Venerdì della XXXIV settimana del T.O.

dal vangelo secondo Lc 21,29-33 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.

IL COMMENTO di don Antonello Iapicca

La nostra vita subisce costantemente l’attentato di milioni di parole che cercano di prendere possesso dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni. Fuori e dentro di noi si scatena una guerra ogni volta più cruenta tra le parole più disparate. E, normalmente, ne portiamo le tristi conseguenze: stanchezza psicologica, stordimento, incapacità di orientarsi e di comprendere. Uno sterminato esercito di sentenze, di opinioni, di idee si affaccia ai nostri padiglioni auricolari e si spintona violentemente per entrare. E siamo ogni volta più confusi. Politica, morale, vita, sport, parole a volontà su ogni aspetto della vita. Parole che dicono tutto e l’esatto contrario.

Ma è proprio dentro l’estrema confusione che accompagna gli stravolgimenti del mondo, in noi e fuori di noi, che possiamo ritrovare un segno, un’ancora di salvezza. Tutto passa. Tutto è destinato ad essere cancellato dal tempo. Un sms cancella immediatamente il contenuto, la “verità” del precedente. Così ogni parola è fagocitata dalla successiva, rivelandone l’assoluta provvisorietà con un ritmo incalzante. Così nella nostra vita. Affetti, lavoro, svaghi, ideali, salute, ogni cosa è precaria. Eppure proprio dentro la transitorietà di quel che viviamo alberga una certezza, qualcosa che fonda, tra i marosi, la nostra esistenza. In ogni istante della nostra vita è nascosto il Mistero Pasquale del Signore, il suo passaggio dalla morte alla vita.

Per questo proprio le rivoluzioni, i fallimenti, le sofferenze della vita, anche le esperienze più drammatiche che ci lasciano tramortiti, forse moribondi, sono un segno dell’opera di Dio. Il cielo e la terra passeranno, ma le Parole del Signore non passeranno. Mai. La sua Parola d’amore, capace di ri-crearci nella misericordia, è una Parola eterna. Lui non mente. Non tradisce. La sua Parola si compie nella nostra vita. Proprio mentre tutte le altre parole segnano il passo rivelandosi effimere e transitorie.

Così, se nella vita ogni cosa è destinata a passare, a sfuggirci, è per lasciar posto all’unica Parola che non passerà in eterno: la Parola fatta carne, il nostro Signore Gesù. Per questo, anche quello che sembra scivolare via è misteriosamente ricapitolato, risanato e come reso eterno dal suo amore. Il passare di tutto riverbera il passaggio pasquale del Signore nella storia. Il fluire delle cose è cristallizzato nel passaggio del Signore, e, misteriosamente, ciò che è corruttibile è assorbito dall’incorruttibile. Questo è il mistero della nostra vita, fatta di eventi, relazioni, storie che apparentemente scorrono via inesorabilmente e senza ritorno, mentre invece tutto è assorbito e santificato dal “passaggio che non passa”; silenziosamente, e spesso nascostamente, tutto di noi è innestato nella Pasqua del Signore nella quale ogni istante è un diadema incastonato nella corona della storia di salvezza che Dio fa con ogni uomo.

In Lui la vita perduta, e tutto quello che sembra smarrito, è ritrovato e trasfigurato. Santificato. Non si butta nulla della nostra vita, perchè dove c’è il Signore vi sono frutti che rimangono. Tutto di noi è Grazia, dono di Lui, che proprio nell’estrema precarietà rivela la nostra unica Roccia: il suo amore infinito. Le sofferenze, i problemi, le angosce, il fallire dei progetti, sono i germogli che spuntano sui rami della nostra croce, preannunciano l’estate, non la morte! Nelle parole del Signore si ode l’eco del Cantico dei Cantici; dure e crude, sono parole d’amore. E’ lo Sposo che incede, e vuole destare la sposa, accendere in lei il desiderio di Lui, e schiudere i suoi occhi in un discernimento capace di intercettare i segni del suo avvento imminente.

Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
Somiglia il mio diletto a un capriolo
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta
dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia attraverso le inferriate.
Perché, ecco, l’inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n’è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico ha messo fuori i primi frutti 
e le viti fiorite spandono fragranza.
Alzati, amica mia, 
mia bella, e vieni! 
Commentando il Cantico dei Cantici, San Gregorio di Nissa scrive: “Il fico è una pianta che, per effetto del calore, succhia in modo straordinario l’umidità che è nel profondo della terra. E siccome nelle midolla del fico si raccoglie molto umore, per necessità la natura, cuocendo gli umori nella pianta, depone giù dai rami tutta la parte inutile e terrena dell’umore. E questo processo è ripetuto parecchie volte, perchè la pianta possa al momento opportuno produrre il suo frutto genuino e nutriente, purificato di tutto quello che era inutile. Orbene, questo prodotto, che spunta in forma di frutto dalla pianta del fico  prima che si formi il vero frutto, dolce e maturo, si chiama “grosso”; anch’esso è commestibile talvolta, per chi lo vuole; ciò nonostante quello non è il frutto: i grossi sono, infatti,  preannuncio dei fichi commestibili,  e il testo dice che il fico li aveva fatti spuntare… Poichè il testo rappresenta alla sposa la primavera spirituale, e questa stagione sta al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell’estate, per questo motivo si annuncia esplicitamente che i mali sono passati, anche se non si sono mostrati ancora nella loro pienezza i frutti della virtù, ma essi sono riservati a tempo debito, allorquando sarà stabile l’estate…. Dal momento che la natura umana, in modo analogo al fico di cui qui si parla, ebbe raccolto in gran copia umore dannoso a causa di quell’inverno da noi inteso in senso spirituale, giustamente colui che produce per noi la primavera della nostra anima e con conveniente coltivazione della terra fa sì che la sostanza umana faccia spuntare i suoi alberi, innanzi tutto caccia fuori dalla nostra natura tutto quello che è terrestre e inutile… Quindi, in tal modo, fa spuntare nella nostra vita una certa impronta della beatitudine in cui speriamo per mezzo del comportamento più onesto, e preannuncia per mezzo dei “grossi”  la futura dolcezza dei fichi” (Omelie sul Cantico dei cantici, Omelia V). Gli eventi descritti dal Signore nei brani precedenti ci aiutano a riconoscere in essi i germogli che preannunciano la dolcezza dell’incontro con Lui, il premio sperato e atteso.
La Croce che ci accompagna ogni giorno attraverso gli sconvolgimenti della storia, purifica gli umori assorbiti dall’inverno degli inganni, e ci prepara ad accogliere l’estate, il Regno dei Cieli ormai vicino. Non a caso il suo avvento è descritto dal Signore come una mietitura: etimologicamente, in greco, therismós (mietitura) è collegato a theros (estate). Come scriveva San Gregorio, la nostra vita è nella primavera, nel cuore della Pasqua. Ci troviamo, ogni istante, al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell’estate; come Natanaele, israelita in cui non vi è inganno, possiamo riposare all’ombra del fico, accogliendo, scrutando e meditando la Parola che non passerà mai. E così, mossi da essa, passare dall’inverno all’estate, entrare nel Regno preparato per noi. Sì, ogni evento è un germoglio che ci ricorda l’elezione che ci ha presi dal mondo, perchè il fico è anche immagine di Israele: “guardai ai vostri padri come ai primi frutti di un fico” (Os 9,10). La storia concreta, le persone che ci sono date, tutto di noi e in noi segna la primo-genitura, il senso stesso della nostra vita, che è essere i primi frutti dell’umanità. E’ il Signore che ci chiama, giorno dopo giorno, da dietro il muro che sembra impedirci la felicità. Il muro che ci oppone il coniuge, l’amico, il collega, o la nostra debolezza fisica, la precarietà economica, la fragilità del carattere o i suoi difetti; il muro dei nostri peccati. Dietro a tutto si cela lo Sposo, innamorato e appassionato, che ci chiama ad alzarci; ci guarda con tenerezza, e ci annuncia oggi che è passato l’inverno, che la morte è vinta, che possiamo entrare negli eventi dai quali siamo sempre scappati terrorizzati. Bruciato il passato di morte nel fuoco del suo amore, possiamo correre verso l’estate che ci attende, liberi, e attirare con noi questa generazione.

Il fico ha messo i primi frutti. San Gregorio di Nissa. Omelie sul Cantico dei Cantici.

Il fico è una pianta che, per effetto del calore, succhia in modo straordinario l’umidità che è nel profondo della terra. E siccome nelle midolla del fico si raccoglie molto umore, per necessità la natura, cuocendo gli umori nella pianta, depone giù dai rami tutta la parte inutile e terrena dell’umore. E questo processo è ripetuto parecchie volte, perchè la pianta possa al momento opportuno produrre il suo frutto  genuino e nutriente, purificato di tutto quello che era inutile. Orbene, questo prodotto, che spunta in forma di frutto dalla pianta del fico  prima che si formi il vero frutto, dolce e maturo, si chiama “grosso”; anch’esso è commestibile talvolta, per chi lo vuole; ciò nonostante quello non è il frutto: i grossi sono, infatti,  preannuncio dei fichi commestibili,  e il testo dice che il fico li aveva fatti spuntare. Poichè, dunque, il testo rappresenta alla sposa la primavera spirituale, e questa stagione sta al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell’estate, per questo motivo si annuncia esplicitamente che i mali sono passati, anche se non si sono mostrati ancora nella loro pienezza i frutti della virtù, ma essi sono riservati a tempo debito, allorquando sarà stabile l’estate. Tu sai, senza dubbio, che cosa significhi l’estate, basandoti sulle parole del Signore, cioè: “La mietitura è la consumazione del secolo”; ora, invece, mostra soltanto le speranze, che fioriscono grazie alle virtù, il cui frutto, come dice il profeta, apparirà a tempo debito. Dal momento che la natura umana, in modo analogo al fico di cui qui si parla, ebbe raccolto in gran copia umore dannoso a causa di quell’inverno da noi inteso in senso spirituale, giustamente colui che produce per noi la primavera della nostra anima e con conveniente coltivazione della terra fa sì che la sostanza umana faccia spuntare i suoi alberi, innanzi tutto caccia fuori dalla nostra natura tutto quello che è terrestre e inutile, deponendo per mezzo della confessione, come fossero dei rami, tutto quello che era escrescenza. Quindi, in tal modo, fa spuntare nella nostra vita una certa impronta della beatitudine in cui speriamo per mezzo del comportamento più onesto, e preannuncia dei “grossi” (germogli) la futura dolcezza dei fichi.

