La realtà distorta dalla lente dei media

La realtà distorta dalla lente dei media

di Fabio Spina da www.lanuovabq.it

Francesco

“[…]Se il bacio sulla bocca indubbiamente attinge una zona generalmente considerata erogena, è altrettanto indubbio che esso perde il connotato sessuale se è dato in particolari contesti sociali e culturali. Per esempio, nella tradizione russa il bacio sulla bocca è scambiato come forma di saluto, sicché il bacio c.d. alla russa non può identificarsi come atto sessuale. Altrettanto può avvenire in certi contesti familiari o parentali, in cui il bacio sulla bocca tra parenti è solo un segno di affetto, privo di connotazioni sessuali penalmente rilevanti […]”, così si esprimeva la Suprema Corte di Cassazione, Sezione III Penale in una nota  sentenza del l’anno 2007 n. 25112.

Sarebbe bastato qualche minuto di ricerca su Internet ed un poco di obiettività per avere qualche dubbio prima di diffondere in tutto il mondo il “bacio sulla bocca” delle atlete russe, Tatjana Firova e Ksenija Rizhova, trasformato da festeggiamento “sportivo” ad atto “politico”.

Ma proprio questo clamoroso “incidente” offre lo spunto per una riflessione più ampia sullo stato della comunicazione. Troppo spesso sui quotidiani non si offrono gli elementi per una lettura obiettiva della realtà da cui trarre poi delle conclusioni; al contrario, “l’ideologia” o gli interessi che li guidano portano i media a deformare la realtà per supportare le sole conclusioni che sono dettate dalla “linea editoriale”.
Così un intero “mondo mediatico”, che troppo spesso durante le gare sportive vuole vietare anche di indossare qualsiasi indumento o simbolo che rimandi a slogan politici o a precetti religiosi (si può rileggere “Calciatrici a capo coperto? Se è per fede non si può”), ha visto nel bacio delle atlete russe l’evento mediatico mondiale utile a “strumentalizzarle” come involontarie testimonial della validità della teoria gender.

Costatando quanto accade nel mondo dell’informazione torna in mente il richiamo di Papa Francesco ai rappresentanti dei media il 16 marzo 2013:«Siate certi che la Chiesa, da parte sua, riserva una grande attenzione alla vostra preziosa opera; voi avete la capacità di raccogliere ed esprimere le attese e le esigenze del nostro tempo, di offrire gli elementi per una lettura della realtà. Il vostro lavoro necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza “in persona”. Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza».

Se l’uomo post-moderno non conosce più direttamente la realtà, ma la riceve deformata dai mass-media, non è più in grado di leggervi quello che Benedetto XVI chiama «il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo», una capacità di lettura indispensabile per cogliere il ritmo e la logica della creazione senza i quali per l’uomo non è più possibile “custodire e coltivare” con responsabilità il Creato.
Purtroppo però «Quando la comunicazione perde gli ancoraggi etici e sfugge al controllo sociale, finisce per non tenere più in conto la centralità e la dignità inviolabile dell’uomo, rischiando di incidere negativamente sulla sua coscienza, sulle sue scelte, e di condizionare in definitiva la libertà e la vita stessa delle persone». (messaggio di Papa Benedetto XVI per la 42° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali).

