La politica estera dimenticata in campagna elettorale: l’Italia che si allea con i propri nemici!

La politica estera dimenticata in campagna elettorale: l’Italia che si allea con i propri nemici!

di Magdi Cristiano Allam da Il Giornale

La politica estera dimenticata in campagna elettorale: l'Italia che si allea con i propri nemici!

La politica estera è la grande assente in questa campagna elettorale. Eppure è l’altra faccia della medaglia della dittatura finanziaria che sta uccidendo l’economia reale e si colloca nel contesto della dittatura del relativismo che sta uccidendo la nostra civiltà. Più precisamente si tratta di un suicidio. Perché siamo noi, noi italiani, noi europei, noi occidentali, a voler legittimare e dare potere ai terroristi islamici nell’illusoria speranza che, una volta che li aiuteremo a spadroneggiare a casa loro, ci lasceranno in pace a casa nostra.

La prova cruciale è la Siria dove proprio l’Italia è particolarmente impegnata a favorire il successo militare dei cosiddetti “ribelli”, di fatto bande terroristiche dei Fratelli Musulmani, dei Salafiti e di Al Qaeda, che nel nome della rivolta contro il regime militare di Assad, stanno massacrando i cristiani e la minoranza islamica degli alauiti. Tutto lascia presagire che se i terroristi islamici arriveranno al potere a Damasco, dopo che l’Egitto, la Tunisia e il Marocco sono caduti nelle mani dei Fratelli Musulmani, l’insieme della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo innalzeranno il vessillo dell’islam radicale, con il Corano e due spade incrociate rivolte alla nostra sponda settentrionale.

L’Italia, purtroppo, è il Paese più a rischio. Non è un mistero che per un misto di interessi petroliferi e vigliaccheria ci siamo ridotti a un porto franco, dove da sempre i terroristi arabi e islamici scorrazzano a piacimento certi della loro impunità. Ma abbiamo fatto di peggio: i terroristi li abbiamo legittimati, protetti e aiutati così come accadde con l’Olp di Arafat quando imbracciava solo il mitra e con il Fis (Fronte di Salvezza Islamico algerino). E’ dagli anni Settanta che i regimi arabi, tutt’altro che democratici ma almeno laici, denunciano apertamente che è l’Occidente che ha creato il mostro di Bin Laden e di Al Qaeda, poi ha portato al potere i mujahidin afghani per contrastare i sovietici, quindi i Taliban per contrastare i mujahidin in conflitto tra loro, infine i Fratelli Musulmani per contrastare i jihadisti e Al Qaeda. Il risultato è che oggi Al Qaeda, i Fratelli Musulmani, i Salafiti sono più forti che mai, imponendo costi quel che costi la sharia (legge coranica) dopo aver strumentalizzato la democrazia, controllando il territorio di Stati vacillanti, gestendo una rete sempre più capillare di moschee dove crescono generazioni di terroristi che aspirano al martirio.

Quasi a evidenziare il livello di collusione con il terrorismo islamico dell’Italia, in questo caso della magistratura italiana, è la scandalosa sentenza della Corte d’Appello del tribunale di Milano in piena campagna elettorale lo scorso 12 febbraio, con la condanna a 10 anni all’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari, a 9 al suo vice Marco Mancini e a 6 agli agenti Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia e Luciano Di Gregorio nel processo per il sequestro dell’ex imam della moschea di viale Jenner a Milano, Abu Omar, condannato in Egitto per terrorismo islamico. Di fatto la condanna non si basa sulla certezza del reato, ma sul principio secondo cui i governi non dovrebbero avvalersi del segreto di Stato a protezione della sicurezza nazionale. E’ l’ennesima dimostrazione che il nostro Stato di diritto è al collasso, in balia dell’arbitrio di una magistratura che invade l’ambito del potere esecutivo e legislativo, senza dover rispondere delle proprie azioni né penalmente né civilmente. Ancor peggio è una magistratura che concorre di fatto al suicidio della nostra civiltà, con la scellerata sentenza di riconoscere il  risarcimento di un milione di euro all’imam Abu Omar e mezzo milione di euro a sua moglie! Ma lo sanno i nostri giudici che quel milione e mezzo andrà ad alimentare il terrorismo islamico che si tradurrà nella nostra morte?

