Quebec, non si assiste più chi tenta il suicidio

Quebec, non si assiste più chi tenta il suicidio

Benedetta Frigerio

Il Collegio dei medici si è visto costretto a pubblicare nuove linee guida: «Da un punto di vista morale, il dovere di agire per salvare la vita del paziente si fonda sui principi di fare il bene e non fare il male»

Dopo aver legalizzato l’eutanasia, il Quebec è costretto a correre ai ripari. Se la legge è entrata in vigore solo a dicembre, è dal giugno del 2014 che l’omicidio su richiesta (anche dei pazienti con fragilità psicologiche) è passato al Parlamento, che ha dato 17 mesi di tempo ai medici per prepararsi alla rivoluzione.

CASI ALLARMANTI. In questo arco temporale si sono verificati degli episodi che hanno allarmato il Collegio dei medici del Quebec, fino a portarlo a varare delle nuove linee guida etiche in cui si ricorda al personale sanitario che bisogna salvare la vita ai pazienti che cercano di suicidarsi. Yves Robert, segretario del Collegio, ha dichiarato al National Post che un numero indefinito di medici ha interpretato il tentato suicidio in modo arbitrario come un’implicita richiesta di rifiuto delle cure.

«FARE IL BENE, NON IL MALE». Data la legalizzazione dell’eutanasia, l’interpretazione non è così insensata. Eppure Robert ha sottolineato che, «da un punto di vista morale, questo dovere di agire per salvare la vita del paziente, o di prevenire gli effetti di un intervento troppo tardivo, si fonda sui principi di fare il bene e non fare il male e su quello di solidarietà», per cui non intervenire «sarebbe una negligenza». Il Collegio dunque afferma quanto viene negato dalla legge sull’eutanasia, riconoscendo che esistono principi etici oggettivi a cui le procedure si devono attenere. E ricorda anche che potrebbero essere necessari dei trattamenti psichiatrici, perché «il riconoscimento della sofferenza psichica può permettere a una persona che si vuole uccidere di ripensare differentemente alla sua vita».

OLTRE 1.000 SUICIDI. Facendo emergere il problema, il direttore del Poison Control Center del Quebec, Maude St-Onge, ha spiegato che in pronto soccorso i medici spesso non sanno come procedere con chi ha provato a uccidersi. In molti casi di tentato suicidio tramite avvelenamento, l’autore poteva essere salvato facilmente senza ripercussioni per la sua salute futura. Ma questo non è stato fatto. E i casi potrebbero non essere pochi dato che in Quebec più di mille persone ogni anno si suicidano.

Fonte: www.tempi.it

Educazione sessuale svizzera: l’orco in classe

Educazione sessuale svizzera: l’orco in classe

di Tommaso Scandroglio da www.lanuovabq.it

 

Sex box. Non si tratta di qualche gadget acquistabile in un sexy shop, bensì di un kit “formativo” destinato alle maestre di asilo di alcune zone della Svizzera per svolgere lezioni obbligatorie di educazione sessuale a detrimento dei bambini in età prescolare.

Per ora l’esperimento riguarda solo il Canton Basilea e alcuni comuni di Appenzello e San Gallo ma nel 2014 tali corsi potrebbero estendersi alla Svizzera tedesca, a quella francofona e al Canton Ticino, a due passi da casa nostra.

L’iniziativa è dell’Ufficio federale della sanità pubblica in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione. Sul sito dedicato da questo Ufficio all’educazione sessuale (amorix.ch) alla voce “Nozioni di base” si cita l’estratto di un documento dell’International Planned Parenthood Federation, una delle principali agenzie internazionali filo-abortiste al mondo, in cui si spiega che “l’educazione sessuale come approccio basato su diritti fornisce ai giovani le conoscenze essenziali, le capacità, le competenze e i valori di cui hanno bisogno per conoscere la loro sessualità, provando piacere fisico, psichico ed emozionale”. Il solito concetto di sessualità come ricerca “responsabile” del piacere, avendo cura di tenere fuori dall’amplesso il figlio e pure l’affetto per l’altro partner.