Beato Guerrico d’Igny (circa 1080-1157), abate cistercense
Primo discorso per l’Avvento, SC 166

«Sappiate che il regno di Dio è vicino»

«Noi aspettiamo il Salvatore» (liturgia latina Fil 3,20). E’ davvero gioiosa l’attesa dei giusti, di coloro che attendono «la beata speranza e la manifestazione nella gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13). «Ora che attendo, Signore? In te la mia speranza» (Sal 39,8) Poi si volge verso di lui e grida: «non deludermi nella mia speranza» (Sal 119,116). Infatti io sono già presso di te, poiché la nostra natura, da te assunta e offerta per noi, è già stata glorificata in te. Questo ci fa sperare che «a te verrà ogni mortale» (Sal 65,3)…

Perciò con fiducia ancor più grande attendono il Signore coloro che possono dire: «Il mio essere, Signore, è presso di te, poiché ti ho donato tutte le mie ricchezze; lasciandole per te, ho «accumulato un tesoro in cielo» (cf Mt 6,20). Ho deposto i miei beni ai tuoi piedi: so che … me li «renderai centuplicati con, in più, la vita eterna» (cf Mc 10,30). Beati voi, poveri in spirito! (Mt 5,3)… perché il Signore ha detto: «Là dov’è il tuo tesoro, là sarà il tuo cuore» (Mt 6,21). Che i vostri cuori lo seguano, che seguano il loro tesoro! Fissate lassù i vostri pensieri, sia sospesa a Dio la vostra speranza, per poter dire con l’apostolo Paolo: «La nostra vita è nei cieli; è da lassù che aspettiamo il Salvatore» (Fil 3,20).

Il 18 dicembre il Papa in visita a Rebibbia

Il 18 dicembre prossimo Papa Benedetto XVI andrà in visita al carcere romano di Rebibbia. Lo annuncia un comunicato della Prefettura della Casa Pontificia. Durante la visita pastorale ci sarà anche un dialogo con i detenuti. “Alle ore 10, nella chiesa centrale del carcere dedicata al Padre Nostro, il Papa incontra i detenuti e risponde alle loro domande”, spiega la nota della Prefettura della Casa Pontificia. Prima di lasciare il carcere – alle 11.30 – e far ritorno in Vaticano per l’Angelus, il Papa benedirà un albero che sarà piantato a ricordo della visita.
Rebibbia è il secondo istituto penitenziario romano visitato da Benedetto XVI, che il 18 marzo 2007 si era recato al carcere minorile di Casal Del Marmo.

L’UDIENZA GENERALE
In Africa “c’è una riserva di vita e di vitalità per il futuro sulla quale possiamo contare, sulla quale la Chiesa può contare”. Così Benedetto XVI ha parlato oggi del viaggio apostolico in Benin, il secondo in Africa del suo pontificato, ripercorrendone durante l’udienza generale i momenti principali, tra cui la firma e la consegna alle Chiese locali dell’esortazione apostolica post-sinodale “Africae munus”. “In questa fase cruciale per l’intero Continente – ha detto il Papa – la Chiesa in Africa, con il suo generoso impegno al servizio del Vangelo, con la coraggiosa testimonianza di fattiva solidarietà, potrà essere protagonista di una nuova stagione di speranza”. “In Africa – ha proseguito – ho visto una freschezza del sì alla vita, una freschezza del senso religioso e della speranza, una percezione della realtà nella sua totalità con Dio e non ridotta ad un positivismo che, alla fine, spegne la speranza”.
“Questo mio viaggio – ha sottolineato il Pontefice – ha costituito anche un grande appello all’Africa, perchè orienti ogni sforzo ad annunciare il Vangelo a coloro che ancora non lo conoscono. Si tratta di un rinnovato impegno per l’evangelizzazione, alla quale ogni battezzato è chiamato, promuovendo la riconciliazione, la giustizia e la pace”.

In Africa c’è la necessità di “costruire una società in cui i rapporti tra etnie e religioni diverse siano caratterizzati dal dialogo e dall’armonia”: e per questo occorre la capacità di “essere veri seminatori di speranza in ogni realtà e in ogni ambiente”. “Le comunità cristiane dell’Africa – ha osservato il Pontefice, parlando ai circa 7.000 fedeli riuniti nell’Aula Paolo VI – sono chiamate a rinnovarsi nella fede per essere sempre più al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. In particolare, “sono invitate a riconciliarsi al loro interno per diventare strumenti gioiosi della misericordia divina, ognuna apportando le proprie ricchezze spirituali e materiali all’impegno comune”.
“Questo spirito di riconciliazione è indispensabile anche sul piano civile e necessita un’apertura alla speranza che deve animare anche la vita sociopolitica ed economica del continente”, ha detto ancora il Papa ricordando l’incontro con le istituzioni politiche, il corpo diplomatico e i rappresentanti delle religioni, in cui ha posto l’accento “proprio sulla speranza che deve animare il cammino del continente”, rilevando “l’ardente desiderio di libertà e di giustizia che, specialmente in questi ultimi mesi, anima i cuori di numerosi popoli africani”.

da Avvenire

Chi si muove dietro le quinte?

di Massimo Introvigne
Tratto da La Bussola Quotidiana

Le circostanze che hanno portato alla formazione del governo Monti hanno rilanciato il dibattito sulle «teorie del complotto».

Si tratta di un tema non nuovo, di cui la storia e la sociologia si sono spesso occupate. Se anche non si vogliono evocare gli studi di un secolo fa dell’illustre sociologo tedesco Georg Simmel (1858-1918), i lavori più recenti – di fama internazionale – dello storico italiano Zeffiro Ciuffoletti e quelli del politologo statunitense Michael Barkun – con cui ho avuto spesso occasione di confrontarmi in occasione di congressi e convegni – hanno aperto più di uno spiraglio su come nascono e si affermano queste teorie.

