Un testimone ricorda come Pio XII nascose gli ebrei in Vaticano

Afferma che i nazisti volevano eliminare poi i cattolici

NEW YORK, martedì, 2 novembre 2010 (ZENIT.org).- Un ebreo ha testimoniato come suo padre sia stato salvato dalla furia dei nazisti venendo nascosto in Vaticano da Papa Pio XII.

La testimonianza è l’ultima raccolta dalla Pave the Way Foundation, che sta raccogliendo documenti
e informazioni sulle azioni di Papa Pacelli durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il testimone, come ha annunciato Gary Krupp, presidente della Fondazione, è Robert Adler, membro della Commissione per l’Olocausto dell’Alabama (Stati Uniti).

Adler ha ricordato che suo padre Hugo venne portato in Vaticano nel 1941 e vi rimase nascosto per cinque settimane. Durante quel periodo, incontrò in molte occasioni Pio XII.

Hugo venne poi inviato attraverso una rete vaticana in Francia, Spagna e da lì a Sosua, nella Repubblica Dominicana.

Nella sua testimonianza, Robert ha detto di aver saputo attraverso delle ricerche che i nazisti volevano eliminare prima gli ebrei e poi i cattolici, e ha osservato che per questo motivo il Pontefice compì gli sforzi di salvataggio in segreto.

Se Pio XII non fosse intervenuto, ha concluso, suo padre sarebbe morto.

Krupp ha espresso gratitudine per la testimonianza di Adler, affermando che “presentando questo ricordo così rilevatore ha pagato un enorme debito nei confronti di tutti coloro che hanno rischiato la propria vita per riuscire a salvare le vittime della Shoah”.

La Fondazione ha posto circa 40.000 documenti, insieme a testimonianze video, sulla sua pagina web per fornire prove sul ruolo di Papa Pio XII nel secondo conflitto mondiale.

Elliot Hershberg, presidente del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione, ha osservato che “questo sforzo è stato un’impresa molto costosa e difficile [per la Pave the Way Foundation], ma ne è valsa la pena”.

“In base alla nostra missione, se possiamo aiutare a illuminare questo periodo controverso, che è stato fonte di discordia tra ebrei e cattolici per più di 45 anni, avremo aiutato a cambiare il corso della storia e a migliorare le relazioni in momento in cui questo è così necessario”.

Per ulteriori informazioni, http://www.ptwf.org/.

Io non ci sto, voglio raccontare tutti i misfatti del Risorgimento

di Domenico Bonvegna

Qualche giorno fa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, come gli capita spesso in  questi mesi, fa discorsi con riferimenti espliciti al Risorgimento, non mancando di incensarlo in continuazione.

Mi ha colpito una sua frase, “dobbiamo liberare l’unità d’Italia dal revisionismo”. Napolitano non poteva essere così esplicito e preciso.

In questi mesi di preparazione ai festeggiamenti dei 150 anni dell’unità d’Italia mi sembra che anche in certi ambienti di centrodestra si raccomanda di non calcare troppo la mano contro i cosiddetti padri della patria vedi Cavour, Vittorio Emanuele, Garibaldi, Mazzini e soprattutto ci dicono che mettendo in discussione il periodo risorgimentale si rischia di sfasciare tutto e di remare a favore delle contrapposizioni qualunquistiche, di un certo meridionalismo becero e rivendicazionista, e soprattutto di favorire la politica del secessionismo di matrice leghista.

Allora oggi noi che cosa possiamo fare dopo 150 anni? Cancellare l’unità d’Italia? Certamente no. E’ stata fatta, ce la teniamo, detto questo però vogliamo raccontare la Verità: come è stata fatta e soprattutto contro chi è stata fatta.

E’ paradossale che proprio ora dopo la caduta del Muro di Berlino, e finalmente liberi da quegli schemi ideologici che ci hanno tenuti legati almeno per tutto il periodo della guerra fredda, proprio ora che il muro della leggenda risorgimentale comincia a presentare vistose crepe, anche se ancora permane purtroppo nei testi scolastici, ora che è possibile finalmente raccontare la Vera Storia del cosiddetto risorgimento, mi devo stare zitto o almeno soprassedere su quelle pagine oscure che potrebbero cancellare l’oleografia creata ad arte dai cosiddetti storici di professione e che naturalmente ora non vogliono che si metta in discussione. Questi storici mi sembrano come quei cani da guardia che definiscono la ‘storia patria’ e che vigilano pronti a stroncare ogni tentativo ‘revisionista’.

