da Baltazzar | Ott 8, 2013 | Cultura e Società, Segni dei tempi
Alla kermesse organizzata dall’Arcigay sono intervenute Camilla Seibezzi, Francesca Vecchioni e Luxuria. Ecco cosa hanno detto su papa Francesco, legge omofobia e genitore 1 e 2
da www.tempi.it
Dal 4 al 6 ottobre si è svolto a Ferrara “Tag – Festival di cultura Lgbt”, a cura dell’Arcigay locale col patrocinio del Comune e della Provincia. A partire dal titolo della kermesse (“L’omofobia si combatte con l’educazione”) si sono confrontati diversi relatori, attraverso dibattiti, spettacoli, cortometraggi e aperitivi musicali. Vi hanno partecipato nomi noti dell’universo omosessuale italiano, anche se esigua è stata la partecipazione di pubblico.
Tempi.it ha assistito a due degli incontri proposti: quello d’apertura intitolato “Le nuove famiglie italiane” con Camilla Seibezzi e Francesca Vecchioni e quello di presentazione del libro di Vladimir Luxuria, intitolato “L’Italia migliore”.
VIA PADRE E MADRE: «L’UDC ERA D’ACCORDO». Camilla Seibezzi è stata fino a metà agosto la delegata “ai Diritti Civili e alla Politiche contro le discriminazioni” del Comune di Venezia. È diventata “famosa” grazie alla proposta di sostituire sui moduli per l’iscrizione agli asili nido e alle scuole dell’infanzia i termini “madre” e “padre” con “genitore” . Una proposta che ha sollevato numerose polemiche, ma anche il sostegno del ministro Cécile Kyenge e il tentativo di riproporre la stessa formula a Bologna. Polemiche a cui Seibezzi aveva già tentato di rispondere, attraverso una lettera al Corriere della Sera.
Durante l’incontro a Ferrara, Seibezzi ha spiegato, innanzitutto, che la stampa ha male interpretato la sua proposta: infatti, diversamente da quanto scritto da «Pigi Battista e Piero Ostellino» sul Corriere («una manipolazione»), lei non ha chiesto di sostituire i termini “padre” e “madre” con “genitore 1 e 2″, ma solo con «genitore».
Come è potuto accadere che un provvedimento di natura amministrativa abbia potuto sollevare un tale polverone? Secondo Seibezzi ciò è avvenuto perché il senso della sua proposta è affermare «che siamo tutti uguali. È questo che ha destato scalpore». Il fatto che sia uscita la notizia e che ancora se ne parli, ha proseguito, è positivo, anche se, ha rivelato, l’Udc (che a Venezia sostiene il sindaco di sinistra Giorgio Orsoni) «era d’accordo che cambiassi i termini, a patto che non si sapesse».
SFRUTTARE LE PAROLE DEL PAPA SUI GAY. Francesca Vecchioni, primogenita del cantautore Roberto, è nota alle cronache per avere, assieme alla compagna Alessandra Brogno, concepito due bambine attraverso fecondazione eterologa in Olanda. Vecchioni ha descritto la propria vita quotidiana, ma anche dedicato qualche battuta a temi di recente attualità. Ha spiegato, ad esempio, che le parole diGuido Barilla alla Zanzara hanno «fatto emergere il fango omofobico» che c’è in Italia e, accennando alle parole di papa Francesco sui gay, ha incitato i presenti a «sfruttare in maniera positiva le parole del Pontefice. Ha detto cose che noi possiamo tranquillamente riportare. Perché ci sono tantissimi credenti omosessuali». E, soprattutto, ci sono «tantissimi preti omosessuali».
«BARILLA HA INCITATO AL BOICOTTAGGIO». Anche Vladimir Luxuria, presentando il suo libro, ha dedicato diverse battute agli ultimi fatti di cronaca. Per il trans più famoso d’Italia, la proposta di legge sull’omofobia appena passata alla Camera è «un mostro». Questo perché, ha esemplificato l’ex deputato di Rifondazione Comunista, «se tu sei un ragazzo che sta al Bar Sport e insulti un gay, puoi incorrere in una condanna prevista dalla legge. Se, invece, lo dici in rappresentanza di un partito o di una associazione, allora va bene. È assurdo, ma che cavolo! Per questo spero che ci siano altri passaggi. Non è una legge che mi rappresenta. Non mi piace».
