«Santa alleanza tra musulmani, ebrei e cristiani» contro il matrimonio omosessuale

«Santa alleanza tra musulmani, ebrei e cristiani» contro il matrimonio omosessuale

L’arcivescovo Antonio Mennini: «Sul matrimonio e la sacralità della vita umana, siamo uniti con musulmani ed ebrei».
Quando venne nominato nunzio in Gran Bretagna, l’arcivescovo Antonio Mennini fu salutato dai media come la scelta morbida di un Papa preoccupato di calmare i conflitti fra la Chiesa e il secolarismo inglese. L’arcivescovo, però, non è di certo disposto a tacere quando in pericolo c’è il rispetto della natura umana. IlDaily Telegraph di venerdì scorso scrive di un suo discorso davanti ai vescovi cattolici di Inghilterra e Galles in cui si afferma la volontà di unire gli sforzi per difendere il matrimonio naturale contro «quelle che il Papa ha chiamato correnti politiche e culturali che cercano di alterare la definizione legale del matrimonio». Il 9 marzo scorso, infatti, Benedetto XVI ha richiesto uno «sforzo coscienzioso della Chiesa per resistere a queste pressioni», sforzo che «esige una difesa ragionata del matrimonio come istituzione naturale costituita da una comunione specifica di persone, fondamentalmente radicata nella complementarietà dei sessi e orientata alla procreazione».

Mennini ha indicato la via:«Mi sembra che, per quanto riguarda l’istituzione del matrimonio e la sacralità della vita umana, abbiamo molto in comune con la posizione della comunità ebraica e con la maggioranza dei rappresentanti del mondo islamico». Già il mese scorso, infatti, il Consiglio musulmano della Gran Bretagna aveva levato la voce contro il progetto di legge del premier David Cameron. In Scozia, invece, il Consiglio degli Imam di Glasgow ha firmato una risoluzione che descrive la legalizzazione del matrimonio omosessuale come un attacco alla fede e alle convinzioni fondamentali. Mentre il rabbino delle sinagoghe unite di Mill Hill, a nord di Londra, ha accusato il governo di assalto ai valori religiosi e umani. Mentre l’associazione medica islamica ha parlato di due milioni di musulmani che vivono in Gran Bretagna, 30 milioni in Europa Occidentale e di un miliardo e seicento nel mondo certi che «il matrimonio è solo tra uomo e donna», come «insegnano anche l’ebraismo e il cristianesimo». Parecchi membri della Chiesa anglicana hanno infine lanciato una petizione, la “Coalition for Marriage”, che è già stata firmata da vescovi e associazioni cattoliche, da molti ebrei e da diversi musulmani.

L’attacco alle istituzioni naturali sta portando con sé un’inaspettata e «nuova Santa Alleanza», come l’ha chiamata Majid Katme, presidente dell’Associazione Medica Islamica: «È ora di stabilirla tra i membri delle diverse fedi e tra gli uomini di buona volontà». È un fatto di speranza questo, in tempi difficili. Anche perché non isolato, né circoscrivibile ai confini inglesi. In America, proprio in questi mesi, i membri delle diverse religioni stanno infatti scoprendo un’unità analoga per la difesa della libertà religiosa e del matrimonio. In controtendenza rispetto all’idea che la negazione della propria identità possa generare per lo meno tolleranza. Affermare la propria identità si sta dimostrando l’unica via per sopravvivere e per convivere realmente.

di Benedetta Frigerio a Tempi.it

Attacchi ai cristiani

Attacchi ai cristiani

Le violenze terroristiche contro i cristiani in Africa continuano e continueranno ancora, per una miscela di fanatismo, di motivazioni politiche, di circostanze locali che facilitano le esplosioni omicide. 

di Rodolfo Casadei
Tratto dal sito Cultura Cattolica.it

In questo stesso spirito, dopo che gli attacchi terroristici hanno scosso il mondo nel settembre 2001, il beato Giovanni Paolo II ha ribadito che «non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002). Il concetto di perdono deve inserirsi nel dibattito internazionale sulla risoluzione dei conflitti, al fine di trasformare il linguaggio sterile della reciproca recriminazione, che non conduce da nessuna parte. Se la creatura umana è fatta a immagine di Dio, un Dio di giustizia che è «ricco di misericordia» (Ef 2, 4), allora queste qualità devono riflettersi nella conduzione degli affari umani. È la combinazione di giustizia e perdono, di giustizia e grazia, a essere al centro della risposta divina al peccato umano (cfr. Spe salvi n. 44), al centro, in altre parole, dell’«ordine stabilito da Dio» (Pacem in terris n. 1). Il perdono non è negazione del male, ma partecipazione all’amore [Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI in occasione della XVIII Assemblea Plenaria DELLA Pontificia Accademia delle Scienze Sociali]

Le violenze terroristiche contro i cristiani in Africa continuano e continueranno ancora, per una miscela di fanatismo, di motivazioni politiche, di circostanze locali che facilitano le esplosioni omicide.

