da Baltazzar | Mag 27, 2013 | Islam, Post-it, Segni dei tempi
di Stefano Magni da www.lanuovabq.it
Boston, Stoccolma, Londra, sono le tappe di una nuova guerra di religione nel cuore dell’Occidente. Due bombe a Boston hanno risvegliato l’opinione pubblica sul fatto che il terrorismo jihadista esiste. Gli autori erano due fratelli ceceni, musulmani, uno dei quali era diventato un radicale islamico, “attenzionato” dai servizi segreti russi che lo avevano segnalato, invano, ai colleghi statunitensi.
Questa settimana i quartieri a maggioranza musulmana di Stoccolma, a partire da Husby, sono stati messi a ferro e fuoco. Gli assalitori che attaccano la polizia, bruciano auto e locali, lanciano molotov, gridano “Allah Akhbar”, come si può udire molto bene in più di un filmato mandato (da loro stessi) su YouTube. La scintilla è stata provocata dall’uccisione, da parte della polizia, di un violento armato di machete, che minacciava la vita di una donna e aveva aggredito gli stessi agenti.
Altri due uomini armati di machete, radicali islamici, a Londra hanno ucciso, sgozzandolo, un soldato britannico, Lee Rigby. Uno dei due, Michael Abedolajo, ha dichiarato nella sua estemporanea rivendicazione filmata con un cellulare: “Nessuno di voi potrà dirsi al sicuro (…) Noi abbiamo fede in Allah e non finiremo mai di combattervi”.
E solo ora ri-scopriamo, dopo anni di sonno, che esiste un nemico interno. Nemmeno un appassionato di teorie cospirative arriverebbe a ipotizzare uno scenario come quello che stiamo vivendo in quest’ultimo mese. Tre grandi attacchi, in tre città occidentali, sempre condotti da radicali islamici. Sembrerebbe un’offensiva coordinata. Invece non la è. E quindi è molto peggio.
A unire i puntini di questo mosaico di eventi non è un unico piano. Ma un’unica cultura. Che è quella dell’islam fondamentalista. Non c’è un disegno coordinato, ma ci sono tanti manifesti. Abedolajo, per esempio, si è convertito dal cristianesimo all’islam, convinto dall’imam radicale Anjem Choudary. Il quale, in un discorso tenuto in un anniversario dell’11 settembre, aveva proclamato: “L’islam è superiore e non sarà mai sorpassato. La bandiera dell’islam sarà issata a Downing Street”. Come? Molto semplice: con la procreazione e il proselitismo. Procreazione: l’islam radicale, secondo l’imam, può vincere anche solo figliando. A Londra abita circa 1 milione di musulmani su una popolazione di 8. In alcuni quartieri, i musulmani sono già maggioranza. Proselitismo: dopo l’11 settembre i convertiti all’islam sono raddoppiati rispetto agli anni precedenti. In questi dodici anni di guerra al terrorismo si sono moltiplicati i fondamentalisti fra quelli che, fino a poco prima, erano musulmani non militanti. Vale lo stesso discorso per la Svezia, dove l’immigrazione, più che sul lavoro, è fondata sull’asilo politico. Non esistono statistiche sulla filiazione ideologica di quanti hanno ottenuto rifugio nel Paese scandinavo, non sappiamo, in percentuale, quanti di questi sono fuggiti dagli Stati che li opprimevano perché troppo jihadisti. Ma vediamo gli effetti: Stoccolma ne è un esempio.
“Nessuno di voi potrà dirsi al sicuro”, dichiarava Abedolajo con le mani grondanti del sangue del soldato appena ucciso. Questa frase non è solo sua. E’ dello stratega di Al Qaeda Abu Bakar Naji, autore di un altro dei manifesti fondamentali del moderno jihadismo: “Governare alla macchia” (Ederat al Wahsh). Naji ritiene che la guerra santa debba essere condotta in tutto il mondo, ovunque vi sia una presenza musulmana. Predica la costituzione di “aree islamiche” all’interno delle società occidentali. Non vuole che venga creato alcun governo, che potrebbe avere problemi con lo Stato occidentale che lo ospita, ma “società parallele”, con le proprie leggi e istituzioni, con le proprie forze dell’ordine ed eserciti, all’interno delle città che le ospitano. Sotto il naso delle autorità.