Luxuria ha poi aggiunto di avere visto il video in cui Guido Barilla ha chiesto scusa. «Lui, divorziato, è per la famiglia sacrale come Berlusconi», ma, a causa «delle previsioni di vendita calate del 20 per cento», è stato costretto alla retromarcia. Poi, con linguaggio decisamente scurrile, Luxuria ha aggiunto che si è trattato di «coglionaggine»: «È stato talmente coglione da dire che se qualcuno non la pensa come me, compri un’altra pasta. Ma dove lo trovi un imprenditore così? È stato lui a incitare al boicottaggio». Poi si spaventati e «lui è stato costretto a fare quel video. Però ha fatto le sue scuse e io le accetto».
IL GIURAMENTO. «Una legge sull’omofobia – ha concluso Luxuria – darebbe forza per contrastare gli omofobi domani e per educare i ragazzi». Per questo ha espresso il desiderio che, al fine di evitare i suicidi fra adolescenti omosessuali, «all’inizio di ogni anno scolastico gli insegnanti pronuncino in classe un giuramento». Ad esempio la lettura di un documento in cui ogni docente affermasse la propria volontà di trattare tutti gli studenti in modo uguale, e di non discriminarli a seconda «della religione, dell’etnia e dell’orientamento sessuale. Se ci fosse stata una cosa del genere, quel ragazzo (il suicida, ndr) si sarebbe sentito meno solo».
da Baltazzar | Ott 8, 2013 | Chiesa, Papa Francesco
Nella Messa a Santa Marta, Papa Francesco invita a seguire l’esempio del Buon Samaritano del Vangelo e “lasciarsi scrivere la vita da Dio”
da www.Zenit.org di Junno De Jesús Arocho Esteves
A volte, “può succedere che anche un cristiano, un cattolico fugga da Dio, mentre un peccatore, considerato lontano da Dio, ascolti la voce del Signore”. È la riflessione sviluppata oggi da Papa Francesco durante l’omelia della Messa mattutina nella Casa Santa Marta. Il Papa, che il 13 ottobre consacrerà il mondo al Cuore Immacolato di Maria, indossava una casula bianca per onorare la memoria della Beata Vergine del Rosario che si celebra oggi.
L’omelia del Pontefice ha preso spunto dalla prima lettura della liturgia odierna che ricorda la storia di Giona, il quale “fugge” dopo aver ricevuto la chiamata di Dio a predicare contro Ninive. Giona prega, loda e serve Dio, fa del bene, ha osservato il Santo Padre, eppure quando il Signore lo chiama, “prende una nave per la Spagna. Fuggiva dal Signore”, perché “non voleva essere disturbato”.
Questo atto di “fuggire da Dio”, è una tentazione che tutti noi, cristiani e non, affrontiamo ogni giorno, ha detto il Papa. “Si può fuggire da Dio, pur essendo cristiano, essendo cattolico, essendo dell’Azione Cattolica, essendo prete, vescovo, Papa… Tutti possiamo fuggire da Dio! E’ una tentazione quotidiana” ha sottolineato.
Pur di “non ascoltare Dio, non ascoltare la sua voce, non sentire nel cuore la sua proposta, il suo invito” siamo disposti ad allontanarci da Lui, e le modalità sono infinite. “Si può fuggire direttamente” o si trovano altre maniere “un po’ più educate, un po’ più sofisticate”.
Ne è un esempio il Vangelo di oggi, in cui Cristo, narrando la parabola del Buon Samaritano, parla di un sacerdote che vede un uomo percosso e ferito per strada e passa oltre. “Fugge” quindi da Dio, ha osservato Bergoglio: “C’è quest’uomo mezzo morto, buttato sul pavimento della strada, e per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada – un degno sacerdote, proprio con la talare, bene, bravissimo! – Ha visto e ha guardato: ‘Arrivo tardi a Messa’, e se n’è andato oltre. Non aveva sentito la voce di Dio, lì”.
