Hitler e Mengele sono ancora tra noi. Onorati

Hitler e Mengele sono ancora tra noi. Onorati

Terribile analisi di quanto sta accadendo nella coscienza del nostro occidente. E’ la «povertà» di cui ha parlato recentemente Papa Francesco

La nuova Rupe Tarpea
Nel 1977 l’allora chirurgo generale degli Stati Uniti, C. Everett Koop, scomparso tre settimane fa e salutato dalla stampa liberal come il grande pioniere della sanità americana, tenne un discorso che fece scalpore al parterre dell’American Academy of Pediatrics, intitolato “The slide to Auschwitz”.“L’infanticidio è messo in pratica e sono preoccupato perché non c’è protesta”, disse il medico-ministro. “Sono preoccupato perché quando i primi 273 mila tedeschi, anziani, disabili e ritardati furono uccisi nelle camere a gas non ci fu protesta neppure allora da parte della professione medica e non fummo molto lontani da Auschwitz”. Sono trascorsi trentasei anni da quello storico j’accuse di Koop e l’infanticidio, l’eutanasia dei bambini, o come viene chiamato da altri più eufemisticamente “aborto post nascita”, è diventato mainstream. Il “rottweiler di Darwin”, il professor Richard Dawkins, l’autore di “The God Delusion”, ha appena dichiarato che i feti, i bambini non nati, sono “meno umani” di un maiale adulto. “Riguardo a cosa sia ‘umano’ e alla moralità dell’aborto, ogni feto è meno umano di un maiale adulto”.Dawkins ha così giustificato l’uccisione di neonati disabili: “Moralmente non vedo obiezione, sarei a favore dell’infanticidio”. Della stesso avviso il professor Steven Pinker, docente ad Harvard, appena arrivato in Italia col suo libro “Il declino della violenza” (Rizzoli), per il quale i nuovi nati non sono ancora “persone”.

Le nuove teorie sull’infanticidio, moderna versione della Rupe Tarpea, si formano nel Centro per la bioetica fondato da Peter Singer presso la Monash University di Melbourne
.“Se paragoniamo un nuovo nato deficiente a un cane o a un maiale, scopriremo che il non umano ha capacità superiori”, ha scandito il professor Singer, che per questo è stato soprannominato “il filosofo della soluzione finale”. “Pensare che la vita di un neonato abbia uno speciale valore perché è piccolo e grazioso è come pensare che un cucciolo di foca, con la sua soffice pelliccia bianca e i suoi occhioni tondi, meriti più protezione di un gorilla”. Nel 1997 Singer fu invitato a tenere una conferenza sull’eutanasia in Svezia. Il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal si rifiutò d’incontrarlo perché, disse, “è inaccettabile un professore di morale che giustifica l’uccisione di nuovi nati handicappati”. George Pell, arcivescovo di Melbourne, dove Singer insegnava prima di atterrare nel celebre campus di Princeton nel Massachusetts, gli ha dichiarato guerra, chiamandolo “il ministro della propaganda di Erode”. Per il New York Times la sua popolarità a Princeton è simile a quella di Albert Einstein negli anni Quaranta all’Institute for Advanced Studies. Il New Yorker, in una celebre gigantografia, lo ha definito il filosofo più influente al mondo.

E’ vero, perché non c’è teoria filosofica che abbia scatenato più clamore di quella di Singer negli ultimi vent’anni.
 La sua assunzione da parte dell’Università di Princeton, la più conservatrice tra le otto prestigiose università della Ivy League, ha scatenato un chiasso mediatico non inferiore al mancato ingaggio del teorico dell’amore libero, Bertrand Russell. Il Wall Street Journal ha paragonato l’assunzione di Singer a quella del nazista Martin Bormann, accusando l’ateneo di aver “gettato in mare la concezione della dignità umana che da due millenni caratterizza la civiltà occidentale”. Vegetariano, evoluzionista di sinistra, militante socialdemocratico, paladino degli animalisti che devolve parte del suo stipendio in beneficenza, Singer ha fondato le teorie sull’eutanasia infantile in vigore oggi in Europa: “Ci sono molti esseri che sono consapevoli e capaci di provare piacere e dolore ma che non sono razionali e quindi non sono delle persone”, ha scritto il famoso bioeticista. “Molti animali non-umani rientrano in questa categoria, alcuni infanti e altri deficienti mentali. Dato che gli infanti sono indifesi e moralmente incapaci di commettere un crimine, chi li uccide non ha le scusanti spesso concesse per l’uccisione di un adulto. Niente di tutto ciò mostra comunque che l’uccisione di un bambino dovrebbe ritenersi grave quanto quella di un adulto”. E’ nata anche una Princeton Students Against Infanticide.