Questa strategia è pericolosa non solo per i cristiani, che si troverebbero perseguitati dai vicini islamici come avviene in Nigeria o in altre società “miste” dell’Africa. E’ pericolosa anche per gli stessi musulmani che vivono all’estero e non vogliono avere nulla a che vedere con il fondamentalismo. Naji si rivolge soprattutto a loro. La sua strategia è stata concepita apposta per riportarli all’ordine, per evitare che si facciano attrarre troppo dalle tentazioni di una società “infedele”.
Queste ideologie si nutrono del multiculturalismo che gli viene offerto dalle società europee e nordamericane. I leader radicali islamici, convinti di colonizzarci, sanno che possono chiedere e ottenere, uno dopo l’altro, tutto quello che vogliono. Possono avere loro tribunali che giudicano in base alla Sharia e corpi di polizia ausiliari controllati da musulmani (come nel caso della Gran Bretagna). Possono ottenere quartieri tutti loro, dove imporre il costume islamico (come avviene in molti quartieri di città inglesi e svedesi). Sanno che un governo occidentale, se deve decidere di dialogare con un’organizzazione musulmana liberale o con una fondamentalista, sceglie di parlare con (e magari anche finanziare) quest’ultima, come avviene regolarmente negli Usa.
Perché il musulmano liberale è dato per scontato, è “inutile”, mentre il dialogo viene orientato solo con chi predica l’odio, nel vano tentativo di convincerlo a diventare un interlocutore. L’islam fondamentalista sa di vivere in società che rifiutano la propria identità e stanno cercando di imporre la loro.
da Baltazzar | Mag 14, 2013 | Chiesa sofferente, Islam, Post-it
di Stefano Magni da www.lanuovabq.it

Prendi un cristiano, trattalo male. Accusalo di blasfemia, sbattilo in galera. Se non hai prove, non ti preoccupare. Lui è un cristiano, nessuno lo vorrà vendicare.
Questo modo di intendere la “giustizia” è abbastanza comune in Pakistan, dove è in vigore la legge sulla blasfemia, basata sul legittimo sospetto. È comune anche in Egitto, dove non esistono leggi simili, ma i cristiani copti fanno da capro espiatorio per qualsiasi problema, anche per l’epidemia di influenza suina (il provvedimento preso da Moubarak, a suo tempo, fu di abbattere i maiali, con gran danno per gli allevatori cristiani).
Difficile pensare che questa norma, scritta o non scritta che sia, venga applicata dagli Stati Uniti. Proprio dalla nazione che vanta la sua libertà di religione e di parola quali fondamenta della sua Costituzione. Eppure un cristiano copto egiziano, residente negli Usa, sta pagando per le colpe di altri.
Nakoula Basseley Nakoula, questo il suo nome, è l’unica persona che sta pagando, con il carcere, per l’uccisione dell’ambasciatore statunitense in Libia, Christopher Stevens, avvenuta a Bengasi l’11 settembre 2012, per mano di terroristi islamici.
Nakoula Basseley Nakoula aveva realizzato un video amatoriale, intitolato “L’innocenza dell’Islam” in cui sbeffeggiava Maometto. Si trattava di una piccolissima produzione, divulgata solo all’interno della comunità copta d’America. Non era uscito al cinema, non era stato diffuso da alcuna televisione. È stato diffuso, solo come trailer, su YouTube.
È stato scoperto da radicali islamici, diventando l’ennesimo oggetto di odio contro l’Occidente, solo dopo due mesi che era già in Internet. L’11 settembre 2012, al Cairo i fondamentalisti islamici hanno organizzato una violenta manifestazione contro l’ambasciata degli Stati Uniti.
Ma a Bengasi, in Libia, è successo qualcosa di completamente diverso. L’11 settembre 2012 è stato ucciso l’ambasciatore Christopher Stevens a Bengasi, Libia. Non da manifestanti inferociti, ma da un attacco terroristico accuratamente pianificato.
Nelle due settimane successive, però, la versione ufficiale del Dipartimento di Stato e dello stesso presidente Barack Obama, era quella della ribellione spontanea. Causata proprio dall’“Innocenza dell’Islam”. Il governo libico ha puntato subito il dito su Al Qaeda, ma Obama non gli ha dato ascolto. L’ambasciatrice all’Onu, Susan Rice, ha dichiarato pubblicamente che quello di Bengasi era un evento spontaneo, originato dall’“Innocenza dell’Islam”, ritenuto blasfemo.
