Tre o quattro genitori, perché no? L’Olanda studia una legge per «allargare il concetto di famiglia»

Tre o quattro genitori, perché no? L’Olanda studia una legge per «allargare il concetto di famiglia»

di Leone Grotti da Tempi.it

L’Olanda vuole introdurre una legge che permetta tre o quattro genitori per lo stesso figlio. Deputata: «La genitorialità legale non deve per forza coincidere con quella biologica». 

È al vaglio del ministro della Giustizia olandese una legge che consenta a tre o più persone di formare una famiglia ed essere tutti legittimi genitori di un bambino. In un’intervista rilasciata all’agenzia Afp, il membro dei Verdi Liesbeth van Tongeren ha affermato: «Ci sono già tra i 20 e i 25 mila bambini che vivono in famiglie miste. Abbiamo bisogno di allargare il concetto di famiglia, il legame di genitorialità non può più essere puramente biologico. Non si può più dire che un bambino può avere solo due genitori».

PROBLEMI LEGALI. Già a ottobre il Parlamento olandese aveva discusso una legge simile, ma i problemi legali connessi a una modifica del concetto di famiglia avevano fatto desistere il governo. Ecco perché è stata incaricata una commissione di studiare una soluzione, che però non è ancora arrivata.

QUATTRO GENITORI. Un altro quotidiano, il Suddeutsche Zeitung, ha riportato due storie per descrivere quanto descritto dalla parlamentare olandese. Susanne Supheert, 25 anni, ha raccontato che quando ne aveva solo 11 il padre ha dichiarato di essere gay e ha lasciato la moglie per un altro uomo. Lei si è risposata e così Susanne ha avuto tre padri e una madre. Joaquin e Simon, rispettivamente tre e sei anni, si ritrovano con questa famiglia: i loro genitori sono una coppia gay e una coppia lesbica andati a vivere assieme all’università. Le donne hanno partorito con l’inseminazione artificiale, usando lo sperma dei due uomini, anche se non si sa quale dei due è padre di chi. «Non è importante, in fondo – dichiara una delle due donne – Ciò che conta è che tutti e quattro siamo i loro genitori e li amiamo».

GENITORI LEGALI MULTIPLI. Secondo la deputata dei Verdi Van Tongeren, i “genitori legali multipli” aiuterebbero le coppie a districarsi quando c’è il problema di due genitori dello stesso sesso e un donatore di sperma o una maternità surrogata. «La genitorialità legale non deve per forza coincidere con quella biologica». Via libera dunque al poliamore, tutto è permesso.

L’Inghilterra “fabbrica” bambini senza padre. E la fecondazione sarà gratis per le coppie lesbiche

L’Inghilterra “fabbrica” bambini senza padre. E la fecondazione sarà gratis per le coppie lesbiche

di Elisabetta Longo da www.tempi.it

In Inghilterra anche le coppie lesbiche potranno avere accesso a cicli di fecondazione assistita gratuitamente attraverso il sistema sanitario nazionale. Dal 2008 nascono tre bambini al giorno senza padre. 

L’istituto nazionale inglese per la ricerca e l’eccellenza clinica (Nice) ha pubblicato le nuove linee guida per garantire l’accesso alla fecondazione assistita attraverso il Sistema sanitario nazionale, quindi gratuitamente. Fino ad ora, potevano fare richiesta solo donne di età inferiore ai 40, che venivano sottoposte a tre cicli di fecondazione. Le nuove linee guida alzano il limite di età a 42 anni per quelle donne che non sono mai ricorse alla fecondazione assistita e che non possono rimanere incinta. Queste avranno però a disposizione solo un ciclo. La novità più rilevante riguarda però le lesbiche, che potranno usufruire gratuitamente della fecondazione a patto che abbiano già provato altre tecniche.

INGEGNERIA SOCIALE. Molte voci si sono levate contro il governo, accusato di volere favorire la nascita di bambini senza il padre ma l’attuale legislazione sulla fecondazione nel Regno Unito già non richiede alle cliniche di consultare il marito o il compagno della donna che si presta ai cicli di fecondazione. Nonostante questo il governo e Nice sono stati accusati di “ingegneria sociale”.