Sveglia! Basta regalare armi e soldi ai terroristi islamici in Siria! Riformiamo questa magistratura che condanna i servitori dello Stato e regala milioni di euro ai nostri carnefici! Fermiamo la costruzione di nuove moschee e smantelliamo le roccaforti dei fanatici di Allah e di Maometto a casa nostra! Salviamo la nostra civiltà laica e liberale dalle radici giudaico-cristiane! Facciamolo subito prima che sia troppo tardi! twitter@magdicristiano

Libia, ecco il disastro provocato

Libia, ecco il disastro provocato

di Anna Bono da www.lanuovabq.it

Libia

 Il 17 febbraio 2011 a Bengasi, in Libia, scoppiava la rivolta che, grazie all’intervento militare della Francia e di altri stati tra cui l’Italia, si sarebbe conclusa il 20 ottobre successivo con il linciaggio di Muhammar Gheddafi. Nel secondo anniversario, i festeggiamenti organizzati dal governo nelle principali città del paese si sono svolti in un clima a dir poco teso: misure di sicurezza eccezionali nel timore di attentati e violenze, chiuse le frontiere con Egitto e Tunisia.

Da festeggiare, d’altra parte, i cittadini libici per ora non hanno molto, da qualunque punto di vista si consideri la situazione creatasi nel frattempo. Men che meno si rallegrano le donne. Il 9 febbraio la sezione costituzionale della Corte Suprema ha infatti affermato il fedele rispetto della legge coranica nella nuova Libia e questo implica il diritto assoluto e indiscutibile di ogni uomo ad avere fino a quattro mogli contemporaneamente: un diritto riconosciuto anche durante il regime del colonnello, ma condizionato al consenso delle mogli o di un giudice. Si può prevedere che l’osservanza rigorosa della legge coranica reintroduca il ripudio e qualsiasi norma intesa a limitare la libertà delle donne.

Altre libertà fondamentali sono già compromesse, prima fra tutte quella di religione. A Bengasi, il 12 febbraio, quattro cristiani evangelici stranieri – un sud-coreano, un egiziano, un sudafricano e un uomo con doppia nazionalità USA e svedese – sono stati arrestati con l’accusa di proselitismo per aver stampato con finalità di propaganda religiosa 70.000 di libri sul Cristianesimo: al momento dell’arresto, sostengono le autorità libiche, sarebbero stati trovati in possesso di 45.000 volumi, mentre altri 25.000 sarebbero già stati distribuiti tra la popolazione.

L’influenza degli integralisti islamici fa temere di peggio. Il 30 dicembre 2012 a Dafniya, una cittadina vicino a Misurata, sulle coste del Mediterraneo, una chiesa copta è stata colpita da un ordigno esplosivo che ha causato la morte di due egiziani e il ferimento di altri due. Il vicario apostolico Giovanni Vincenzo Martinelli denuncia una situazione estremamente critica soprattutto in Cirenaica: i fedeli ancora si riuniscono nelle chiese, ma la paura è tanta. È di questi giorni la notizia che due comunità religiose cristiane stanno per lasciare la regione: le suore Francescane del Gesù Bambino di Barce e le Orsoline del Sacro Cuore di Gesù di Beida. Non sono le prime.

Lo scorso ottobre, minacciate ripetutamente da un gruppo integralista, hanno ceduto all’intimazione di chiudere il loro convento di Derna e partire le suore della Sacra famiglia di Spoleto, presenti in Libia fin dal 1921. Anche nel resto del paese, tuttavia, i cristiani temono per il futuro e fuggono.
Secondo la testimonianza di padre Dominque Rézeau, della chiesa cattolica di San Francesco a Tripoli, raccolta dall’agenzia missionaria Fides, dei circa 100.000 cristiani residenti in Libia all’epoca di Gheddafi – circa il 3% della popolazione – ne restano poche migliaia.