La Casa Bianca ha ufficialmente condannato il video, rendendolo noto ai musulmani di tutto il mondo, anche a centinaia di milioni di persone che, altrimenti, non ne avrebbero mai sentito parlare.
L’amministrazione Obama ha trasmesso annunci pubblici in Pakistan, in cui il presidente stesso prendeva le distanze, a nome degli Stati Uniti, dal video del “blasfemo” copto. Hillary Clinton, allora segretaria di Stato, ha promesso a Charles Woods, padre di una delle vittime dell’attacco di Bengasi, che “…arresteremo e assicureremo alla giustizia la persona che ha girato quel film”. Nakoula Basseley Nakoula è stato arrestato il giorno dopo la rielezione di Barack Obama, condannato a un anno di carcere e quattro di arresti domiciliari.
Non esistendo il reato di blasfemia, il magistrato che lo ha giudicato ha emesso la sua sentenza per violazione della vigilanza, a cui era sottoposto per un reato commesso nel 2010, una frode con carta di credito. Un reato che normalmente viene punito con una multa, sicuramente non con 5 anni di arresti (di cui 1 in carcere).
In galera o quando tornerà in libertà, il regista “blasfemo” rischia la vita, perché più di un imam radicale ha emesso una fatwa che lo condanna a morte. Eppure ormai è assolutamente certa (e lo era già l’11 settembre 2012) l’estraneità di Nakoula negli eventi di Bengasi. Secondo la testimonianza resa da funzionari che erano in Libia, il Dipartimento di Stato era perfettamente al corrente, sin da subito, che quello al consolato americano fosse un attacco terroristico precedentemente pianificato e non una “manifestazione”.
Casa Bianca e Dipartimento di Stato erano consapevoli che il video di Nakoula non fosse la causa della morte di quattro americani, fra cui l’ambasciatore Stevens.
“Il video su YouTube è un evento non rilevante in Libia”, dichiara Gregory Hicks uno dei testimoni. Hicks afferma, senza alcun dubbio, che nessun americano presente in Libia stesse pensando a quel filmato quale causa dell’attacco.
La Tv Abc News documenta quanto il rapporto inviato dalla Cia al Dipartimento di Stato sia stato “corretto” per eliminare ogni nesso con un attacco di Al Qaeda. Sono stati rimossi tutti i passaggi sui precedenti allarmi, i riferimenti a gruppi terroristici chiamati per nome, quali Al Qaeda e Ansar al Sharia. In uno scambio di email fra il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca, risulta che Victoria Nuland (portavoce del primo) abbia anche esplicitamente scritto di rimuovere quella parte del rapporto, perché «Potrebbe essere oggetto di un abuso da parte di membri (del Congresso, ndr) per colpire il Dipartimento di Stato, accusandolo di non aver prestato attenzione agli allarmi. Perché dovremmo alimentare anche noi queste voci?». La Nuland avrebbe anche espressamente chiesto di rimuovere i riferimenti a precisi gruppi terroristi, perché «Non vogliamo pregiudicare l’investigazione del Congresso».
In questo modo, il Dipartimento di Stato si è liberato della sua colpa principale: non aver prevenuto un attacco terroristico, aver mandato un ambasciatore in un’area ad alto rischio senza garantirgli la necessaria sicurezza. Ha individuato la causa in un evento “spontaneo”, dunque imprevedibile, causato da un video che ha offeso la “sensibilità religiosa” locale. Di fatto: ha attribuito tutte le colpe al capro espiatorio copto.
da Baltazzar | Mag 14, 2013 | Chiesa sofferente, Islam
di Leone Grotti da www.tempi.it
La donna ora si trova al sicuro in Svezia. Insieme al cristiano, condannato anche un saudita a due anni e 200 frustate
Un libanese cristiano e un saudita sono stati condannati rispettivamente a sei anni di carcere e 300 frustate e a due anni di carcere e 200 frustate per aver convertito al cristianesimo e fatto fuggire dal paese una giovane saudita.
CONDANNA. La condanna è stata emessa dal tribunale di al-Khobar. Il cristiano libanese e il saudita hanno annunciato che faranno ricorso. Come riporta AsiaNews, il caso è iniziato lo scorso luglio ed è stato molto seguito in Arabia Saudita, dove il reato di apostasia può costare anche la pena di morte.
