di Don Antonello Iapicca

La Chiesa sembra precipitare in una sindrome da accerchiamento. Lo spuntare come funghi dei casi di pedofilia la stringe in un assedio nel quale occorre assolutamente tenere i nervi saldi e affidarsi allo Spirito Santo. Per questo ci sembrano avventate le prese di posizione di vaticanisti e blog che si dicono amici del Papa ma che mostrano una scarsissima sensibilità ecclesiale. Non si può fare il triplo salto mortale per passare dal lassismo all’intransigentismo giustizialista. La Chiesa non è un’istituzione come le altre. Il Papa ed i Vescovi nulla hanno a che fare con Di Pietro. Nella Chiesa non è in atto nessuna inchiesta “tonache pulite”. Tolleranza zero e slogan affini non fanno parte del linguaggio e dello spirito della Chiesa.

Il Foglio pubblica oggi un’intervista a Manfred Lütz, teologo e psichiatra direttore dell’ospedale psichiatrico di Colonia, membro del Pontificio consiglio per i laici e del consiglio direttivo della Pontificia accademia per la vita, consultore della Congregazione per il clero. Lütz dice tra l’altro: “La prima cosa da fare è non sminuire il problema. Perché prima di ogni altra considerazione va ricordato che gli abusi su minori perpetrati da sacerdoti e religiosi cattolici sono un crimine particolarmente ripugnante. Sono un male da denunciare e da non occultare. Il sacerdote, infatti, ha un ruolo paterno nei confronti del minore e quindi purtroppo il suo atto criminoso ha in sé qualcosa d’incestuoso. Inoltre questi crimini minano la fiducia in Dio dei bambini che li subiscono”. Ma Lütz dice anche che “occorre non drammatizzare troppo… prima di esprimere giudizi si devono conoscere i fatti… un’eccessiva drammatizzazione non giova alle vittime. Queste, spesso, hanno un rapporto ambivalente con i persecutori. Provano affetto per loro e insieme si sentono offesi. E’ una situazione molto delicata e se si drammatizza troppo non si aiuta chi è vittima a uscire allo scoperto”.

Anche per questo l’iniziativa del Vescovo di Bolzano ci sembra decisamente sopra le righe. “la Diocesi (di Bolzano) intende tra l’altro creare sul sito internet diocesano un forum in cui vengano esaminate eventuali segnalazioni di abusi. In questo modo si vuole assicurare che ogni segnalazione venga subito presa in considerazione e verificata, perché la protezione delle eventuali vittime ha la massima priorità”. Come se un marito per scoprire se la moglie lo tradisce o meno chiedesse di inviare eventuali segnalazioni di comportamenti sospetti alla sua e-mail e aprire un forum sul proprio blog per esaminarle. Verrebbe spontaneamente da chiedersi: ma quest’uomo ha mai parlato con sua moglie? La conosce almeno un po’ o si è sposato per procura? Per dirla chiara: un Vescovo conosce i suoi preti? Si è interessato della loro formazione e dei loro formatori? O ha bisogno di fare del sito diocesano una sorta di Facebook per conoscere la realtà dei suoi collaboratori più prossimi? Non insegnano nulla le storie legate ai social networks, alle contraffazioni e all’assoluta inattendibilità di tali strumenti? Tra l’altro la Lettera De Delictis Gravioribus parla chiaro: “Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio”. E dice anche molto di più: “Con la presente lettera… si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei gerarchi ci sia una sollecita cura pastorale“.