Ecco io a questo gioco non ci sto, quando posso cercherò sempre in tutti i modi di raccontare quello che so, che ho studiato, che mi hanno raccontato. La mia conoscenza dell’altra storia è iniziata negli anni della mia adolescenza, leggendo il bellissimo libro di Carlo Alianello, La Conquista del Sud, edito dalla coraggiosa casa editrice Rusconi di Milano. Dalla lettura di questo libro e poi di tanti altri, soprattutto quello di Patrick Keyes O’ Clery, La Rivoluzione Italiana, edito in Italia per la prima volta da Ares di Milano, un corposo scritto di ben 780 pagine, l’autore irlandese l’ha scritto in due tempi nel 1875 e nel 1892. Una lettura utile obiettiva, che non riduce la Storia a un complotto, e se condanna il modo di unificazione dell’Italia da parte di una ristretta èlite liberale, lo fa sempre presentando le fonti risorgimentali, liberali. Come fa del resto anche la storica Angela Pellicciari, in particolare nel libro Risorgimento da riscrivere.

Ma oltre ai libri, non posso non ricordare la grande influenza che ha avuto su di me l’opera catechizzante di Alleanza Cattolica che oltre a essere un’agenzia volta a far conoscere il magistero sociale della Chiesa, lavora per fare un’opera di controstoria, soprattutto degli ultimi duecento anni.

Leggendo e ascoltando insigni storici ho scoperto con grande sorpresa che quello che mi avevano raccontato fin dalla scuola elementare spesso erano favole da refezione scolastica, come ha ben scritto Giovanni Cantoni nella prefazione al libro Rivoluzione e Controrivoluzione. Nessuno mi aveva mai raccontato la Verità sul risorgimento: che l’unità d’Italia è stata fatta per cancellare l’identità cattolica del popolo italiano, della Chiesa Cattolica. Già nel 1848 inizia la persecuzione contro la Chiesa con la soppressione degli ordini religiosi. Che il Piemonte era uno strumento in mano alle lobby massoniche che lottavano per “unire”, “fare” gli italiani secondo i principi liberali e massonici.

Per fare questa unità culturale prima occorreva conquistare e annientare tutti i regni italiani, a cominciare da quello del Regno delle due Sicilie, uno stato millenario, che Vittorio Emanuele II, definito re ‘galantuomo’ ha aggredito senza nessuna giustificazione uno Stato sovrano, per giunta cercando di giustificarsi con la falsa teoria che i popoli meridionali hanno chiesto aiuto, il famigerato grido di dolore, tra l’altro mai levatosi. Gli inglesi approntarono una campagna diffamatoria, basata su calunnie diffuse in tutta Europa a danno dei Borboni e delle Due Sicilie, dipingendo gli uni come tiranni spietati e i loro sudditi come popoli semibarbari. Bisognava fare terra bruciata attorno al nemico. Più avanti lo stesso Gladstone, primo ministro inglese, confessò di essersi inventato tutto. “Si doveva far passare il piano eversivo di pochi uomini senza scrupoli, prezzolati dallo straniero, quale spontanea rivolta popolare. Far passare per epiche battaglie delle pallide scaramucce che consentirono a una masnada male assortita di banditi, ladri ed ex galeotti, di impadronirsi di un magnifico regno quasi senza far uso delle armi se non nella fase finale della conquista. Tra l’altro tutto questo, sarebbe stato vano se i fedelissimi soldati delle Due Sicilie avessero avuto la possibilità di battersi contro questa ciurmaglia di miserabili scalzacani. In pratica la fantasmagorica passeggiata (di Garibaldi & Co) da Marsala a Napoli non sarebbe mai avvenuta”. (Bruno Lima, Due Sicilie 1860, l’invasione. Fede & Cultura).

Ecco io dovrei tacere tutte queste cose? Dovrei tacere che l’esercito piemontese, 120 mila uomini, hanno messo a ferro e a fuoco tutto il territorio meridionale, facendo rastrellamenti molto simili a quelli operati dai nazisti nel 43-45 in Italia, massacrando migliaia di italiani, definiti briganti. In pratica i popoli delle Due Sicilie vennero privati della loro libertà e soggiogati da un esercito straniero, derubati dei loro beni privati e pubblici . Conseguenza di tutto questo per sottrarsi a un destino senza speranza milioni di meridionali non ebbero altra scelta che abbandonare per sempre il loro paese.