4899 BAMBINI SENZA PADRE. Secondo il Daily Mail negli ultimi dieci anni, grazie alle tecniche di fecondazione assistita, sono nati 4899 bambini “senza padre” ma con due madri. Con le nuove linee guida le cifre cresceranno ancora. Norman Wells, del gruppo Family and Youth concern, ha dichiarato che «quando nel 2008 è stato rimosso l’obbligo formale di indicare l’autorizzazione paterna al trattamento, le nascite “senza padre” sono cresciute a dismisura». Si calcola che dal 2008 siano stati partoriti all’interno di una coppia lesbica, dopo il concepimento in vitro, 1.124 bambini all’anno, cioè più di tre al giorno. «Non si può far passare l’idea che sia normale che il ruolo del padre sia ridotto a una semplice donazione anonima di spermatozoi» afferma la fondatrice e direttrice del Comment on Reproductive Ethics, Josephine Quintavalle. È da considerare infine l’impatto economico che le nuove linee guida avranno sul già disastrato Sistema sanitario nazionale inglese: un ciclo di fecondazione, infatti, costa sulle 1.500 sterline.

Inciviltà

Inciviltà

Incredibile Ingroia
Anche se c’è qualcuno che non lo sa o fa finta di non saperlo, i fondi dell’8 per mille che ogni anno gli italiani libera­mente e democraticamente de­stinano alla Chiesa italiana van­no davvero alla Chiesa italiana e non «al Vaticano». Che, co­munque, non è una società per azioni italiana o multinaziona­­le, ma uno Stato sovrano che ga­rantisce l’indipendenza e la li­bertà da ogni condizionamen­to della voce del Papa e della Chiesa cattolica: che in questo nostro strano mondo è la più grande, rispettata e perseguita­ta confessione religiosa.  Anche se ci sono persone (e cro­nisti) che non lo sanno o fanno finta di non saperlo, la destina­zione dei fondi dell’8 per mille è pubblica e trasparente: c’è un rendiconto consegnato pun­tualmente al Ministerodell’Economia e ci sono informazio­ni dettagliate pubblicate su di­versi giornali (persino gli stessi sui quali, a volte, viene scritto l’esatto contrario…) e su un sito internet www.8xmille.it. Tutti i fondi sono utilizzati per le fina­lità previste dalla legge italiana: esigenze di culto e pastorale del­la popolazione italiana; sosten­tamento dei sacerdoti; inter­venti caritativi in Italia e nei Pae­si in via di sviluppo.

Transitano regolarmente per banche italia­ne e quelli che vanno all’estero (85 milioni nel 2012) passano ovviamente per banche estere appunto perché la Chiesa ita­liana contribuisce con genero­sità a molte e importanti attività e iniziative missionarie e di au­tentico sviluppo umano e civi­le nei Paesi del Terzo Mondo… Chi legge Avvenire queste cose le sa, così come le sa chi si informa da fonti comunque limpide e sicure. Chi legge certi altri giornali – come per esempio il Fatto quotidiano di ieri – può invece ‘scoprire’ in prima pagina e poi in un furente dialogo in forma di intervista tra una collega e Antonio Ingroia – magistrato in aspettativa e candidato premier della lista Rivoluzione civile – che l’8 per mille viene «versato al Vaticano» e «non resta nelle banche italiane», ma finisce «all’estero» per «slealtà bancaria» nonché – testuale, sia pure in forma ipotetica – «per monetizzare fondi di provenienza sospetta». Un delirio di verità mortificate e di vergognose falsità. Il denaro non resta nelle banche italiane e finisce (anche) all’estero, perché effettivamente i fondi destinati dagli italiani alla Chiesa non restano fermi in banca e vengono utilizzati per far vivere e agire la Chiesa italiana e per dare sostegno alla nostra gente, ai nostri poveri e ai poveri del mondo.  Ed è un’incredibile e violenta manifestazione di cristianofobia anzi di cattolicofobia che la Chiesa universale venga presentata come una congrega di gente dedita a sporche speculazioni (l’indecente titolo dell’intervista pubblicata dal Fatto , e che non ci risulta sia stato smentito ieri stesso da Ingroia, è: «Riciclaggio, Chiesa colpevole e politici complici»).  Tanti che magari non credono, o credono diversamente da noi, sanno laicamente rispettare la Chiesa almeno come una grande e preziosa «agenzia morale». Ingroia, la sua intervistatrice e chi ha titolato e messo in pagina sul Fatto il prodotto del loro colloquio­invettiva invece no. Un cronista può purtroppo non sapere di che cosa parla e scrive, o può scrivere e parlare per sentito dire e per malizia. Non dovrebbe accadere, ma accade ed è un problema serio.  Più serio ancora è però il problema posto da un magistrato, cioè da un servitore della giustizia, che per di più è un candidato alla guida del governo e si presenta come ‘nuovo’, che prende lucciole per lanterne e dimostra di non conoscere neanche la legge del suo Stato. Dovrebbe parlare solo a ragion veduta, cioè non sentenziare a sproposito, cioè non ghigliottinare la realtà, e invece… Altro che civile, se questa è la rivoluzione di Ingroia dobbiamo concludere che è desolatamente incivile.