Sempre sul sito, alla voce “Educazione”, si chiarisce – in un traballante italiano – che per l’infanzia “l’educazione sessuale dovrebbe essere parte integrante dell’educazione primaria, poiché i bambini sono esseri sessuali dalla nascita con bisogni, desideri, atti sessuali e le esperienze che ne derivano”. L’espressione “esseri sessuali” rimanda al mondo animale e, intesi come animali, i bambini non possono che vivere di bisogni e impulsi da soddisfare.

Poi si forniscono indicazioni pratiche in merito all’educazione sessuale dei bambini in età infantile: “Si gioca al dottore. Comincia una piacevole esplorazione del proprio corpo. Si fanno giochi di ruolo: famiglia, sposarsi, baci, eventualmente rapporti sessuali. Cominciano le amicizie intime”. Tra i contenuti proposti troviamo “Percepire il corpo in modo ludico” e “Disegnare le parti del corpo, inclusi gli organi sessuali”.

Per i più grandicelli, circa dai 6 ai 10 anni, si parlerà tra gli altri argomenti di masturbazione, di preservativi, di orientamento sessuale e infine di “prima mestruazione, prima eiaculazione”. Curiosa accoppiata questa, quasi che la prima eiaculazione fosse cosa necessaria e naturale come il primo mestruo. Poi si suggerisce agli educatori di tenersi pronti per rispondere alle classiche – secondo loro – domande dei bambini tra cui: “Quando si è maturi per ‘scopare’ [sic]?”. I bambini svizzeri devono essere particolarmente – diciamo così – disincantati se fanno domande di questo tenore oppure i cervelloni dell’Ufficio della sanità pubblica hanno qualche problema di devianza.

Per i 13-15 anni si metterà a tema la contraccezione, l’aborto, la “molteplicità sessuale (omosessualità, eterosessualità, bisessualità)”. Tenersi pronti poi a risponde a domande piccanti quali: “Anche le ragazze possono avere ‘sogni bagnati’ [sic]?; Come raggiunge un orgasmo una ragazza? Come si diventa un buon amante? Di che misura è mediamente un pene? Qual è la posizione migliore nel fare sesso? Quante ce ne sono? Che cosa si fa con un vibratore? Come ci si accorge che il sesso è soddisfacente? Come ci si accorge che anche lui/lei lo desidera? Ingoiare lo sperma fa ingrassare?”. Agli educatori viene consigliato non di rispondere in modo astratto, bensì attingendo alla propria e personale “biografia (sessuale)”. A questa età poi si parlerà di “pianificazione familiare”, “costituire una coppia, viverla e la fine della stessa (morale della negoziazione [sic])” e di “Molteplicità sessuale / anche intersessualità e transessualità”.

Naturalmente in questo progettino horror sull’educazione sessuale manco l’ombra di un accenno a temi quali la castità, la donazione di sé, il valore della procreazione e l’affettività.

Torniamo al sex-box, uno degli strumenti di questa campagna “educativa” per l’infanzia. In esso troviamo oggetti quali peni di legno e in gomma piuma, vagine di pelouche (clicca qui se vuoi vedere un esempio di sex-box); poi manuali dove si spiega che i bambini devono essere incoraggiati a toccarsi, a giocare nello scoprire l’uno il corpo dell’altra. Come “sussidiario” viene anche usato il libro “Lisa und Jan” che sotto forma di vignette e fumetti contiene immagini a dir poco esplicite: c’è una bambina che si masturba mentre un’altra l’osserva e la imita; un bambino masturba un altro; un terzo che si tocca sotto le lenzuola mentre con una torcia elettrica illumina le parti intime; una donna che infila un preservativo ad un uomo; una bambina in piedi che si solleva l’abitino e mostra il sesso ad un suo compagno lì inginocchiato davanti a lei  e un’altra che si fa la doccia e indirizza il getto d’acqua verso il pube; due bambini che si abbracciano nudi e un altro che spia dalla finestra i genitori mentre hanno un rapporto sessuale; una donna che partorisce, il tutto disegnato in modo assai realistico. Da notare: in tutte queste immagini gli organi sessuali sono sempre ben visibili e nulla è lasciato all’immaginazione del piccolo lettore. C’è poco da dire: è solo pedopornografia di Stato. Pura macelleria sessuale da far ingoiare ai bambini come se fosse un omogeneizzato. Né più né meno.