E’ questo il nodo cruciale: la sollecitudine pastorale. “Il Vescovo è un padre che vive per i suoi figli e fa un tutt’uno con la sua Chiesa, con i suoi sacerdoti, prodigandosi per formare le coscienze e per far crescere nella fede” (Congregazione per i Vescovi, Nota introduttiva al nuovo “Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores“). E’ urgente quindi interrogarsi sulla crescita nella fede dell’intero Popolo di Dio, nel quale sono inclusi anche i presbiteri. Come scriveva S. Agostino commentando le parole di Gesù rivolte a Pietro sul lago di Tiberiade dove lo invitava a pascere le sue pecore: “Anche i pastori sono pecore (pastores ipsi sunt oves) ” (In Io. Evang. Tr. 123,5). E altrove: “Voi siete sue pecore e noi siamo pecore con voi perché siamo cristiani … noi pascoliamo voi e siamo pascolati con voi (pascimus vos, pascimur vobiscum)” (Ser. Casin. I,133,5.13; M.A., I, pp. 404,8; 410,18). I presbiteri provengono da famiglie concrete, hanno ricevuto in esse la loro prima formazione nella fede. “Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e irradiante. È per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un’antica espressione, chiama la famiglia « Ecclesia domestica » – Chiesa domestica. È in seno alla famiglia che «i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, N. 1656). Prima di entrare in seminario hanno frequentato parrocchie e spesso associazioni, movimenti e nuove comunità. Questo tempo trascorso sino all’ingresso in seminario è decisivo. E’ qui che inizia l’autentica e feconda prevenzione perchè è molto più che vigilanza, è semina e accompagnamento nel cammino di fede di ciascun cristiano. La sollecitudine pastorale deve riguardare in primo luogo la comunità cristiana, l’utero dove si viene gestati alla fede. Una comunità che non sia anonima, che si prenda cura dei suoi membri, dove i pastori conoscano personalmente le pecore affidate. Nel rito di ordinazione presbiterale troviamo questo dialogo:

Rettore del Seminario (O un altro presbitero): Reverendissimo Padre, la Santa Madre Chiesa chiede che questi nostri fratelli siano ordinati Presbitero.

Vescovo: Sei certo che ne siano degni?

Rettore: Dalle informazioni raccolte presso il popolo cristiano e secondo il giudizio dato da coloro che ne hanno curato la formazione, posso attestare ne siano degni.

Vescovo : Con l’aiuto di Dio e Gesù Cristo nostro Salvatore noi scegliamo questi figli per l’ordine del Presbiterato

Assemblea: Rendiamo Grazie a Dio.

Il popolo cristiano è dunque alla base dell’ordinazione presbiterale. Le sue informazioni, unite a quelle dei formatori, contribuiscono all’attestazione di dignità dell’ordinando da parte del Rettore. Ma di quale popolo cristiano si parla? Come, dove, quando il futuro presbitero è stato conosciuto, amato, corretto, accompagnato, educato nella fede? Sono queste le domande cruciali che sorgono dai venti di bufera scatenati dai casi di pedofilia. Le reazioni spesso scomposte degli organi di stampa, le derive giustizialiste anche se comprensibili tradiscono comunque una mancanza di fondo. E’ tempo ormai che, accanto alle tempestive dichiarazioni di collaborazione con le autorità giudiziarie e alle prese di posizioni intransigenti, vi siano delle profonde riflessioni sullo stato della fede nella Chiesa, nelle Diocesi come nelle Parrocchie, negli Istituti secolari come negli Ordini religiosi, non meno che nei seminari.

Nel discorso rivolto ai partecipanti al Convegno per i Vescovi di recente nomina promosso dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali il 21 settembre 2009, il Santo Padre affermava come “è importante non dimenticare che uno dei compiti essenziali del Vescovo è quello di aiutare, con l’esempio e con il fraterno sostegno, i sacerdoti a seguire fedelmente la loro vocazione, e a lavorare con entusiasmo e amore nella vigna del Signore. A questo proposito, nell’Esortazione postsinodale Pastores gregis, il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II ebbe ad osservare che il gesto del sacerdote, quando pone le proprie mani nelle mani del Vescovo nel giorno dell’ordinazione presbiterale, impegna entrambi: il sacerdote e il Vescovo. Il novello presbitero sceglie di affidarsi al Vescovo e, da parte sua, il Vescovo si impegna a custodire queste mani (Cfr n.47). A ben vedere questo è un compito solenne che si configura per il Vescovo come paterna responsabilità nel custodire e promuovere l’identità sacerdotale dei presbiteri affidati alle proprie cure pastorali, un’identità che vediamo oggi purtroppo messa a dura prova dalla crescente secolarizzazione. Il Vescovo dunque – prosegue la Pastores gregis – “cercherà sempre di agire coi suoi sacerdoti come padre e fratello che li ama, li accoglie, li corregge, li conforta, ne ricerca la collaborazione e, per quanto possibile, si adopera per il loro benessere umano, spirituale, ministeriale ed economico” (Ibidem, 47)”.