Allo stesso modo un levita, passando – ha proseguito il Santo Padre – vede l’uomo e pensa: “Se io lo prendo o se io mi avvicino, forse sarà morto, e domani devo andare dal giudice e dare la testimonianza…”. Quindi tira dritto e anche lui “fugge da questa voce di Dio”.
Infine – ha ricordato Francesco – passa un samaritano, “uno che abitualmente fuggiva da Dio, un peccatore”, e forse per questo l’unico che “ha la capacità di capire la voce di Dio”. Il samaritano, infatti, “non era abituato alle pratiche religiose, alla vita morale, anche teologicamente era sbagliato” – ha spiegato – perché i samaritani “credevano che Dio si dovesse adorare da un’altra parte e non dove voleva il Signore”. Tuttavia, egli “ha capito che Dio lo chiamava, e non fuggì”, ma “gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino, poi lo caricò sulla cavalcatura”. Come se non bastasse “lo portò in un albergo e si prese cura di lui”. “Ha perso tutta la serata” ha affermato Bergoglio.
Ma come si spiega tutto questo? “Perché Giona fuggì da Dio? Perché il sacerdote fuggì da Dio? Perché il levita fuggì da Dio?” si è domandato il Santo Padre. “Perché avevano il cuore chiuso – ha risposto – e quando tu hai il cuore chiuso, non può sentire la voce di Dio”. Invece, il samaritano “aveva il cuore aperto, era umano, e l’umanità lo avvicinò”.
Il problema, inoltre – ha aggiunto il Pontefice – è che Giona, così come il sacerdote e il levita, “aveva un disegno della sua vita: lui voleva scrivere la sua storia”, aveva “un disegno di lavoro”. Al contrario, il samaritano peccatore “si è lasciato scrivere la vita da Dio: ha cambiato tutto, quella sera, perché il Signore gli ha avvicinato la persona di questo povero uomo, ferito, malamente ferito, buttato sulla strada”.
La domanda che Papa Francesco ha rivolto quindi a tutti i presenti, incluso sé stesso, è stata: “Ci lasciamo scrivere la vita, la nostra vita, da Dio o vogliamo scriverla noi?”. E ancora: “Siamo docili alla Parola di Dio? Tu hai capacità di ascoltarla, di sentirla? Tu hai la capacità di trovare la Parola di Dio nella storia di ogni giorno, o le tue idee sono quelle che ti reggono, e non lasci che la sorpresa del Signore ti parli?”.
Concludendo l’omelia, il Santo Padre ha detto: “Sono sicuro che tutti noi vediamo che il samaritano, il peccatore, non è fuggito da Dio”. Il suo auspicio è quindi che il Signore “ci conceda di sentire la Sua voce, che ci dice: Va e anche tu fa così!”.
Al termine della celebrazione, il Papa ha salutato ognuno dei presenti alla funzione. Tra questi, un gruppo di dipendenti vaticani e di giornalisti accreditati presso la Sala Stampa della Santa Sede, tra cui una rappresentanza di ZENIT.