Utero in affitto,  regole affidate al caos

Utero in affitto, regole affidate al caos

Babele Legislativa

La diffusione della maternità in affitto sta diventando un problema a livello internazionale più che una soluzione ai problemi di infertilità. Dalle organizzazioni non governative impegnate nella promozione dei diritti umani, alle agenzie e alle istituzioni internazionali, il mondo sta prendendo lentamente coscienza delle gravi problematiche create da questo tipo di percorso che, per sua natura, tende a superare le frontiere fra Stati. Il Parlamento Europeo, per esempio, nella risoluzione del 5 aprile del 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’Ue in materia di lotta alla violenza contro le donne, si è pronunciato contro la maternità in affitto senza se e senza ma, e testualmente:
20. chiede agli Stati membri di riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili; 
21. rileva che le donne e i bambini sono soggetti alle medesime forme di sfruttamento e possono essere considerati merci sul mercato internazionale della riproduzione, e che i nuovi regimi riproduttivi, come la surrogazione di maternità, incrementano la tratta di donne e bambini nonché le adozioni illegali transnazionali.
Ma il ricorso alla gestazione conto terzi a livello globale sta aumentando, anche se non è possibile conoscerne con esattezza le dimensioni, e neppure il numero delle cliniche o agenzie coinvolte: disponiamo solamente di stime indirette. Per esempio un progetto di ricerca sull’argomento della Aberdeen University ha coinvolto  cinque agenzie specializzate in maternità in affitto a livello internazionale, con sede negli Usa, India e Gran Bretagna, il cui volume di attività dal 2006 al 2010  è aumentato complessivamente  del 1000.0 %.
Oltre alla drammatica situazione delle madri surrogate è necessario tenere presente quella dei bambini nati: troppo spesso si pone il problema di stabilire quali siano i genitori legali, e quale la cittadinanza. Di uteri in affitto, infatti, i giornali parlano soprattutto in quei casi – purtroppo non rari – in cui i neonati restano invischiati in un limbo normativo che li rende apolidi e magari anche orfani, pur potendo “vantare”, teoricamente, fino a sei genitori variamente combinati (committenti, surrogati, genetici).
A normare la gravidanza conto terzi sono leggi e regolamenti nazionali diversissimi fra loro, che riguardano sia direttamente il fatto in sé – la maternità in affitto – che le questioni della filiazione e della cittadinanza.
Dal punto di vista normativo possiamo distinguere stati che proibiscono la maternità in affitto, stati in cui è sostanzialmente non regolata, stati che la consentono esplicitamente e la regolano, stati con un approccio permissivo e che ammettono esplicitamente il pagamento alle donne. Di seguito un prospetto schematico della situazione, aggiornato al marzo del 2012, tratto dal rapporto preliminare sulla maternità surrogata a cura del Permanent Bureau della Hague Conference on Private International Law.

Stati che proibiscono l’utero in affitto.
Francia, Germania, Italia, Messico (Queretaro), Svezia, Svizzera, alcuni stati degli Usa, Cina (continentale, esclusa Hong Kong). In Austria e Norvegia è proibita la cessione di ovociti, e il divieto di maternità surrogata è una conseguenza, quando l’ovocita non appartiene alla donna che mette a disposizione il proprio utero. In questi paesi non valgono quindi gli accordi di maternità surrogata stipulati altrove, e solitamente la madre legale del bambino, è la donna che lo ha partorito.
Stati in cui la maternità surrogata è sostanzialmente non regolata. 
Sono quelli in cui la legge non prevede un divieto esplicito, e quindi la madre surrogata non può essere obbligata a rispettare il contratto, cioè a cedere il neonato. Spesso sono proibiti, e puniti penalmente, gli accordi che prevedono espressamente pagamenti, mentre sono incoraggiate le maternità in affitto cosiddette “altruistiche”, cioè in cui sono previste cifre “ragionevoli” per le spese sostenute dalle donne. Si tratta di Argentina, Australia (nel Nord), Belgio, Brasile (non c’è una legge ma esistono linee guida per le cliniche), Canada, Repubblica Ceca, Irlanda, Giappone (la Società Giapponese di Ostetricia e Ginecologia ha adottato linee guida nel 2003 che vieta ai medici di essere coinvolti nelle maternità surrogate, ma non c’è una norma che la proibisca), Messico (Messico City), Olanda, Venezuela, alcuni stati Usa. Generalmente in questi stati la giurisprudenza tende a riconoscere come madre legale del bambino la donna che gli è geneticamente legata.
Stati in cui è espressamente permessa e regolata.
Si dividono in due gruppi: un primo in cui si segue un processo di approvazione del contratto di surroga prima che la donna resti incinta. Un organismo apposito verifica il rispetto dei requisiti previsti dalla legge. Solitamente è vietato un pagamento esplicito, ma sono consentite elargizioni di somme per spese “ragionevoli” sostenute durante la gravidanza, spesso indefinite. In questi casi la madre surrogata è obbligata a rispettare il contratto, che sostanzialmente passa dalle parti contraenti allo stato, che ne punisce la violazione. I paesi sono: Australia (Victoria, Western Australia e, per prassi piuttosto che per legge, Australia Capital Territory), Grecia, Israele (è previsto un compenso mensile per “dolore e sofferenza” oltre al rimborso spese, ma in certi casi il ripensamento è consentito), Sud Africa (se la madre surrogata è anche quella genetica ha due mesi di tempo per ripensarci), e, parzialmente, la Nuova Zelanda. Nel secondo gruppo di stati le condizioni dell’accordo sono verificate retrospettivamente, e dopo la nascita del bambino si trasferisce la responsabilità legale dei genitori dalla surrogata (e il partner) ai committenti. In questi casi la legge non obbliga all’adempimento del contratto, e la madre surrogata non può essere obbligata a rinunciare al bambino. Parliamo di: Australia (Queensland, New South Wales, South Australia), Canada (Alberta, British Columbia), Cina (Hong Kong SAR), Gran Bretagna (v. articolo del 10 agosto).
Stati con un approccio permissivo e che consentono pagamento esplicito.
L’accesso ai contratti di gestazione conto terzi è consentito anche a coppie che non risiedono in questi stati, alle quali comunque sono spesso richiesti altri requisiti specifici, diversi da paese a paese. Dopo la stipula del contratto di solito sono previste procedure che definiscono genitori legali del neonato uno o entrambe i committenti. La madre surrogata può avere o non avere l’obbligo di cedere il bambino agli aspiranti genitori, a seconda dei paesi. Si tratta di: Georgia, India, Russia, Tailandia, Uganda, Ukraina, e 18 stati negli Usa (con varie legislazioni). Sono state segnalate agenzie con madri surrogate da Armenia e Moldova. Sono questi gli stati “hubs”, centri di riferimento dove arrivano da tutto il mondo coppie in cerca di uteri in affitto.

