimana del T.O.

Giovedì della XIII settimana del T.O.

dal Vangelo secondo Mt 9, 1-8 

In quel tempo, salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto.
Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».
Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: àlzati, disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e và a casa tua».
Ed egli si alzò e andò a casa sua. A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.

Il commento di don Antonello Iapicca

“Perché pensiamo cose malvagie nel cuore”? Perché pensiamo che Gesù “bestemmi”? Perché portiamo dentro lo scandalo della sofferenza e non crediamo che Gesù abbia il potere di giungere alla radice del male ed estirparlo. Non crediamo al perdono, non immaginiamo neanche che esista. Sappiamo che Dio è buono, onnipotente, e nel Credo professiamo la fede nel perdono dei peccati. Ma che un Uomo, carne della nostra carne, con una semplice Parola, abbia il potere di sciogliere un altro uomo dalle catene del male e dei peccati, beh questo è impensabile, non lo abbiamo visto e non possiamo crederlo. E giudichiamo Gesù, pensando male di Lui.
Tutto questo accade molto concretamente quando, di fronte alla “paralisi”, uomini come noi, gli apostoli della Chiesa corpo di Cristo, ci invitano a dare credito al Signore e a non intestardirci cercando soluzioni impossibili. Quando la Chiesa ci chiama alla fede, ad abbandonarci all’amore di Dio e a portare ai piedi di Gesù e aspettare che Lui operi la guarigione delle situazioni difficili, delle relazioni paralizzate, quello che in noi vi è di infermo.
“Pensiamo male di Gesù” soprattutto quando, di fronte alle persone e agli eventi “paralizzati”, induriamo il cuore e non vogliamo pensare che alla radice di qualsiasi problema vi siano i peccati. Come nel Vangelo, la mormorazione e il giudizio scattano quando Gesù, invece di operare il miracolo che guarisca le situazioni, punta diritto i peccati. Quando la Chiesa ci depone ai piedi di Gesù perché ci perdoni e liberi il cuore perché possa amare e donarsi. No, ci ribelliamo a chi ci annuncia che vi è il peccato dietro la paralisi del dialogo e della comunione con il coniuge o le esplosioni continue dei figli che non siamo capaci di far ragionare e ci trascinano in altrettante esplosioni di ira.
Vi è una sola paralisi: il peccato. Vorremmo capire i perché di tante atrocità, di tante ingiustizie, ma rifiutiamo di accettare che esista una radice del male, il pensiero unico che domina la nostra cultura non la prevede, mentre il peccato è accovacciato alla nostra porta, insinuato nel nostro cuore. Da esso sgorgano tutti gli abomini. Adagiati nel peccato pensiamo cose malvagie. Non riconoscerlo, guardarlo con supponenza, sorvolarne la serietà e la drammaticità è dare del bestemmiatore a Gesù. Significa essere nemici della sua Croce. Ignorare il peccato è ignorare Dio, il suo potere, il suo amore. Restare appiattiti sulle sue conseguenze, cercando come eluderle o sbianchettarle, dimenticando la Rivelazione che indica nel peccato la radice di ogni male, anche quelli che chiamiamo malattie o disastri naturali, conduce a pensare male di Dio, o a escluderlo dalla vita; non possiamo accettare un Dio che sembra non agire contro le ingiustizie, e preferiamo dimenticarlo, o cercare comunque e ad ogni costo un capro espiatorio su cui riversare il dolore e il risentimento. Il giustizialismo e l’indignazione di questi tempi nascondono negli armadi gli scheletri di una società che ha legittimato l’omicidio più efferato, quello perpetrato sulle creature più indifese.
Il cortocircuito demoniaco stringe come un cappio mortale le nostre vite, cadute nell’illusione che si possa vincere il male con un male più grande travestito da bene. Insieme con la cultura mondana, non crediamo che la paralisi indichi il disordine del peccato, ma è piuttosto un incidente cui ribellarsi: agli occhi degli “scribi” quel paralitico non è uno schiavo di cui avere misericordia, ma un’occasione di scandalo di fronte alla quale reagire con la malvagità che colma i loro cuori. E così, per loro, chiudersi alla misericordia diviene la bestemmia contro lo Spirito Santo, il peccato che non potrà essere perdonato.
La Scrittura ci rivela che la morte è entrata nel mondo per invidia del demonio e ne fanno esperienza quelli che gli appartengono. E il male si spande. Anche sugli innocenti. Ma noi, che innocenti non siamo, ne siamo schiavi, paralizzati, stesi sul letto della solita vita, dei soliti peccati. Vi è un solo cammino per guarire: guardare in faccia la Verità, lasciarci giudicare dalle Parole d’amore di Gesù. In Lui i peccati sono rimessi e sperimentiamo la vera liberazione, perchè il mistero del male si svela nel perdono. A Boezio che si chiedeva “Si Deus est, unde malum? et si non est, unde bonum ?”, San Tommaso d’Aquino poteva rispondere capovolgendo i termini: “Si malum est, Deus est”, perchè l’esistenza di Dio è affermata e argomentata proprio a partire dalla realtà del male (Contra Gentiles, 1. III, c.71). Il perdono ci fa accettare le conseguenze dei nostri peccati e, in esse, le conseguenze dei peccati di ogni uomo. Da questa attitudine nasce l’umiltà e spariscono i pensieri malvagi, i giudizi, la malizia. Sulla roccia della Verità si infrangono le onde del male, e sorge un pensiero nuovo, di pazienza e misericordia. Nella Verità si dischiude la porta della vita davanti ad ogni peccatore, a ciascuno di noi: lasciarsi amare, riconciliare, perdonare. Accettare d’essere peccatori, e gettarsi tra le braccia del Signore. Ai Suoi piedi, piangendo e implorando. Aiutati e accompagnati dalla Chiesa. Nella liturgia eucaristica, prima di accostarci alla comunione, ripetiamo con il Celebrante: “Oh Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Come Gesù che è mosso dalla fede degli amici del paralitico a compiere il miracolo del perdono riconsegnando forza e vigore alle membra paralizzate.