da Baltazzar | Ott 8, 2013 | Chiesa, Liturgia
Dal Vangelo secondo Luca 10,38-42
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Il commento di don Antonello Iapicca
Maria, “disoccupata” e felice: agli occhi di Marta, spenti su «quelle di quaggiù», la “sorella” è immagine dello scandalo della Chiesa che cerca le «cose di lassù». Ascoltare invece di fare? È lo scandalo nostro, di ogni giorno. La sveglia al mattino ci trova già inquieti e pre-occupati: abbiamo dato il cuore alle «cose della terra» per “inciamparci” rovinosamente. Corriamo, riempiamo le agende di impegni, trasciniamo marito, moglie, figli e amici nella stessa girandola, per ritrovarci ogni giorno più esausti e infelici. Nulla si realizza perché nulla ci sazia. “Accogliamo” e “serviamo” Gesù, ma senza la gioia piena con la quale Zaccheo è sceso dall’albero per ospitare Gesù. Era un peccatore, non si aspettava l’auto-invito del Signore, le sue parole l’avevano spiazzato: “Oggi conviene che io entri a casa tua”. Le abbiamo sentite queste parole, oppure siamo ancora convinti di avere invitato noi il Signore? Per Marta forse non era così “necessario” che Gesù entrasse a casa sua, e non si era accorta che, quando c’è Gesù, si è sempre suoi ospiti, perché ogni casa è la sua, ogni vita è la sua, ogni istante è il suo… Spesso pensiamo anche noi allo stesso modo: Gesù non è “l’unico necessario”, molto altro viene prima… Gli affetti ad esempio, le attenzioni e la stima. E, più di ogni altra, la giustizia nelle relazioni. Non a caso Marta e Maria sono “sorelle”: ci parlano delle nostre famiglie, dei matrimoni, dei fidanzamenti, delle amicizie. Ci parlano della Chiesa, la “donna” che “accoglie Cristo nella sua casa” ogni istante.
E, come in quella di Marta e Maria, quante rivendicazioni nelle nostre case… Quante Marta si aggirano per sale e sacrestie delle nostre parrocchie.. Quanta malizia si nasconde dietro ai nostri “molti servizi” di madri e di padri, di preti e suore, maestri e catechisti… E quanta ipocrisia… Sempre a chiedere giustizia, frustrati e delusi: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?”. Lo crediamo insensibile alle nostre ragioni, indifferente alla nostra solitudine. Ma come, proprio la sorella, proprio la moglie, il marito, il parroco o il fratello, proprio chi dovrebbe essere al nostro fianco nel “servizio” ci lascia “soli”? E Gesù? Niente, non ci dà ragione, mai. Ma è proprio questo il suo amore immenso, con il quale purifica tutto quello che non è “necessario” per la salvezza, a noi e ai fratelli. Lo stesso con il quale ha amato Marta: non le ha reso la giustizia che cercava, neanche una parola di comprensione. Gesù, infatti, ama Marta e ciascuno di noi non come vorrebbe la nostra carne ribollente di concupiscenze, che esige la propria giustizia. Gesù ci ama mostrandoci Maria, nostra “sorella”, proprio quella che disprezziamo e giudichiamo. Anche lei, come noi, è figlia della stesso padre e della stessa madre. Anche lei è stata creata da Dio e rigenerata nella Chiesa. E’, infatti, l’immagine della parte di noi che abbiamo nascosto sotto i detriti dell’orgoglio. E oggi Gesù viene a destarla, per riaccendere in noi l’amore, l’unico che genera il servizio autentico, il compimento della volontà di Dio. Sì, perché servire Gesù è, essenzialmente, stare “seduti ai piedi del Signore, e ascoltare la sua parola”. Questo è l’amore rivelato sul Sinai: se non si ascolta non si può obbedire, si è incapaci di compere la volontà del Padre, che è quella di donare noi stessi gratuitamente. Se non si ascolta si seguiranno solo i propri istinti.
Maria ascolta perché è innamorata. E si vede. Nulla più la «preoccupa», le «cose della terra» trovano il suo cuore «occupato» dall’unico Ospite «buono e necessario» capace di saziare ogni desiderio: Gesù Cristo. Era felice Maria, non aveva bisogno d’altro, aveva sperimentato che niente è “necessario”, neanche l’affetto, la stima, la salute o il denaro. Non sono “necessari” neanche la famiglia, i figli, o il ministero, perché passa la scena di questo mondo, e possiamo perdere tutto in un istante. Un ictus e tac, un prete non può più predicare, e un padre non può lavorare e parlare con i suoi figli o unirsi a sua moglie… Maria lo aveva capito e per questo stava dove era Gesù, e lo guardava come quando un ragazzo fissa estasiato gli occhi della sua amata, e ascolterebbe le sue parole per mesi. Amiamo così Cristo? Abbiamo conosciuto davvero il suo amore? Forse ancora no, forse speriamo ancora dalla terra il Cielo che non può darci. Forse ci deve essere ancora tolto quello che ci occupa il cuore. Solo allora potremo accogliere lo Sposo che viene a casa nostra, nello gratitudine e nella gioia, perché è “l’unico necessario” per noi e per chi ci è affidato. Per questo il Signore ci chiama a vivere “ai suoi piedi” come Maria, con un cuore innamorato di Lui, capace di ascoltare e obbedire alla sua voce, e riconoscerlo e amarlo in chi ci è accanto.
