dal vangelo secondo Lc 21,29-33
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
IL COMMENTO di don Antonello Iapicca
La nostra vita subisce costantemente l’attentato di milioni di parole che cercano di prendere possesso dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni. Fuori e dentro di noi si scatena una guerra ogni volta più cruenta tra le parole più disparate. E, normalmente, ne portiamo le tristi conseguenze: stanchezza psicologica, stordimento, incapacità di orientarsi e di comprendere. Uno sterminato esercito di sentenze, di opinioni, di idee si affaccia ai nostri padiglioni auricolari e si spintona violentemente per entrare. E siamo ogni volta più confusi. Politica, morale, vita, sport, parole a volontà su ogni aspetto della vita. Parole che dicono tutto e l’esatto contrario.
Ma è proprio dentro l’estrema confusione che accompagna gli stravolgimenti del mondo, in noi e fuori di noi, che possiamo ritrovare un segno, un’ancora di salvezza. Tutto passa. Tutto è destinato ad essere cancellato dal tempo. Un sms cancella immediatamente il contenuto, la “verità” del precedente. Così ogni parola è fagocitata dalla successiva, rivelandone l’assoluta provvisorietà con un ritmo incalzante. Così nella nostra vita. Affetti, lavoro, svaghi, ideali, salute, ogni cosa è precaria. Eppure proprio dentro la transitorietà di quel che viviamo alberga una certezza, qualcosa che fonda, tra i marosi, la nostra esistenza. In ogni istante della nostra vita è nascosto il Mistero Pasquale del Signore, il suo passaggio dalla morte alla vita.
Per questo proprio le rivoluzioni, i fallimenti, le sofferenze della vita, anche le esperienze più drammatiche che ci lasciano tramortiti, forse moribondi, sono un segno dell’opera di Dio. Il cielo e la terra passeranno, ma le Parole del Signore non passeranno. Mai. La sua Parola d’amore, capace di ri-crearci nella misericordia, è una Parola eterna. Lui non mente. Non tradisce. La sua Parola si compie nella nostra vita. Proprio mentre tutte le altre parole segnano il passo rivelandosi effimere e transitorie.
Così, se nella vita ogni cosa è destinata a passare, a sfuggirci, è per lasciar posto all’unica Parola che non passerà in eterno: la Parola fatta carne, il nostro Signore Gesù. Per questo, anche quello che sembra scivolare via è misteriosamente ricapitolato, risanato e come reso eterno dal suo amore. Il passare di tutto riverbera il passaggio pasquale del Signore nella storia. Il fluire delle cose è cristallizzato nel passaggio del Signore, e, misteriosamente, ciò che è corruttibile è assorbito dall’incorruttibile. Questo è il mistero della nostra vita, fatta di eventi, relazioni, storie che apparentemente scorrono via inesorabilmente e senza ritorno, mentre invece tutto è assorbito e santificato dal “passaggio che non passa”; silenziosamente, e spesso nascostamente, tutto di noi è innestato nella Pasqua del Signore nella quale ogni istante è un diadema incastonato nella corona della storia di salvezza che Dio fa con ogni uomo.
In Lui la vita perduta, e tutto quello che sembra smarrito, è ritrovato e trasfigurato. Santificato. Non si butta nulla della nostra vita, perchè dove c’è il Signore vi sono frutti che rimangono. Tutto di noi è Grazia, dono di Lui, che proprio nell’estrema precarietà rivela la nostra unica Roccia: il suo amore infinito. Le sofferenze, i problemi, le angosce, il fallire dei progetti, sono i germogli che spuntano sui rami della nostra croce, preannunciano l’estate, non la morte! Nelle parole del Signore si ode l’eco del Cantico dei Cantici; dure e crude, sono parole d’amore. E’ lo Sposo che incede, e vuole destare la sposa, accendere in lei il desiderio di Lui, e schiudere i suoi occhi in un discernimento capace di intercettare i segni del suo avvento imminente.