La Fondazione svizzera per la protezione dell’infanzia ha giudicato invece il libro “Lisa und Jan” adatto per i bambini dai 5 anni in su. Non stupisca questo giudizio: la Fondazione è essa stessa autrice di un libro per bambini dagli zero ai 6 anni che incoraggia l’autoerotismo e il gioco del dottore.

C’è anche il libro “Questo sono io. Dalla testa ai piedi” in cui si vedono, sempre tramite vignette colorate, due uomini guancia a guancia e poi una donna che bacia sulla guancia un’altra.

Pierre Felder, direttore per il Ministero della Pubblica Istruzione delle scuole primarie e secondarie, dopo le polemiche accese dal sex box, ha pensato di buttare acqua sul fuoco, non accorgendosi che invece l’acqua era benzina: “I modelli di organi sessuali di peluche […] non verranno in nessun caso mostrati ai bambini dell’asilo […] ma solo nelle scuole medie.” In effetti un bambino di 11 anni sembra proprio essere pronto per passare dall’orsacchiotto di pezza ad un altro tipo di pelouche. E il resto del materiale porno-didattico, caro dott. Felder?

Questo progetto di educazione sessuale elvetica si muove lungo le direttrici disegnate dal documento della sezione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dal titolo “Standards for Sexuality Education in Europe”, di cui questo giornale si era occupato pochi giorni fa nell’articolo “l’Oms gioca al dottore con i bebè”: anche lì si parlava di masturbazione infantile e del gioco del dottore.

Molti genitori naturalmente sono insorti dato che le lezioni, come accennato, sono obbligatorie. Religione è materia facoltativa, la pornografia invece no. E’ partita anche una petizione popolare che ha raccolto sino ad oggi 92mila firme che verranno presentate alla Conferenza dei direttori cantonali dell’educazione.

Una volta ai bambini si leggevano le favole con principi azzurri, principesse e orchi. Oggi i principi e le principesse sono rimaste nelle fiabe, mentre gli orchi sono usciti dai libri e vivono in mezzo ai nostri figli.

Ratzinger drag queen? Denunciato GayStatale

Ratzinger drag queen? Denunciato GayStatale

di Gianfranco Amato da www.lanuovabq.it

GayStatale

Ci sono limiti alla decenza che quando vengono superati impongono una reazione per amore della dignità personale e della verità. Soprattutto quando l’indecenza travalica i limiti del codice penale.

Per queste ragioni i Giuristi per la Vita hanno deciso di sporgere denuncia alla Procura della Repubblica di Milano contro il vergognoso atto di vilipendio nei confronti di Benedetto XVI perpetrato dall’organizzazione studentesca Collettivo GayStatale dell’Università degli Studi di Milano.

Mediante organi di stampa nazionali e diversi siti internet, a partire da metà novembre 2013, è stata pubblicizzata la rassegna “Gay Statale Cineforum-omosessualità & religione”, promossa dallo stesso Collettivo GayStatale, la cui locandina nella quale venivano pubblicizzati gli eventi fissati per il mese di novembre del 2013 (proiezioni di film di contenuto fortemente anticattolico) effigiava il Papa Emerito Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, truccato in versione “drag queen”, sfruttando la sua oltraggiosa immagine caricaturale per promuovere eventi anti-cattolici.

La macchietta del Papa “esibizionista-omosessuale” vista in sinergia e contestualità grafica con il titolo della locandina «omosessualità & religione», ha dimostrato come l’offesa al Papa fosse stata utilizzata precipuamente come un mezzo per offendere i cattolici, nonché i princìpi e i valori cristiani.