QUI IL COMMENTO ESTESO
Maria, “disoccupata” e felice: agli occhi di Marta, spenti su «quelle di quaggiù», la “sorella” è immagine dello scandalo della Chiesa che cerca le «cose di lassù». Ascoltare invece di fare? È lo scandalo nostro, di ogni giorno. La sveglia al mattino ci trova già inquieti e pre-occupati: abbiamo dato il cuore alle «cose della terra» per “inciamparci” rovinosamente. Corriamo, riempiamo le agende di impegni, trasciniamo marito, moglie, figli e amici nella stessa girandola, per ritrovarci ogni giorno più esausti e infelici. Nulla si realizza perché nulla ci sazia. La mormorazione acida di giudizi poi, ci avvelena il cuore rendendoci nemici della storia e di chi ci è accanto. Come Marta, ingannata dalla propria buona intenzione, ci illudiamo di amare. “Accogliamo” e “serviamo” Gesù, ma senza la gioia piena con la quale Zaccheo è sceso dall’albero per ospitare Gesù. Era un peccatore, non si aspettava l’auto-invito del Signore, le sue parole l’avevano spiazzato: “Oggi conviene che io entri a casa tua”. Le abbiamo sentite queste parole, oppure siamo ancora convinti di avere invitato noi il Signore? Così come nel matrimonio, pensiamo di aver scelto noi la sposa o lo sposo, oppure siamo persuasi di essere stati scelti da Dio l’uno per l’altra?
Per Marta forse non era così “necessario” che Gesù entrasse a casa sua. Forse era più importante se stessa che il suo Ospite. O forse aveva confuso le parti, e non si era accorta che, quando c’è Gesù, si è sempre suoi ospiti, perché ogni casa è la sua, ogni vita è la sua, ogni istante è il suo… E così Marta ha creduto di dover fare, e il servizio non nasceva dalla gratitudine, questo è certo. Le sue parole lo tradiscono. Spesso pensiamo anche noi allo stesso modo: Gesù non è “l’unico necessario”, molto altro viene prima… Gli affetti ad esempio, le attenzioni e la stima. E, più di ogni altra, la giustizia nelle relazioni. Non a caso Marta e Maria sono “sorelle”: ci parlano delle nostre famiglie, dei matrimoni, dei fidanzamenti, delle amicizie. Ci parlano della Chiesa, la “donna” che “accoglie Cristo nella sua casa” ogni istante.
E, come in quella di Marta e Maria, quante rivendicazioni nelle nostre case… Quante Marta si aggirano per sale e sacrestie delle nostre parrocchie… Sempre a chiedere giustizia, come i due fratelli che si avvicinano a Gesù perché giudicasse su chi aveva torto e chi ragione nel caso di un’eredità contestata. La rivendicazione della giustizia sorge sempre dal sentimento di profonda frustrazione che ha colto Marta: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?”. Così ci rivolgiamo a Gesù, immancabilmente. Lo crediamo insensibile alle nostre ragioni, indifferente alla nostra solitudine. Ma come, proprio la sorella, proprio la moglie, il marito, il parroco o il fratello, proprio chi dovrebbe essere al nostro fianco nel “servizio” ci lascia “soli”? E Gesù? Niente, non ci dà ragione, mai. Anzi, sembra favorire chi ci ha abbandonato, chi ci ha tradito… Siamo vittime di un’ingiustizia e proprio Colui che dovrebbe aiutarci ci delude…
E allora, ecco gli scoramenti, e quante gelosie nascoste, quanti rancori camuffati da attivismo ipertrofico con cui ci illudiamo di offrirci e di amare… Quanta malizia nascosta dietro ai nostri “molti servizi” di madri e di padri, di preti e suore, maestri e catechisti… Quanta ipocrisia… Ed è tutto veleno che si accumula e aggredisce la nostra anima, ferendola e macchiandola, senza che ce ne accorgiamo, così impegnati nel fare del bene… Ed è proprio per questo che Gesù non ci dà ragione e ci ripete: “chi mi ha costituito giudice tra di voi?”. Lui sa che “la vita non dipende dai beni”, dalla pancia piena di false adulazioni e di ragioni strappate al fratello. Questa è solo morte, che si fugge “affannandosi e agitandosi per molte cose”, tutte meritorie per carità, ma nessuna “necessaria”. Da schiantare… Non è “necessario” quello che faccio? Gesù per caso mi disprezza? Ecco perché alla fine mi va sempre male, e quando mi aspetto un minimo di riconoscenza ricevo solo indifferenza o dileggi… Niente, ci attendono solo fallimenti, in ogni opera delle nostre mani.