Da anni stanno uscendo saggi importanti di bioeticisti e filosofi che giustificano l’eutanasia dei nuovi nati. Jeff McMahan ha scritto ad esempio in “The ethics of killing” (Oxford University Press) che “l’infanticidio è giustificabile” in caso di “gravi disabilità mentali” del bambino. “La ragione per cui non ci sono differenze intrinseche fra neonati e feti è che un feto potrebbe essere un nuovo nato prematuramente”. Quindi l’aborto e l’infanticidio hanno la stessa valenza morale. In Inghilterra il professore del King’s College Jonathan Glover ha giustificato l’infanticidio sulla base del fatto che “va considerata l’autonomia della persona la cui vita è in gioco, se valga la pena di essere vissuta”. La filosofa utilitarista Helga Kuhse ha articolato la legittimità dell’uccisione degli handicappati in “Should the Baby Live? The Problem of Handicapped Infants”, un libro che ha scritto insieme a Singer. Sulla rivista Journal of Applied Philosophy, con il saggio “Consciousness and the Moral Permissibility of Infanticide”, gli studiosi Nicole Hassoun e Uriah Kriegel hanno sostenuto che “non è permesso uccidere una creatura soltanto quando questa è cosciente; è ragionevole pensare che ci sono casi in cui i neonati non sono coscienti; quindi è ragionevole pensare che sia lecito uccidere alcuni nuovi nati”. Hugo T. Engelhardt jr, autore del “Manuale di bioetica”, non esclude la possibilità dell’infanticidio osservando che “il dovere di preservare la vita di un neonato generalmente viene meno con il diminuire delle possibilità di successo nonché della qualità e della quantità della vita, e con l’aumentare dei costi del conseguimento di tale qualità”.

Il noto bioeticista ha coniato la definizione di “straniero morale” per indicare tutti quegli esseri umani (non nati, gravi ritardati mentali, dementi, comatosi, in stato vegetativo, ecc.) che non avrebbero titolo a essere considerati “persone” perché privi della capacità di esprimere biasimo o lode e quindi, appunto, estranei alla comunità sociale. I due premi Nobel che hanno decifrato la struttura del Dna, Francis Crick e James Watson, hanno dichiarato che dovrebbe essere istituito un periodo di due giorni di osservazione dopo la nascita in cui i bambini non sono ancora pienamente “persone” e quindi soggette a possibile eutanasia. Una delle università mediche reali della Gran Bretagna, il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists, ha invitato la comunità medica a studiare la possibilità di consentire l’eutanasia di neonati seriamente disabili. L’università ha sostenuto che “l’eutanasia attiva” dovrebbe essere considerata per il bene generale delle famiglie, per risparmiare ai genitori i turbamenti emotivi e le difficoltà finanziarie di crescere i bambini più gravemente ammalati. “Un bambino molto disabile può significare una famiglia disabile”. Joy Delhanty, docente di Genetica all’Università di Londra afferma: “Penso che sia immorale sforzarsi di mantenere in vita bambini che soffriranno per molti mesi o anni a causa di affezioni molto gravi”.

Richard Nicholson, redattore del Bulletin of Medical Ethics, che ha ammesso di aver accelerato la morte di due bambini neonati gravemente disabili negli anni Settanta, quando era un medico neo laureato, afferma: “Non mi opporrei a questa pratica”, riferendosi anche “al dolore, all’afflizione e al disagio” dei bambini gravemente disabili. Scandalo hanno generato le tesi del professor John Harris, perché è un membro della commissione governativa di Genetica umana e professore di Bioetica all’Università di Manchester: “E’ possibile sopprimere in caso di gravi anomalie fetali finché è un feto ma non possiamo uccidere un neonato. Che cosa pensa la gente che cambi nel passaggio lungo il canale vaginale da rendere giusto uccidere un feto a un’estremità del canale ma non all’altra?”. In Europa l’infanticidio sta diventando una prassi. Secondo uno studio realizzato da Veerle Provoost, una ricercatrice dell’Università di Gand, la metà dei bambini colpiti da malattie gravissime e deceduti in Belgio entro il primo anno di vita sono stati aiutati o lasciati morire, ricorrendo, quindi, a una forma non dichiarata di eutanasia e non prevista per i minorenni. Per questo oggi il Belgio sta studiando come estendere l’eutanasia anche ai bambini. Lo studio di Provoost calcola che per 150 bambini è risultato che la morte è dovuta alla decisione “di mettere fine alla vita” del piccolo paziente, adottata mediante la sospensione del trattamento capace di prolungarne l’esistenza, la somministrazione di oppiacei e l’impiego di prodotti tesi esplicitamente a provocare la morte del bambino. Nel 30 per cento dei casi non si trattava neppure di malati terminali, ma di bambini che non avrebbero potuto avere “una qualità della vita accettabile”. In questi casi “è insensato prolungare la loro esistenza a ogni costo”, ha dichiarato José Ramet, primario all’ospedale universitario di Anversa e presidente della società belga di pediatria. Il Liverpool Care Pathway (Lcp) è il protocollo seguito negli ospedali britannici che indica come i medici debbano accompagnare alla morte i malati in fin di vita. Il protocollo prevede l’interruzione di alimentazione e idratazione. Alcune settimane fa, sulle pagine dell’autorevole British Medical Journal è stato rivelato che il protocollo è applicato anche ai bambini con disabilità.