Il fascino e la drammaticità della storia trovano ampio fondamento nella sua imprevedibilità. Progetti preparati per anni possono fallire per il gioco di circostanze impreviste. Incidenti apparentemente insignificanti possono cambiare il corso delle vicende storiche. Alcuni, sconcertati dalla imprevedibilità della storia, pensano che le cose stiano diversamente e che le carte del gioco storico siano truccate. Vi sarebbero pochi avvenimenti imprevisti, nel senso che molti sembrano imprevisti ai più, ma sono stati attentamente programmati da personaggi che si nascondono dietro le quinte. Proprio perché nascosti, costoro conoscono in anticipo avvenimenti che gli altri non sono in grado di prevedere, quindi riducono al minimo la possibilità di incidenti e imprevisti. In altre parole: organizzano la storia come un complotto. Ogni volta che le vicende storiche si fanno particolarmente complesse e drammatiche – così dopo l’11 settembre 2001, e nelle più modeste vicende di casa nostra che hanno preceduto e seguito la caduta nel 2011 del governo Berlusconi –, cresce la popolarità di teorie ispirate a quella che Ciuffoletti chiama la «retorica del complotto», che riducono la complessità della storia a pochi elementi nascosti e fondamentalmente semplici. Tuttavia, non esiste un unico tipo di teoria del complotto. Occorre almeno distinguere fra microcomplotti, complotti metafisici e macrocomplotti.

Pochi storici e sociologi ormai negherebbero che nella storia vi siano microcomplotti, che – cioè – avvenimenti, i quali fanno irruzione sulla scena della storia con i caratteri del sorprendente o dell’imprevisto, siano in realtà programmati da gruppi i cui progetti restano sconosciuti alla maggioranza dei contemporanei. Pochi, per esempio, potrebbero sostenere seriamente che la Rivoluzione francese sia davvero esplosa all’improvviso per cause imprevedibili e imponderabili. Storici di scuole e simpatie diverse ammettono che la Rivoluzione francese sia stata, in qualche modo e in parte, preparata da «società di pensiero» e altri gruppi di pressione, i cui progetti e le cui attività non erano noti ai contemporanei né prima né durante la Rivoluzione, anche se sono stati parzialmente identificati dopo. Lo stesso si può dire per la Rivoluzione bolscevica, nella cui preparazione è ormai ben nota, per esempio, l’influenza dei servizi segreti tedeschi. I complotti, dunque, esistono, anche se – per ragioni che sarebbe interessante studiare, e che qualcuno potrebbe forse ricollegare a ulteriori piccoli complotti – i libri scolastici di storia di solito li ignorano del tutto.

Se i microcomplotti – diretti a un fine specifico, talora di grandissima rilevanza, ma comunque limitato nello spazio e nel tempo e privo del carattere dell’universalità – rientrano nell’ambito degli studi degli storici di professione, e possono essere dimostrati tramite prove empiriche, i complotti metafisici sfuggono invece al lavoro empirico dello storico. Vi è chi – per esempio la fondatrice della Società Teosofica, Madame Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) – sostiene che una Grande Loggia Bianca, composta da «maestri ascesi», guidi in modo occulto le vicende dell’umanità; e che, per diametrum, una non meno misteriosa Loggia dei Fratelli Neri coordini le attività di quanti si oppongono al bene degli uomini. È evidente che le loro presunte attività si svolgono su un piano che non è quello dei fatti suscettibili di verifica empirica, e sfuggono quindi totalmente al lavoro degli storici.

Altri – senza troppe elucubrazioni su logge segrete «bianche» o «nere» – richiamano semplicemente l’attenzione sul fatto – del resto ovvio per i cristiani – che Dio guida la storia tramite la Provvidenza – sia pure attraverso percorsi misteriosi, che spesso sfuggono alla comprensione umana – e che anche il Diavolo non agisce nel mondo in modo casuale, ma coordina le molteplici manifestazioni della tentazione attraverso una sorta di antiprovvidenza. E la sua opera non interessa solamente i singoli in quanto singoli, ma anche gruppi umani, e – in questo caso – non obbligatoriamente piccoli. Il cristiano fedele al Magistero evita ogni dualismo, e ricorda che Provvidenza e antiprovvidenza non sono sullo stesso piano: poiché il potere di Dio è illimitato e quello del Diavolo è limitato, l’esito finale dello scontro è già scritto, il che non impedirà a tale lotta di assumere, prima di questo esito, un carattere doloroso e cruento.

È importante distinguere accuratamente le teorie del complotto metafisico di carattere teologico oppure esoterico da quelle del macrocomplotto. Quando si parla del «complottismo», di cui per esempio il romanziere statunitense Dan Brown è un epigono di successo, si fa riferimento quasi esclusivamente a queste ultime teorie. Per le teorie del macrocomplotto, o complottiste, esisterebbe un vero organigramma, sostanzialmente fisso, delle forze del male, che sono all’opera da sempre – o da tempo immemorabile – nella storia e che hanno prodotto, concatenandoli, tutta una serie di avvenimenti: guerre, rivoluzioni, lutti e rovine. Le teorie del macrocomplotto nascono nella letteratura sull’Anticristo e sul suo prossimo avvento che, pur non assente in ambito medioevale, dilaga dopo la Riforma protestante. L’opera del Diavolo nella storia è riferita a uno scopo preciso, l’avvento dell’Anticristo, per cui operano da sempre forze nascoste. E per i polemisti protestanti l’Anticristo è il Papa.