Per questo abbiamo bisogno della comunità, dei pastori e dei fratelli, del Popolo santo che è capace, per amore del povero e del debole, di scoperchiare i tetti e deporre i malati ai piedi di Gesù. Abbiamo bisogno della fede della Chiesa che apre per noi un cammino distruggendo pareti e tetti che ci accerchiano e ci impediscono di andare a Cristo, per essere liberati e tornare a casa, nella storia di ogni giorno con il letto che è la memoria dei nostri peccati e la consapevolezza della nostra debolezza. A noi la memoria di quello che siamo, a Gesù l’amore e il perdono. Solo così potremo vivere risanati, abbandonati alla sua fedeltà senza nulla presumere di noi stessi, liberi nella “città di Gesù”, dove unica legge è l’amore.
Il cardinal Caffarra sguaina la spada

Il cardinal Caffarra sguaina la spada

di Andrea Zambranoda www.lanuovabq.it

Piange l’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra. Le sue lacrime sono le lacrime di chi guarda sconsolato le macerie di una civiltà che si sta disgregando sotto l’insegna della dittatura del gender. Lo scontro di lunedì tra il cardinale e il sindaco di Bologna Virginio Merola è destinato ad alimentare ancora di più il solco tra la politica e il comune senso della ragione. Perché è di questa che principalmente il porporato ha parlato nella suo lungo j’accuse lanciato dagli uffici di via Altabella a seguito della presenza e delle parole di Merola su nozze e adozioni gay.

Il primo cittadino era stato l’ospite d’onore del gay pride che svoltosi a Bologna sabato 29. E da quel palco aveva preso una posizione netta sulla necessità non solo di riconoscere le unioni omo, ma anche di concedere a gay e lesbiche la possibilità di adottare. Il giorno dopo Caffarra ha preso carta e penna e ha ricalcato le orme che furono del suo predecessore Giacomo Biffi ai tempi della “Bologna sazia e disperata”: «Merola dice cose gravissime – ha tuonato -. Davanti a tale oscuramento della ragione viene da piangere». E ancora: «Affermare che omo ed etero sono coppie equivalenti è negare un’evidenza che a doverla spiegare viene da piangere». Caffarra è anche consapevole che «siamo giunti ad un tale oscuramento della ragione anche solo per il pensare che siano le leggi a stabilire la verità delle cose».