Inoltre l’immenso tesoro del Regno che ammontava a 443, 2 milioni di lire del tempo fu sperperato per sanare il devastante debito pubblico piemontese. L’accanimento nel saccheggio del Mezzogiorno – continua don Bruno – e lo sfruttamento incontrollato dei suoi abitanti produsse uno stato di miseria riconducibile storicamente solo alle depredazioni barbariche e a quelle dei pirati berberi. Ecco si dovrebbero tacere tutte queste cose. Impossibile, la verità tutta o niente, è l’unica carità concessa alla storia, scriveva uno scrittore francese. E’ chiaro che dopo aver conosciuto tutti questi fatti la voglia di festeggiare i 150 anni diminuisce o per lo meno si può solo ricordare, fare memoria.

E se vogliamo ricordare non è per contrapporre il Nord contro il Sud. Anche se è vero: la “liberazione”del Sud è stata, né più né meno, una conquista. E pure spietata. Soltanto che oggi il problema non è quello di partire solo da questo, scrive Pellicciari, a mio modo di vedere, costituisce, un’operazione riduttiva e miope. Non si può contrapporre, come fa Giordano Bruno Guerri, i briganti (i meridionali) e gli italiani civili (i settentrionali). Piuttosto “la contrapposizione vera però non è tanto fra Nord e Sud, quanto fra illuminati (liberali sia settentrionali che meridionali) e cattolici (il 99% degli italiani). I liberali hanno tentato, in nome della libertà e della costituzione, di imporre agli italiani un cambiamento di identità. Hanno voluto che rinunciassimo alla nostra religione, alla nostra cultura, alla nostra arte e alla nostra organizzazione socio-economica”. (Angela Pellicciari, Povera Unità, 19. 10. 2010 Il Tempo).

La Pellicciari insiste l’unità d’Italia è stata fatta contro la chiesa e cioè, conviene ripeterlo, contro gli italiani, è un dramma che a distanza di 150 anni non riesce a passare. E non passa perché lo si nega. Ora viene alla luce la realtà della conquista del Sud. Nessuno ricorda la violenza anticattolica ai danni di tutta l’Italia, di cui la violenza antimeridionale è diretta conseguenza.

Stepinac, troppo cattolico per essere Giusto?

«Il moderno razzismo nutre rancore contro la Chiesa poiché essa non vuole cadere in ginocchio dinanzi al suo idolo, la nazione, e adorarlo». Queste parole, pronunciate da Alojzije Stepinac nel 1938 a Zagabria disegnano un ritratto controcorrente dell’arcivescovo: e correggono le interpretazioni unilaterali di una certa storiografia che ha descritto il pastore come nazionalista, antisemita e sodale del governo di Ante Pavelic e dei crimini compiuti dagli ustascia tra il 1941 e il 1945. Il merito di questa revisione è del film Possono rubarci tutto, l’anima mai, realizzato dal liceo scientifico “G. Marconi” di Pesaro e in proiezione oggi a Bologna nell’ambito della Festa della storia. Ricco di testimonianze il Dvd getta nuova luce sui rapporti tra l’arcivescovo e gli ebrei. «Durante l’occupazione nazista – racconta ad esempio Amyel Shomrony, segretario del rabbino capo di Zagabria – Stepinac protesse in diversi modi gli ebrei, che altrimenti sarebbero stati vittime della politica antisemita dei nazisti e dei loro collaboratori ustascia. L’arcivescovo si adoperò inoltre perché gli ebrei non portassero al braccio il distintivo di riconoscimento». Gli stessi tedeschi lo definivano in un rapporto al capo della polizia «un grande amico degli ebrei».

Da parte sua, nel 1946, il presidente della comunità ebraica degli Stati Uniti Louis Breier dichiarava: «Questo grande uomo della Chiesa è stato accusato di essere un collaboratore nazista. Noi ebrei lo neghiamo». Nonostante questi riconoscimenti la Suprema Corte israeliana ha rifiutato per ben due volte la richiesta di inserire il nome di Stepinac tra quelli dei Giusti riconosciuti dal Museo della Shoah di Gerusalemme. «Non è in discussione – affermano Maristella Palac Smiljanka e Paola Campanini, coordinatrici del film – che Stepinac abbia salvato tanti ebrei. Il problema è un altro. Stepinac, come vescovo della Chiesa cattolica, era, secondo il consiglio dello Yad Vashem, protetto dagli ustascia e quindi non ha rischiato la vita. Stepinac inoltre, avendo taciuto, secondo il consiglio, alcuni crimini degli ustascia, è stato considerato collaboratore del regime nazifascista». Purtroppo, proseguono le due insegnanti «questo giudizio è stato espresso sulla base dei documenti (spesso manipolati o nascosti) con cui il regime comunista ha condannato a morte Stepinac come criminale di guerra».