 

di Marco Tarquinio da Avvenire
Kinsey, era un maniaco il guru della cultura gay

Kinsey, era un maniaco il guru della cultura gay

di Roberto Marchesini da www.lanuovqbq.it

Alfred Charles Kinsey

 Alla base dell’ideologia del gender, e spesso usati come supporto scientifico, stanno i Rapporti Kinsey, dal nome dello scienziato americano Alfred Charles Kinsey, il quale condusse esperimenti sul comportamento sessuale delle persone. In questo articolo troverete chi era davvero Alfred Kinsey e quale sia il progetto.

Il 12 maggio 2007 ero a Roma per il Family Day. Sfogliando un quotidiano – non ricordo quale – e ho trovato una intera pagina acquistata da una associazione di «Industriali gay e lesbiche». In questa pagina si affermava che cinque milioni di italiani avevano tendenze omosessuali: una bella cifra! Un asterisco riportava ad una nota a piè di pagina e faceva riferimento al Rapporto Italia 2003 dell’Eurispes. Incuriosito, mi sono procurato il Rapporto e, arrivato a pagina 1091, ho letto queste parole: «Si stima che gli omosessuali in Italia siano circa cinque milioni; secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sarebbero tra il 5% ed il 10% della popolazione italiana». Così, visto che le cacce al tesoro mi sono sempre piaciute, mi sono messo a cercare il documento dell’OMS che stabiliva quanti fossero gli italiani con tendenze omosessuali.

Come maliziosamente pensavo, non ho trovato nessun documento del genere; tuttavia ne ho trovati altri che citavano il famoso 10% e rimandavano ai famosi Rapporti Kinsey. Fine della caccia.

I Rapporti Kinsey sono due volumi intitolati Il comportamento sessuale dell’uomo e Il comportamento sessuale della donna, pubblicati rispettivamente nel 1948 e nel 1953 negli Stati Uniti da Alfred Charles Kinsey e dai suoi collaboratori. I due rapporti furono l’esito di una ricerca finanziata sin dal 1940 dalla Rockefeller Foundation.

Torniamo al famoso 10%. Evidentemente i Rapporti Kinsey non dicono che il 10% della popolazione italiana abbia tendenze omosessuali; né che il 10% della popolazione mondiale abbia tendenze omosessuali. Dimostrano però che il 10% della popolazione statunitense ha tendenze omosessuali? Non esattamente.

Nel primo rapporto, a pagina 636*, si legge: «il 10 per cento dei maschi sono più o meno esclusivamente omosessuali per almeno tre anni tra i 16 e i 55 anni»; tuttavia «il 4 per cento dei maschi sono esclusivamente omosessuali durante tutta la vita, dopo la pubertà». Esclusi dunque gli incidenti di percorso, abbiamo il 4% di popolazione con tendenze omosessuali prevalenti e stabili: ben diverso dal 10% propalato dalle associazioni omosessualiste. Ma ben diverso anche dalle cifre ottenute da tutte le altre ricerche sull’argomento condotte da decenni nel mondo occidentale, per le quali la percentuale di popolazione omosessuale (di volta in volta calcolata considerando il comportamento, le pulsioni o l’auto-identificazione come omosessuale) si aggira intorno all’1-1,5%.