Nel nord della Nigeria gli attacchi contro i villaggi e i quartieri cristiani delle grandi città, gli edifici di culto e gli studenti e docenti universitari cristiani durano ormai da un ventennio, da quando progressivamente dodici dei 36 stati della federazione hanno introdotto nella loro legislazione la sharia, la legge coranica in passato riservata al codice di famiglia e oggi estesa a quello penale. Ma nell’ultimo quinquennio il numero delle vittime si è moltiplicato a causa dell’apparizione di Boko Haram, un gruppo terroristico di ispirazione wahabita e da un paio di anni in rapporti di collaborazione con Al Qaeda nel Maghreb e con gli Shabaab somali. Questi terroristi attaccano anche le istituzioni federali (caserme della polizia e dell’esercito) e minacciano l’islam istituzionale, ma soprattutto hanno in programma lo sradicamento del cristianesimo dal nord del paese, dove è rappresentato soprattutto, ma non esclusivamente, da immigrati del sud trasferitisi lì dopo l’indipendenza nel 1960.

I recenti attentati in chiese del Kenya rappresentano la vendetta per operazioni dell’esercito kenyano in Somalia dalla parte del Governo federale di transizione, riconosciuto a livello internazionale, contro gli estremisti Al Shabaab che l’anno scorso si sono formalmente alleati al Al Qaeda centrale, cioè all’organizzazione ereditata da Ayman Al Zawahiri dopo la morte di Osama Bin Laden. Gli Shabaab da anni danno la caccia ai cristiani, ridotti a poche centinaia in tutta la Somalia e oggi rappresentati soprattutto da piccolissime comunità protestanti clandestine. In passato gli estremisti hanno ucciso la volontaria cattolica Annalena Tonelli e suor Leonella della Consolata, ma negli ultimi anni si accaniscono contro uomini, donne e giovani sospettati di essersi convertiti al cristianesimo protestante.

Le evidenti responsabilità di organizzazioni terroristiche non devono far dimenticare che nel nord della Nigeria spesso popolazioni locali islamiche e soldati dei reparti dell’esercito si sono uniti ai fuorilegge per attaccare i cristiani, e che in Somalia l’ostilità sociale verso i non musulmani è fortissima, e le costituzioni delle tre regioni in cui il paese è attualmente spezzato non permettono la conversione dall’islam ad altre religioni.

L’Arabia Saudita incarcera 35 cristiani perché pregano, ma è un esempio di tolleranza in Europa

Detenuti dal 15 dicembre, il governo si è rifiutato di farli uscire nonostante le pressioni internazionali. Solo all’estero l’Arabia Saudita mostra un volto tollerante

di Leone Grotti da Tempi.it

Trentacinque cristiani di origine etiope sono detenuti in carcere in Arabia Saudita. Il loro crimine? Essersi riuniti in casa di un privato, nella città di Jeddah, per pregare. Il 15 dicembre la polizia saudita ha fatto irruzione nella casa dove i cristiani, soprattutto donne, si erano riuniti. Li hanno arrestati e portati in cella. Nonostante le pressioni internazionali, l’Arabia Saudita si è rifiutata di rilasciare i prigionieri.

La posizione ufficiale del governo è sempre la stessa: in Arabia Saudita i lavoratori non musulmani non possono celebrare il proprio culto in pubblico, ma in privato sì. La nozione di “privato” resta però poco chiara. Il governo saudita afferma che finché le riunioni si fanno in piccoli gruppi e in case private, nessun organo della sicurezza debba intervenire. Questa posizione ufficiale, come è chiaro anche dal caso dei 35 etiopi, viene però smentita di fatto e la polizia religiosa saudita continua a fare le sue “incursioni” in case private.