Ma il film, che ha ottenuto il secondo premio del concorso nazionale promosso dall’accordo di rete Storia e memoria, propone un altro elemento. «Dopo aver negato a Stepinac per la seconda volta il titolo di giusto, il consiglio dello Yad Vashem, avendo riconosciuto che egli aveva salvato tanti ebrei, prese in considerazione la possibilità di scrivere almeno una lettera di ringraziamento ai suoi familiari. Neppure tale proposta però fu accettata, perché, essendo Stepinac privo di eredi, la lettera di ringraziamento sarebbe dovuta andare alla Chiesa cattolica». Di conseguenza, è la conclusione delle due docenti «in questo mancato riconoscimento hanno pesato anche i pregiudizi ideologici». Alla ricostruzione aggiunge qualche tassello Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università “G. Marconi” di Roma. «Concordo con il ritratto che di Stepinac fece Spadolini: un arcivescovo che inizialmente concesse qualche protezione agli ustascia ma che poi si accorse strada facendo dell’errore compiuto e prese le distanze».

Ancora prima dell’indipendenza croata, spiega lo studioso, «l’arcivescovo si trova a coordinare tentativi di aiuto agli ebrei oggetto delle persecuzione in Jugoslavia. La sua impostazione era già da allora agli antipodi dell’ultra-nazionalismo e per questo si guadagnò diverse lettere di insulti dai cattolici intransigenti: una di queste sosteneva che l’arcivescovo sotto i panni del prete portava la stella di Davide». Con la nascita nel 1941 della Croazia indipendente, proprio negli anni della presunta collusione con Pavelic, Stepinac si mette in contatto con il rabbino capo di Zagabria per un’iniziativa coordinata che ha lo scopo di salvare gli ebrei dalla deportazione ad Auschwitz. «Un’ anno più tardi – ricorda ancora Napolitano – sarà lo stesso rabbino capo a riconoscerlo. In una lettera a Pio XII usa toni inconfutabili di riconoscenza. Parla di bontà senza limiti da parte della Santa Sede. Parole inspiegabili se non ci fosse stato un impegno in atto della Chiesa croata». Sulla mancata concessione del riconoscimento di Giusto Napolitano svela un retroscena: «Nell’ultimo viaggio fatto in Israele ho cercato di consultare le carte sui Giusti. Ma ho avuto una sorpresa. I casi che non hanno avuto buon esito non sono disponibili.

E su Stepinac c’è un veto totale. Tutto quello che sappiamo su di lui dagli archivi disponibili – conclude – lo assolve. Anche se questo non significa ovviamente che nella Chiesa croata, soprattutto in certi ordini religiosi, non vi fossero tracce di ultra-nazionalismo». È la stessa conclusione a cui giunge il film: «Le accuse pretestuose che vennero rivolte a Stepinac dipendevano dal fatto che le sue parole non erano inquadrabili all’interno di un’ideologia. Stepinac, pur condannando apertamente i crimini compiuti, non condannò mai ufficialmente gli ustascia, che restavano parte integrante del suo gregge. E, pur proteggendo gli ebrei e i serbi, non esitò a criticare i loro medici, quando suggerivano di ricorrere all’aborto, prendendo invece le difese del governo che si opponeva a quella pratica. Egli non ha venduto a nessun potere la sua coscienza».

Stefano Andrini da Avvenire

Quando i crociati cercarono di difendere la Terra Santa

Un libro di Rodney Stark spiega le vere ragioni delle crociate

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 13 ottobre 2010 (ZENIT.org).- “Le Crociate non furono un atto di colonialismo, ma la risposta militare a una lunga serie di aggressioni da parte dell’Islam contro i Luoghi Santi e i pellegrini”. E’ quanto sostiene Rodney Stark nel libro “Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate” (Lindau)

Ripercorrendo la storia delle sette maggiori Crociate, che si svolsero tra il 1095 e il 1291, il libro di Stark dimostra come l’Europa abbia dovuto reagire a una vera e propria strategia di conquista.

“Finalmente un libro sulle crociate convincente ed equilibrato, lontano dalle recenti diatribe ideologiche e grossolane che le liquidavano come un brutto affare”, ha scritto Jeffrey Burton Russell, professore emerito di Storia della University of California.