Un medico inglese che vuole rimanere anonimo ha raccontato la vicenda di un bambino nato con una lista molto lunga di anomalie congenite. I genitori del neonato malformato erano d’accordo sull’applicazione del Lcp e speravano che morisse in fretta. “Si auguravano che gli venisse una polmonite e che non soffrisse. Ma nella mia esperienza di medico ho visto che non si può sapere quanto sopravviveranno i bambini nati con malformazioni”. Un anno fa è apparso sul prestigioso Journal of Medical Ethics il saggio di due studiosi italiani che fanno ricerca in Australia, Alberto Giubilini e Francesca Minerva: “Se pensiamo che l’aborto è moralmente permesso perché i feti non hanno ancora le caratteristiche che conferiscono il diritto alla vita, visto che anche i neonati mancano delle stesse caratteristiche, dovrebbe essere permesso anche l’aborto post nascita”. Ovvero: al pari del feto, anche il bambino già nato non ha lo status di “persona”, pertanto l’uccisione di un neonato dovrebbe essere lecita in tutti i casi in cui è permesso l’aborto, anche quando il neonato non ha alcuna disabilità ma ad esempio costituisce un problema economico o di altra natura per la famiglia. Le loro idee sono state sdoganate anche in Italia: Maurizio Mori, direttore del master di Bioetica all’Università di Torino, in gennaio li ha invitati a parlare. “Alle idee di Singer di trent’anni fa, quando non eravamo nemmeno nati, noi abbiamo aggiunto solo un pezzetto: il fatto che non occorra che il neonato sia disabile per poterlo uccidere”. L’infanticidio dovrebbe essere consentito per le stesse ragioni per cui è permesso l’aborto. “L’essere ‘umano’ non è di per sé ragione sufficiente per attribuire a qualcuno il diritto alla vita”, affermano i due studiosi. “Sia il feto sia il neonato sono certamente esseri umani ma né l’uno né l’altro sono ‘persone’ nel senso di ‘soggetto di un diritto morale alla vita”’. Il pioniere dell’infanticidio è il dottor Eduard Verhagen.

Sono tre le categorie di neonati secondo cui per questo pediatra olandese si può porre fine alla loro vita. La prima: “I bambini destinati a morire in breve tempo nonostante il sostegno ininterrotto di tecnologia medica invasiva. Questi sono bambini con una patologia di fondo, quale può essere l’assenza di reni, polmoni non sufficientemente sviluppati, eccessiva prematurità (come per i neonati di meno di 22 settimane) e per i quali la morte è un fatto inevitabile”. Secondo gruppo: “Pazienti che necessitano di un trattamento intensivo e che, dopo questo periodo di cure, potrebbero anche sopravvivere, ma le cui prospettive di vita, dal punto di vista della qualità dell’esistenza, sono davvero miserevoli”. Differenti tipologie di bambini possono rientrare in questa categoria: i bambini con gravi malformazioni cerebrali (come nel caso della oloprosencefalia) o che hanno riportato gravi danni neurologici (come nel caso di asfissia o di gravi emorragie cerebrali). “I bambini di questa categoria si prevede che muoiano non appena il trattamento delle cure intensive venga interrotto”. Terzo gruppo: bambini “che non dipendono da un trattamento medico intensivo, e la cui sofferenza è sostenuta e grave e non può essere alleviata in alcun modo. Un esempio di quest’ultimo caso sono i bambini che sopravvivono grazie al sostegno di una tecnologia sempre più avanzata, ma per i quali appare presto chiaro che, finito il trattamento intensivo, la loro vita sarà piena di sofferenze intollerabili e senza la speranza di alcun miglioramento”.

In sintesi, l’infanticidio è stato esteso anche a bambini non terminali ma semplicemente disabili. I parametri giudicati sufficienti per deliberare un intervento di “life-ending”, o come la chiamano in Olanda di “terminazione”, sono la “mancanza di autosufficienza”, “mancanza di capacità di comunicazione”, “dipendenza ospedaliera”, “aspettativa di vita”. “Euthanasia in Severely Ill Newborns”. E’ il titolo dell’ormai famoso articolo del New England Journal of Medicine nel quale i due pediatri olandesi Verhagen e Pieter J. J. Sauer annunciarono al mondo il “Protocollo di Groningen”, il documento medico più esplosivo e controverso degli ultimi dieci anni. Nel 2004, il centro medico di Verhagen all’Università di Groningen invase le prime pagine di tutte le principali testate internazionali con l’ammissione che avevano praticato l’eutanasia pediatrica. Da qui la decisione di pubblicare le linee guida per l’eutanasia neonatale che l’ospedale aveva eseguito nel porre fine alla vita di 22 neonati tra il 1997 e il 2004. Anche l’Hastings Center Report, una delle principali riviste di bioetica del mondo, ha pubblicato un saggio di Hilde Lindemann e Marian Verkerk, “Ending the Life of a Newborn”, in cui i due autori sostengono che “porre fine attivamente a una vita qualche volta può essere più umano di aspettare la morte di una persona”. Verhagen ha ammesso di aver praticato l’eutanasia su quattro bambini nei tre anni precedenti alla pubblicazione attraverso l’iniezione letale di morfina e di midazolam (un potente sedativo). A Norimberga i medici tedeschi furono impiccati perché colpevoli di infanticidio.