La decisione di non rilasciare i cristiani contraddice quanto l’Arabia Saudita afferma pubblicamente non solo riguardo alla legislazione, ma anche in incontri tenuti in tutto il mondo. Nel luglio del 2008, ad esempio, il paese ha promosso una conferenza interreligiosa in Spagna per promuovere la tolleranza e la reciproca comprensione tra i fedeli delle diverse religioni. Nell’ottobre dello scorso anno ha addirittura stabilito in Austria un Centro per il dialogo interreligioso e interculturale.

Ma nonostante gli sforzi per apparire tollerante in giro per il mondo, la realtà in patria, dove il 5 per cento della popolazione è cristiana e sono presenti due milioni di cattolici, soprattutto immigrati filippini per lavoro, è ben diversa. In particolare, è difficile parlare di tolleranza quando la massima autorità della legge islamica in Arabia Saudita, il Gran Muftì Sheikh Abdul Aziz bin Abdullah, dichiara pubblicamente (senza essere ripreso dai giornali occidentali) come ha fatto poco tempo fa: «Tutte le chiese all’interno della Penisola arabica devono essere distrutte, deve esserci una sola religione».

Non aiutiamo gli islamici in Siria! L’Occidente non può dare lezioni di democrazia!

di Magdi Cristiano Allam da Il Giornale

Sull’atteggiamento dell’Occidente nei confronti della Siria vi invito a rispolverare l’uso della ragione e a riscoprire il sano amor proprio. Basta con la menzogna che si tratterebbe di una strage di un regime sanguinario contro un popolo inerme quando è assolutamente evidente che si tratta di una feroce guerra intestina aizzata da bande armate dei Fratelli Musulmani e da gruppi terroristici di Al Qaeda a cui aderiscono numerosi stranieri! Basta con la follia suicida di concepire che la democrazia corrisponderebbe e si esaurirebbe nel rito delle elezioni senza tener conto degli obiettivi dei soggetti che vi partecipano e che, nel caso degli islamici, aspirano a imporre la sharia, la legge coranica, che è del tutto in contrasto con la democrazia! Basta con l’ipocrisia ormai insostenibile di atteggiarci a chi può dare lezioni di democrazia quando siamo sottomessi alla dittatura finanziaria e non esitiamo a fare la guerra, massacrando civili e distruggendo il patrimonio pubblico, per salvaguardare i nostri esclusivi interessi materiali!

Leggete l’intervista, concessa ieri all’Avvenire, di Haytham Manna, rappresentante del “Comitato nazionale per il cambiamento democratico”, in cui denuncia il “Consiglio di transizione nazionale”, capeggiato dai Fratelli Musulmani e dai salafiti, come strumento della strategia dell’Arabia Saudita e del Qatar per abbattere il regime di Assad in quanto espressione della minoranza alauita d’ispirazione sciita e imporre una teocrazia islamica sunnita. Ascoltate il grido d’allarme dei cristiani, circa 2,5 milioni, quasi il 10% della popolazione, che ci esortano ripetutamente a non sostenere i Fratelli Musulmani perché l’avvento di una teocrazia islamica significherebbe la loro fine come comunità religiosa libera, che si troverebbe costretta o a sottomettersi come dhimmi, cittadini inferiori che godono di meno diritti, o a convertirsi all’islam o infine ad abbandonare la propria terra. Ecco perché Manna conclude la sua intervista chiarendo che “il progetto della seconda Repubblica deve avere come base fondamentale il rispetto dei diritti delle minoranze, un principio sovracostituzionale, che si basi sui diritti dell’uomo: non si possono fare dei compromessi politici né con i Paesi del Golfo, né con gli islamisti all’interno. La desacralizzazione della vita politica è condizione indispensabile per costruire la democrazia in Siria”. Prendiamo anche in considerazione la conseguenza devastante per la stabilità e la sicurezza dell’insieme del Mediterraneo con l’avvento al potere di regimi teocratici islamici dal Marocco all’Iran che sono pregiudizialmente ostili al diritto di Israele ad esistere, che sono determinati a rinnegare i trattati di pace vigenti e che, conformemente a quanto prescritto dal Corano e all’esempio di Maometto, proclamano pubblicamente la volontà di annientare fisicamente lo Stato e il popolo ebraico. Prendiamoci infine a cuore la sorte di centinaia di milioni di donne che sotto il dominio delle teocrazie islamiche perderebbero del tutto la loro dignità e la libertà, determinando un’involuzione delle società all’insegna dell’oscurantismo e del fanatismo, accrescendo lo spirito aggressivo e bellicoso nei confronti di tutti i “nemici dell’islam”, gli ebrei, i cristiani, gli infedeli e gli apostati.