Il disprezzo, il vilipendio ed il dileggio operati nei confronti di un Pontefice e, con esso, nei confronti degli stessi cattolici, ha peraltro originato vibrate proteste da parte dei fedeli, riportate in alcuni quotidiani nazionali, ed un commento dell’agenzia SIR, legata alla Conferenza Episcopale Italiana.

Ancor più grave risulta il fatto che l’evento sia stato persino finanziato dalla Università statale di Milano con un contributo di 4.000,00 Euro, come si evince dal verbale del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo tenutosi il 26 settembre 2012.

L’inqualificabile ridicolizzazione del Pontefice, raffigurato come una macchietta omosessuale e truccato come un fenomeno da baraccone, ha indotto il 19 novembre 2013 la Commissione dell’Università degli Studi di Milano incaricata di selezionare e ammettere al finanziamento i progetti di attività culturali presentati dalle associazione studentesche, a decidere, con voto unanime, lo stralcio dal finanziamento erogato al Collettivo Gay Statale per l’anno accademico in corso, della parte destinata a coprire le spese sostenute per la realizzazione della locandina dedicata al “Gay Statale Cineforum-omosessualità & religione”.

Con una nota pubblicata in data 20 novembre 2013, i responsabili dello stesso Collettivo GayStatale, ha riconosciuto pubblicamente di aver commesso una grave offesa al sentimento religioso, dichiarando di «assumersi l’intera responsabilità» dell’increscioso accaduto.

I Giuristi per la Vita hanno, quindi, deciso di sporgere denuncia alla competente Autorità Giudiziaria per il reato di offese ad una confessione religiosa mediante vilipendio di persone, previsto e punito dall’art.403 del Codice Penale.

Gli studenti del Collettivo GayStatale impareranno, così, che per diventare adulti non basta dichiarare di «assumersi l’intera responsabilità» dei propri atti. Occorre anche pagarne concretamente le conseguenze.

Stop giochi Stop crisi

Stop giochi Stop crisi

Il gioco d’azzardo è la causa principale della crisi economica italiana, ma non si può assolutamente dire

di Alberico Cecchini da http://www.ioacquaesapone.it

L’Italia è un Paese davvero incredibile. Nonostante sia assillato da molti dei problemi tipici dei Paesi sottosviluppati, continua a essere uno dei Paesi più ricchi del mondo. Ma ancora per quanto?
A veder bene, l’Italia ha tuttora un’enorme potenzialità di reazione e crescita, ma a causa di questi problemi oggi è un malato gravissimo, a rischio di vita. Da anni ci confondono con il paravento dell’Ici o dell’Imu sulla prima casa come se fossero le questioni principali dell’economia italiana, ma stiamo parlando di cifre inferiori ai 4 miliardi. Forse per non parlare di ciò che conta davvero. Infatti, le principali cause dello stato patologico dell’economia italiana sono l’altissimo costo della corruzione politica (60 miliardi l’anno), degli interessi sul debito pubblico (60 miliardi l’anno), dell’evasione fiscale (150 miliardi l’anno), della spesa pubblica, poco produttiva e non trasparente, la presenza della criminalità organizzata, la giustizia troppo lenta, che è la principale causa della caduta degli investimenti stranieri in Italia (-12,5 miliardi nel 2012).

Per tutti questi punti non abbiamo rivali in Europa, siamo i numeri uno! Ma c’è un altro punto in cui addirittura siamo al primo posto nel mondo a livello pro-capite: il gioco d’azzardo. Una rivoltella puntata contro le famiglie e l’economia italiana che sta bruciando una ricchezza immensa e portando il paese al suicidio. Quasi 100 miliardi nel 2012, oltre 1.600 euro a persona. Significa il 12% dei consumi complessivi degli italiani, un fiume di denaro sottratto agli acquisti, alle cure mediche, ai viaggi, a ogni altro settore sano dell’economia. Ci potevamo comprare auto, libri, cibo, relax e un’infinità di prodotti e sostenere l’occupazione. E, invece, chi governa ha innescato e continua a diffondere uno dei peggiori virus in circolazione. Ormai è un’epidemia. Il tesoro sperperato dal 2004 ad oggi raggiunge i 500 miliardi di euro. L’azzardo (legale) era la terza industria della nazione nel 2011, dopo Eni e Fiat, stando alle stime di alcuni osservatori.