Secondo il docente statunitense “Stark dimostra che i crociati erano ben lontani dall’intento di colonizzare, e reagivano solo agli attacchi. La loro motivazione fondamentale, per quanto talvolta abusata, era allo stesso tempo difensiva e spirituale”.

E Philip Jenkins, professore di storia e studi religiosi presso la Pennsylvania State University , ha affermato “questo libro si lancia all’assalto dei facili miti che gli studiosi hanno reso popolari a proposito delle crociate. L’esito è sbalorditivo. Il suo più grande risultato è di farci vedere i crociati nei loro veri termini”.

In effetti Stark, docente di scienze sociali alla Baylor University in Texas, smonta uno ad uno tutti i pregiudizi secondo cui “durante le crociate un mondo cristiano imperialista ed espansionista devastò, saccheggiò e colonizzò un Islam pacifico e tollerante”.

L’autore documenta, con precisione e vastità di fonti storiche, come il mondo moderno creda a leggende circa la presunta superiorità culturale, tecnologica e militare del mondo islamico, sulla immaginata rozzezza dei barbari europei, e sulle motivazioni che avrebbero spinto parte dei secondogeniti della nobiltà europea a cercare, ricchezze, terre e bottino in Terra Santa.

Secondo Stark non è affatto vero che mentre l’Europa viveva secoli bui, l’Islam aveva raggiunto il livello più alto nelle arti e nelle scienze e nella tecnologia.

Il docente di scienze sociali spiega che le parti più avanzate della cultura araba erano in realtà espressioni dei popoli conquistati e cioè la cultura greco-giudaica-cristiana di Bisanzio, con gli autori e le conoscenze di comunità cristiane come i copti e i nestoriani, la sapienza dello zoroastrismo persiano e le grandi scoperte dei matematici hindu.

Nel libro Stark riporta come gli arabi musulmani non amassero né i libri né la ruota.

Il docente statunitense riporta che quando il comandante delle forze arabe che avevano conquistato Alessandria d’Egitto chiese al califfo Umar che cosa dovessero fare dell’enorme biblioteca della città, Umar rispose: “Se ciò che in essi è scritto è concorde con il Libro di Dio (Il Corano), sono superflui; se è in disaccordo non sono graditi. Pertanto distruggeteli”.

Inoltre – fa sapere Stark – “quello che sappiamo con assoluta certezza è che dopo la conquista islamica dell’Egitto, del Nord Africa e della Spagna, da tutte queste terre scomparve la ruota. Per secoli non vi furono più né carri né carretti. Tutte le merci venivano trasportate a mano oppure ammassate su cammelli, muli o cavalli”.

Circa l’ipotesi diventata luogo comune secondo cui la crociate non avevano nulla di spirituale ma vennero alimentate dai secondogeniti della nobiltà europea per acquisire proprietà e ricchezze, Stark riporta in dettaglio l’appello dei Pontefici per proteggere la Terra Santa, in particolare l’appello di Urbano II a Clermont (1095) nel quale si approfondisce la tradizione millenaria del pellegrinaggio.

Dal libro di Stark si comprende chiaramente come fosse proprio la volontà di espiazione, il desiderio di salvezza eterna, l’impegno a riconquistare e proteggere la Terra Santa, a motivare i tanti uomini che combatterono nelle crociate.

Migliaia di persone, tra cui anche i membri delle famiglie reali europee, vendettero tutto quello che avevano e in molti casi pure si indebitarono, per rispondere all’appello papale e finanziare e alimentare le Crociate.

I crociati europei si batterono valorosamente, con coraggio e ardore. Vinsero battaglie anche quando erano in condizioni di inferiorità numerica e di mezzi. Persero la Terra Santa solo a causa delle divisioni che laceravano i cristiani d’Occidente da quelli d’Oriente, e per le rivalità delle diverse famiglie reali europee.

Un altro particolare che la vulgata moderna sembra aver dimenticato è che gli islamici praticavano continui massacri dei cristiani che si recavano a Gerusalemme. Solo durante l’epoca del sovrano d’Egitto al-Hakim, all’inizio del XI secolo, centinaia di cristiani vennero crocifissi e lapidati, i monaci del monastero di Mar Saba messi al rogo, migliaia di chiese vennero devastate, tra cui la stessa chiesa del Santo Sepolcro.

Il libro di Stark si conclude ribadendo che non sono certo state le crociate la radice dell’odio che alberga nei cuori dei terroristi fondamentalisti.

LE ODI NOIOSE E RIPETITIVE SUI PADRI DELLA PATRIA.