Lo scontro tra sindaco e arcivescovo non ha più il sapore guareschiano delle battaglie tra comunisti e cattolici. Oggi Bologna è devastata dalla crisi economica, con il Pd ormai incapace di fare da collettore delle diverse anime della città e le cooperative rosse in caduta di fatturato e di lavoro, la città appare sfilacciata e non più come roccaforte del benessere e della bonomia, ma un laboratorio per soluzioni d’importazione anti umane che trovano terreno fertile in una Sinistra che ha come unico collante il laicismo esasperato, cullato dai centri di potere rappresentati dalle associazioni gay and lesbian friendly, mai così potenti come sotto la statua del Nettuno. La presa di posizione del sindaco mostra la vera faccia della Sinistra attuale. Una faccia tenuta nascosta per meri calcoli utilitaristici quando appena un mese fa sindaco e cardinale hanno difeso con forza il contributo del Comune alle scuole paritarie che un referendum, promosso guarda caso dagli stessi che poi sono scesi in piazza sabato per gay e drag queen, voleva eliminare. Solo che Caffarra ha difeso quel contributo secondo il principio di sussidiarietà, il primo cittadino evidentemente lo ha fatto non per la difesa della libertà d’educazione, ma solo per far quadrare il bilancio a fine mese.

Da solo sta Caffarra, dunque. Abbandonato da quei cattolici del Pd che da 20 anni si prestano a stampella di una Sinistra che difficilmente avrebbe potuto governare da sola. Pochissimi i consiglieri Pd che si sono schierati a difesa del porporato. Molte le critiche e le ironie. Così come nessuno ha cercato di frenare l’isterica risposta di Franco Grillini, presidente emerito di Arcigay che ha rimproverato Caffarra per il rogo di migliaia di omosessuali nel corso della storia! Tacciono i Prodi e i cattolici adulti della scuola di Bologna voluta da Dossetti, fautori di quella alleanza politica che negli anni ha accontentato e sistemato carriere grazie ai voti di tanti cattolici, ma che in cambio ha restituito l’immagine di un pastore solo di fronte alla violenza forcaiola della dittatura omosessualista.

Lumen Fidei. L’enciclica di papa Francesco e Benedetto XVI sarà presentata venerdì

Lumen Fidei. L’enciclica di papa Francesco e Benedetto XVI sarà presentata venerdì

da www.tempi.it

Papa Francesco ha integrato il testo scritto prima della fine del suo pontificato da Benedetto XVI. È un documento «breve e forte»

papa-francesco-benedetto-xviSi chiama “Lumen fidei”, la luce della fede, e sarà presentata venerdì prossimo in Vaticano. La prima enciclica di papa Francesco, che ha integrato un testo cominciato da Benedetto XVI è pronta, così come le traduzioni nelle diverse lingue. Secondo quanto dichiarato dal direttore della Sala stampa, padre Federico Lombardi, sarà uno scritto «non lungo nell’estensione» ma «forte». Si pensava che la pubblicazione sarebbe avvenuta in autunno, in concomitanza con la chiusura dell’Anno della Fede, il prossimo 24 novembre e invece Bergoglio ha anticipato tutti.

TRILOGIA. L’enciclica sarà presentata dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione dei Vescovi e molto legato a Ratzinger, con cui ha condiviso l’esperienza della rivista Communio. Con lui, il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il tedesco Gerhard Ludwig Müller e monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. “Lumen fidei” chiude la trilogia di encicliche dedicate alle virtù teologali, aperta nel 2005 con la “Deus caritas est” e proseguita due anni più tardi con la “Spe salvi”.

SCRITTA A QUATTRO MANI. Inizialmente si pensava che l’enciclica sarebbe stata pubblicata prima del 28 febbraio, quando si è chiuso il pontificato di Benedetto XVI, ma poi è filtrato che lo scritto non era ancora completato. Una volta diventato Papa, Francesco ha preso il testo incompiuto del predecessore, ne ha parlato con Ratzinger e ha deciso di completarlo, mantenendo quanto già scritto per farlo uscire il prima possibile.