Neanche i morti vengono risparmiati: ogni giorno nel cimitero italiano di Tripoli, dove riposano 6.499 nostri connazionali tra cui Italo Balbo, le tombe vengono profanate, i resti umani dissepolti e sparsi in giro. Lo stesso, come si ricorderà, è successo nel 2005 in Somalia, a Mogadiscio, ad opera degli miliziani integralisti delle Corti Islamiche.
Come nel vicino Mali, inoltre, gli integralisti attaccano il patrimonio culturale, storico e artistico. Dallo scorso agosto, più di 70 edifici sono già stati distrutti: per la maggior parte moschee e santuari della minoranza islamica sufi e centri culturali e biblioteche non islamici.

Nel mirino degli integralisti sono non solo opere sacrileghe o semplicemente indecenti ai loro occhi, ma anche siti storici e archeologici di valore universale, inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità dall’Unesco: ad esempio, le città romane di Leptis Magna, Cirene e Sabrata, l’oasi berbera di Gamades e le pitture rupestri di Radrart Acacus. A Tripoli – riporta l’agenzia di stampa Asia News che il 16 febbraio ha intervistato Mustafa Turjman, responsabile del Dipartimento per le antichità libiche – nei giorni scorsi degli estremisti hanno tentato di danneggiare e poi di coprire con un velo la statua “della Gazzella”, il monumento bronzeo risalente all’epoca coloniale italiana simbolo della città che rappresenta una donna.

Libia, ecco il disastro provocato

“Ci danno la caccia in casa”. Agguato (fallito) al critico dell’islam

Copenaghen si risveglia con l’incubo del terrorismo. Parla Kurt Westergaard, il vignettista blasfemo

di Giulio Meotti da Il Foglio

Il giornalista americano Bruce Bawer ha definito l’attentato “i tre giorni del Condor della Danimarca”. Altri hanno evocato il precedente di Pim Fortuyn, il professore e politico olandese assassinato per le sue idee da un ambientalista con un colpo alla testa. Martedì sera il più noto critico danese dell’islam politico, lo storico direttore della International Free Press Society, Lars Hedegaard, è rimasto miracolosamente illeso dopo aver subìto un agguato da parte di un uomo che lo ha avvicinato vestito da postino e gli ha sparato mirando alla testa, mancando il bersaglio.

Una esecuzione in piena regola di fronte alla casa dell’intellettuale, che sorge in un quartiere borghese a ovest di Copenaghen. Agghiacciante la dinamica dell’attentato: la polizia, citata dalla tv danese, ha detto che l’attentatore ha premuto il grilletto esplodendo un colpo, andato a vuoto, dopo di che la pistola si sarebbe inceppata. Ci sarebbe stata quindi una colluttazione ma il terrorista è riuscito a dileguarsi.  “La pallottola mi ha sfiorato l’orecchio destro, poi ho dato un pugno sulla faccia a quel tizio, gli ho fatto cadere la pistola e lui è scappato”, ha detto Hedegaard alla televisione.
Ieri il primo ministro, Helle Thorning-Schmidt, socialdemocratica, ha condannato l’attentato: “Sarebbe ancora peggio se all’origine dell’attacco ci fosse un tentativo di impedire a Lars Hedegaard di usare la sua libertà di espressione”. Hedegaard guida un’associazione che critica l’islamizzazione dell’Europa e denuncia i rischi che questa comporta per le democrazie occidentali e le libertà dell’individuo. In questa veste ha trasformato il suo istituto in un importante appuntamento per giornalisti, intellettuali, politici. La Danimarca è da anni nel mirino degli estremisti islamici da quando, nel 2005, il giornale Jyllands-Posten pubblicò vignette satiriche contro Maometto. Nel gennaio 2010 un rifugiato somalo, Mohamed Geele, attentò alla vita del vignettista Kurt Westergaard con un’ascia e fu arrestato. Nel settembre dello stesso anno un ceceno in attesa di asilo politico fu anch’egli arrestato per aver tentato di inviare un pacco-bomba alla redazione dello stesso giornale “blasfemo”. 