Assuntina Morresi da Avvenire.it
Londra, bebè di 23 settimane  sfida la legge sull’aborto

Londra, bebè di 23 settimane sfida la legge sull’aborto

Sta bene. Sembra incredibile, ma ce l’ha fatta. Un bambino nato alla ventitreesima settimana di gravidanza ha appena lasciato l’ospedale di Liverpool. La mamma, ricoverata d’emergenza quando era incinta di meno di sei mesi, è radiosa. «Il nostro piccolo Lucas – ha dichiarato alla Bbc Tracy Giorgiou – pesava solo un chilo quando è nato lo scorso aprile e lunedì è venuto a casa con noi». Non è il primo bebè a sopravvivere a una nascita così prematura, ma la sua vicenda è significativa. La legge in Gran Bretagna, ricorda a Avvenire Andrea Williams dell’associazione Christian Concern, «si ostina a mantenere il limite dell’aborto a 24 settimane di gravidanza». In questi giorni altri due neonati sono sopravvissuti: entrambi nati alla 23esima settimana di gestazione. «Hanno bisogno di attenzione e di cure – continua la Williams – ma hanno buone probabilità di farcela». I bambini nati tre mesi prima del tempo, sostiene uno studio del 2006 della British Medical Association, hanno il 19 per cento di possibilità di resistere. «Ma negli ultimi anni – ha sottolineato il professore di pediatria Robin Boyd, citato dalla stampa locale – la medicina ha fatto molti progressi. Oggi sono convinto che il tasso di sopravvivenza, se misurato di nuovo, sarebbe più alto».

Il piccolo Lucas, ha detto la mamma, «è un dono di Dio. Dopo la sua nascita pensavamo tutti che non sarebbe sopravvissuto. Aveva un problema cardiaco che non rispondeva alle cure, così a sei settimane di vita è stato operato al cuore. Lo abbiamo guardato mentre entrava nella sala operatoria e sapevamo bene che poteva non uscirne salvo. Invece l’operazione è andata bene». Oggi il piccolo pesa tre chili e mezzo: più che normale se si considera che doveva nascere solo due giorni fa. Anche il direttore della clinica neonatale dell’ospedale di Liverpool, Bill Yoxall, si è detto assolutamente estasiato dai progressi del piccolo. «Nascendo così prematuro – ha detto il medico – Lucas ha avuto di fronte molti ostacoli, ma li ha superati tutti. La sua famiglia è stata forte e coraggiosa e siamo felicissimi che siano stati in grado di portare il figlio a casa».