Il gioco d’azzardo è un vampiro (come potremmo definirlo meglio?) che sta prosciugando il conto di milioni di famiglie e, se non viene fermato subito, fra pochi mesi potrebbe essere già troppo tardi. Se non si tampona questa emorragia, ogni ipotesi di ripresa è destinata a fallire. Infatti, ogni anno, questi circa 100 miliardi di euro che vengono bruciati nel fuoco dell’azzardo in gran parte non rientrano nell’economia reale, ma vengono sottratti da questa per scomparire, nei mercati finanziari e nei paradisi fiscali. L’industria dell’azzardo è infatti sterile, assorbe risorse senza alimentare sviluppo. «Il consumo di gioco d’azzardo è un moltiplicatore negativo dell’economia che estrae valore anziché creare valore», spiega il Professor Maurizio Fiasco, studioso del fenomeno e consulente della Consulta Nazionale Antiusura.
Vietando ogni gioco, potremmo recuperare anche fino a 40/50 miliardi, una cifra astronomica che gli italiani potrebbero spendere in auto, vestiti, case, ristoranti, facendo ripartire immediatamente l’economia italiana. Questo riporterebbe il Pil in crescita, dopo anni di negativo, con un effetto di fiducia e di ripresa dei consumi anche da parte di chi ha possibilità di spendere, ma per paura ha stretto la cinghia. Un altro effetto potentissimo sarebbe il calo deciso dello spread, che ci farebbe risparmiare qualche altra decina di miliardi all’anno per abbassare le tasse. Queste variazioni attiverebbero un circolo virtuoso di crescita che gli economisti conoscono bene, un ciclo di espansione economica pluriennale non drogata da bolle monetarie e inflazione.
Quindi l’intervento deve essere deciso e drastico: vietare immediatamente ogni tipo di gioco di azzardo, slot, concorsi, gratta e vinci, lotterie, scommesse. Ecco come può ripartire l’Italia, bloccando l’emorragia di liquidità e riportando un flusso immenso di denaro nell’economia reale. Denaro che farà crescere i consumi di beni e servizi e quindi l’occupazione e i profitti di aziende e negozi. Questa ovvia verità non può raccontarla praticamente nessun grande giornale o televisione, tutti appartengono a logiche politiche legate a doppio filo alle lobby dell’azzardo. La politica si è divisa la torta del “gioco”, un fetta per uno in proporzione del suo peso.

Perché allora quella scelta folle, pochi anni fa, di introdurre i giochi di azzardo su così grande scala? Per motivo ufficiale fu spacciato quello della crescita delle entrate fiscali e del controllo dell’illegalità. Ci avevo creduto anche io e seppur inorridito da uno Stato che diventava tentatore e imbroglione, consideravo questi giochi come modi per far pagare più tasse in maniera volontaria a chi voleva. Ma oggi, vedendo l’esiguità di questi introiti fiscali effettivi, emerge incontestabile la vera e propria truffa ai danni del popolo italiano, di dimensioni mostruose, con la responsabilità totale di tutte le principali forze politiche, già molto esperte in furbissime “larghe intese”.

Una perizia delle Fiamme Gialle aveva quantificato in 98 miliardi il possibile danno causato dalle scorrettezze tecnico-contabili adottate dai concessionari delle slot. I marchingegni sanguisuga devono essere collegati ad un cervellone elettronico che automaticamente li controlla e calcola le tasse su ogni giocata. Ma la Guardia di Finanza aveva “scoperto” che migliaia di slot machines, la maggior parte, non erano mai state collegate al cervellone dei Monopoli di Stato. Il Procuratore della Corte dei Conti ha chiesto di far pagare a 10 concessionari di slot la mega-multa di 98 miliardi. Quei 98 miliardi sono poi divenuti 2,5 durante il processo. Questi poi si erano ridotti a circa 600 milioni di euro, ma il governo, e con lui anche il Parlamento, ha approvato un ulteriore emendamento per fare altri 100 milioni di sconto. Una vergogna senza fine: su 297 deputati del Pd solo 8 hanno votato no. Ecco i loro nomi: Lorenzo Basso, Bobba Luigi, Bragantini Paola, Cani Emanuele, Coppola Paola, Donati Marco, Senaldi Angelo, Tullio Mario, oltre a qualcuno che ha deciso di uscire dall’Aula per non prendere parte al voto.