Oggi l’introduzione e la legittimazione di quello stesso crimine viene discussa sulle pagine delle più prestigiose riviste accademiche e lo si pratica nei corridoi delle migliori unità neonatali d’Europa
. Come scrive Mireille Horsinga-Renno nel libro sull’eutanasia nazista “Cher Oncle Georg”, “qual è l’oggetto della civiltà se non quello di far sbocciare il fiore fragile di una speranza collettiva (che si poggia sul rispetto della dignità di ciascuno) sul letame e la sporcizia? Forse il letame sta di nuovo esalando i suoi miasmi? Come il comignolo del castello di Hartheim che sputava il suo fumo di morte”.

di Giulio Meotti (da Il Foglio)

“Piccolo uovo”, il problema è nei cattolici

“Piccolo uovo”, il problema è nei cattolici

di Rosi Rioli* da www.lanuovabq.it

Piccolo Uovo

Vorrei partecipare al dibattito creato dalla scelta del Sindaco di Milano di proporre alle scuole dei più piccoli lo spettacolo teatrale Piccolo Uovo, ma lo farò come voce un po’ fuori dal coro.

Per professione devo seguire l’editoria per bambini: una cosa affascinante e in alcuni casi, per ora minoritari, disperante. Nel luglio scorso ero così triste e avevo talmente bisogno di essere consolata, che ho scritto al mio Pastore, il cardinale Angelo Scola. Gli ho inviato alcune mie recensioni di libri per bambini in cui si afferma che essere gay è bello, ed è una fortuna avere un padre che vive con un amico. Oppure si afferma che in Olanda esistono signori gentili che offrono il loro semino a donne che voglio avere un figlio con un’amica, senza un papà. O ancora che esistono mamme talmente “in gamba” che, privata la figlia del padre naturale, la aiutano a cercare un padre a misura delle sue esigenze. In particolare, su Piccolo Uovo una suora ebbe a dire che in fondo è un bel libro perché trova il positivo dappertutto, con tanti complimenti al sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha invitato gli asili e le scuole elementari a vederlo.

Ed è di questo che vorrei parlare. «Errare è umano – riprende in Pendragon Marco Bettini, citando un anonimo – dare la colpa agli altri lo è ancora di più»Vorrei che ci osservassimo a casa nostra e ci interrogassimo con quanta coscienza, responsabilità e attenzione guardiamo ai libri per i nostri bambini. Un mio amico ebbe a dire con ironia che le sue figlie, se un giorno avessero dovuto recarsi in tribunale per una lite sull’eredità, lo avrebbero fatto per la suddivisione dei libri che possedevano da piccole.

Oggi, invece, i libri per bambini trasmettono la cultura agli adulti, ai molti analfabeti di ritorno che non leggono i testi a loro destinati – siamo tra i paesi i cui cittadini leggono di meno – ma un libretto per bimbi lo sanno ancora leggere. Il libro destinato alla ricerca del papà su misura, caratterizzato da immagini a dir poco squallide, l’ho trovato su un banchetto di una associazione cattolica, confezionato da una libreria cattolica. Forse non è la libertà che manca. Mancano uomini e donne liberi che non agiscano per reazione, ma che gridino il loro desiderio di bellezza, di verità, di bene, di accoglienza, di socialità e di cittadinanza vera per i propri figli. Di socialità vera, cioè dialogante tra diversi che si riconoscono tali, ma si parlano, si confrontano e non impongono nulla a nessuno.

Al contrario, a me sembra di percepire nettamente ciò che Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina, sottolineava già nel 1912: «La nostra è un’epoca di ideologie, nella quale invece che imparare dalla realtà in tutti i suoi dati, costruendo su di essa, si cerca di manipolare la realtà secondo le coerenze di uno schema fabbricato dall’intelletto: così il trionfo delle ideologie consacra la rovina della civiltà».Ma dove sono i cattolici? Si svegliano solo quando il sindaco Pisapia usa il denaro pubblico per presentare ciò che palesemente è una manipolazione della natura e della realtà? Non è anche questa ideologia?

Come corollario, mi piacerebbe che si ponesse attenzione, oltre che al contenuto, anche alla bellezza delle immagini dei libri per bambini. Do la parola a un aneddoto riferito a Marc Chagall. Un giorno il pittore si recò in libreria con la figlia per scegliere un libro con immagini di animali per il nipotino. Chagall scelse un bellissimo libro con alcune incisioni di Albrecht Dürer. Tuttavia, la figlia sbottò: «Ma no! Io intendevo quei libri da colorare! È solo un bambino!». Allora Chagall acquistò il titolo indicato dalla figlia. Tornati a casa, a tavola, alla fine del pranzo venne servita della frutta. Chagall prese la mela più brutta e un po’ segnata, tolse le tracce di muffa e la porse al nipotino. La figlia, inviperita, gli chiedse: «Tra tutte le mele mature, perché gli dai proprio quella bacata?”. Lui rispose di rimando: «Perché no? È solo un bambino».

Post scriptum: Non chiedetemi da quale testo ho tratto tutto ciò e le altre citazioni. Se dovessi in ogni occasione precisare ciò che mi colpisce durante i miei “incontri letterari”, non mi rimarrebbe più tempo per lasciarmi affascinare dalla lettura.