E poi noi occidentali che titolo abbiamo per ergerci a modello di democrazia quando, ad esempio in Grecia e in Italia, abbiamo auto-sospeso la democrazia sostanziale e auto-commissariato il Parlamento per sottometterci a una dittatura finanziaria che  vorrebbe trasformarci da persone depositarie di valori e identità in semplici strumenti di produzione di materialità la cui ricompensa è poter consumare? E’ da considerarsi democratico un Parlamento composto da deputati e senatori designati dai partiti e non eletti dal popolo? E’ da considerarsi democratico un governo formato da ministri che non sono stati eletti e che non rispondono del loro operato a nessuno? E’ da considerarsi democratica una classe politica che, dopo aver ceduto la nostra sovranità monetaria, si sta prodigando per perdere del tutto la nostra sovranità nazionale svendendo il nostro sistema produttivo ai poteri finanziari forti e riducendoci ad appendice di un super-Stato europeo dominato dai banchieri? E’ da considerarsi democratico uno Stato che si sottomette ad una legislazione sovra-nazionale e che per l’80 per cento corrisponde alla semplice trasposizione di direttive emanate dalla super-Casta di 40 mila burocrati della Commissione Europea condizionati dai poteri forti nazionali e privati?

Che credibilità ha l’Occidente quando non ha esitato a bombardare la Libia, massacrando i civili e distruggendo il patrimonio pubblico, per creare dalle macerie un piano di ricostruzione stimato in mille miliardi di euro? Sarebbe democrazia quella che oggi vede la Libia perennemente in conflitto al suo interno con il rischio dello smembramento dello Stato? Sarebbe democrazia il Parlamento egiziano monopolizzato per circa il 75% dagli integralisti e dagli estremisti islamici che predicano la sharia? Sarebbe democrazia la repressione della libertà d’espressione e dei movimenti laici in Tunisia? Sarebbe democrazia la crescita del potere e del radicamento territoriale di Al Qaeda nello Yemen? Sarebbero democratici Hezbollah in Libano e Hamas nei Territori palestinesi che legittimiamo come interlocutori politici? Sarebbero democratici i regimi dell’Arabia Saudita e del Qatar che sosteniamo e usiamo per favorire l’avvento al potere degli islamici in Siria?

Almeno in Siria fermiamoci prima che sia troppo tardi! Imponiamo al regime di Assad di avviare un percorso democratico con il coinvolgimento dei soggetti politici che condividono i diritti fondamentali della persona, i valori assoluti e universali della sacralità della vita, della pari dignità tra uomo e donna, della libertà di scelta religiosa, e il principio della pacifica alternanza al potere. Ma basta con la follia dell’innamorarci dei nostri carnefici e della scelta del suicidio!

Le chiese blindate dei cristiani schiavi e martiri

Le chiese blindate dei cristiani schiavi e martiri

di Rosario Carello per Tracce.it

13/04/2012 – Soldati appostati per proteggere le celebrazioni delle messe e dei riti. Contadini legati a vita da debiti e la legge sulla blasfemia. La situazione della minoranza dei credenti non migliora. Ma il popolo continua a pregare… (da Avvenire)

Luccica l’arma davanti alla cattedrale di Rawalpindi, tre milioni di abitanti nella provincia del Punjab. Dentro è stracolma dei nuovi schiavi, i cristiani poveri e impoveriti. Fuori, le guardie armate. Lo scenario è incredibile. Il legno della croce di Gesù s’incrocia con il ferro delle armi. Nessuno le vuole usare e nessuno le vuole vedere, ma fuori dalle chiese pachistane uomini corpulenti, con i fucili in mano, hanno preso il posto delle statue dei santi, tanto ormai è vietato anche solo pensare di poterle collocare.

È il governo a mandare questi “buttafuori” della fede. Il rischio è che qualche fanatico si faccia saltare in chiesa con una bomba. Non che al governo importi molto dei cristiani, vittime quotidiane di soprusi e ingiustizie, ma è meglio evitare “incidenti” davanti al mondo. E se non è il governo sono i parroci a convocare le “guardie del corpo” della Messa e di ogni domenica che Dio manda in terra, guardie attente ad ogni fedele.
Se è sconosciuto o se è sospetto non entra. «Stai fuori, amico, vai a pregare lontano da qui, meglio un fedele fuori che un terrorista dentro». I cristiani del Pakistan sono i nuovi “martiri”. In un Paese distrutto moralmente ed economicamente.