Atlantis Bplus Giocolegale, con sede nelle Antille Olandesi, un paradiso fiscale, è una potenza del gioco in Italia con un giro d’affari di oltre 30 miliardi. Titolare effettivo di questa azienda è Francesco Corallo, il ‘re delle slot’, che è stato latitante per 14 mesi e figlio di Gaetano, condannato a 7 anni e mezzo di reclusione e considerato vicino al boss mafioso Nitto Santapaola. Francesco Corallo è in affari anche con il figlio di Dell’Utri sempre nel settore delle slot machines. Azzardo e riciclaggio sono fenomeni che da spesso, e da sempre, si sovrappongono per ripulire i capitali criminali, sostiene Mario Turla, consulente delle banche per l’antiriciclaggio: «È un cancro che attacca la società legale e come tale va capito e combattuto, se non si vuole soccombere».

I crimini d’odio contro i cristiani in Europa. I numeri e i casi nel rapporto Osce

I crimini d’odio contro i cristiani in Europa. I numeri e i casi nel rapporto Osce

L’Europa centrale è la più colpita da atti di odio contro i cristiani. Nel solo 2012 ci sono state 89 profanazioni di chiese in Ungheria, 74 in Austria e 35 in Germania 

da www.tempi.it

«C’è un’ondata di crimini d’odio contro i cristiani e la Chiesa cattolica in Europa». Le parole del sociologo torinese Massimo Introvigne, segnalate da tempi.it la scorsa primavera, sono confermate dai dati del rapporto annuale sui crimini d’odio redatto dall’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). I fatti, segnalati da strutture governative, Ong e dalla Santa Sede riguardano il più delle volte «vandalismo e profanazione contro luoghi di culto, cimiteri e monumenti religiosi».

BOSNIA-ERZEGOVINA. In Bosnia-Erzegovina la Santa Sede segnala un’aggressione fisica contro una suora, un caso di minacce, una chiesa deturpata con graffiti, due casi di danni contro una scuola e una contro un’automobile, otto profanazioni di chiese, cinque delle quali sono state anche derubate. La Missione Osce registra altri ventiquattro episodi di odio rivolti a simboli e luoghi cristiani, compresi i danni a venti tombe in un cimitero ortodosso e la deturpazione di una chiesa.

PAESI NORDICI. In Svezia i rapporti della polizia dell’anno scorso identificano 258 crimini fondati sull’odio contro la religione, di cui 200 nei confronti dei cristiani. Per quanto riguarda i paesi baltici, gli episodi si concentrano soprattutto in Lituania: quattro casi di incendio doloso, un caso di graffiti su una chiesa e un atto di vandalismo. In Finlandia e Norvegia i dati ufficiali delle forze dell’ordine non distinguono fra religioni: in Finlandia si parla di cinquantadue crimini anti-religiosi, in Norvegia di trentanove.

FRANCIA E GERMANIA. In Francia, la Santa Sede segnala quattro casi di profanazione di tombe (oltre 130, quelle coinvolte) e la dissacrazione di una chiesa. L’Osservatorio sulla intolleranza contro i cristiani aggiunge al conto un incidente in cui sono state vandalizzate icone cristiane in luoghi pubblici, tre attacchi incendiari contro le proprietà della Chiesa cattolica, tra cui uno nei confronti di un presepe e due contro una chiesa, inoltre dodici episodi di vandalismo, tre di furto, quattro episodi di dissacrazione di cimiteri. In Germania, i dati delle forze dell’ordine segnalano 414 crimini basati su pregiudizi contro la religione, di cui diciotto comprendono violenze. La Santa Sede parla di quattro casi di profanazione dei cimiteri e trentacinque di profanazione di chiese, la maggior parte cattoliche, e un atto di vandalismo.