Il 10 agosto scorso, nel bicentenario della nascita di Cavour, il vero artefice dell’unità d’Italia sotto la bandiera della monarchia Sabauda, lo storico Ernesto Galli della Loggia lamentava che l’Italia dimentica i suoi padri, “ahi serva Italia! Tu che dimentichi i tuoi padri. Tu che hai scordato Cavour. Tu che da più di trenta anni non insegni più nulla ai tuoi ragazzi, più nulla che riguardi la storia del Risorgimento. Tu che nemmeno giri “un film serio su quel periodo”!”.

Cavour oggi sarebbe attualissimo, perché darebbe “consapevolezza della nostra storia, il senso della cosa pubblica, un’idea alta ma vera e realistica della politica, la rimessa in vigore di certe virtù civiche: non è forse di queste cose che nell’accavallarsi disordinato delle lotte dei partiti, dello scontro di tutti con tutti, ha bisogno oggi più che mai il Paese? Non ha forse bisogno l’Italia di ritrovare il senso originario della sua esistenza come Stato libero e moderno?” (Ernesto Galli della Loggia, Nostalgia di Cavour, 10.8.2010 Il Corriere della Sera).

Su tante cose mi sono trovato d’accordo con Galli della Loggia, ma questa volta devo dissentire, anzi mi meraviglio che uno storico serio come lui continui a propinarci il solito pacco, non mi sembra proprio che ci si è dimenticati del conte, le nostre città  abbondano di strade, piazze e statue dedicate a Cavour, per non parlare dei fiumi d’inchiostro nei libri scolastici e non. “Forse Geremia aveva qualche motivo in più di lamentarsi. Purtroppo di filmati, rivisitazioni quotidiane sui tg, interi paginoni dei maggiori quotidiani italiani –per non parlare delle innumerevoli celebrazioni ufficiali-, abbondiamo. Sono poco seri? Bisogna ammettere che sì. Lo sono perché fanno retorica e non storia. Lo sono perché adulterano sistematicamente la verità dei fatti”. ( Angela Pellicciari, L’altro risorgimento, 11.8.2010 Il Tempo).

E’ da qualche decennio che le verità risorgimentali scricchiolano da tutte le parti, grazie all’opera di alcuni storici coraggiosi che stanno facendo conoscere la vera storia del risorgimento italiano e nonostante questo i cantori del mito risorgimentale  non si sono stancati di inneggiare e cantare le gesta eroiche dei cosiddetti padri della patria, ma l’ode si è fatta stucchevole. E molto ripetitiva.

Tra gli storici che da anni operano per far conoscere il vero risorgimento, c’è la Pellicciari, ho ancora presente l’alterco con l’onorevole Marco Rizzo in un dibattito su La7, alle domande incalzanti della professoressa, all’ex deputato comunista, per giustificare le proprie tesi risorgimentali, non gli è rimasto altro che rispondere me l’ha detto la mamma. Mentre la Pellicciari con il libro aperto in mano gli leggeva gli

atti del Parlamento piemontese del 1848 che sancivano la soppressione degli ordini religiosi.

Ecco da una parte c’era la solita retorica della mitologia risorgimentale, dall’altra i fatti, i documenti, che dimostrano come e a quale prezzo è stata fatta l’unità d’Italia.

A questo proposito può essere utile un episodio che mi è capitato personalmente in questa estate, alla fine di un convegno per ricordare le eroiche gesta dei garibaldini della riviera jonica messinese (Casalvecchio siculo), l’organizzatore della manifestazione mi ha confessato che lui è consapevole che esiste un’altra storia, per esempio quella che riguarda i borbonici di Francesco II, anzi forse è anche consapevole che gli eroi risorgimentali non erano poi tanto eroi e quindi alla fine il nostro, amante della storia locale, inneggia ai garibaldini perché conviene fare così: uno perché dà visibilità alla propria associazione culturale, due perché i garibaldini sono i vincitori.

E’ evidente che alle leggende auree del nostro risorgimento non ci crede più neanche chi li promuove. Ritornando a Galli della Loggia che ci invita a ricordare, a noi ingrati il “grande” statista Camillo Benso conte di Cavour, consiglio al professore di dedicare un po’ di tempo alla lettura dell’ottimo libro di Angela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere, edito dall’edizione Ares di Milano, recentemente ristampato. Io possiedo una copia del 1998 e per fare queste considerazioni, ho riletto alcuni capitoli. E’ il libro che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva consigliato di leggere, giusto l’anno scorso a settembre ai giovani del Pdl riuniti nella loro festa. Soltanto Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera, ha colto l’importanza di quel consiglio, in un interessantissimo articolo apparso in prima pagina sul giornale milanese. Addirittura Battista ha considerato l’evento, forse esagerando volutamente, l’atto più eversivo che abbia potuto commettere Berlusconi in tutta la sua vita politica.