Dopo un documentario della Bbc trasmesso un paio d’anni fa, che mostrava la crescita di un bambino nel grembo materno, varie associazioni, tra cui molte cristiane, hanno invitato il governo a riconsiderare il limite dell’aborto. Le immagini di un bambino perfettamente formato a venti e poi ventiquattro settimane di gravidanza hanno scosso la nazione. Ma nei progetti dell’esecutivo, prima quello laburista e ora quello conservatore, l’abbassamento del limite dell’aborto non è mai rientrato. «La Gran Bretagna è un paese di pragmatici – afferma la Williams –, molti vedono l’aborto come una questione medica e scientifica e non ne considerano affatto le implicazioni etiche e morali».

Eppure, ha concluso la portavoce di Christian Concern, «i miracoli accadono». Come quello di Esme Poulson, un’altra bambina nata a 23 settimane: i medici le avevano dato solo l’uno per cento di probabilità di vita. Oggi ha otto mesi. E un’ottima salute.​

Elisabetta Del Soldato da Avvenire.it
Ratzinger e le dimissioni: «Me l’ha detto Dio»

Ratzinger e le dimissioni: «Me l’ha detto Dio»

È questa la spiegazione che Benedetto XVI avrebbe dato nel corso di un colloquio privato: la rinuncia frutto di un’esperienza «mistica»

di Andrea Tornielli da Vatican Insider

Benedetto XVI

«Me l’ha detto Dio». Con queste parole il Papa emerito Benedetto XVI avrebbe spiegato la sua decisione di rinunciare al pontificato. La ricostruzione di un colloquio privato con una persona che ha visitato Ratzinger qualche settimana fa e ne ha riferito i contenuti scegliendo però di mantenere l’anonimato è stata rilanciata dall’agenzia cattolica «Zenit».

«Dopo circa sei mesi dall’annuncio che ha sconvolto il mondo – scrive Zenit – la decisione di Ratzinger di vivere nel nascondimento fa ancora riflettere e interrogare. Qualcuno ha avuto il privilegio di sentire dalle labbra del Papa emerito le motivazioni di questa scelta. Nonostante la vita di clausura, Ratzinger concede infatti – sporadicamente e solo in determinate occasioni – alcune visite privatissime» nell’ex convento Mater Ecclesiae in Vaticano, divenuto la sua dimora. Durante questi incontri, l’ex Pontefice «non commenta, non svela segreti, non si lascia andare a dichiarazioni che potrebbero pesare come “le parole dette dall’altro Papa”, ma mantiene la riservatezza che lo ha sempre caratterizzato. Al massimo osserva soddisfatto le meraviglie che lo Spirito Santo sta facendo con il suo successore, oppure parla di sé, di come questa scelta di dimettersi sia stata un’ispirazione ricevuta da Dio».

«Me l’ha detto Dio», è stata la risposta del Pontefice emerito alla domanda sul perché abbia rinunciato al soglio di Pietro. Ratzinger avrebbe poi subito precisato che «non si è trattato di alcun tipo di apparizione o fenomeno del genere; piuttosto è stata “un’esperienza mistica”‘ in cui il Signore ha fatto nascere nel suo cuore un “desiderio assoluto” di restare solo a solo con Lui, raccolto nella preghiera». Secondo la fonte l’esperienza mistica si sarebbe protratta lungo tutti questi mesi, «aumentando sempre di più quell’anelito di un rapporto unico e diretto con il Signore. Inoltre, il Papa emerito – scrive Zenit – ha rivelato che più osserva il “carisma” di Francesco, più capisce quanto questa sua scelta sia stata “volontà di Dio”».

Dunque non soltanto Ratzinger sarebbe più che mai convinto dell’opportunità della sua scelta, che tanto ha fatto discutere soprattutto tra i suoi più vicini collaboratori, ma sarebbe anche contento nel vedere ciò che il suo successore sta realizzando. In un precedente colloquio con un accademico tedesco Benedetto XVI aveva già parlato della sintonia dal punto di vista teologico con il suo successore Francesco. Quest’ultimo, del resto, non manca occasione di manifestare anche pubblicamente la venerazione per il suo predecessore, del cui consiglio ha detto di non volersi in alcun modo privare.