A partire dal Settecento una certa forma di pensiero religioso sarà tentata da teorie complottiste a fronte di eventi apparentemente imprevedibili e difficili da spiegare con cause puramente naturali: l’egemonia culturale dell’Illuminismo, la Rivoluzione francese, e più tardi l’esplosione dello spiritismo, la rapida scristianizzazione di numerosi paesi europei, il socialismo e il comunismo. Sono così costruiti schemi a forma di piramide che vedono fisicamente dietro i dirigenti politici e culturali visibili una classe dirigente invisibile costituita dalle società segrete, fra cui – ma non è la sola – la massoneria. Dietro le società segrete opererebbero società ancora più segrete, apertamente sataniste. Dietro i satanisti opererebbe il Diavolo in persona, la cui azione non si limiterebbe alla modalità della tentazione, ma si manifesterebbe in apparizioni molto esplicite e dirette, in cui il Principe del Male dà istruzioni precise e dettagliate ai propri luogotenenti umani. Solo a un’epoca relativamente tarda, nello schema – da qualche parte fra i massoni e i satanisti – vengono inseriti anche gli ebrei, intendendo questa espressione, almeno fino al secolo XX, in senso non razziale ma religioso, dal momento che i teorici del complotto sono più spesso antigiudaici che antisemiti.

Sulla scia delle analisi complottiste della Rivoluzione francese, grandi teorie del complotto vengono proposte da alcuni demonologi francesi negli anni 1860 e 1870. Il più grande affresco del complotto universale si ritrova però nelle opere di un mistificatore, Léo Taxil (pseudonimo di Gabriel Jogand, 1854-1907), che denuncia una gigantesca cospirazione di massoni manovrati da satanisti e ultimamente dal Diavolo in persona. Taxil confessa la sua frode nel 1897. La vicenda Taxil – che è al centro anche dell’ultimo romanzo di Umberto Eco, Il cimitero di Praga – farà perdere credibilità al complottismo in genere, che tuttavia sarà talora riproposto – spesso utilizzando le opere del mistificatore francese senza citarlo – nel secolo XX.

Benché il luogo comune culturale si presenti sul punto pressoché senza incertezze, il complottismo non è certamente una caratteristica esclusiva di ambienti «di destra». Un complotto universale di forze reazionarie per ostacolare il progresso, e ultimamente il comunismo, ha fatto spesso la sua comparsa nella letteratura sovietica. In Italia echi di questa letteratura si ritrovano in una pubblicistica che ipotizza un grande complotto – di origini antiche – della massoneria, della mafia, dei servizi segreti statunitensi e della Chiesa cattolica per ostacolare la «marcia del progresso» e in particolare l’accesso del Partito Comunista Italiano al potere. Naturalmente, si tratta di un mondo dove tutto può cambiare di segno. La massoneria e molti altri possono essere presentati come «buoni» o «cattivi» – o ancora come buoni che sembrano cattivi, o cattivi che sembrano buoni – in un’infinita gamma di variazioni possibili, e questo spiega le innumerevoli opportunità che si presentano anche a chi voglia ricavarne romanzi o film.

È difficile dimostrare sul piano empirico che le teorie del macrocomplotto non sono vere. Tuttavia, l’onere della prova del macrocomplotto incombe su chi sostiene che esista, e il fatto che sia impossibile provare che non esiste non è un argomento a favore dei complottisti. In ultima analisi la loro tesi di fondo è per definizione inattendibile, e tipicamente ideologica, perché semplifica la complessità della storia. Notiamo però un altro punto, molto importante. Il discredito che facilmente colpisce le tesi del macrocomplotto rischia di travolgere – giacché la distinzione fra diversi tipi di complotto non è facile – anche le teorie del complotto metafisico – che meritano certamente maggiore attenzione – e le puntuali denunce di microcomplotti tutt’altro che immaginari. Parlare troppo di macrocomplotti finisce per distogliere l’attenzione dai microcomplotti, dai veri complotti all’opera quotidianamente dietro la cronaca e la storia, il cui studio rimane invece indispensabile a chi voglia intendere, al di là delle apparenze, l’inesauribile complessità delle vicende umane.

Le tesi sul «complotto massonico» ricordano irresistibilmente Léo Taxil se si intende l’azione della massoneria nella storia come un macrocomplotto che reggerebbe tutte le vicende storiche quasi che queste fossero guidate da un solo «Grande Vecchio» nelle cui mani i grandi della politica e dell’economia sarebbero soltanto burattini. Ma questo non deve farci dimenticare che, nella storia, la massoneria è stata al centro d’innumerevoli microcomplotti, alcuni dei quali riusciti, in collaborazione – e qualche volta in contrasto – con altri «poteri forti», che non sono certo un’invenzione di qualche giornalista. E che le massonerie – certo diverse da Paese a Paese, da obbedienza a obbedienza, da epoca storica a epoca storica –, nella misura in cui sono davvero specie del genere «massoneria», hanno in comune – come insegna anche il Magistero della Chiesa – un’azione ostile all’idea che esistano dogmi, verità e «principi non negoziabili», sulla base di un’ideologia sostanzialmente relativista. Il vero «complotto» massonico – lo si chiami così o no –, o almeno quello più pericoloso dal punto di vista della Chiesa, non consiste tanto nel favorire questo o quel governo – per quanto possa trattarsi di un mezzo rispetto a un fine –, ma nel promuovere sul piano culturale un metodo «antidogmatico» che diffonde una visione della verità come relativa e condizionata da variabili indipendenti che la determinano. Com’è evidente, si tratta di una posizione antitetica a quella della Chiesa, per cui esistono verità che non possono essere messe in discussione e principi che non sono negoziabili e che non dipendono dal consenso.