Che cosa scrive la Pellicciari in Risorgimento da riscrivere, che l’unità d’Italia è stata cucita a spese della Chiesa Cattolica. E’ un processo storico che è iniziato nel 1848 fino al 1861, in questo periodo il parlamento di Torino, il Regno sabaudo, ha svolto una vera e propria guerra di religione contro la Chiesa cattolica. Per quale motivo proprio lo Stato sabaudo, che si dice costituzionale e liberale, alla guida del moto risorgimentale dedica accanite sessioni parlamentari per la soppressione degli ordini religiosi? Con quali motivazioni ideologiche, morali, politiche e giuridiche?

Angela Pellicciari, presenta in questo testo una gran mole impressionante di fonti originali, e quasi 100 pagine di note, dimostra che il Piemonte colpendo il potere temporale della Chiesa intendeva annientare la sua portata spirituale.

L’artefice di tutto questo è il massone e grande “fratello” Cavour che con motivazioni pseudo scientifiche sostiene che le comunità religiose si oppongono al progresso, e siccome la nostra epoca diceva Cavour è caratterizzata da un progresso costante generato dal lavoro produttivo, monaci e frati sono di grave impiccio perchè, rifiutando il lavoro produttivo, ostacolano il progresso. Quindi, nessun lavoro è più improduttivo del loro, nessuna istruzione è più nociva di quella da loro impartita. Per Cavour, i religiosi, oltre che dannosi al progresso sociale, sono in contrasto anche con il progresso scientifico e artistico, agricolo e industriale.

Frasi farneticanti, come si fa a non vedere tutte le opere artistiche e culturali che nella sola penisola italiana i religiosi hanno favorito e reso possibile attuare.

Cavour per sostenere la soppressione degli ordini religiosi si affida alla storia, guardate i Paesi dove da tre secoli  questi ordini non ci sono più, come l’Inghilterra, la Prussia, la Francia, qui la ricchezza si è sviluppata, mentre i Paesi come la Spagna e il regno di Napoli, sono arretrati economicamente. E’ chiaro che Cavour sta mentendo. Molti hanno contrastato le sue tesi; numerosi i punti deboli del suo discorso. A cominciare del rapporto fra governi liberali e governi pacifici. E’ fin troppo evidente come il Piemonte liberale e pacifico, mentre Cavour sostiene quelle tesi sta combattendo in Crimea per poi condurre con successo una guerra espansionistica ai danni degli altri Stati della penisola italiana. Per quanto riguarda l’Inghilterra e la Francia conosciamo quante guerre hanno fatto. Non regge neanche il binomio ricchezza-moralità, basta leggere cosa scrive Carl Marx in quel periodo sulla sua

Inghilterra, ma anche i cattolici.

Addirittura per Cavour le riforme da lui auspicate avrebbero portato paradossalmente vantaggi e interessi anche e soprattutto alla Religione e alla Chiesa. Ma “come si può difendere la libertà cominciando dal negarla a quanti hanno scelto di vivere in un convento? Si chide la Pellicciari nell’introduzione a Risorgimento da riscrivere. Come si può, dal momento che si riconosce la liceità di tutti i culti, discriminare quello cattolico, condiviso dalla quasi totalità della popolazione? Come si può tenere un comportamento anticristiano, che ovviamente provoca la scomunica maggiore da parte di Pio IX, continuando a sostenere pubblicamente che l’unico scopo dell’azione governativa è quello di difendere gli interessi della pura religione e della vera morale? Come può, infine, una monarchia che si proclama cattolica, patrocinare e realizzare provvedimenti legislativi che privano la Chiesa dei suoi diritti e delle sue proprietà, ripetendo quanto fatto tre secoli prima dalle monarchie riformate nell’intento dichiarato di sopprimere la ‘superstizione cattolica’?”

DOMENICO BONVEGNA

domenicobonvegna@alice.it

Documentate le azioni vaticane per salvare gli ebrei dal 1938

NEW YORK, giovedì, 1° luglio 2010 (ZENIT.org).- La Pave the Way Foundation (PTWF) ha annunciato la scoperta di documenti vaticani di grande importanza.