Dell’attentato parliamo con il vignettista danese autore dell’unica caricatura di Maometto che gli islamisti non sono riusciti a dimenticare. Si tratta proprio di Kurt Westergaard, che dipinse il Profeta dell’islam con un turbante simile a una bomba con la miccia accesa. La Biblioteca reale danese, fondata nel XVII secolo da Federico III, di recente ha acquisito le caricature, così che la vignetta di Westergaard sarà custodita al fianco delle favole di Hans Christian Andersen e degli scritti filosofici di Soren Kierkegaard. Westergaard è il principe dei “bladettegner”, i vignettisti dei quotidiani. Ma a settantasette anni è costretto a vivere all’ombra del servizio segreto. Una volta lo hanno trasferito all’Hotel Radisson di Aarhus, ma dopo tre settimane ha dovuto abbandonarlo per i pericoli che la sua presenza poneva agli altri ospiti. La moglie ha lasciato il lavoro all’asilo.

“Casa mia è una fortezza”

Parlando al Foglio, Westergaard difende il suo lavoro, si schiera a favore della libertà di espressione e sostiene che l’occidente non dovrebbe farsi intimidire dal mondo islamico. “In un prossimo futuro saremo censurati da autorità islamiche in paesi fortemente antidemocratici?”, ci dice il vignettista, che aggiunge: “Siamo poi così lontani da questa prospettiva?”. Dal giorno dell’attentato fallito in casa, il famoso vignettista confida di vivere sotto la costante minaccia di attentati e che la sua casa è diventata una “fortezza”con un presidio di polizia che staziona a vista. “Non posso neanche andare a fare shopping o sedermi a bere un caffè all’aperto”, aggiunge il disegnatore. In Pakistan è stata messa dai talebani una taglia sulla sua testa (un milione di dollari). “Chiunque insulti il Profeta merita di morire”, recita la fatwa. Il defunto leader talebano Dadullah aveva posto una ricompensa di cento chilogrammi d’oro sulla vita di Westergaard. “L’attentato a Lars Hedergaard ci fa di nuovo capire quanto stiamo vivendo una situazione terribile in Europa, i terroristi ci attaccano persino dentro e di fronte alle nostre case. Casa mia è una fortezza con telecamere, poliziotti giorno e notte stazionati di fronte all’edificio e ogni volta che esco di casa devo sempre essere accompagnato da tre di loro. Ormai sono la mia famiglia”.

Copenaghen sembra essere diventata, assieme all’Amsterdam del regista Theo van Gogh, la capitale mondiale della battaglia per la libertà di espressione. Christopher Hitchens ebbe a chiamarla “la Notte dei cristalli della libertà”. “Un piccolo paese democratico con una società aperta, un sistema di pluralismo confessionale e una stampa libera è diventato oggetto di una straordinaria, incredibile campagna organizzata di menzogne, odio e violenza”, scrisse il celebre polemista newyorchese. “La Danimarca era un paese innocente che aiutava il Terzo mondo con tanti aiuti e non era mai stato coinvolto  in operazioni militari”, ci dice Westergaard. “Poi ho disegnato quella vignetta e siamo andati con l’esercito in Afghanistan e da allora siamo il pegno di una guerra culturale che riguarda tutta l’Europa. Il mio ultimo disegno era su Don Chisciotte, perché era un uomo con alti ideali pronto a combattere per essi. Non so cosa sarà il futuro, ma spero che le democrazie occidentali non arretrino di fronte a queste orribili minacce. L’autocensura sta prendendo piede nel mio paese, la gente ha paura di scrivere e di dire quello che pensa. Oggi la mia celebre vignetta non verrebbe pubblicata da nessun giornale”.