Ce lo spiegano due donne, due religiose di una congregazione domenicana internazionale, suor Agostina e suor Alberta. Il racconto è drammatico: «I cristiani lavorano nei latifondi dei proprietari musulmani, costretti a vivere in 20 in stanze da 2 metri per 5. Non possono uscire dalle fattorie e non hanno giorni di vacanza. I loro figli non vanno a scuola perché i padroni non vogliono, così lavorano anche loro. Paga bassissima, quando ce l’hanno. Se si ammala un bambino e servono altri soldi per le medicine, il padrone fa un prestito ma a tassi da usura, e con questa scusa i padri lavoreranno gratis per anni».

Liberarli è difficilissimo. La Caritas ci ha provato ma sono zone molte vaste, arrivare dappertutto è complicato e poi i padroni non mollano l’osso: se c’è un debito, va pagato e se il debito non c’è, gli schiavi si comportano come canarini in gabbia: non vogliono uscire senza la certezza di un altro tetto e di un altro lavoro, che ovviamente non c’è. Dietro questa violenza c’è una teoria: noi, musulmani, siamo nati per dominare. I cristiani sono in tutti i sensi i più poveri dei poveri, minoranza tra le minoranze.

A volte, per la mancanza di sacerdoti, capita di attendere un anno per vederne uno, un anno per partecipare alla Messa. Un anno per avere l’unica consolazione che non dipende dall’uomo e che è gratis: l’Eucaristia. Nelle città non va meglio: quando i musulmani notano che una famiglia cristiana, dopo tanti sacrifici, comincia a mettere da parte qualcosa, trovano una scusa per farla cadere.

Basta poco: nella spazzatura di un tizio hanno detto di aver scovato un giornale che parlava di Maometto, e per la legge sulla blasfemia, che punisce ogni critica al profeta, è stato arrestato. Che reato è un foglio nella spazzatura? «Però lo diventa – mi conferma suor Agostina – e se anche non è vero, la parola di un cristiano contro quella di un musulmano non vale nulla. Poi per essere liberati ci vogliono soldi, il Pakistan è un Paese molto corrotto, ed ecco che un’intera famiglia finisce sul lastrico, ovviamente se è cattolica, altrimenti è salva. Noi siamo considerati impuri e viviamo sulla nostra pelle un razzismo acido, può capitare che ti chiedano di uscire da una stanza o di alzarti da un divano perché non vogliono starti vicino».

«Ho visto con i miei occhi – prosegue d’un fiato – un barista buttare tra i rifiuti una tazza da the dopo che l’aveva usata un cristiano. Hanno ucciso un ragazzo perché aveva toccato il Corano con le mani sporche. Capisci? Ucciso. E un altro è in carcere perché a scuola ha sbagliato a scrivere gli accenti, e un aggettivo, accanto al nome di Maometto, è diventato offensivo: è in galera da quando aveva 13 anni. Le nostre donne, che fanno lavori in casa, sono abusate e picchiate e il governo non fa nulla. Non abbiamo diritti: è vietata la conversione al cristianesimo, ma quella alla religione musulmana è incentivata con i soldi e con la violenza. Le scuole sono a pagamento, tranne quelle governative che sono musulmane».

Questo è il Paese di Asia Bibi e di Shahbaz Bhatti. Ma è qui che sta avvenendo un miracolo, per cui un giorno un intero popolo sarà chiamato santo: vessati, umiliati, uccisi, non pagati, i cristiani del Pakistan non reagiscono. Una popolazione che è minoranza, fatta di semplici e di analfabeti, sta scrivendo la più esemplare pagina di Vangelo dei nostri giorni.

Dice suor Alberta: «L’altra domenica la cattedrale di Rawalpindi era stracolma di gente che cantava i salmi prima dell’inizio della Messa. Si riuniscono anche in casa per cantarli: “Proteggimi, Signore, dalle mani dei malvagi, salvami dall’uomo violento: tramano per farmi cadere“. È il salmo della fiducia, la preghiera nel pericolo. Sentono Cristo veramente vicino».

E suor Agostina: «È difficile da far comprendere a chi pensa a Dio come ad un essere distante, che invece è vicino e condivide con noi la sofferenza: è il compito di questi fratelli. I cristiani del Pakistan sanno di vivere il venerdì santo della loro storia, ma attendono la Pasqua. Sono certi che arriverà e per questo sono maestri di fede per noi».