Ma sono fracassi benedetti, che Dio non solo permette, ma desidera e ci dona, con amore immenso, con il quale purifica tutto quello che non è “necessario” per la salvezza, a noi e ai fratelli. Lo stesso con il quale Gesù ha parlato a Marta: non le ha reso la giustizia che cercava, neanche una parola di comprensione. Avrebbe potuto almeno dirle “certo mia cara Marta, capisco le tue fatiche, avresti anche ragione, il tuo lavoro è per me molto “necessario” ma…..”; e invece niente, nessuna traccia di questa solidarietà pelosa e ipocrita. Gesù ama Marta e ciascuno di noi non come vorrebbe la nostra carne ribollente di concupiscenze, che esige la propria giustizia.
Gesù ci ama mostrandoci Maria, nostra “sorella”, proprio quella che disprezziamo e giudichiamo. Anche lei, come noi, è figlia della stesso padre e della stessa madre. Anche lei è stata creata da Dio e rigenerata nella Chiesa. E’, infatti, l’immagine della parte di noi che abbiamo nascosto sotto i detriti dell’orgoglio. E oggi Gesù viene a destarla, per riaccendere in noi l’amore, l’unico che genera il servizio autentico, il compimento della volontà di Dio. Sì, perché servire Gesù è, essenzialmente, stare “seduti ai piedi del Signore, e ascoltare la sua parola”. Questo è l’amore rivelato sul Sinai: se non si ascolta non si può obbedire, si è incapaci di compere la volontà del Padre, che è quella di donare noi stessi gratuitamente. Se non si ascolta si seguiranno solo i propri istinti. Magari di servizio e di solidarietà, come accade anche nella società e nella Chiesa, ma non per questo gratuiti, anzi; per questo poi si giudicano istituzioni e superiori, fratelli e sorelle, gli altri che, pigri, “lasciano soli a servire”.
Gesù ci ama annunciandoci la verità, per liberarci così dall’inganno con il quale il demonio ci tiene schiavi e ci conduce a giudicare tutto e tutti. Certo che un vestito e un piatto caldo sono “necessari”, ed è doveroso donarli a chi non li ha; certo che molto di quello che facciamo a casa e al lavoro, in parrocchia e tra gli amici è “necessario”. Ma Gesù, con amore, ci aiuta a discernere, anche a costo di farci star male: per chi e per che cosa è “necessario”? Per noi o per chi ci è accanto? Per la loro salvezza o per la nostra gratificazione? Per dare un senso e un ruolo alla nostra esistenza o perché gli altri conoscano il Signore? E’ qui che dobbiamo cercare le ragioni per le quali i figli non comprendono i nostri sforzi e la nostra dedizione, al netto dei loro peccati è ovvio. E perché la moglie non riesce a decodificare il nostro amore nell’alfabeto morse con cui la serviamo; o il marito non apprezza le mille camice stirate…. Serviamo, accogliamo, ma ci sfugge «l’unica cosa buona e necessaria», il dono riservato ai “disoccupati” che si sono arresi alla Grazia, che ascoltano e obbediscono invece di fare per non ascoltare…