Non è la prima volta che la Chiesa si trova ad affrontare questioni difficili, scandali terribili che sembravano poterla spazzare via. Nell’articolo citato Lütz afferma tra l’altro che “alcuni dicono che c’è un legame tra pedofilia e celibato e che se si eliminasse il celibato si risolverebbero tanti problemi. Scientificamente questa teoria non ha nessun fondamento. Nel 2003 organizzai in Vaticano, all’interno della Pontificia accademia per la vita, un summit con diversi scienziati (molti non credenti) sul tema ‘abuso di minori da parte di sacerdoti e religiosi’. Tutti concordarono sul fatto che scientificamente non c’è alcuna relazione tra pedofilia e celibato. L’astinenza sessuale, in particolare, non provoca atti di abuso. Uno scienziato ateo molto noto in Germania ha detto che la possibilità che un prete commetta abusi è 36 volte minore rispetto a un padre di famiglia”. Un prete innamorato di Cristo, che abbia cuore e mente afferrati da Lui, che per Lui viva, bruciando di zelo per annunciarlo a tutti. Il cuore di San Francesco Saverio ad esempio, che, gettato dallo Spirito in un mondo completamente pagano, trovò nel Signore energie inspiegabili per consumare la sua vita come una candela perché ogni uomo incontrato potesse ricevere la luce di Cristo. Anche lui ebbe a che fare con la pedofilia dei monaci buddisti, la denunciò senza riserve ma, soprattutto, vi trovò uno stimolo per la propria umiltà e conversione e per un rinnovato zelo apostolico: “Dio ci ha fatto una grazia assai grande e particolare nel portarci in questi luoghi di pagani affinchè non ci dimenticassimo di noi stessi… Noi non abbiamo in chi poter confidare se non in Dio, dato che non abbiamo qua né parenti, né amici… E per questo siamo costretti a riporre tutta la nostra fede, speranza e fiducia nel Signore” (San Francesco Saverio, Lettera 90 da Kagoshima). Di fronte ai peccati l’unico cammino è l’umiltà che apre alla conversione, personale e comunitaria.

Tra le ferite inferte dal demonio, nell’accerchiamento mediatico che mina la credibilità della Chiesa possiamo trovare il seme per un rinnovamento autentico. La storia ce lo insegna. Anche ieri il Papa lo rammentava: “A questo punto forse è utile dire che anche oggi esistono visioni secondo le quali tutta la storia della Chiesa nel secondo millennio sarebbe stata un declino permanente; alcuni vedono il declino già subito dopo il Nuovo Testamento. In realtà, “Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt“, le opere di Cristo non vanno indietro, ma progrediscono. Che cosa sarebbe la Chiesa senza la nuova spiritualità dei Cistercensi, dei Francescani e Domenicani, della spiritualità di santa Teresa d’Avila e di san Giovanni della Croce, e così via? Anche oggi vale questa affermazione: “Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt“, vanno avanti. San Bonaventura ci insegna l’insieme del necessario discernimento, anche severo, del realismo sobrio e dell’apertura a nuovi carismi donati da Cristo, nello Spirito Santo, alla sua Chiesa. E mentre si ripete questa idea del declino, c’è anche l’altra idea, questo “utopismo spiritualistico”, che si ripete. Sappiamo, infatti, come dopo il Concilio Vaticano II alcuni erano convinti che tutto fosse nuovo, che ci fosse un’altra Chiesa, che la Chiesa pre-conciliare fosse finita e ne avremmo avuta un’altra, totalmente “altra”. Un utopismo anarchico! E grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di Grazia”.