Fecondazione assistita? La “napro” è più efficace ed è “cattolicamente corretta”. Infatti nessuno ne parla

Fecondazione assistita? La “napro” è più efficace ed è “cattolicamente corretta”. Infatti nessuno ne parla

di Rodolfo Casadei da www.tempi.it

Infertilità e figli: esiste un metodo migliore, più economico e meno invasivo della procreazione artificiale. Ma è troppo “naturale” per non dare fastidio alla lobby della provetta 

naprotecnologia-copertina-tempiHa un tasso di riuscita che è il doppio di quello della fecondazione assistita, per percentuali di nascite da coppie che seguono i trattamenti, e costa undici volte di meno, ma è praticata da pochi medici in tutto il mondo, boicottata dalla lobby della provetta e ignorata dai sistemi sanitari nazionali. La naprotecnologia è nata negli Stati Uniti e da qualche anno è approdata in Europa, ma continua a scontare il pregiudizio che la considera un approccio confessionale alla medicina, condizionato dai dogmi religiosi. Niente di più lontano dalla realtà. Se è vero che le pratiche della naprotecnologia si conformano rigorosamente alla bioetica cattolica, è altrettanto dimostrato che il suo approccio al problema della sterilità è scientificamente e clinicamente più rigoroso di quello praticato nell’ambito della fecondazione assistita. E per questo alla fine è anche più efficace: lo dicono le statistiche.

«La differenza fra naprotecnologia e fecondazione in vitro consiste nel fatto che nella prima la questione fondamentale è la diagnosi delle cause dell’infertilità, si cerca una spiegazione medica del perché una coppia non riesce a procreare, quindi si cerca di eliminare il problema e “aggiustare” il meccanismo naturale, ridandogli la sua armonia», spiega Phill Boyle, il ginecologo irlandese che tiene i corsi di formazione in naprotecnologia per medici di tutta Europa in una clinica di Galway. «Nel procedimento in vitro, invece, la diagnosi delle cause non ha importanza, i medici vogliono semplicemente “aggirare l’ostacolo”, eseguendo una fecondazione artificiale. In naprotecnologia, la cura risolve il problema della coppia, che poi può avere anche altri figli. Con il metodo in vitro, i coniugi comunque non guariscono e continuano ad essere una coppia sterile, e per avere più bambini si devono sempre affidare a un laboratorio». «La naprotecnologia è la vera fecondazione assistita», ironizza Raffaella Pingitore, la ginecologa chirurga più esperta nel metodo dell’area di lingua italiana, attiva presso la clinica Moncucco di Lugano. «Nel senso che assistiamo il concepimento dall’inizio alla fine, cioè dalla fase di individuazione dei marcatori di fecondità nella donna fino agli interventi farmacologici e/o chirurgici che si rendono necessari per permettere alla coppia di arrivare in modo naturale al concepimento».

Il nome deriva dall’inglese “natural procreation technology”, tecnologia della procreazione naturale. Più che una tecnologia è un insieme di tecniche diagnostiche e interventi medici che hanno per obiettivo l’individuazione della causa dell’infertilità e la sua puntuale rimozione. Si parte con le tabelle del modello Creighton, che descrivono lo stato dei biomarcatori della fecondità durante tutto il ciclo mestruale della donna, e che sono basate principalmente sull’osservazione dello stato del muco cervicale da parte della donna stessa. Il pilastro che regge tutta la naprotecnologia è la capacità di osservazione di sé della donna: ad essa viene formata nella parte iniziale del percorso. Le tabelle correttamente compilate, con lo stato del muco cervicale giorno per giorno e altri dati, sono la base di tutti i passi successivi. Da esse è già possibile diagnosticare carenze ormonali, insufficienze luteali e altri problemi trattabili con la somministrazione degli ormoni mancanti. Se l’infertilità persiste, si prosegue con l’esame dettagliato del livello degli ormoni nel sangue, l’ecografia dell’ovulazione e la laparoscopia avanzata. Possono allora rendersi necessari interventi di microchirurgia delle tube o di laparoscopia avanzata per rimuovere le parti danneggiate dall’endometriosi. Il risultato finale è una percentuale di nati vivi fra il 50 e il 60 per cento del totale delle coppie che eseguono i trattamenti per un massimo di due anni (ma la maggior parte concepisce nel primo anno), contro una media del 20-30 per cento fra chi ricorre ai cicli della fecondazione in vitro (generalmente sei cicli).