Pakistan, minorenne cristiana violentata e torturata

«Una ragazza minorenne cristiana è stata sequestrata, violentata e torturata da due influenti musulmani in Pakistan». Lo riferisce l’agenzia Fides.

REDAZIONE
da Vatican Insider

Fouzia Bibi, 15 anni, residente del villaggio di Roday, nei pressi di Kasur (in Punjab), proviene da una famiglia poverissima e lavora come operaia agricola con il padre, Malooka Masih, e con i fratelli.

«Il 25 gennaio scorso – riferisce ancora l’agenzia Fides – Fouzia Bibi era andata a svolgere una commissione, per conto del padrone dell’azienda, in un località vicina. Sulla via del ritorno due musulmani armati di pistola, Sher Maometto e Shabir Ali, personaggi influenti del territorio, l’hanno rapita, imprigionata in una stanza, violentata e torturata ripetutamente. La ragazza è stata poi lasciata priva di conoscenza in strada».

Fouzia Bibi, la ragazza cristiana di 15 anni violentata in Pakistan da due influenti musulmani il 25 gennaio scorso, non ha ricevuto alcun sostegno dalla polizia quando i suoi genitori si sono presentati per denunciare il fatto. Lo ha assicurato l’Associazione evangelica di sviluppo legale (Lead) che la assiste.

I responsabili di Lead hanno precisato che «dopo aver ripreso conoscenza, la giovane è tornata a casa ed ha raccontato alla madre quanto le era successo indicando i nomi degli stupratori». Il padre, Malooka Masih, accompagnato da alcuni cristiani, «si è recato al commissariato di Sarai Mughal (provincia del Punjab) per raccontare l’incidente e presentare una denuncia, ma l’ufficiale di turno non lo ha voluto neppure ascoltare».

Il gruppo si è allora diretto da padre Salem Gill, parroco della chiesa di Pattoki, che ha preso contatto con i responsabili di Lead i quali, il 29 gennaio, hanno potuto depositare la denuncia in base all’articolo 376 del Codice penale pachistano che punisce lo stupro, dopo un colloquio con il vice sovrintendente del commissariato di Pattoki.

Nell’attesa degli sviluppi della situazione Malooka Masih, ha riferito Lead, ha svelato che i due responsabili della violenza sessuale (Sher Maometto e Shabir Ali) «stanno minacciando lui e i membri della sua famiglia delle peggiori conseguenze se continueranno ad andare avanti con la denuncia penale».

In Arabia Saudita «anche le bambine devono portare il burqa» per evitare stupri e molestie

La fatwa è stata lanciata in ottobre e riproposta ieri dopo che un religioso saudita, accusato di avere stuprato la figlia di 5 anni fino alla morte, è stato condannato a pagare 50 mila dollari, evitando la prigione.

di Leone Grotti da Tempi.it

Un religioso islamico dell’Arabia Saudita ha lanciato una fatwa su al-Majd Tv affermando che anche le bambine devono coprirsi il volto e portare il burqa. Sheikh Abdullah Daoud ha spiegato che in questo modo le bambine sarebbero protette dai tentativi di molestie e stupro, che sono in costante aumento in Arabia Saudita.

UCCIDE LA FIGLIA, EVITA LA PRIGIONE.La fatwa è stata lanciata in ottobre, ma riproposta ieri dopo che un religioso saudita, accusato di avere molestato e stuprato la figlia di soli 5 anni fino alla morte, è stato condannato a pagare 50 mila dollari alla madre della bambina, evitando però la prigione. La sharia, che vige in Arabia Saudita, non prevede obbligatoriamente la prigione nel caso in cui un padre uccida i propri figli o la moglie.