Pedagogista, responsabile dello Studio F.C.P. – Formazione e consulenze Pedagogiche

Per la scienza non ci sono “droghe leggere”, solo l’Italia resta nella disinformazione

Per la scienza non ci sono “droghe leggere”, solo l’Italia resta nella disinformazione

(Intervista a Claudio Risé, di Rodolfo Casadei, da “Tempi”, 27 marzo 2013, www.tempi.it)

Claudio Risé, psicanalista junghiano, è autore di Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita (San Paolo, 2007). A lui ci siamo rivolti per commentare la rinnovata penetrazione delle tendenze antiproibizioniste in Italia e negli Stati Uniti in relazione alle cosiddette “droghe leggere”.

Professore, stando al codice di comportamento dei suoi deputati, il Movimento 5 Stelle dovrebbe presentare una proposta di legge dal titolo “Legalizziamo, tassiamo, e (con i suoi proventi) disincentiviamo l’uso e la vendita delle droghe!”, inteso da molti come un via libera alle droghe cosiddette “leggere”. Cosa ne pensa?
L’espressione “droghe leggere” non ha alcun significato scientifico da almeno dieci anni.
La cannabis non lo è, lo ha spiegato a più riprese l’Istituto superiore di Sanità nei suoi documenti.
Preoccupazione per la sua diffusione esprimono puntualmente l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, che a proposito dell’Italia propone dati allarmanti: il nostro paese fra il 2001 e il 2008 ha registrato il massimo incremento di consumatori in Europa, passando dal 9,2 al 20,3 per cento nelle persone fra i 15 e i 34 anni.
I costi sociali di ciò sono altissimi e colpiscono le fasce più deboli della popolazione.

Negli Stati Uniti 19 stati hanno già legalizzato la cannabis per uso medico, due (Colorado e Washington) l’hanno legalizzata anche per uso ricreativo dopo referendum popolare e il Colorado ha iniziato la settimana scorsa l’iter legislativo che porterà alla prima legislazione antiproibizionista in piena regola. Cosa sta succedendo, secondo lei?
Gli Stati Uniti vengono da un lungo periodo di meticolosa lotta alla cannabis, considerata come la base su cui si innesta il consumo di altre droghe, comprese quelle legali come l’alcol.
Durante la presidenza Bush il consumo è diminuito del 20 per cento e nei primi anni di amministrazione Obama il trend al ribasso è continuato.
Ritengo inutile opporsi all’uso clinico della cannabis per certe malattie, fatto salvo che in alcuni casi ci si è trovati di fronte a strumentalizzazioni che miravano ad altro.
Credo che dobbiamo preoccuparci più per l’Italia che per gli Stati Uniti. La comunità scientifica sa che la cannabis fa male, che ha conseguenze dannose sul cervello, alimenta disturbi psichici gravi e danneggia organi vitali. Ma la popolazione non è stata informata. L’Italia è l’unico grande paese europeo che non ha fatto campagne di informazione serie sulla cannabis, la droga più utilizzata. Penso che i divieti di legge relativi alle droghe aiutano a tenere bassa la percentuale dei consumatori, mentre l’assenza di divieti la farebbe aumentare. Ma i proibizionisti fanno troppo poco sul fronte dell’informazione.

Cosa muove il movimento antiproibizionista? L’ignoranza circa gli effetti della cannabis, una posizione ideologico-antropologica o altri interessi poco nobili?
Tutte e tre le cose, direi. Che però ritroviamo anche nel campo proibizionista. Ma credo che dei tre fattori quello più inquietante siano gli interessi poco nobili. Da una parte e dall’altra ci sono persone in buona fede e in malafede, persone che sostengono la loro posizione con motivazioni superficiali e persone mosse da interessi poco nobili che si approfittano di loro.
La mancanza di informazione sulla dannosità delle droghe è funzionale sia a chi vorrebbe rincretinire la popolazione per controllarla meglio, sia a chi, in regime di proibizionismo, si arricchisce con attività criminali di narcotraffico.

“Asessuale” è il nuovo “genere” che minaccia la vita

“Asessuale” è il nuovo “genere” che minaccia la vita

di Benedetta Frigerio da www.tempi.it

Al termine omosessuale, bisessuale, transessuale se ne aggiunge uno apparentemente più innocuo. Sono gli “asex” che non provano attrazione per nessuno

Di calo del desiderio si sente parlare da tempo. Ma se prima si manifestava in una riduzione di questo a istintività o appagamenti parziali ora si racconta anche della sua scomparsa. Infatti si passa dalla dipendenza dal sesso, dal gioco e dal cibo, ad esempio, alla indipendenza totale da questi (repressione dell’istinto sessuale, depressione, anoressia). Così alla libertà sessuale, alla omosessualità e alla bisessualità si affianca un nuovo termine: l’“asessualità”.

DATI E SITI. I primi dati ufficiali, che minacciano la vita e per cui nel 2050 ci saranno più persone sopra gli 80 anni che sotto i 15, sono giapponesi dove un ragazzo su tre, dai 16 ai 19 anni, ha dichiarato di non avere interessi sessuali, con il 60 per cento delle donne coetanee che condividono la stessa indifferenza. Ma, come raccontato dalla Stampa ieri, il fenomeno è anche italiano e se qualcuno ne teorizza la normalità. A confermarlo il sito www.asexuality.org di cui esiste la versione italiana www.asessuali.it. Si legge sul sito: «Noi vogliamo che l’asessualità sia riconosciuta come un’altra forma di sessualità, un orientamento. Non come una malattia o qualcosa di cui la gente dovrebbe vergognarsi». L’asessuale sarebbe da aggiungere al termine omosessuale, bisessuale, transessuale, dunque alla fila di termini e comportamenti che oggi si vogliono come normali e dati. Le dichiarazioni citate vengono infatti dalla “World Pride”, la prima conferenza non accademica sull’asessualità, che si è tenuta a Londra l’8 luglio 2012, grazie a cui «il movimento sta guadagnando terreno».