napro-fecondazione-assistita-raffronto-tassi-successoLa sciatteria dei medici
«Una delle cose che mi scandalizza di più è la diffusa negligenza nelle diagnosi delle cause dell’infertilità», spiega Raffaella Pingitore. «Oggi dopo pochi esami di prammatica la donna viene invitata a rivolgersi ai centri per la fecondazione assistita. Siamo arrivati al punto che qualche anno fa la Società americana di medicina riproduttiva ha dichiarato l’insufficienza luteale come non esistente, perché non poteva essere “scientificamente” diagnosticata. Noi siamo in grado di diagnosticarla perché coinvolgiamo la donna chiedendole di osservare e descrivere quotidianamente lo stato del muco cervicale, procedura che ci permette di diagnosticare l’insufficienza luteale. Questo per molti medici è impensabile: si limitano a un prelievo al 21esimo giorno del ciclo per misurare il livello del progesterone. Ma solo il 20 per cento delle pazienti ha un ciclo perfettamente regolare, perciò il dato del prelievo è quasi sempre diagnosticamente inutile».

«Negli Stati Uniti a Omaha, nel Nebraska, dal dottor Thomas Hilgers, il vero creatore della naprotecnologia, andavano donne alle quali l’endometriosi era stata esclusa dopo una laparoscopia. Ma rifacendone una più approfondita si scopriva che nel 90 per cento dei casi l’endometriosi c’era. A me è capitata spesso la stessa cosa. Una laparoscopia approfondita dovrebbe essere una pratica standard nello screening della sterilità, ma trattandosi di un intervento chirurgico l’ostilità è grande».

Che il ricorso indiscriminato alla fecondazione assistita vada di pari passo con la negligenza diagnostica lo si desume anche dall’alto numero di pazienti che ricorrono con successo alla naprotecnologia dopo fallimentari cicli di fecondazione in vitro. Il dottor Boyle afferma che negli ultimi sei anni nel gruppo delle sue pazienti sotto i 37 anni che avevano già provato due cicli di fecondazione assistita la percentuale di quelle che hanno concepito grazie al metodo di procreazione naturale è stata del 40 per cento. Raffaella Pingitore racconta la sua personale esperienza: «La paziente aveva 36 anni e desiderava una gravidanza da otto anni; aveva fatto in passato cinque cicli di fecondazione assistita senza successo. Le ho fatto registrare la tabella dei marcatori della fertilità e abbiamo notato che aveva una fase di muco fertile soddisfacente, ma dei livelli ormonali un po’ bassi, il che indica un’ovulazione un po’ difettosa. Aveva anche dei sintomi di endometriosi; ho eseguito una laparoscopia, ho trovato l’endometriosi e ho coagulato i focolai di endometriosi sull’utero, sulle ovaie e sulle tube. L’ho sottoposta a una terapia per mandarla sei mesi in menopausa, così da asciugare bene tutti i focolai di endometriosi eventualmente rimasti; dopo la terapia ho continuato con un farmaco, l’Antaxone, con la dieta e col sostegno della fase luteale con piccole iniezioni di gonadotropina. Questo ha portato all’innalzamento degli ormoni, e al quarto mese di trattamento si è raggiunto un muco molto buono. Al 17esimo giorno dopo l’ovulazione abbiamo eseguito il test di gravidanza, che è risultato positivo».

napro-fecondazione-assistita-raffronto-costiCosti e benefici
Lo scrupolo del professionista eticamente motivato può molto più delle tecniche artificiali. Lo dimostra l’aneddoto della dottoressa Pingitore, lo dimostrano le statistiche del dottor Boyle. In Irlanda nel corso di quattro anni il ginecologo ha curato 1.072 coppie che cercavano quasi tutte un figlio da più di cinque anni. L’età media delle donne era di 36 anni, e quasi un terzo di esse aveva già tentato di avere un figlio con la fecondazione in vitro. Dopo sei mesi di cure naprotecnologiche, l’efficacia del metodo era del 15,9 per cento. Dopo un anno, del 35,5 per cento. Dopo un anno e mezzo, il 48,5 per cento delle pazienti era rimasto incinta. Se le cure duravano due anni, quasi il 65 per cento delle pazienti arrivava alla gravidanza.