Da dove arriva, dunque, il 4% di Kinsey?
Semplice: Kinsey ha manipolato il campione di individui intervistato per ottenere quei dati. Il celebre psicologo Abraham Maslow, saputo delle ricerche che Kinsey stava conducendo, volle incontrarlo per confrontarsi con lui. Una volta compreso il metodo d’indagine di Kinsey, Maslow mise in guardia l’entomologo dal “volunteer error”, ossia dalla non rappresentatività di un campione composto esclusivamente da volontari per una ricerca psicologica sulla sessualità. Kinsey decise di ignorare il suggerimento di Maslow e di proseguire nella raccolta delle storie sessuali di volontari. Oltre a questo, circa il 25 % dei soggetti maschi intervistati nella sua ricerca erano detenuti per crimini sessuali; l’unica scuola superiore presa in considerazione per la ricerca fu un istituto particolare nel quale circa il 50 % degli studenti avevano contatti omosessuali; tra i soggetti erano presenti anche un numero sproporzionato di “prostituti” maschi (almeno 200); tra gli omosessuali vennero contati anche soggetti che avevano avuto pensieri o contatti casuali, magari nella prima adolescenza; infine, nel calcolare la percentuale di omosessuali, Kinsey fece sparire – senza darne spiegazione – circa 1.000 soggetti.

Ma la frode scientifica non è l’unico aspetto problematico del lavoro di Kinsey. Kinsey ha raccolto la più grande raccolta di materiale pornografico al mondo («Seconda soltanto a quella conservata al Vaticano», come amava ripetere per sconvolgere i suoi interlocutori), che ancora adesso viene periodicamente mostrata al pubblico. Kinsey e i suoi collaboratori (con mogli ed amici) si prestavano personalmente, come attori, fotografi e registi, per incrementare questa collezione.
L’aspetto però più inquietante di questo personaggio riguarda gli esperimenti sessuali condotti su bambini.

Nel paragrafo intitolato L’orgasmo nei soggetti impuberi (pp. 105 – 112) del primo Rapporto Kinsey descrive i comportamenti di centinaia di bambini da quattro mesi a quattordici anni vittime di pedofili. In alcuni casi, Kinsey e i suoi osservarono (filmando, contando il numero di «orgasmi» e cronometrando gli intervalli tra un «orgasmo» e l’altro) gli abusi di bambini ad opera di pedofili: «In 5 casi di soggetti impuberi le osservazioni furono proseguite per periodi di mesi o di anni[…]» (p. 107); ci furono anche bambini sottoposti a queste torture per 24 ore di seguito: «Il massimo osservato fu di 26 parossismi in 24 ore, ed il rapporto indica che sarebbe stato possibile ottenere anche di più nello stesso periodo di tempo» (p. 110).

Nel secondo Rapporto esiste un paragrafo intitolato Contatti nell’età prepubere con maschi adulti, nel quale vengono descritti rapporti sessuali tra bambine e uomini adulti, ovviamente alla presenza di Kinsey e colleghi. Le osservazioni condotte inducono Kinsey a sostenere che

“Se la bambina non fosse condizionata dall’educazione, non è certo che approcci sessuali del genere di quelli determinatisi in questi episodi [contatti sessuali con maschi adulti], la turberebbero. E’ difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici. Quando i bambini vengono posti in guardia di continuo dai genitori e dagli insegnanti contro i contatti con gli adulti, e quando non ricevono alcuna spiegazione sulla natura esatta dei contatti proibiti, sono pronti a dare in manifestazioni isteriche non appena una qualsiasi persona adulta li avvicina, o si ferma a parlar loro per strada, o li carezza, o propone di fare qualcosa per loro, anche se quella persona può non avere alcuna intenzione sessuale. Alcuni tra i più esperti studiosi di problemi giovanili, sono addivenuti alla convinzione che le reazioni emotive dei genitori, dei poliziotti e di altri adulti i quali scoprono che il bambino ha avuto contatti, possono turbare il fanciullo più seriamente degli stessi contatti sessuali. L’isterismo in voga nei riguardi dei trasgressori sessuali può benissimo influire in grave misura sulla capacità dei fanciulli  ad adattarsi sessualmente alcuni anni dopo, nel matrimonio.
Vi sono, naturalmente, esempi di adulti che hanno inflitto lesioni fisiche a bambine con le quali avevano tentato contatti sessuali, e possediamo le biografie di alcuni maschi responsabili di tali lesioni. Ma i casi del genere sono la minoranza, e il pubblico dovrebbe imparare a distinguere i contatti di tale gravità da altri contatti con adulti che, con ogni probabilità, non possono fare alla bambina alcun male apprezzabile, purchè i genitori non si turbino. Il numero straordinariamente piccolo dei casi in cui la bambina riporta danni fisici è indicato dal fatto che fra 4.441 femmine delle quali conosciamo i dati, ci risulta un solo caso chiaro di lesioni inflitte ad una bimba, e pochissimi esempi di emorragie vaginali che, d’altronde, non determinarono alcun inconveniente apprezzabile” (pp. 159-160).