ITALIA, AUSTRIA E UNGHERIA. Anche nei paesi storicamente cattolici, la Santa Sede registra crimini fondati sull’odio anti-cristiano: in Italia, si sono verificati ventidue casi di profanazione, di cui otto con furto, e la vandalizzazione di un presepe. In Austria, nel 2012, ci sono stati tre attacchi incendiari contro le chiese, settantaquattro profanazioni, che comprendono anche cinquantacinque furti. In Ungheria, la Santa Sede segnala dieci casi di danni alle proprietà della Chiesa, ottantanove profanazioni, compresi sette furti.

Omofobia, il braccio violento della legge

Omofobia, il braccio violento della legge

di Tommaso Scandroglio da www.lanuovabq.it

Padova,

Ci sono quelli come Barilla che la lezione sull’omosessualità e la parità di genere l’hanno capita tardi e quindi devono essere successivamente rieducati tramite pubbliche scuse e strategie aziendali “inclusive”. Poi ci sono quelli che non difendono a spada tratta la famiglia naturale, però anche in loro albeggia qualche dubbietto sul fatto che due maschi possano “sposarsi” o avere un bambino. Per costoro e in ossequio al noto adagio che è meglio prevenire che curare la comunità omosessuale sta studiando dei percorsi formativi ad hoc.

Presso l’Università di Padova infatti è al via un progetto didattico chiamato “Tuttidiversi”, progetto – così si legge sul sito ufficiale – “realizzato da studenti ed ex studenti con l’associazione Antéros LGBTI Padova ed il contributo dell’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio Universitario (ESU)”. Il percorso si snoderà attraverso cinque incontri, iniziati il 14 novembre scorso e che si concluderanno il 12 dicembre. Le tematiche affrontate riguarderanno le “discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, a partire dalle quali si discuterà di lavoro, migrazioni, disabilità, famiglie, inclusione sociale, politiche locali e diritti di coppie e singoli, transessualità”. In particolare si parlerà di discriminazione “nei luoghi di studio, di lavoro e nelle amministrazioni pubbliche” e “negli ambienti sportivi”. L’omofobia è davvero democratica, riguarda tutti e tutto.

Inoltre troviamo nella locandina anche il titolo di un altro incontro: “Migranti LGBT: quali diritti e quali opportunità?”. Non serve la sfera di cristallo per intuire che in quella conferenza si illustreranno gli espedienti amministrativi perché un “matrimonio” gay celebrato all’estero o un’unione omosessuale riconosciuta fuori dall’Italia possa recare qualche vantaggio giuridico anche qui da noi. Poco sotto Natale il ciclo di incontri si concluderà con “Pluralità delle forme di famiglia”. Lasciamo all’intuito del lettore immaginare di cosa si possa trattare.

“ll percorso è patrocinato da Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri)” – lo stesso ufficio che mise a punto per il Dipartimento Pari Opportunità un documento strategico per la diffusione in Italia del credo omosessualista – e trova sostegno nella famigerata Rete Lenford (associazione Avvocatura per i diritti Lgbt). Rete che poi è stata finanziata dall’Ordine degli Avvocati di Verona per mettere in piedi il prossimo 22 novembre il convegno dal titolo “Orientamento sessuale e identità di genere nella professione e nella previdenza forense”. Davvero il tema dell’orientamento sessuale può essere appiccicato a qualsivoglia tema che viene in mente: dalle previsioni meteo alla celiachia.