Su una base di utenti molto più piccola la dottoressa Pingitore nel biennio 2009-2011 ha ottenuto una media del 47,3 per cento. Negli Stati Uniti (paese dove non vigono leggi che limitano il numero degli embrioni fecondati trasferibili nell’utero) i tassi di successo della fecondazione assistita dopo sei cicli sono i seguenti: 30-35 per cento per le donne sotto i 35 anni; 25 per cento per le donne fra i 35 e i 37 anni; 15-20 per cento per le donne fra i 38 e i 40 anni; 6-10 per cento per le donne sopra i 40 anni.

Poi c’è la questione niente affatto secondaria dei costi, anche se in Italia se ne discute poco perché, a parte il ticket, la spesa è a carico del sistema sanitario nazionale. In tempi di austerità e di effetti deleteri del debito pubblico, tuttavia, un occhio al rapporto spesa/efficacia dovrebbe valere anche da noi. Risulta dunque che, se raffrontiamo i costi di due anni di percorso naprotecnologico e quelli di sei cicli di fecondazione assistita, la seconda costa ben undici volte di più della prima. Un singolo ciclo di fecondazione in vitro costa circa 3.750 euro più 1.000 euro di medicazioni, dunque sei cicli costerebbero 28.500 euro a cui ne vanno aggiunti altri 800 per il congelamento e il mantenimento degli embrioni e 1.200 per il trasferimento, per un totale di 30.500. Invece, anche protraendo il percorso della naprotecnologia per due anni, i costi sono modesti: 300 euro per il corso di formazione nei metodi naturali, 800 per le consultazioni mediche e 1.500 per i medicamenti, per un totale di appena 2.600 euro. Probabilmente parlamenti e ministri della Sanità dei paesi europei non sono tanto sensibili sui temi bioetici, ma difficilmente potranno fingersi sordi davanti alle richieste di verificare il rapporto costi/benefici fra le due metodologie. «La naprotecnologia è destinata a diffondersi, non fosse altro che per un discorso legato ai costi, nei quali vanno calcolati anche gli effetti collaterali della pratica della fecondazione assistita: non dimentichiamo che i bambini che nascono con quella tecnica hanno più probabilità di malformazioni e problemi di salute di quelli che nascono in modo naturale», ricorda Raffaella Pingitore. «Prima, però, occorre sconfiggere la lobby della procreazione assistita. È una lobby miliardaria, che arricchisce centinaia di persone e che non si lascerà mettere i bastoni tra le ruote tanto facilmente».

Nasce La Manif pour Tous Italia in difesa del matrimonio e della libertà di espressione

Nasce La Manif pour Tous Italia in difesa del matrimonio e della libertà di espressione

Primo appuntamento sullo stile dei Veilleurs a Roma, a piazza Montecitorio, davanti al Parlamento, giovedì 25 luglio dalle 19 alle 21 circa 

manif-pour-tous-italiaRiceviamo e pubblichiamo. da www.tempi.it

Siamo lieti di comunicare che da oggi nasce La Manif pour Tous Italia con l’autorizzazione ed in stretto legame con La Manif pour Tous francese. La Manif pour Tous in Francia ha avuto l’inaspettato merito di risvegliare milioni di coscienze. Con un taglio trasversale portato avanti prima di tutto dalla gente comune, condiviso personalmente da personaggi politici di tutti gli schieramenti, da associazioni di persone omosessuali, e da credenti di tutte le religioni e non credenti, ha sostenuto con fermezza e rispetto che il matrimonio possa essere composto solo da un uomo ed una donna. Un movimento nato nella società civile e apertamente apolitico e aconfessionale. La Manif pour Tous Italia si sente in sintonia con queste istanze e con questo metodo.