CHI SONO? Ma chi sono gli asessuali? «Sono persone anche chiamate “asex” che non provano attrazione sessuale verso nessuno», si legge. Poi, senza citare le fonti, si parla di uno studio effettuato nel 2004 da cui emergerebbe che circa l’1 per cento della popolazione è asessuale, «ovvero circa 70 milioni di persone». Si parla fieramente di outing, «soprattutto dopo la creazione, nel 2001, del primo sito per asessuali, e in seguito dei successivi». Dalla compulsione del desiderio, soddisfatto da qualcosa che non riempie mai, si passa dunque all’atarassia come ideale, favorita anche dalla mentalità che va diffondendosi anche fra chi detta le agende cliniche e accademiche.
«È stata una lezione di Psicologia sociale all’Università a far scoprire l’esistenza degli asessuali a Klizia, 32enne romana impiegata nel settore finanziario», esemplificava l’articolo della Stampa. Dal sito si traggono una serie di testimonianze sulla medesima scia: «Ho scoperto di essere asessuale quando avevo 24 anni: al termine di un fidanzamento mi sono chiesta perché sentissi questo distacco dal sesso. Mi sono decisa a fare un po’ di ricerche in Internet, e ho capito che non c’è nulla di sbagliato o di disfunzionale in me, non sono malata o repressa, e ci sono migliaia e migliaia di persone che provano ciò che provo io». Invece che a chiedere aiuto si è dunque indotti a ritenere che sia tutto normale.

DALLA CARNE ALLO SPIRITO. Dalla carne e dal materialismo si passa così all’astrazione e allo spiritualismo. «Benché non m’interessasse – spiega Klizia – a 17 anni ho voluto avere rapporti con il mio fidanzato di allora, per capire quale era la differenza tra pulsione e attrazione sessuale. A 24 anni poi, rendendomi disponibile a un rapporto sessuale, speravo di far funzionare meglio una storia con un ragazzo. Non è servito a molto, perché abbiamo capito in fretta che il problema della nostra relazione era altrove. Ora ho un compagno da sei anni, viviamo insieme ed è asessuale. Siamo compagni di vita e ci amiamo come sappiamo e vogliamo amarci: in modo platonico».

E le ACLI formano nuovi imam

E le ACLI formano nuovi imam

di Tommaso Scandroglio da www.lanuovabq.it

Centro islamico

Le ACLI hanno elargito alcune borse di studio per diventare imam, cioè capo e guida di una comunità islamica. Da meno di un mese è attivo presso l’Università degli Studi di Padova un “Master in Studi sull’islam d’Europa”. Nel bando e nel volantino esplicativo si danno informazioni sugli obiettivi del corso, alcuni certamente condivisibili: conoscere l’islam, la sua storia, le sue tradizioni, l’impatto che ha avuto e che sta avendo in Occidente e molti altri aspetti di sicuro interesse.

Su altri l’olfatto cattolico sente puzza di bruciato. Ad esempio in merito alla metodologia di indagine del corso si tiene a specificare che si adotterà una “prospettiva scientifica” che “si emancipi dal pregiudizio eurocentrico”. Se per eurocentrismo intendiamo una cultura europea che ha nel cristianesimo le sue radici, allora il cristiano e con questo le ACLI, sigla che significa Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, non può che augurarsi lo sviluppo di una cultura eurocentrica. Qualora invece per eurocentrismo si voglia alludere ad alcune derive attuali attinenti alla morale, alla perdita di valori, al rifiuto delle radici di cui sopra, allora concordiamo nel condannare l’eurocentrismo.

Più ci si addentra nella lettura degli allegati della presentazione del Master più l’odore di bruciato si fa intenso per le narici del buon cattolico, fino a quando appare evidente che ci si trova nel bel mezzo di un incendio. Sotto la voce “Ambiti occupazionali” infatti si legge: “Il Master intende […] contribuire alla formazione di […] ministri di culto, leaders di comunità”. Vuoi vedere che le ACLI vogliono finanziare borse di studio per sacerdoti cattolici affinché si formino adeguatamente in merito a questa cultura religiosa che sempre più peso sta avendo nel nostro paese? Però c’è quel “leader di comunità” che stona. Si staranno riferendo a qualche responsabile di comunità di volontariato o di cooperativa sociale che si interessa del mondo islamico? La risposta alle due domande si trova in un comunicato stampa che l’Ufficio Stampa Acli del Veneto ha diramato a gennaio, prima dell’inizio del master, per presentare il corso. Qui si legge: “Per il secondo anno consecutivo le Acli regionali del Veneto promuovono una borsa di studio per il Master in Studi sull’Islam d’Europa. Un’iniziativa straordinaria ed unica in Italia ed in Europa per la formazione di Imam che non facciano riferimento ai centri di formazione del mondo arabo, ma siano integrati nel tessuto sociale europeo. Obiettivo finale dell’attività è il riconoscimento quale religione dell’Islam anche in Italia”.