FATWA NON AUTORIZZATA. La proposta di Abdullah Daoud è stata però contestata da un altro islamico saudita, Mohammad al-Jzlana, ex giudice, secondo cui fatwa come questa non fanno altro che danneggiare l’immagine dell’islam. Secondo l’ex giudice la gente dovrebbe ignorare questo tipo di fatwa, che recano gravi ingiustizie ai bambini, e che non sono autorizzate dalle autorità saudite.

DONNE IN ARABIA SAUDITA. In Arabia Saudita, sotto il rigido regime religioso wahabita, le donne godono di pochi diritti, comunque inferiori a quelli degli uomini:: non possono guidare, non possono lavorare senza il permesso del padre/marito/fratello, devono essere accompagnate da un uomo, non possono lasciare il paese in autonomia.

Difese Asia Bibi, parlamentare pachistana sarà processata per blasfemia

da Avvenire

Sherry Rehman, parlamentare musulmana del Pakistan People’s Party e oggi ambasciatore pakistano negli Stati Uniti, sarà processata per blasfemia: lo ha deciso la Corte Suprema, con un clamoroso pronunciamento che riapre il dibattito sulla legge sulla blasfemia in Pakistan. La donna fu denunciata nel febbraio 2011 da Faheem Akhtar Gull, commerciante di Multan, che la accusava di aver commesso blasfemia durante un talk-show su Dunya TV. Nel dibattito televisivo, la Rehman aveva difeso Asia Bibi e aveva spiegato la sua proposta, presentata al Parlamento pakistano, di revisione della legge sulla blasfemia, al fine di prevenirne gli abusi. Ma, dopo le polemiche seguite agli omicidi di Salman Taseer e di Shahbaz Bhatti, la Rehman, in pericolo di vita, aveva ritirato la mozione. La polizia di Multan l’aveva scagionata, un tribunale di Lahore aveva respinto la denuncia di Akhtar Gull e la vicenda sembrava conclusa. Ora invece, nel ricorso presentato alla Corte Suprema, i giudici hanno dichiarato l’ammissibilità delle accuse. Il collegio dei giudici Anwar Zaheer Jamali e Ejaz Afzal Khan ha accolto il ricorso, imponendo al Capo della Polizia di Multan, Amir Zulifqar, di registrare ufficialmente il caso di blasfemia (con un First Information Report) un caso sulla base dell’articolo 295c del Codice penale, che punisce con la pena capitale o il carcere a vita il vilipendio al Profeta Maometto. La donna sarà dunque processata.

Fonti di Fides notano che gli estremisti intendono far passare l’idea di definire “blasfemo”, e dunque di poter incriminare, chiunque si opponga o metta in discussione la legge sulla blasfemia. Sherry Rehman, prima dell’incarico diplomatico, era Presidente del “Jinnah Institute” di Karachi, istituto di ricerca formato da intellettuali musulmani liberali, promotore dei diritti umani e della legalità, intitolato al fondatore del Pakistan, Ali Jinnah. In un Rapporto inviato a Fides, e pubblicato un anno fa, l’Istituto notava che Asia Bibi era stata giudicata da un tribunale “sotto evidenti pressioni di islamici estremisti”, e “per una vendetta personale”. Inoltre metteva in luce una palese irregolarità procedurale: nelle indagini e negli interrogatori preliminari, condotti dalla polizia dopo la denuncia, Asia Bibi non ha avuto un avvocato, per questo tutto il processo potrebbe essere invalidato. Il Jinnah Institute riferisce che, sin dal principio, la vicenda giudiziaria di Asia Bibi è stata viziata da irregolarità e strumentalizzazioni (vedi Fides 15/9/2011). Un altro rapporto dell’istituto, intitolato “A Question of Faith” (vedi Fides 6/6/2011), nota l’aumento costante della violenza contro le minoranze religiose in Pakistan, affermando che i cristiani “sono le prime vittime delle persecuzioni”. Una questione, si afferma, che il governo deve affrontare per garantire la libertà, la democrazia e lo stato di diritto nel paese.