LA SITUAZIONE IN ITALIA (le proposte di legge)
La proposta di legge in discussione alla Camera dei Deputati che ci ha messo tutti in allarme è quella sul Contrasto all’omofobia e alla transfobia scaricabile dal sito della Camera dei Deputati (http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0003090.pdf). Ma poche persone sanno che il 18 giugno 2013 è stato avviato l’iter legislativo al Senato della Repubblica sulla proposta di legge per l’Accesso al matrimonio da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso (chiamata “Matrimonio egualitario”). Inoltre, nel cassetto c’è anche quella della Modificazione dell’attribuzione di sesso. Il tutto è consultabile in maniera chiara su internet sul sito della Rete Lenford (http://www.eventiretelenford.it/ ), una rete di avvocati che ha redatto queste proposte.

La discussione della legge in “Contrasto all’omofobia e alla transfobia” proposta dal deputato Ivan Scalfarotto (PD) come integrazione della Legge Mancino Reale, istituisce tra i reati che persegue, il crimine legato alla discriminazione di genere, punendolo con il carcere. È quindi una vera e propria legge bavaglio. Una volta espiata la pena, il condannato potrà anche subire una “rieducazione sociale” prestando servizio civile nelle associazioni “omosessuali, bisessuali, transessuali o transgender”.

Cosa vuol dire? Che se pubblicamente si dichiara che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non sia paragonabile a quello tra uomo e donna (sulla proposta di legge giocano sul concetto di “idee fondate sulla superiorità”), questa affermazione possa essere benissimo letta come una discriminazione, se non addirittura un incitamento alla violenza, verso le persone omosessuali, cosa che può portare al carcere fino a quattro anni. In più, strumentalizzando episodi di violenza contro persone omosessuali, che noi tutti condanniamo con fermezza, ufficializza per la prima volta a livello legislativo l’ideologia gender, che rappresenta solo una minoranza all’interno del variegato mondo omosessuale.

È chiaro che questa prima proposta è un cavallo di troia per far passare senza troppa fatica le altre due proposte di legge, compresa l’adozione da parte delle persone dello stesso sesso. Nella proposta di legge sul “Matrimonio egualitario” c’è l’esplicita volontà di sostituire le parole “marito e moglie” con la parola “coniugi”. Insomma, una vera decostruzione di ciò che da sempre ed in tutte le culture è stato considerato il cardine della società umana, la famiglia fondata tra un uomo ed una donna.

OBIETTIVI DE LA MANIF POUR TOUS ITALIA

La Manif pour Tous Italia ha lo scopo di essere il portavoce di tutti coloro che, al di là della propria provenienza e sensibilità, si senta rappresentato a contrastare una legge che vuole istituire un reato di opinione e preparare la strada allo stravolgimento dell’istituto matrimoniale composto da un uomo ed una donna. Soprattutto in un momento nel quale la politica non si interessa dei problemi veri degli italiani, che risiedono in campo economico e lavorativo.

La Manif pour Tous Italia ha perciò tra i suoi obiettivi anche quello di far conoscere ai cittadini italiani – rendendole comprensibili – l’esistenza di tali leggi e fin dove esse si spingano. Riteniamo vincente l’iniziativa che parte dalla società civile, e che coinvolge trasversalmente tutti sotto forma di rete. Ognuno è indispensabile alla causa. Sentiamo il dovere di ribadire che questa iniziativa è apolitica e aconfessionale.

MANIFESTAZIONE DEL 25 LUGLIO

Come atto inaugurale delle nostre attività, abbiamo organizzato la nostra prima uscita pubblica sullo stile dei Veilleurs, che in Francia hanno dato testimonianza con la semplice e pacifica presenza in prima persona. Ci disporremo su piazza Montecitorio, davanti al Parlamento, giovedì 25 luglio dalle ore 19.00 alle ore 21.00 circa. Verrà distribuita a tutti i partecipanti una candela da utilizzare durante la veglia, come richiamo a non spegnere la propria coscienza.

A chiunque verrà, consigliamo di portare anche un bavaglio, a ricordare che la libertà di pensiero e di parola può sempre essere a rischio. A voi chiediamo cortesemente di:

– promuovere l’iniziativa tra i vostri contatti, via mail, Facebook e Twitter, ecc.;

– collaborare ad allargare questa rete in tutta Italia.