Anche il lettore più distratto avrà compreso esattamente di cosa si tratta. Per il secondo anno consecutivo le ACLI finanziano borse di studio (il numero varia da 2 a 3) per formare imam al fine di valorizzare sempre più la religione islamica sul suolo italiano (questo il senso dell’ultimo periodo che sfiora l’anacoluto). Ovviamente imam dallo spirito occidental-democratico, mica fondamentalisti, tiene a specificare il comunicato.

Il Master è patrocinato da molte sigle del mondo arabo, ma le ACLI sono le uniche di sedicente ispirazione cristiana-cattolica. L’aggettivo “sedicente” è quanto mai appropriato e giustificato perché il cattolico non può che sforzarsi di convertire se stesso a Cristo e proporre la conversione a chi è ateo o non aderisce all’unica e vera religione, cioè alla religione cristiano cattolica. A tal fine ricordiamo alcuni passaggi della Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della Fede dal titolo, già di per se stesso esplicativo, “Dominus Iesus, circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa”: “Deve essere, infatti, fermamente creduta l’affermazione che nel mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, il quale è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), si dà la rivelazione della pienezza della verità divina. […] Deve essere fermamente creduto che la «Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti solo Cristo è il mediatore e la via della salvezza; ed egli si rende presente a noi nel suo Corpo che è la Chiesa» (Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 14). […] E’ chiaro che sarebbe contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni”. Nulla salus extra Ecclesiam dunque.

Bene il dialogo come mezzo di conversione degli altri, ma qui siamo ben al di là del dialogo: in questo caso siamo alla collaborazione volontaria all’errore, perché si aiuta economicamente a formare guide spirituali di una religione che è falsa. Qui si rema contro la Verità. Il cristiano ha il dovere di persuadere gli altri per portarli a Cristo ed opporsi, ovviamente nel rispetto della legge naturale e quindi del libero arbitrio dell’uomo, alle confessioni religiose differenti da quella cattolica. Cristo è forse morto perché diventiamo islamici?

Le ACLI invece di destinare soldi alla formazione dei sacerdoti ecco che foraggiano la formazione di guide spirituali islamiche nella speranza che l’islam acquisti credito nel Bel Paese. Invece di proporre la pienezza della verità che è in Cristo – quello stesso Cristo che è richiamato nella loro sigla – ecco che invitano alla sequela di Maometto. Invece di adoperarsi per proclamare la verità dalla cima dei campanili cattolici, facilitano l’accesso alla sommità dei minareti delle moschee. Invece di inginocchiarsi davanti alla Croce, esaltano la Mezza Luna.

Già qualche giorno fa avevamo parlato di come le ACLI a livello nazionale strizzassero l’occhio allacultura di gender in netto contrasto con quanto espresso di recente da Papa Benedetto XVI. Ora, seppur a livello solo locale (ma non abbiamo notizia che il Consiglio nazionale abbia inarcato un solo sopracciglio), si alza la posta e si mette in discussione addirittura lo stesso fondamento della religione cattolica, cioè che la Chiesa cattolica sia l’unica depositaria della pienezza della verità. Da qui la domanda: ma le ACLI da che parte stanno?

«Tempi da Anticristo, un Papa guerriero ci guiderà»

«Tempi da Anticristo, un Papa guerriero ci guiderà»

di Riccardo Cascioli da www.lanuovabq.it

Padre Livio Fanzaga

«Si avvicina il tempo della grande prova, e l’unico modo per rispondere è una riforma della Chiesa attraverso la santità». Padre Livio Fanzaga, direttore e vera anima di Radio Maria, non ha dubbi. Guidato anche dai messaggi trasmessi dai veggenti di Medjugorje, sa leggere in profondità questo nostro tempo così pieno di incognite, con un mondo attraversato da una grave crisi, morale ancora prima che economica, e una Chiesa che aspetta l’elezione del nuovo Papa tra tensioni e divisioni.

Padre Livio, dai microfoni di Radio Maria lei insiste molto sulla prova che aspetta il mondo e soprattutto la Chiesa. Ma quali sono i segni che questo tempo si avvicina?
Mi sembra che i segni siano piuttosto evidenti: in una parola si potrebbe dire l’avanzata del potere delle tenebre. Non solo la grave crisi economica e finanziaria, ma la possibilità che oggi l’uomo ha di distruggere la terra su cui vive, il trionfo della religione umanitaria, la costruzione di un mondo senza Dio e quindi lo scatenarsi di un attacco furioso contro la Chiesa, la persecuzione. Se guardiamo con attenzione non possiamo non vedere come il tempo abbia preso un’accelerazione incredibile, come un masso che prende velocità staccandosi da una montagna e rotolando verso il basso.

Lei parla di un grande attacco alla Chiesa, e lo ha detto più volte anche Benedetto XVI parlando di nemici esterni ma anche interni.
Si deve leggere questa situazione come l’approssimarsi del grande attacco di Satana alla Chiesa, “Satana sciolto dalle catene” nel linguaggio dell’Apocalisse e come afferma la Madonna a Medjugorje. L’obiettivo è distruggere la Chiesa, delegittimare i suoi pastori, e il cristianesimo in generale. Mi sembra sia evidente come la Chiesa sia sotto attacco globale, anche attraverso i media e i grandi poteri che regolano il mondo, mentre si afferma una nuova religione umanitaria, con l’uomo ridotto ad animale. E’ l’impostura anticristica di cui parla anche il catechismo della Chiesa cattolica (no. 675-676). Il tempo della prova, per la Chiesa, è il tempo della grande apostasia, e lo stiamo già vedendo.