Gary Krupp, presidente della Fondazione, ha affermato che “nel perseguire la nostra missione di individuare ed eliminare gli ostacoli non teologici tra le religioni, abbiamo identificato il pontificato di Papa Pio XII come un periodo che ha un impatto negativo su più di un miliardo di persone. La PTWF ha intrapreso un progetto di recupero di documenti del periodo di guerra per diffondere quanti più documenti e testimonianze oculari possibili per portare alla luce la verità”.

“Finora abbiamo oltre 40.000 pagine di documenti, video di testimoni oculari e articoli sul nostro sito www.ptwf.org per aiutare gli storici a studiare questo periodo”.

Lo storico e rappresentante della PTWF della Germania Michael Hesemann ha visitato regolarmente l’Archivio Segreto vaticano aperto di recente e continua a compiere scoperte significative. Il suo ultimo studio dei documenti originali pubblicati in precedenza rivela azioni segrete per salvare migliaia di ebrei fin dal 1938, tre settimane dopo la Notte dei Cristalli.

Il Cardinale Eugenio Pacelli (Papa Pio XII) inviò un telex alle Nunziature e alle Delegazioni Apostoliche e una lettera a 61 Arcivescovi nel mondo cattolico richiedendo 200.000 visti per “cattolici non ariani” tre settimane dopo la Notte dei Cristalli. Inviò anche un’altra lettera datata 9 gennaio 1939.

Michael Hesemann ha dichiarato che “il fatto che in questa lettera parli di ‘ebrei convertiti’ e ‘cattolici non ariani’ sembra essere una copertura. Non si poteva essere sicuri che gli agenti nazisti non avrebbero saputo dell’iniziativa”.

“Pacelli doveva essere sicuro che non ne facessero un uso sbagliato per la loro propaganda, che non potessero dichiarare che ‘la Chiesa è un alleato degli ebrei’”, ha aggiunto.

Il Concordato del 1933 firmato con la Germania garantiva che gli ebrei convertiti sarebbero stati trattati come cristiani, e usare questa posizione legale permise a Pacelli di aiutare i “cattolici non ariani”.

Una prova del fatto che non si stava riferendo solo agli “ebrei convertiti” è evidente quando Pacelli chiede che gli Arcivescovi si preoccupino di “salvaguardare il loro benessere spirituale e di difendere il loro culto religioso, i loro costumi e le loro tradizioni”.

Un altro indizio del reale intento delle richieste del Vaticano deriva dalle risposte originali dei Vescovi e dei Nunzi alla richiesta di Pacelli. I presuli si riferivano spesso agli “ebrei perseguitati”, non a “ebrei convertiti” o a “cattolici non ariani”.

“Anche se è ampiamente riconosciuta dagli storici l’intercessione di Pacelli per salvare migliaia di ‘ebrei convertiti’, molti basano le proprie conclusioni sulla rapida lettura di lettere e documenti vaticani”, osserva Pave the Way.

“Visto che molti dei critici di questo pontificato non hanno ancora accettato la provata e diretta minaccia nazista contro lo Stato vaticano e la vita di Papa Pio XII, sembrano non capire che bisognava usare sotterfugi visto che si inviavano solo direttive criptate o verbali”.

“In molti casi, gli storici ignorano il linguaggio vaticano, che a volte usa il latino per esprimere il significato nascosto di queste richieste”.

“La PTWF continuerà a diffondere quanti più documenti possibile perché tutto ciò che abbiamo scoperto finora sembra indicare che la diffusa percezione negativa di Papa Pio XII è sbagliata”, ha affermato Elliot Hershberg, presidente del Consiglio d’Amministrazione della Pave the Way Foundation.

“Crediamo anche che molti ebrei che sono riusciti ad abbandonare l’Europa possano non avere idea del fatto che i loro visti e i documenti di viaggio sono stati ottenuti attraverso questi sforzi vaticani”.

Il professor Ronald Rychlak, noto studioso e autore del libro “Hitler, the War and the Pope”, ha affermato dal canto suo che i documenti provano che “gli sforzi che sembrano essere stati volti a difendere solo gli ebrei convertiti in realtà difesero tutti gli ebrei, indipendentemente dal fatto che si fossero convertiti”.

Per il professor Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle Relazioni Internazionali, le istruzioni di Eugenio Pacelli nella lettera del 9 gennaio 1939 non lasciano spazio a dubbi sulle intenzioni della Santa Sede e del futuro Pontefice.

“Non impegnarsi a salvare solo gli ebrei – dice la lettera –, ma anche sinagoghe, centri culturali e tutto ciò che apparteneva alla loro fede”.