Per questo – al di là degli atteggiamenti nei confronti della Chiesa di singoli massoni, che non mutano però il quadro generale – la Chiesa, con la Dichiarazione sulla massoneria del 1983 della Congregazione per la Dottrina della Fede, firmata dal suo prefetto di allora cardinale Joseph Ratzinger ma sottoscritta anche dal Papa Beato Giovanni Paolo II (1920-2005) così che dev’essere considerata Magistero vincolante per tutti i fedeli e tuttora vigente, ci ricorda che «rimane [… ] immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione».

Si fermi la violenza anti-cattolica in Vietnam

La comunità Redentorista di Hanoi nel mirino del regime comunista

Tratto dal sito ZENIT

Stop alle violenze e alle intimidazioni contro i cristiani del Vietnam. È quanto chiedono i Redentoristi e i fedeli della parrocchia di Thai Ha di Hanoi. Lo scorso 10 novembre la Federazione della Stampa Cattolica Vietnamita ha denunciato la situazione alla comunità internazionale e ha condannato la propaganda anti-cristiana del governo e le ripetute aggressioni da parte della polizia e delle bande contro le comunità cristiane del paese asiatico. L’aggressione più vistosa è avvenuta il 3 novembre nella già citata parrocchia di Thai Ha, quando un gruppo di circa un centinaio di persone vi ha marciato contro urlando slogan ostili da due megafoni. I sacerdoti, i religiosi e i fedeli laici attivi nella parrocchia sono stati poi picchiati e hanno assistito impotenti al danneggiamento dell’edificio parrocchiale.

Gli aggressori sono fuggiti soltanto quando, dopo il suono delle campane, altri fedeli sono accorsi in parrocchia, per prestare soccorso. Stando a quanto riferisce un comunicato della stampa cattolica vietnamita, sia il monastero che la parrocchia di Thai Ha sono ormai costantemente monitorati e spiati da agenti della polizia segreta che girano in borghese accompagnati dalle guardie territoriali. Sono inoltre state installate delle telecamere che controllano i movimenti intorno ai due luoghi sacri. Già tre anni fa, nel settembre 2008, la cappella del monastero era stata oggetto di una devastazione, con la conseguente distruzione di alcune statue e di alcuni libri. In quell’occasione gli aggressori gridarono minacce di morte contro tutta la comunità cristiana, i Redentoristi e persino l’arcivescovo.

Dopo l’attacco dello scorso 11 novembre, il governo comunista di Hanoi ha negato ogni responsabilità, anche indiretta, dell’accaduto, parlando di “gesti spontanei del popolo”, giustificati però dal governo stesso in ragione del “caos sociale” che i cattolici, a detta del regime, starebbero provocando. Intanto l’arcivescovo di Hanoi e il vescovo di Kontum hanno manifestato la loro solidarietà ai Redentoristi e alla parrocchia di Thai Ha. Messaggi di vicinanza sono stati espressi su Internet anche da cittadini vietnamiti non-cattolici. Numerose messe e veglie di preghiera sono state celebrate in tutto il paese per solidarietà verso la comunità di Thai Ha. Alla base dell’accanimento contro i Redentoristi c’è una lunga diatriba dovuta alle proprietà terrene confiscate molti anni fa alla congregazione.

Nel lontano 1928, la comunità Redentorista aveva infatti acquistato un terreno sul quale, negli anni successivi erano sorti prima il monastero e poi la parrocchia. Dopo l’occupazione comunista, il governo ridusse la proprietà redentorista da 61. 455 metri quadri a 2. 700 metri quadri. La situazione è precipitata quando, all’inizio del 2008, il governo dichiarò la propria intenzione di vendere l’intero suolo a delle imprese private, scatenando la protesta dei parrocchiani, molti dei quali sono stati arrestati e processati. Per troncare definitivamente il contenzioso, il governo ha definitivamente convertito l’intero terreno in proprietà pubblica. La comunità cattolica, tuttavia, non ha affatto gettato la spugna, affermando l’illegalità della confisca che violerebbe “gravemente la convenzione internazionale sui diritti circa la proprietà privata”, quindi il governo vietnamita, non sarebbe in grado “di produrre qualsiasi documento legale per sostenere la sua illegale rivendicazione sulle aree controverse”.

Denunciando le oppressioni subite alla comunità internazionale, la Federazione della Stampa Cattolica Vietnamita ha quindi chiesto formalmente al governo di fermare “gli atti terroristici contro il monastero e la parrocchia di Thai Ha” e “la persecuzione contro la Chiesa Cattolica e le altre religioni” rafforzando la sicurezza presso tutti i luoghi di culto. La Stampa Cattolica Vietnamita ha anche sollecitato il rispetto della legge promulgata dallo stesso governo e la restituzione di “tutte le proprietà confiscate alla Chiesa Cattolica e alle altre religioni in Vietnam” insieme al rispetto “assoluto” dei diritti umani e della libertà religiosa affermati dalla Carta delle Nazioni Unite. “Con la nostra completa fede in Dio, noi saremo in comunione, condivideremo e accompagneremo la parrocchia di Tha Ha lungo il suo cammino di sofferenza”, si legge nel comunicato.