Un Rabbino dal Sudafrica ad Auschwitz

Un Rabbino dal Sudafrica ad Auschwitz

Rabbi Bryan Opert racconta la sua esperienza alla Celebrazione sinfonico-catechetica del Cammino Neocatecumenale: “Un ponte di amore e riconciliazione fra Ebrei e Cattolici”

da www.zenit.org di Marco Cavagnaro

L’iniziativa di dialogo fra Cattolici ed Ebrei intrapresa dal Cammino Neocatecumenale attraverso la nascita dell’Orchestra Sinfonica e del Coro e l’esecuzione della celebrazione sinfonico-catechetica de “La Sofferenza degli Innocenti”, sta contribuendo a rinnovare e rafforzare le relazioni fra la Chiesa Cattolica e il popolo Ebraico in tutte le parti del mondo. Il recente evento dell’esecuzione della Sinfonia di fronte alla “Porta della Morte” del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, alla presenza di 6 cardinali, 50 vescovi, 35 rabbini da tutto il mondo e 15.000 persone, ha stimolato il dialogo e la reciproca conoscenza dei mondi Cattolico ed Ebraico coinvolgendo anche le comunità del Cammino Neocatecumenale del Sudafrica, che hanno avuto l’onore di poter invitare Rabbi Bryan Opert, della sinagoga di Milnerton, all’evento Auschwitz. ZENIT lo ha intervistato.

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Rabbi Opert, cosa la ha colpita principalmente della celebrazione Sinfonico-catechetica ad Auschwitz?

Rabbi Opert: Devo dire che la sinfonia è stata fantastica. Il momento che però mi è rimasto maggiormente impresso è stato quanto la preghiera dello Shemá Israel – Ascolta Israele è stata eseguita dall’orchestra e cantata in coro da tutti i 15.000 pellegrini accorsi qui da ogni parte d’Europa. Pregare lo Shemá insieme a tutte queste persone è qualcosa che in tutta la mia vita non avevo mai sperimentato. Qualcosa che va oltre la semplice gioia o tristezza, si è trattato di un sentimento più grande, che mi ha superato.

Come vive lei oggi le relazioni fra Ebrei e Cattolici?

Rabbi Opert: Personalmente sono testimone nella realtà Sudafricana di un grande interesse del mondo cristiano per la religione Ebraica. Molti cristiani vengono da noi chiedendo di poter approfondire le radici della loro fede. Partecipare a questo evento ad Auschwitz per me è stato una conferma che stiamo vivendo un momento speciale nelle relazioni fra Ebrei e Cattolici. Sono rimasto impressionato, al termine del concerto, nel guardare le migliaia di persone che lasciavano l’area del concerto, camminando lungo quei binari che un tempo portavano alla morte. Tutte quelle persone, la maggioranza delle quali cattoliche, vedendo che sono un Rabbino mi sorridevano e salutavano con grande amore ed allegria. Ricevere questa testimonianza di amore, proprio in quel luogo in cui poco più di 70 anni fa si consumava la tragedia della Shoah, mi ha profondamente colpito.

Cosa avvicina oggi maggiormente la comunità Ebraica a quella Cattolica?

Rabbi Opert: Oggi, specialmente nei paesi dove la Chiesa Cattolica è una minoranza, come nel Sudafrica, ci troviamo di fronte alle stesse sfide. Siamo una minoranza religiosa nel mezzo di un mondo secolarizzato, e dobbiamo dare una testimonianza sempre più autentica della nostra religione per poterla trasmettere alla prossima generazione. Mi ha colpito in particolare come il Cammino Neocatecumenale dedichi molta attenzione alla formazione degli adulti, e questa è una sfida che abbiamo anche noi. Molte persone infatti, per via della loro professionalità e preparazione, interagiscono con il mondo secolarizzato a un livello elevatissimo, ma al tempo stesso non sono capaci di vivere la propria religione con la stessa profondità e conoscenza. Questo può portarli ad allontanarsi dalla comunità, o a perdere interesse. Dobbiamo saper dar una risposta a questa loro sete!

La riscoperta delle radici giudaiche è centrale nell’esperienza del Cammino Neocatecumenale, in special modo per quanto riguarda la trasmissione della fede ai figli…

Rabbi Opert: Mi ha infatti colpito molto sentire Kiko Arguello parlare dell’importanza della difesa della famiglia Giudeo-Cristiana. I principi fondamentali per i quali stiamo ‘lottando’ sono molto simili: fondamenta familiari solide, un senso da dare alla vita e un’esistenza centrata sulla spiritualità.

Lei in questi giorni ha potuto incontrare anche personalmente Kiko e diversi altri Rabbini e membri della comunità Cattolica. Cosa le è rimasto di questi incontri?