Severo discernimento, realismo sobrio e apertura ai nuovi carismi donati da Cristo nello Spirito alla Chiesa. Occorre ripartire da qui. La Riforma protestante, la decadenza del clero, le crisi nella Chiesa hanno sempre suscitato Concili e riforme capaci di imprimere nuovo slancio missionario. E’ successo con il Concilio di Trento ed i suoi luminosissimi frutti lanciati ad evangelizzare le terre appena scoperte. E’ successo con il Concilio Vaticano II di cui il Papa, a dispetto di frettolosi commentatori, ha riaffermato l’insostituibile novità. Essa passa per l’accoglienza dei nuovi carismi. E’ il passaggio cruciale al quale è chiamata la Chiesa in questo tempo. Gli eventi tragici che hanno macchiato la Chiesa con i peccati di pedofilia costituiscono una parola che ci interpella tutti, Pastori e gregge. Le opere di Cristo, nonostante la debolezza dei cristiani, non vanno indietro, ma progrediscono. Per questo il Papa, guardando alla storia della Chiesa può affermare, senza remore, che cosa sarebbe la Chiesa senza la nuova spiritualità degli Ordini religiosi e dei santi, ed oggi che cosa sarebbe la Chiesa senza la freschezza dei nuovi carismi? E’ la continuità che rivela il mistero della Chiesa, di peccatori e luogo di Grazia, che porta il fardello di peccati anche orribili e il manto della misericordia infinita. La continuità dell’opera dello Spirito Santo nella Chiesa. E’ impressionante rileggere le parole di Giovanni Paolo II, timoniere saggio della barca di Pietro secondo Benedetto XVI, dirette ai partecipanti al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa: “Il punto di riferimento sicuro per quest’opera di evangelizzazione, in continuità con la vivente tradizione della Chiesa, deve restare l’evento di grazia del Concilio Vaticano II. Lo Spirito ha parlato alle Chiese d’oggi e la sua voce è risuonata nel Concilio Ecumenico. Esso si può ben dire che rappresenti il fondamento e l’avvio di una gigantesca opera di evangelizzazione del mondo moderno, giunto ad una svolta nuova della storia dell’umanità, in cui compiti di una gravità e ampiezza immensa attendono la Chiesa”. Il Concilio Vaticano II dunque, il motore dell’evangelizzazione. Quanti oggi si arroccano su posizioni tradizionaliste invocando Benedetto XVI quale estremo garante di non si capisce bene quale passato da rinverdire. Quanti occhi accecati dinnanzi all’apertura e alla modernità del Papa che legge e ci aiuta a discernere l’autentica opera dello Spirito nella Chiesa e nella storia. Gli stessi che invocano forche esemplari per i pedofili cancellerebbero ben volentieri il soffio dello Spirito che ha colmato l’assise conciliare. E, soprattutto, vorrebbero spegnere i carismi donati alla Chiesa in questo tempo.

Ma Benedetto XVI ha ben chiaro il cammino che Dio sta indicando alla Chiesa. In perfetta continuità con il suo Predecessore. Giovanni Paolo II diceva infatti nello stesso discorso appena citato: “Per realizzare un’efficace opera di evangelizzazione dobbiamo ritornare a ispirarci al primissimo modello apostolico. Tale modello, fondante e paradigmatico, lo contempliamo nel Cenacolo: gli apostoli sono uniti e perseveranti con Maria in attesa di ricevere il dono dello Spirito. Solo con l’effusione dello Spirito comincia l’opera di evangelizzazione. Il dono dello Spirito è il primo motore, la prima sorgente, il primo soffio dell’autentica evangelizzazione. Occorre, dunque, cominciare l’evangelizzazione invocando lo Spirito e cercando dove soffia lo Spirito (cf. Gv 3, 8). Alcuni sintomi di questo soffio dello Spirito sono certamente presenti oggi in Europa. Per trovarli, sostenerli e svilupparli bisognerà talora lasciare schemi atrofizzati per andare là dove inizia la vita, dove vediamo che si producono frutti di vita “secondo lo Spirito” (cf. Rm 8)”.

Di fronte alla morte disseminata dagli scandali, al calo delle vocazioni e della frequenza alla messa domenicale, ai problemi enormi sollevati dal relativismo teologico e pastorale occorre lasciare schemi atrofizzati e andare là dove inizia la vita, quella che viene dallo Spirito Santo, la novità delle opere della fede adulta, opere di Vita eterna, la novità che rende, in ogni generazione, la Chiesa “bruna ma bella” (Ct. 1,5 ), un sacramento di salvezza per ogni uomo.