Per approfondimenti:
http://scalanews.com/scala/vietnam11/scalaItalian.html

Giovedì della XXXIV settimana del T.O.

dal vangelo secondo Lc 21,20-28 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia. Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

IL COMMENTO di don Antonello Iapicca

L’ira nella Scrittura indica qualcosa di molto diverso da quello che normalmente pensiamo. Non è mai un adirarsi fine a se stesso, reagendo per esempio ad un’insubordinazione del Popolo o di un uomo. Non è neanche una pedagogia di Dio, una conseguenza naturale e dovuta ai peccati. L’ira è la gelosia, lo zelo di Dio; in ebraico infatti la stessa parola può avere i tre significati. E la “vendetta” di cui nel vangelo di oggi si parla è piuttosto una conseguenza dell’amore geloso e pieno di zelo di Dio che non può rassegnarsi nel vedere i suoi figli abbandonati alla sequela di idoli falsi e vani, rammolliti e narcotizzati lontani da Lui. Incapaci di accogliere il Messia. Tutto ciò che accade è perchè, sino in fondo, sino all’ultimo, Dio offre, in mille modi diversi, l’occasione per riconoscere il Messia nel suo Figlio, e accogliere così la salvezza preparata per ogni uomo. Per questo la vendetta è tutta orientata a ridare la vita, e liberare il Popolo dalla realtà di perdizione e di sofferenza.

Dio appare come un bulldozer che sradica e distrugge tutto quello che trattiene lontana da sé la propria creatura. I propri figli. Quale Padre non si getterebbe tra le fiamme, non farebbe saltare in aria anche superbe meraviglie architettoniche, chi non farebbe follie per il proprio figlio in pericolo? Per questo Gerusalemme, la Santa Gerusalemme, il luogo della dimora stessa di Dio, cadrà in mano dei pagani, il Santo dei Santi sarà distrutto, perchè più d’ogni altra cosa, fosse anche la più importante, la più cara al cuore di Dio, il segno stesso della storia d’amore con il Suo popolo, più del Tempio, per Dio è importante l’uomo, la persona, tu ed io. Nulla è più importante dei suoi figli.

Se Gerusalemme è il luogo dell’adulterio e dell’idolatria, se Gerusalemme è diventata il letto d’amore dove Israele si contamina con i suoi amanti, Gerusalemme sarà distrutta. Così, quanto nella nostra esistenza è d’inciampo al Signore, quanto ci allontana da Lui, sarà “necessariamente” oggetto della sua ira, della sua gelosia, del suo infinito zelo per la nostra vita, per la nostra anima, per la nostra salvezza. In quei momenti, quando tutte le nostre certezze, i nostri luoghi familiari, anche quelli cosiddetti “religiosi”, saranno ridotti ad un cumulo di macerie fumanti, alziamo gli occhi e solleviamo il capo, perchè la libertà è finalmente vicina. La libertà che ci strappa dagli inganni del demonio, dalle catene d’una schiavitù che ci obbliga a servire falsi dei, fossero anche così ben camuffati da apparire ammantati di una pia religiosità.

Che poi si tratta di qualcosa di clericale, intrisa di religiosità naturale, che spesso nasconde giudizi e mormorazioni. La religiosità bigotta e farisaica buona solo a metterci in regola con una serie di regolette a cui abbiamo tolto l’anima. La vecchia Gerusalemme, luogo e simbolo dell’Antica Alleanza, fatta di decreti e regole, è stata un importante e buon pedagogo, guida alla verità, ma incapace di salvarci, perchè la nostra stessa carne l’ha resa inadeguata e irrimediabilmente limitata.

Fuori dalle porte di Gerusalemme, sulla soglia del Cielo, è piantata una Croce: il sangue dell’Ira, della Gelosia, dello Zelo di Dio, fluendo dalle benedette ferite del Signore, ha lavato ogni peccato, ogni idolatria, ogni adulterio. La Passione di Gesù, consegnato per noi, ci ha aperto il cammino per la Nuova Gerusalemme, la nostra madre, Colei che ci genera a nuova vita. La Gerusalemme celeste che ci fa figli della luce, rinnovati ad immagine del nostro Creatore. Nessuna paura dunque se nella nostra vita accadono sconvolgimenti tali da lasciarci sbalorditi. Se tutto quello su cui fondiamo quotidianamente la vita viene a mancare. E’ l’amore infinito e geloso di Dio per noi. E’ la passione di Cristo per il nostro cuore che sconvolge addirittura il corso della natura, il sole, la luna, le stelle. E’ il Signore che penetra nel fluire naturale dei nostri giorni, e segna amori, lavoro, studio con le stigmate del suo amore.