Questi sono i rapporti Kinsey, che tanto piacciono ai militanti omosessualisti. Nessuna interpretazione, tutto nero su bianco, pubblicato ed accessibile a chiunque.
Ora sarebbe il caso di saperne di più di Kinsey, e di questa ricerca.

Kinsey non era uno psicologo, nemmeno uno psichiatra: era un entomologo. Un “insettologo”, insomma. Perché la Fondazione Rockefeller volle finanziare queste ricerche, la pubblicazione dei Rapporti ed aiutare Kinsey a fondare l’Indiana Institute for Sex Research non ci è dato sapere. Sappiamo però dai suoi collaboratori che Kinsey aveva un progetto, un «grande progetto»: fornire le basi scientifiche per una nuova moralità sessuale ed educare il mondo in base a questi nuovi principi.

Come nacque questo «grande progetto»? Perché desiderava ardentemente giustificare e diffondere l’omosessualità, la pedofilia, la bestialità (pp. 655 – 668, Il comportamento sessuale dell’uomo)? Non lo sappiamo. Sappiamo che Alfred Charles fu, da bambino, affetto da rachitismo, febbri reumatiche e tifoidi che lo condussero più volte in fin di vita. Impossibilitato per motivi di salute a frequentare i coetanei, sviluppò, nel corso di lunghe passeggiate, la passione per l’osservazione degli animali. Da adulto praticò il nudismo, lo scambismo, la pornografia, la sodomia, il masochismo, la masturbazione compulsiva.
Nel 1954 si impiccò, letteralmente, per i genitali. Da quel momento, e probabilmente a causa di quel gesto, la sua salute sempre cagionevole precipitò; subì diversi ricoveri «misteriosi», la sua dipendenza da barbiturici ed anfetamine divenne ingestibile. Kinsey morì il 25 agosto del 1956, probabilmente per un attacco cardiaco, anche se le circostanze della sua morte non sono mai state rese note.

Questo fu Alfred Charles Kinsey, icona del movimento gay e di quello pedofilo, pioniere della rivoluzione sessuale.
L’istituto da lui fondato, ora chiamato Kinsey Institute, for research in Sex, Gender, and Reproduction, prosegue la sua opera.
A proposito: cercano volontari per alcuni esperimenti; se qualcuno fosse interessato…

* I numeri di pagina si riferiscono alle edizioni italiane: Il comportamento sessuale dell’uomo, Bompiani, Milano 1950; Il comportamento sessuale della donna, Bompiani, Milano 1956.

115 aborti illegali, ma Carlos Morin è stato assolto dal tribunale spagnolo

115 aborti illegali, ma Carlos Morin è stato assolto dal tribunale spagnolo

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È accusato di almeno 115 aborti illegali, ma per ora se l’è cavata, nonostante contro di lui vi siano prove schiaccianti. Carlos Morin è un ginecologo di origini peruviane, che, una volta giunto in Catalogna, ha costruito la propria fortuna, cavalcando il business degli aborti. Senza scrupoli, senza pudore, senza regole. Ad inchiodare lui ed altri dieci collaboratori sono i filmati registrati da alcuni giornalisti danesi. I video provano l’eliminazione sistematica e violenta dei bambini non nati anche oltre la 22ma settimana, limite massimo all’epoca dei fatti contestati previsto dalla legge spagnola, oltre tutto sulla scorta di false diagnosi attestanti un presunto pericolo per la «salute psicologica»delle donne sottopostesi all’interruzione della gravidanza, molte delle quali provenienti dall’estero per sfuggire alle normative nazionali.

Una mattanza, insomma. A sollevare il caso, ripreso dall’agenzia d’informazione on line “LifeSiteNews”, è stata l’organizzazione pro-life “E-Cristians”, che tramite i suoi legali ha raccolto materiale comprovante la contraffazione delle firme dei medici sui vari protocolli clinici. Non solo: secondo le testimonianze raccolte, le cartelle dei test psicologici sarebbero state compilate dal personale anziché dai pazienti. Alcuni dipendenti, per evitare il rischio di sanzioni amministrative nel caso le irregolarità fossero emerse, hanno confermato di aver agito solo in nome del business, ma «senza alcuna intenzione di danneggiare le donne».