Maria ascolta perché è innamorata. E si vede. Nulla più la «preoccupa», le «cose della terra» trovano il suo cuore «occupato» dall’unico Ospite «buono e necessario» capace di saziare ogni desiderio. Gesù Cristo, il Cielo disceso alla sua terra per farne la propria dimora. Era felice Maria, non aveva bisogno d’altro, aveva sperimentato che niente è “necessario”, neanche l’affetto, la stima, la salute o il denaro. Non sono “necessari” neanche la famiglia, i figli, o il ministero, perché passa la scena di questo mondo, e possiamo perdere tutto in un istante. Un ictus e tac, un prete non può più predicare, e un padre non può lavorare e parlare con i suoi figli o unirsi a sua moglie… Maria lo aveva capito e per questo stava dove era Gesù, e lo guardava come quando un ragazzo fissa estasiato gli occhi della sua amata, e ascolterebbe le sue parole per mesi. Amiamo così Cristo? Abbiamo conosciuto davvero il suo amore? Forse ancora no, forse speriamo ancora dalla terra il Cielo che non può darci. Forse ci deve essere ancora tolto quello che ci occupa il cuore. Solo allora potremo accogliere lo Sposo che viene a casa nostra, nello gratitudine e nella gioia, perché è “l’unico necessario” per noi e per chi ci è affidato. Per questo il Signore ci chiama a vivere “ai suoi piedi” come Maria, con un cuore innamorato di Lui, capace di ascoltare e obbedire alla sua voce, e riconoscerlo e amarlo in chi ci è accanto.
da Baltazzar | Ott 7, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Segni dei tempi
di Tommaso Scandroglio da www.lanuovabq.it

Transeutanasia. Coniamo questo neologismo per indicare il caso di una persona transessuale che si toglie la vita perché insoddisfatto/a del proprio aspetto dopo ripetuti interventi a cui si è sottoposto/a per la “rettificazione del sesso”. È la strada che ha scelto di imboccare Nancy Fleming, donna belga di 44 anni, la quale dopo tre operazioni per tentare di assumere un aspetto maschile ha chiesto l’eutanasia e l’ha ottenuta perché i risultati degli interventi chirurgici erano da lei ritenuti assai deludenti. In Belgio infatti non solo i malati terminali possono passare a miglior vita, ma anche i sani che soffrono in modo insopportabile nel corpo o nella psiche. La signora Nancy ha tentato in tutti i modi di diventare Nathan: terapie ormonali, mastectomia e impianto del pene. Ma alla fine ha gettato le armi, o forse sarebbe meglio dire il bisturi: «Quando mi sono guardato per la prima volta allo specchio dopo l’operazione, ho provato un’avversione contro me stesso», ha dichiarato la signora Fleming. Lo specchio le rimandava l’immagina di “un mostro”, per usare le sue parole.
È il paradosso dei paradossi. A guardar bene Nancy si è tolta la vita perché, seppur assai depressa, era sana di mente. Infatti la reazione di una donna normale che vede il proprio corpo mascolinizzato non può che essere di sana repulsa. Nancy si vede come un mostro e non si può che darle ragione. Il gesto estremo di questa donna non è imputabile all’imperizia dei medici, bensì proprio all’intimo dissidio che sin da ragazzina ha accompagnato la vita di Nancy. Il giorno prima di morire la signora Fleming ha rilasciato un’intervista al quotidiano Het Laatse Nieuws in cui spiegava che lei, unica figlia femmina nata dopo tre fratelli maschi, si sentiva la “ragazza che nessuna voleva”, una presenza “appena tollerata” in famiglia. Aveva ancora nelle orecchie i rimproveri di sua madre: “se soltanto tu fossi stato un ragazzino”.