Quando in famiglia, sul lavoro, nella stessa nostra povera Chiesa, accadranno “tutte queste cose” non c’è da temere. Solo è necessario comprendere l’urgenza del momento favorevole, del tempo speciale che ci è donato, e non perdersi in pensieri e arrovellamenti cercando di salvare il salvabile, casa, lavoro, soldi o ricordi, rientrando nelle stanze o ritornando sui nostri passi. Quando il terremoto dell’amore di Dio sconvolge la vita non c’è tempo per cercare di rimettere insieme i cocci degli errori passati. Arriva il Vino nuovo che necessita di otri nuovi. Lasciamo che i vecchi e consunti otri che abbiamo mille volte cercato di aggiustare, siano distrutti una volta per tutte. Vita nuova! Per questo, quando la nostra vita trema, il Signore è vicino, con la novità capace di ricreare ogni cosa, e fare di noi un prodigio inimmaginabile. Non temiamo se dovremo essere condotti prigionieri, se il nostro uomo vecchio cadrà a fil di spada. Come già fu per il Popolo nel tempo dell’Esilio, ci attende un tempo di purificazione nel quale il Signore vuol riportare alla luce in noi un cuore contrito e umiliato. Dalle ceneri della carne Egli saprà trarre un cuore capace di amare davvero.

Apriamo anche oggi le nostre porte e lasciamolo entrare. Viene a liberarci e a farci felici, viene sulla nube della sua shekinà, la Gloria della Croce che ha sconfitto ogni nostro peccato. E’ Lui che bussa oggi, in questo tempo, alla nostra porta, con la potenza infinita del suo amore. Mentre gli uomini muoiono di paura di fronte ai cataclismi, alla crisi economica, alle conseguenze del peccato che ha voluto cancellare Dio, noi restiamo saldi nell’amore di Dio. Gli occhi della fede sanno riconoscere nella storia i segni della sua presenza e l’inconfondibile modus operandi della sua passione. Dove il mondo vede morte e distruzione, noi alziamo la testa e fissiamo, in noi e fuori di noi, la liberazione. “Guarderanno a Colui che hanno trafitto”: nel cuore dei travagli descritti nel Vangelo, si staglia la figura dolente di Cristo crocifisso, il suo costato dischiuso a donare la salvezza. Nella distruzione del mondo sono impresse le piaghe del Signore, porta santa che conduce alla salvezza. Per questo, in ogni evento che sa di morte, è preparata la vita che non muore. Gli occhi dei cristiano sanno riconoscere la passione di Cristo nella passione del mondo. Per questo alzano la testa e vedono quello che nessun occhio può vedere. Ed è questa la missione profetica consegnata alla Chiesa, puntare il cielo mentre ogni uomo punta alla terra, guardare il Signore che viene, mentre il mondo schiaccia lo sguardo sulle rovine della carne. Sperare laddove tutti disperano. Alzare la testa perchè ogni uomo possa imparare a guardare la Verità, e salvare la propria vita. E’ Lui, lo Sposo che arde di gelosia per la sua sposa, per ogni istante della nostra vita, perchè la possiamo vivere senza temere più, per non essere più ricurvi sulle giornate e sugli eventi, ma, a testa levata, entrare nella vita come uomini liberi. Come figli.

Omelia greca del 4° secolo 
Sulla Santa Pasqua, 44-48; PG 59, 743; SC 27 (ispirato a un’omelia perduta d’Ippolito)

La vittoria del Figlio dell’uomo, che è venuto e che viene

Cos’è la venuta del Cristo? La liberazione dalla schiavitù e la cancellazione dell’antica prigionia, l’inizio della libertà e l’onore dell’adozione, la fonte della remissione dei peccati e la vita veramente immortale per tutti. Poiché il Verbo, la Parola di Dio, ci vedeva dall’alto oppressi  dalla morte, dissolti, decaduti, incamminati in una via senza ritorno, è venuto ad assumere la natura di Adamo, il primo uomo, secondo il disegno del Padre. Non ha affidato ad angeli o arcangeli la nostra salvezza, lui stesso ha voluto combattere per noi, obbedendo al Padre… Raccogliendo e contenendo in sé tutta la sua divinità, è venuto nella misura che ha deciso…; per la potenza del Padre non ha perduto ciò che aveva, ma ha preso ciò che non aveva ed è venuto come essere limitato…

Vedi com’è Signore: «Oracolo del Signore al mio Signore: siedi alla mia destra» (Sal 110,1)… Vedi com’è Figlio: «Egli mi invocherà: tu sei mio padre; io lo costituirò mio primogenito» (Sal 89,27-28)… Vedi ancora com’è Dio: «I potenti verranno e ti si prostreranno dinnanzi; ti pregheranno perché solo in te è Dio» (cf Is 45,14)… Vedi com’è re eterno: «Il tuo trono, Dio, dura per sempre»…Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia» (Sal 45,7-8)… Vedi com’è Signore dei potenti: «Chi è questo Re grande e glorioso? E’ il Signore valoroso e forte, lui è il re glorioso» (Sal 24,8)… Vedi ancora com’è sacerdote in eterno: «Tu sei sacerdote per sempre» (Sal 110,4). Ma se Egli è Signore e Dio, Figlio e re, Signore e sacerdote eterno, quando egli ha voluto, «è anche uomo: chi lo capirà?» (Ger 17,9 LXX)…

Quindi, è come Dio e come uomo che questo Gesù è venuto tra noi… Ha preso il nostro corpo miserabile e mortale…; ha curato i nostri corpi con le loro infermità, ha guarito tutte le malattie col suo potere, perché si compisse la parola: «Io sono il Signore… Ti prenderò per mano e ti renderò forte… Sono il Signore, questo è il mio nome… L’ultimo nemico ad essere distrutto sarà la morte. O morte, dov’è la tua forza che uccide?» (Is 42,6-8; 1Cor 15,26.55)