CONVERSIONE LIBERA. La donna, di cui non si conosce il nome, è ora rifugiata in Svezia. L’ambasciata saudita sta cercando di obbligare le autorità svedesi a farla tornare indietro. Ma la cristiana, che sarebbe sotto la protezione di alcune Ong, non sembra intenzionata a tornare e ha spiegato di essersi convertita per libera scelta e senza costrizione.
CRISTIANI PERSEGUITATI. Il 5 per cento della popolazione saudita è cristiana. Nel paese vivono circa un milione di cattolici, soprattutto immigrati filippini per lavoro. Nel paese, dove vige una forma radicale di legge islamica, i lavoratori non musulmani non possono celebrare il proprio culto in pubblico, ma in privato sì. La nozione di “privato” resta però poco chiara. Il governo saudita afferma che finché le riunioni si fanno in piccoli gruppi e in case private, nessun organo della sicurezza debba intervenire. Questa posizione ufficiale, però, viene spesso contraddetta nei fatti dalla polizia religiosa, che fa spesso “incursioni” in case private, arrestando i cristiani.
da Baltazzar | Mag 9, 2013 | Chiesa sofferente, Islam, Post-it
di Leone Grotti da www.tempi.it
Tre uomini non identificati hanno sparato sette colpi di arma da fuoco davanti alla chiesa armena ortodossa Surp Hovhannes a Istanbul, creando il panico tra i fedeli
Tre uomini non identificati hanno sparato sette colpi di arma da fuoco davanti alla chiesa armena ortodossa Surp Hovhannes a Istanbul, creando il panico tra i fedeli. L’attacco è avvenuto domenica scorsa alle 12.30, mentre i cristiani erano riuniti in chiesa per celebrare la Pasqua.
TROPPO NUMEROSI. «Siete diventati troppo numerosi» avrebbero gridato gli uomini prima di sparare, secondo il patriarca armeno ortodosso di Istanbul Aram Atseyan, il quale ha rivelato che lo stesso giorno un cristiano è stato assalito davanti alla chiesa di un quartiere vicino. «Questi attacchi hanno come obiettivo quello di spaventare la nostra comunità cristiana e quelle delle altre minoranze».
CHIESE BERSAGLIATE. Gli ultimi attacchi arrivano appena una settimana dopo quelli avvenuti in altre chiese. Il 27 aprile scorso un gruppo di 40 persone ha preso di mira la chiesa evangelica Nuovo Spirito, che doveva aprire in un quartiere a ovest di Istanbul, «gettando pietre e spaccando i vetri ma non sono riusciti ad entrare», riporta un comunicato delle chiese protestanti della Turchia. Il 28 aprile scorso, la stessa sorte è toccata alla chiesa greca-ortodossa Ayois Ionis, vandalizzata da un gruppo di giovani turchi.
CRISTIANI “INFEDELI”. In Turchia ci sono circa 51.870 cristiani su una popolazione di oltre 70 milioni di abitanti. Ancora oggi i cristiani sono spesso apostrofati con il termine “javur”, [infedeli], e considerati alla stregua di «stranieri che introducono costumi occidentali, nocivi all’integrità dell’Islam, e che fanno proseliti soprattutto tra i giovani».
DERIVA ISLAMISTA. La Turchia si sta sempre di più radicalizzando con la svolta islamista del premier Erdogan. Oltre al recente divieto per le hostess della compagnia aerea Turkish Airlines di usare il rossetto e lo smalto, fa discutere la proposta allo studio di una commissione parlamentare di trasformare di nuovo la Cattedrale di Santa Sofia, oggi museo, in una moschea.
da Baltazzar | Apr 26, 2013 | Islam, Post-it
di Leone Grotti da www.tempi.it
La fatwa è stata emessa dal Consiglio superiore degli Ulema, dottori della legge islamica, dopo la richiesta di un parere sul tema da parte del Ministero della Giustizia.
I musulmani che cambiano religione e si macchiano del reato di apostasia devono essere puniti con la pena di morte. È la fatwa emessa in Marocco dal Consiglio superiore degli Ulema, dottori della legge islamica, dopo la richiesta di un parere sul tema da parte del Ministero della Giustizia.