Il fico ha messo i primi frutti. San Gregorio di Nissa. Omelie sul Cantico dei Cantici.
Il fico è una pianta che, per effetto del calore, succhia in modo straordinario l’umidità che è nel profondo della terra. E siccome nelle midolla del fico si raccoglie molto umore, per necessità la natura, cuocendo gli umori nella pianta, depone giù dai rami tutta la parte inutile e terrena dell’umore. E questo processo è ripetuto parecchie volte, perchè la pianta possa al momento opportuno produrre il suo frutto genuino e nutriente, purificato di tutto quello che era inutile. Orbene, questo prodotto, che spunta in forma di frutto dalla pianta del fico prima che si formi il vero frutto, dolce e maturo, si chiama “grosso”; anch’esso è commestibile talvolta, per chi lo vuole; ciò nonostante quello non è il frutto: i grossi sono, infatti, preannuncio dei fichi commestibili, e il testo dice che il fico li aveva fatti spuntare. Poichè, dunque, il testo rappresenta alla sposa la primavera spirituale, e questa stagione sta al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell’estate, per questo motivo si annuncia esplicitamente che i mali sono passati, anche se non si sono mostrati ancora nella loro pienezza i frutti della virtù, ma essi sono riservati a tempo debito, allorquando sarà stabile l’estate. Tu sai, senza dubbio, che cosa significhi l’estate, basandoti sulle parole del Signore, cioè: “La mietitura è la consumazione del secolo”; ora, invece, mostra soltanto le speranze, che fioriscono grazie alle virtù, il cui frutto, come dice il profeta, apparirà a tempo debito. Dal momento che la natura umana, in modo analogo al fico di cui qui si parla, ebbe raccolto in gran copia umore dannoso a causa di quell’inverno da noi inteso in senso spirituale, giustamente colui che produce per noi la primavera della nostra anima e con conveniente coltivazione della terra fa sì che la sostanza umana faccia spuntare i suoi alberi, innanzi tutto caccia fuori dalla nostra natura tutto quello che è terrestre e inutile, deponendo per mezzo della confessione, come fossero dei rami, tutto quello che era escrescenza. Quindi, in tal modo, fa spuntare nella nostra vita una certa impronta della beatitudine in cui speriamo per mezzo del comportamento più onesto, e preannuncia dei “grossi” (germogli) la futura dolcezza dei fichi.
Beato Guerrico d’Igny (circa 1080-1157), abate cistercense
Primo discorso per l’Avvento, SC 166
«Sappiate che il regno di Dio è vicino»
«Noi aspettiamo il Salvatore» (liturgia latina Fil 3,20). E’ davvero gioiosa l’attesa dei giusti, di coloro che attendono «la beata speranza e la manifestazione nella gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13). «Ora che attendo, Signore? In te la mia speranza» (Sal 39,8) Poi si volge verso di lui e grida: «non deludermi nella mia speranza» (Sal 119,116). Infatti io sono già presso di te, poiché la nostra natura, da te assunta e offerta per noi, è già stata glorificata in te. Questo ci fa sperare che «a te verrà ogni mortale» (Sal 65,3)…
Perciò con fiducia ancor più grande attendono il Signore coloro che possono dire: «Il mio essere, Signore, è presso di te, poiché ti ho donato tutte le mie ricchezze; lasciandole per te, ho «accumulato un tesoro in cielo» (cf Mt 6,20). Ho deposto i miei beni ai tuoi piedi: so che … me li «renderai centuplicati con, in più, la vita eterna» (cf Mc 10,30). Beati voi, poveri in spirito! (Mt 5,3)… perché il Signore ha detto: «Là dov’è il tuo tesoro, là sarà il tuo cuore» (Mt 6,21). Che i vostri cuori lo seguano, che seguano il loro tesoro! Fissate lassù i vostri pensieri, sia sospesa a Dio la vostra speranza, per poter dire con l’apostolo Paolo: «La nostra vita è nei cieli; è da lassù che aspettiamo il Salvatore» (Fil 3,20).