La soluzione pareva a senso unico per Nancy, così come per molte altre persone che vogliono cambiare sesso: sottoporsi ad un’operazione. Ma una volta accontentata, la sofferenza di Nancy non si era ancora sopita. Per quale motivo? Perché non era il corpo che doveva mutare d’aspetto secondo i desideri insani di Nancy, bensì proprio l’opposto: era la psiche della donna che si sarebbe dovuta (ri)conciliare con il proprio corpo femminile. Assecondare la volontà della signora Fleming ha solo esasperato quel conflitto interiore che covava da anni, creando ancor di più una distanza tra la percezione di sé come “maschio” e la realtà di Nancy come persona di sesso femminile. La donna che era in lei chiedeva prepotentemente di venire a galla e quando invece scoprì che quel corpo era stata deturpato per renderlo maschio ecco la ribellione. Il rifiuto di quel corpo agghindato con gli attributi mascolini è la prova che la strada per il “cambiamento di sesso” non è la soluzione per simili disagi ma un elemento che accresce ancor di più questi stessi disagi perché accelera la fuga da quell’Io che si rifiuta ma che è invece la chiave di volta per ritrovare la serenità perduta.
La Nuova Bussola ne aveva già parlato nell’aprile di quest’anno (“Io, vittima del cambio di sesso”) allorchè pubblicò stralci dell’intervento in un convegno di Walt Heyer autore del libro Paper Genders-Il mito del cambiamento di sesso in cui raccontava la sua vicenda di transessuale pentito: «È giunto il momento di mettere a nudo l’inganno: gli interventi chirurgici di riattribuzione del sesso non fanno altro che peggiorare la vita di chi vi si sottopone. L’ho imparato a mie spese. È pura follia continuare ad avallare una procedura chirurgica, fallimentare e causa di grandi sofferenze, come risposta a un disturbo che è di natura psicologica. Dopo aver vissuto per otto anni come donna ho capito che avevo fatto un tremendo errore».
Il caso di Nancy non è una bizzarra singolarità, l’eccezione che dovrebbe confermare la regola che suggerisce a chi si sente uomo ma è donna di farsi operare, bensì rappresenta in modo paradigmatico la condizione di tutti coloro che seppur operati non hanno ancora guarito le proprie ferite interiori. Ed infatti il tasso dei suicidi tra i transessuali è del 30% ci rivela Heyer, il quale aggiunge: «Uno studio svedese condotto su 324 transgender (cioè la totalità di coloro che nel periodo 1973-2003 si sono sottoposti in Svezia all’intervento chirurgico di riassegnazione sessuale) ha concluso che dopo l’intervento chirurgico c’è un rischio di mortalità, comportamento suicidario e problemi psichiatrici significativamente superiore alla media nazionale svedese. E allora perché continuare a proporre la chirurgia come soluzione?».
È paradigmatico il caso della signora Nancy perché una persona può sì cambiare quasi perfettamente il proprio aspetto e sembrare quello che non è, ma l’essere maschio e femmina è altra cosa perché investe la persona in tutto il suo essere. Non è solo una questione legata alla genialità o ai cosiddetti attributi sessuali secondari, ma attiene alla sua psicologia, alla sfera emotiva, alla sua forma mentis, alla stessa natura umana che in ciascuno di noi fiorisce in modo maschile o femminile. Un dato ineludibile che nessun chirurgo riuscirà mai a cambiare.
Detto ciò, la drammatica specificità di questo caso risiede nel fatto che la vicenda del transessuale insoddisfatto termina in una clinica per la “dolce morte”. L’eutanasia in questo caso rappresenta plasticamente e realizza concretamente il rifiuto di sé come persona, prima che il rifiuto di sé come donna. L’eutanasia è la firma al fatto che Nancy non accettava se stessa, non tanto come donna, ma prima di tutto come persona. Questo a dimostrare, come si accennava, che la femminilità o la mascolinità non è dato accessorio della persona ma elemento essenziale che informa tutto il nostro essere. Inoltre la triste storia di Nancy che decide di farla finita è davvero l’apoteosi del delirio di onnipotenza dell’uomo che vuole cambiarsi in quello che non è e che, impotente di fronte al dato naturale e incancellabile della sessualità, annienta se stesso uccidendosi come quando si cancella con la gomma un disegno che ci pare uno sgorbio. E lo Stato asseconda tutte queste voglie perché vede nella persona solo una macchina biologica complessa che può mutare di struttura sessuale e che si può spegnere a comando del proprietario.