LIBERTÀ VIGILATA PER I CRISTIANI. La notizia uscita qualche giorno fa in Marocco ha fatto scalpore. All’inizio è stato detto che la richiesta era stata fatta dalla delegazione interministeriale per i Diritti umani, poi è arrivata la categorica smentita di Mahjoub El Hiba, responsabile della delegazione, che si è affrettato a negare sia la richiesta che l’esistenza della fatwa. Secondo il quotidiano marocchino indipendente Lakome, che ha pubblicato la fatwa integralmente (nella foto, la versione araba), la richiesta effettivamente è stata fatta dal Ministero della Giustizia ma gli Ulema hanno risposto davvero, rendendola pubblica. I dottori della legge distinguono due casi: «L’islam assicura ai non musulmani la libertà di credere e di religione se vivono in una terra islamica, lontani dal proprio paese, a condizione che non manchino di rispetto alla santità dell’islam, che non trasgrediscano in pubblico ciò che la legge islamica proibisce e che non incitino un musulmano a cambiare religione».
PENA DI MORTE PER I MUSULMANI. Per i musulmani, invece, le cose stanno in modo diverso: «Il diritto islamico, per quanto riguarda i musulmani, vede la libertà di credere e di religione sotto un altro punto di vista. Al musulmano è chiesto di prendersi cura della sua fede, di osservare i riti della sua religione e i saggi comandamenti di Allah». Ogni musulmano infatti appartiene all’islam grazie alla trasmissione della fede dal padre e «l’islam non gli permette di ripudiare la sua religione. È inaccettabile. (…) Nel caso in cui un musulmano abiuri la sua fede, è necessario applicare la sentenza [di morte]». Infatti il Profeta ha detto: «Chiunque cambi la sua religione, uccidetelo». «Ha anche detto che è vietato versare il sangue di un musulmano, salvo tre casi: se è sposato e commette adulterio, se commette omicidio e se è un apostata: cioè abbandona la sua religione e la sua comunità».
GRANA PER MOHAMMED VI. Parole che non lasciano spazio all’interpretazione e che secondo gli ulema marocchini «tutti i musulmani devono conoscere e rispettare necessariamente». Ora il re del Marocco Mohammed VI, che afferma di essere impegnato «nella costruzione della democrazia e dello sviluppo umano», dovrà rispondere alle critiche.
da Baltazzar | Apr 24, 2013 | Chiesa, Cultura e Società, Islam

Il controllo delle nascite, in Iran, cambia direzione: se venti anni fa le autorità iraniane lanciavano la politica del figlio unico (fornendo alle coppie un più facile accesso alla contraccezione e vari strumenti di pianificazione familiare), oggi la situazione è esattamente opposta. Al Paese governo serve un baby-boom per contrastare la crisi demografica e il governo di Ahmadinejiad punta tutto su una nuovapolitica di crescita della popolazione.
Come procedere? Incaricando 150mila medici di contattare le famiglie casa per casa, invogliandole a fare più figli. La missione degli inviati del ministero della Salute è convincere le coppie che hanno solo un figlio ad allargare la loro famiglia, con l’obiettivo di raddoppiare la popolazione, attualmente pari a 75 milioni di persone.Nel paese girano teorie bizzarre per motivare il calo delle nascite: alcuni religiosi musulmani hanno dichiarato che si tratterebbe di un “complotto sionista” con cui Israele vorrebbe privare gli iraniani di giovani abili e arruolabili. Scherzi prospettici di un Paese, che (anche se in altri termini e con modalità diverse), come la Cina ha preteso di forzare il naturale andamento demografico della popolazione.
«La scelta del figlio unico ha provocato molti problemi e ha acceso un grande dibattito», spiega Mohammad Ismail Motlagh, dirigente del programma Famiglia, scuola, salute e popolazione del ministero della Famiglia. All’agenzia ‘Fars’, Motlagh ha spiegato che l’obiettivo è ridurre sotto i due anni il tempo che intercorre tra
due gravidanze. «Le coppie – ha detto – devono rivedere i loro metodi e cambiare i loro piani».
L’iniziativa è nata sotto l’impulso della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che nel 2012 ha chiesto l’abolizione della strategia di pianificazione familiare introdotta a causa di un repentino aumento delle nascite dopo la Rivoluzione Islamica del 1979. Khamenei ha anzi chiesto di adottare una nuova strategia, che consenta di far crescere la popolazione fino a 150 milioni. La risposta del governo è stata a 360 gradi, visto che anche nelle facoltà di medicina sono stati introdotti corsi sull’aumento delle nascite, sotto il monitoraggio del ministero della Salute.
Annalisa Guglielmino da Avvenire.it