Quali sono i segni all’interno della Chiesa?
Lo vediamo soprattutto in uno sbriciolamento della fede, e responsabili ne sono gli stessi sacerdoti. Maria Valtorta lo aveva previsto già nel 1943, ma anche la Madonna nell’apparizione alle Tre Fontane lo aveva annunciato: la crisi del sacerdozio, che è ancora in atto. Non solo dopo il Concilio hanno abbandonato il sacerdozio il 20% dei preti, ma quelli che sono rimasti si sono in larga parte secolarizzati, hanno edulcorato la fede, la stanno dissolvendo. La crisi del sacerdozio è crisi intellettuale più che morale, cioè è crisi di fede. Lo vediamo in tanti libri di teologi, biblisti, negli insegnamenti nei seminari, c’è quello che già Paolo VI chiamava l’affermarsi di un pensiero non cattolico. Si dissolve la fede in Gesù figlio di Dio, si nega l’inferno – se c’è è vuoto, si dice -, addirittura si arriva a negare i miracoli, vale a dire il soprannaturale che è l’essenza della nostra fede. La parola di Cristo viene demolita, la Sua volontà – vedi la questione del sacerdozio alle donne – la si vorrebbe riaggiustare secondo criteri umani. Si dice che la Chiesa si deve aggiornare e si invocano riforme umane. Ma la Chiesa non si deve aggiornare, è la fedeltà alla sua identità che l’ha preservata nei secoli. Guai a noi se perdiamo la dimensione evangelica, radicale, l’affermazione di Cristo salvatore del mondo. La tentazione da superare è il cedimento al mondo. Cosa hanno risolto i protestanti ammettendo le donne al sacerdozio o eliminando il celibato dei preti? Nulla, anche dal punto di vista morale ci sono più pedofili tra i pastori protestanti che tra i preti cattolici. Queste sono le false riforme della Chiesa, e il mondo tifa per quelli che nella Chiesa si mettono su questa strada.

E in questo panorama c’è la rinuncia del Papa…
Anche questo è un segno del tempo che si sta preparando. Benedetto XVI è pienamente cosciente di ciò che si prepara, ha rinunciato per dare spazio a uno più forte fisicamente, e lo ha detto con chiarezza. Andiamo verso tempi in cui c’è bisogno anche della forza fisica, oltre che morale, serve un Papa guerriero, un vero soldato di Cristo. E Benedetto XVI continuerà a seguire la battaglia con la preghiera, che è l’arma principale, come desidera anche la Madonna.

Può spiegare meglio questo passaggio?
L’obiettivo della Madonna è rafforzare la fede attraverso la preghiera. Perché dalla preghiera viene tutto, è una sorgente d’acqua che fa ricrescere tutto: l’incontro con Dio, la scoperta dei sacramenti, la luce del discernimento, la forza del combattimento spirituale. Fin dall’inizio delle sue apparizioni a Medjugorje ha invitato i veggenti a dire il Credo, prima del rosario, dopo la messa: sempre il Credo, che Lei dice essere la preghiera più bella. La Madonna vuole riformare la vita cristiana, bisogna che la grazia cambi i cuori, vuole la conversione, ed ecco quindi l’importanza della confessione. Non è un caso che il simbolo di Medjugorie siano le decine di confessionali all’aperto a cui si accostano ogni giorno centinaia di fedeli. Anche questo peraltro conferma quello che dicevo sulla crisi del sacerdozio: qui da noi i confessionali sono vuoti, ma se le stesse persone qui non si confessano e poi si sentono spinte a farlo a Medjugorje, evidentemente c’è qualcosa che non funziona nei preti qui, non è colpa dei fedeli.
Da questa conversione poi la Madonna desidera la pratica dei comandamenti: al proposito, ha fatto scalpore che nell’apparizione dello scorso 25 dicembre per la prima volta la Madonna non abbia parlato: si è invece alzato Gesù Bambino che ha ammonito “Io sono la vera pace, osservate i miei comandamenti”. Se non abbiamo la vita di Cristo dentro di noi, non siamo credibili.
La vera riforma che è chiesta è la santità, e del resto le grandi riforme nella Chiesa le hanno sempre fatte i santi. E tutti i fedeli sono chiamati alla santità, tutti siamo chiamati a una conversione che dura tutta la vita.

Insomma, sembra proprio che la Madonna stia preparando un piccolo esercito per la battaglia che s’avvicina.
Esatto, c’è un’incessante chiamata a diventare suoi apostoli decisi a testimoniare fino a dare la vita. Nel tempo della prova è necessario che ci sia un piccolo gregge che resiste, per dare luce agli altri, punto di riferimento per gli altri. Dio ha sempre fatto così: laddove ci sono le tenebre accende una luce, basti ricordare  Massimiliano Kolbe e Edith Stein nei lager nazisti.