Torniamo al progetto che vede interessata l’università di Padova. Desta sorpresa che tra le qualifiche dei relatori non ci sia nemmeno un docente di ruolo: né un ricercatore, né un professore associato o ordinario. Eppure le porte del prestigioso e serioso ateneo patavino, che ha visto come studenti nomi come quello di Copernico e come docenti Galileo Galilei, si sono magicamente aperte a questo ciclo di incontri. Chissà come avranno fatto nonostante il livello accademico dei relatori non sia elevato. Certo, il gol è stato fortunoso, non ha centrato la rete direttamente, tanto è vero che il luogo dove si svolgeranno gli incontri è il Dipartimento di Scienze Chimiche che con l’omosessualità c’entra come Osama Bin Laden con la pace nel mondo. Non sociologia o giurisprudenza o psicologia, ma chimica. O forse questo dipartimento invece è il luogo più consono. I movimenti omosessualisti infatti tentano con gli alambicchi della propaganda ideologica del gender di inventarsi l’uomo nuovo: neutro nel suo orientamento sessuale fintanto che il soggetto non deciderà in merito.

Iniziative come queste non sono nuove. Lo scorso anno l’Università degli Studi di Milano elargì la bella sommetta di 4.000 euro per un ciclo di conferenze e cineforum organizzato dal gruppo studentesco Gaystatale. A titolo di cronaca: le iniziative proposte dall’Associazione “Erasmus Student Network” – un rete tra studenti che studiano all’estero – non ricevettero un becco di un quattrino perché – così si legge nel verbale del Consiglio di amministrazione – “tali progetti non rientrano nelle finalità indicate nell’avviso agli studenti”.

I soldi pubblici donati al gruppo Gaystatale furono spesi anche per stampare il manifesto che pubblicizzava questi incontri, manifesto che ritraeva Benedetto XVI truccato da donna: un papa drag queen. D’altronde la parola “omofobia” ormai è usata da tempo e da molti, invece il termine “cristianofobia” è un neologismo che non ha diritto di essere proferita dalle labbra di nessuno.

Di queste iniziative per educare le masse omofobe evidenziamo, tra gli altri, un aspetto in particolare. Il fine di tante iniziative culturali non è tanto quello di affermare che l’omosessualità sia una condizione normale. Bensì il fine è la rivendicazione che l’omosessualità sia naturale. Può sembrare un finezza linguistica, ma così non è. Se andiamo a verificare le modalità attraverso cui le lobby gay cercano di sdoganare l’omosessualità vedremo che l’aspetto dialettico-bellicoso è quello che la fa da padrone (ne sono testimonianza diretta i molti incontri sul tema a carattere critico boicottati con violenza da attivisti gay).

L’omosessualità non viene presentata come se fosse una bella giornata di Maggio. Non si esaltano gli aspetti positivi dell’omosessualità, invece si mettono sotto la lente di ingrandimento i conflitti sociali che essa provoca per mano di retrivi baciapile, le presunte istigazioni al suicidio e atti di bullismo, i nemici che vogliono attentare alla libertà individuale della persona omosessuale, le condotte discriminatorie, i diritti negati, etc. Si esalta la parte destruens, non quella costruens. L’approccio è sostanzialmente marziale, altro che gaio. In questo il movimento gay paga lo scotto delle sue ascendenze hegeliane e marxiste.

In altre parole questa strategia assai fosca che poggia sulla dinamica conflittuale tra due opposti inconciliabili è roba vecchia già vista con l’asserita, ma non provata, relazione violenta tra padroni e proletari, ricchi e poveri, nord e sud del mondo, maschi e femmine, donne e famiglia, scienza e religione. Ora tocca al conflitto tra “omosessuali ed eterosessuali”, categorie che nella realtà antropologica nemmeno esistono (la persona omosessuale è un eterosessuale latitante, ebbe modo una volta di scrivere il dott. Roberto Marchesini). E l’unico modo per risolvere il conflitto non è trovare un punto di convergenza, ma obbligare il nemico – l’uomo della strada che non sapeva nemmeno che qualcuno gli aveva dichiarato guerra – alla resa totale ed incondizionata.

Le iniziative benedette anche da alcune austere università pubbliche vanno dunque nella direzione di spingere la normalità ad esporre bandiera bianca perché poi sul campo di battaglia sventoli invece un altro tipo di vessillo: la bandiera arcobaleno del movimento gay.