Rabbi Opert: Non posso terminare quest’intervista senza parlare della personalità di Kiko. È raro incontrare un uomo così umile, e per me ha incarnato quest’umiltà in tutte le sue dimensioni. In un mondo così impressionato dai titoli e dalle sigle che seguono o precedono un nome, Kiko rappresenta un’anomalia assoluta. All’inizio pensavo ‘Kiko’ fosse un titolo, e solo in seguito ho scoperto essere il suo nomignolo, con il quale viene chiamato da tutti. Per essere l’iniziatore di un Cammino con più di un milione di aderenti, è un uomo estremamente accessibile. Ho sentito un desiderio incredibile di ringraziarlo di persona, e ho potuto camminare tranquillamente verso di lui, avvicinarlo ed esternargli i miei sentimenti di gratitudine.

“Nostalgia” e “curiosità” ci intrappolano nel peccato

“Nostalgia” e “curiosità” ci intrappolano nel peccato

Durante l’omelia a Santa Marta, papa Francesco esorta ad essere “coraggiosi nella nostra debolezza” per proseguire lungo la strada del Signore

da www.zenit.org di Luca Marcolivio

Fuggire dal peccato, lasciandoselo alle spalle senza “nostalgia”. Su questo non facile tema, papa Francesco ha articolato la sua omelia durante la messa mattutina a Santa Marta.

Alla funzione hanno partecipatoun gruppo di sacerdoti e collaboratori del Tribunale della Penitenzieria Apostolica, un gruppo della Pontificia Accademia Ecclesiastica e, in qualità di concelebranti, il cardinale Manuel Monteiro de Castro e monsignor Beniamino Stella.

Nelle situazioni “difficili” o “conflittuali”, ha spiegato il Papa, gli atteggiamenti ricorrenti sono quattro: il primo è quello della “lentezza” che si riscontra in Lot, protagonista della Prima Lettura di oggi (Gen 19,15-29).

Quando l’angelo gli consiglia di abbandonare la sua città distrutta, Lot lo fa ma è troppo titubante: in lui, infatti, c’è “l’incapacità del distacco dal male, dal peccato”. Per questo motivo Lot si mette perfino a negoziare con l’angelo.

Sebbene dalle situazioni peccaminose spesso sia difficile tirarsi fuori, il Signore ci dice sempre: “Fuggi! Tu non puoi lottare lì, perché il fuoco, lo zolfo ti uccideranno”.

Chi ha seguito alla lettera questo principio è stata, ad esempio, Santa Teresa del Bambino Gesù, la quale riconosceva che, in certe tentazioni “siamo deboli e dobbiamo fuggire”: si tratta, tuttavia, di una fuga “per andare avanti, nella strada di Gesù”, ha sottolineato il Santo Padre.

L’angelo, poi, dice a Lot di “non guardare indietro” e di vincere la nostalgia del peccato in cui cadde il popolo di Dio nel deserto che arrivò a provare “nostalgia delle cipolle d’Egitto”, dimenticando che quelle cipolle venivano servite “sulla tavola della schiavitù”.

Va quindi vinta la tentazione della curiosità che, nelle situazioni di peccato, “non serve” e “fa male”, ha ammonito il Pontefice.

C’è una terza tentazione da vincere ed è quella della “paura”, che ghermisce gli Apostoli durante una tempesta sul mare di Tiberiade (cfr. Mt8,23-27). In preda al terrore, esclamano: “Salvaci signore, siamo perduti!”. Anche “avere paura di andare avanti sulla strada del Signore”, è una “tentazione del demonio”. La paura, però, “non è un buon consigliere” e più volte anche Gesù lo ribadisce, ha osservato il Santo Padre.

Il quarto atteggiamento davanti al peccato è quello virtuoso ed è “la grazia dello Spirito Santo”. Cosicché, davanti al peccato, alla nostalgia, alla paura, dobbiamo rivolgerci a Dio con queste parole: “Signore, io ho questa tentazione: voglio rimanere in questa situazione di peccato; Signore, io ho la curiosità di conoscere come sono queste cose; Signore io ho paura”.

A salvarci è sempre “lo stupore del nuovo incontro con Gesù”, ha detto papa Francesco. Pur nella nostra debolezza “non siamo ingenui né cristiani tiepidi, siamo valorosi, coraggiosi”, ha osservato.