Sconcertante è però il fatto che il Tribunale abbia rigettato le prove e consentito così a Carlos Morin di non dover rispondere alla Giustizia della violazione della legge sull’aborto. I giudici sono anzi partiti dall’assunto opposto, giustificando e liberalizzando di fatto qualsiasi pratica abortiva, poiché, secondo loro, «ogni gravidanza indesiderata comporta di per sé un rischio evidente per la salute psichica della madre», senza se e senza ma. Nei casi contestati al dottor Morin sarebbero emerse sì, a loro avviso, «irregolarità amministrative»e valutazioni cliniche troppo «superficiali», in quanto «effettuate con minor rigore di quanto fosse auspicabile», ma nulla proverebbe eventuali «aborti illegali».

Quanto all’accusa più pesante, quella d’aver distrutto i corpi dei bambini abortiti dentro trituratori industriali ed altre orrende pratiche simili, Morin se l’è cavata sostenendo che tali apparecchiature sarebbero presenti nella clinica per lo smaltimento delle carcasse dei polli e dei maiali utilizzati dai veterinari durante i loro stages. La Corte ha dato credito a questa versione, trovando anzi normale ed evidente che nelle cliniche abortiste vi siano macchinari «per lo smaltimento del biologico rimanente» e giudicando quindi «ossessivo»l’addebito rivolto al medico.

Il presidente del gruppo pro-life “E-Cristians”, che per primo ha sollevato il caso, Josep Miro i Ardevol, ha già espresso indignazione per questa sentenza e si è detto deciso ad impugnarla in appello di fronte al Supremo Tribunale spagnolo e, se necessario, di fronte alla Corte di Giustizia europea. A suo avviso, i giudici hanno emesso «un verdetto ideologico, da cui emergono in modo chiaro le loro opinioni personali, ma non i fatti e le loro correlazioni». Ed, ha aggiunto, «è incredibile che, dopo le prove raccolte, non si sia riscontrata la sussistenza di alcun addebito penale»a carico di Carlos Morin e della sua équipe.

Per il momento, il business abortista può purtroppo proseguire tranquillo: Carlos Morin, da povero medico immigrato al suo arrivo in Spagna, vive oggi in una sontuosa villa con piscina ‒ valore stimato, oltre 4 miliardi di euro ‒ nella zona vip di Sant Cugat del Vallés e viaggia in Ferrari. Lussi pagati anche con le vite e col sangue dei bambini abortiti .

di Mauro Faverzani da Corrispondenza Romana

In Arabia Saudita «anche le bambine devono portare il burqa» per evitare stupri e molestie

La fatwa è stata lanciata in ottobre e riproposta ieri dopo che un religioso saudita, accusato di avere stuprato la figlia di 5 anni fino alla morte, è stato condannato a pagare 50 mila dollari, evitando la prigione.

di Leone Grotti da Tempi.it

Un religioso islamico dell’Arabia Saudita ha lanciato una fatwa su al-Majd Tv affermando che anche le bambine devono coprirsi il volto e portare il burqa. Sheikh Abdullah Daoud ha spiegato che in questo modo le bambine sarebbero protette dai tentativi di molestie e stupro, che sono in costante aumento in Arabia Saudita.

UCCIDE LA FIGLIA, EVITA LA PRIGIONE.La fatwa è stata lanciata in ottobre, ma riproposta ieri dopo che un religioso saudita, accusato di avere molestato e stuprato la figlia di soli 5 anni fino alla morte, è stato condannato a pagare 50 mila dollari alla madre della bambina, evitando però la prigione. La sharia, che vige in Arabia Saudita, non prevede obbligatoriamente la prigione nel caso in cui un padre uccida i propri figli o la moglie.

FATWA NON AUTORIZZATA. La proposta di Abdullah Daoud è stata però contestata da un altro islamico saudita, Mohammad al-Jzlana, ex giudice, secondo cui fatwa come questa non fanno altro che danneggiare l’immagine dell’islam. Secondo l’ex giudice la gente dovrebbe ignorare questo tipo di fatwa, che recano gravi ingiustizie ai bambini, e che non sono autorizzate dalle autorità saudite.

DONNE IN ARABIA SAUDITA. In Arabia Saudita, sotto il rigido regime religioso wahabita, le donne godono di pochi diritti, comunque inferiori a quelli degli uomini:: non possono guidare, non possono lavorare senza il permesso del padre/marito/fratello, devono essere accompagnate da un uomo, non possono lasciare il paese in autonomia.