Il paradosso è che le scuole cattoliche, benché non siano finanziate dal governo e dunque siano a pagamento, sono frequentate per lo più da musulmani, perché sono le migliori. La gente della strada, non i ricchi, ha sempre amato i cristiani perché sono onesti, responsabili e buoni.

La situazione si è incattivita con la guerra in Afghanistan dopo l’11 settembre. Così una minoranza di poveri cristiani, alla periferia di ogni impero, è diventata il simbolo di tutti i poteri forti occidentali. Ma i cristiani, discriminati, non discriminano: alcune suore a Karachi hanno costruito una struttura per bambini disabili e la maggior parte sono musulmani. «Le famiglie – spiega suor Agostina – sono grate ed è questo atteggiamento che piano piano convertirà i cuori più duri». Quel giorno sarà la Pasqua dei nuovi martiri.
(Avvenire, 13 aprile 2012)

Nigeria, pasqua di sangue per la comunità cristiana

Nigeria, pasqua di sangue per la comunità cristiana

Sono più di 50 le persone uccise nella regione settentrionale nei giorni di festa che hanno riportato la tragedia nel paese africano

Bombe e sparatorie, morti e feriti, disperazione e lacrime. La popolazione colpita da attacchi degli integralisti islamici a Natale (44 morti) e in gennaio (185 uccisi), continua a morire devastata dalla violenza dei terroristi integralisti.

Per Ignatius Kaigama, arcivescovo della diocesi di Jos al confine con Kaduna,  intervistato da “Il Sussidiario.net” “non c’era bisogno degli esperti americani per prevedere che a Pasqua sarebbe avvenuto un attentato in una chiesa nigeriana. La regione è zeppa di esplosivi giunti via terra, via mare e anche dal cielo al solo scopo di essere utilizzati contro i cristiani. E come dichiarato dallo stesso presidente, i terroristi sono ormai infiltrati nel governo, nella polizia e nell’esercito”.

Non ci sono state finora rivendicazioni, ma le autorità sono convinte che dietro all’autobomba saltata in aria ieri a Kaduna (nord) nei pressi di una chiesa mentre era in corso una funzione religiosa, vi siano elementi delle setta fondamentalista Boko Haram, legata ai terroristi di al Qaida. L’ultimo bilancio parla di 36 morti e una cinquantina di feriti, di cui almeno 13 in gravissime condizioni.

Come pure sarebbero opera dei Boko Haram i tre attacchi separati che negli Stati di Yobe e di Borno, sempre nel nord a maggioranza musulmana, tra ieri sera e oggi hanno lasciato sul terreno altri sette morti: tra loro anche treassalitori. Questa serie di attentati coordinati non avrebbe matrice religiosa ma sarebbe piuttosto espressione di una strategia di destabilizzazione del governo del presidente Goodluck Jonathan.

Che, d’altra parte, essendo cristiano, deve per forza essere messo in difficoltà perchè gli integralisti islamici possano realizzare il loro principale obiettivo: l’instaurazione della Sharia (la legge islamica) in tutta la Nigeria.

Negli Stati di Yobe e di Borno, hanno riferito le autorità, «sono stati attaccati e dati alle fiamme» un commissariato di polizia, una banca, un albergo e un edificio della pubblica amministrazione. Nel contempo sono stati uccisi un uomo
politico, un sergente di polizia e la sua figlioletta di 6 anni, sorpresi senza difese nella loro casa a Putiskum. Si sono invece salvati ingaggiando un conflitto a fuoco i soldati di un posto di blocco a Maiduguri.

A Kano, la più grande città del nord, l’esercito ha disinnescato un ordigno
individuato in un’autovettura parcheggiata in pieno centro. La metropoli era stata teatro lo scorso 20 gennaio di una serie di attacchi che avevano provocato 185 morti.

Intanto sembra essere stata chiarita la dinamica della strage di ieri a Kaduna. Un kamikaze ha cercato di portare la sua auto imbottita di esplosivo all’ingresso di una chiesa ma, fermato a un posto di blocco, è tornato indietro ed è saltato in aria vicino a un altro edificio religioso, praticamente in mezzo a una miriade di moto-taxi parcheggiati in attesa dei fedeli che stavano ancora partecipando alla messa pasquale. Altre vetture si sono incendiate e sono andate distrutte, facendo pensare alla presenza di una seconda autobomba

da Vatican Insider