Mantenendoci “coraggiosi nella nostra debolezza”, dobbiamo tenere duro, non farci prendere da una “cattiva nostalgia”, né dalla paura, guardando sempre il Signore, ha poi concluso Francesco.

Lumen Fidei. L’enciclica di papa Francesco e Benedetto XVI sarà presentata venerdì

Il Papa buono santo entro l’anno

“Guarì una religiosa in fin di vita”. La canonizzazione sarà contemporanea a Wojtyla

ANDREA TORNIELLI
da Vatican Insider

Papa Giovanni XXIIIWojtyla «santo subito» ma insieme a Giovanni XXIII, il «papa buono». Questa mattina in Vaticano si riuniscono i cardinali e vescovi membri dell’«ordinaria» della Congregazione dei santi, per esaminare vari dossier prima dell’inizio dell’estate. Tra questi il miracolo attribuito all’intercessione del beato Giovanni Paolo II, l’istantanea guarigione di una donna. L’ultimo decisivo passo prima del sigillo finale di Francesco, che porterà alla canonizzazione, in tempi record, del Pontefice polacco beatificato due anni fa.

Ma a sorpresa, i cardinali e vescovi dovranno discutere anche di un altro dossier, aggiunto negli ultimi giorni: quello della canonizzazione di Giovanni XXIII, il Papa che ha convocato il Concilio Vaticano II, morto nel giugno di cinquant’anni fa e beatificato nel 2000. Una svolta non prevista, che attesta la volontà di celebrare insieme le due santificazioni, portando all’aureola e al culto universale sia il Pontefice bergamasco, sia Giovanni Paolo II.

La data più probabile per la cerimonia durante la quale Roncalli e Wojtyla potrebbero venire canonizzati è il prossimo dicembre, subito dopo la conclusione dell’Anno della Fede, dato che l’iniziale ipotesi di ottobre sembra sempre meno realizzabile per mancanza di tempo e problemi organizzativi. Il cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle cause dei santi, dopo la decisione presa questa mattina, incontrerà Francesco e nel giro di qualche giorno la notizia dei due Papi santi potrebbe essere definitivamente ufficializzata.

Era stato Wojtyla, nel settembre 2000, durante il Giubileo, a proclamare beato Giovanni XXIII, unendo nella stessa celebrazione anche la beatificazione di Pio IX, l’ultimo Papa re. In quella occasione, a portare Roncalli verso il primo gradino degli altari, era stato il miracolo della guarigione, avvenuta nel 1966, di suor Caterina  Capitani.

Com’è noto secondo le norme canoniche, per la canonizzazione è necessario il riconoscimento di un secondo miracolo, avvenuto dopo la beatificazione. Negli ultimi tredici anni sono state varie le segnalazioni di grazie e di presunti miracoli attribuiti a l’intercessione di Roncalli, ma fino a qualche tempo fa non si era saputo che uno di questi avesse passato il vaglio delle consulte mediche e dei teologi della «fabbrica dei santi» vaticana. È dunque possibile che si sia deciso di accorciare i tempi. Il Papa ha infatti la possibilità, se vuole, di derogare anche al riconoscimento del miracolo e procedere comunque a una canonizzazione dopo aver sentito il parere dei cardinali della congregazione. Erano le 19.49 del 3 giugno 1963 quando la folla presente in piazza San Pietro vedendo accendersi le luci della stanza da letto dell’appartamento papale apprendeva della morte di Giovanni XXIII. In meno di cinque anni l’anziano prelato bergamasco, eletto come Papa «di transizione», era entrano nel cuore del mondo, per la semplicità dei suoi gesti e delle sue parole. Le visite al carcere di Regina Coeli e ai piccoli ammalati del Bambin Gesù, le uscite in visita alle parrocchie, lo avevano reso popolarissimo. La storica decisione di convocare un Concilio ecumenico ha cambiato il volto della Chiesa, anche se Roncalli non ne avrebbe visto la conclusione, riuscendo a concludere soltanto la prima delle quattro sessioni conciliari.

Fu a Concilio ancora aperto che diversi vescovi proposero si proclamare Giovanni santo per acclamazione. Il suo successore, Paolo VI, preferì seguire le vie canoniche, facendo aprire un formare processo canonico e volendo affiancare a Roncalli anche il predecessore Pio XII.