Lunedì della XXXI settimana del T.O.

Lunedì della XXXI settimana del T.O.

Dal Vangelo secondo Luca 14,12-14.

In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”. 

Il commento di don Antonello Iapicca

Ogni relazione, precaria nella friabilità degli affetti e instabile sotto la dittatura degli umori, nasce ferita da un’assenza. Nessuno può dare l’amore che il cuore dell’altro desidera. Invece ci ostiniamo a chiedere al prossimo di saziare i nostri vuoti. «Quando invitiamo amici, fratelli e parenti» ad entrare in comunione con noi ai nostri «banchetti», e sembriamo aprirci alle loro necessità, in realtà «offriamo» sofisticati menù a base di compromessi e ipocrisia; pensieri, parole e gesti come lacci tesi perché ci «invitino a loro volta» nell’intimità. Facciamo dipendere la nostra identità dall’esile filo che ci lega al «contraccambio» degli sforzi profusi per contare qualcosa nel cuore degli altri. Non possiamo vivere senza la loro attenzione, l’indifferenza ci polverizza. Così, ad esempio, diluiamo i «no» che dovremmo dire ai figli e gli permettiamo vestiti e orari inaccettabili, discoteche sature di droga e sesso, vacanze promiscue, gadget costosissimi: li tempestiamo di «inviti» al dialogo per non perdere l’affetto e non dover sopportare ribellione e rifiuto.

Siamo tutti «poveri, storpi, zoppi e ciechi». Abbiamo bisogno di gustare le primizie della «ricompensa» celeste, la vita e l’amore più forti della morte capaci di liberarci dalla paura e dall’esigenza. Il compimento di ogni vita è in Cielo, inutile e dannoso sperare di cambiare i rapporti per perfezionarli qui sulla terra, mentre proprio la precarietà ci impedisce di appropriarcene aprendoci alla beatitudine. Lavorare, studiare, cucinare, lavare e stendere, fare qualunque cosa aspettando o esigendo una ricompensa è stolto e frustrante, perché ci schiaccia sulla carne e ci impedisce di sperare il Cielo. «Beato», invece, è colui che «invita» il prossimo accogliendolo proprio quando non ha nulla per «contraccambiare» perché è allora che il Signore si fa presente provvedendo con più generosità. Siamo chiamati ad “invitare” la moglie quando è più povera e più debole; a perdonarla e a donarci a lei quando la carne la rifiuterebbe perché non vi trova nessuna soddisfazione; come ha fatto Gesù con noi, che ci ha “invitato” quando non avevamo che peccati e ribellioni, non certo qualcosa per contraccambiare. Ma in questo misterioso scambio vi è il Regno di Dio: quando si “invita”, cioè quando ci si apre e si accoglie e ci si dona a chi non ci considera, ci giudica e forse ci disprezza, incapace di camminare e vedere, sperimentiamo il Cielo sulla terra! Questo amore è il segno che esiste la vita eterna, infinitamente più grande, libera e felice di quella della carne. Ogni rapporto è un cantiere aperto al dono di Dio; l’unico modo per vivere in pienezza il matrimonio, la famiglia, l’amicizia e il fidanzamento è accogliere insieme al fratello l’«invito» del Signore alla sua mensa della Parola e dei Sacramenti; e qui lasciarsi sfamare ogni istante dai frutti fecondi della sua «risurrezione», sino a giungere alla nostra, quando saremo “giusti” in virtù della “Giustizia” di Dio, sempre e infinitamente misericordiosa.

Pakistan, nei libri di scuola uccidere i cristiani diventa un “obiettivo formativo”

Pakistan, nei libri di scuola uccidere i cristiani diventa un “obiettivo formativo”

Lo rivela un rapporto di Memri, secondo cui i cristiani sarebbero così aiutati a cercare anche loro il martirio per la fede 

da www.tempi.it

Uccidere i cristiani? In Pakistan, secondo alcuni libri di testo, è un “obiettivo formativo” che aiuterebbe gli stessi membri della minoranza nel paese a cercare il martirio per la fede. Questo emerge, secondo quanto riporta AsiaNews, da un rapporto pubblicato da Memri.

COSTRETTI A STUDIARE IL CORANO. La ricerca afferma che i testi scolastici, che normalmente discriminano i cristiani, sono diffusi «nella maggior parte delle scuole pubbliche primarie pakistane e anche i cristiani e membri di altre minoranze sono costretti a leggerli e studiarli». Nel 2011 è emerso nel paese che anche gli studenti non musulmani sono costretti a studiare l’islam. Nel 2012 la Commissione nazionale di Giustizia e pace della Chiesa cattolica ha pubblicato un rapporto in cui denuncia la legge approvata dal Parlamento del Punjab che rende obbligatorio nel piano studi l’apprendimento del Corano.

DISCRIMINAZIONE SUL LAVORO. Secondo quanto da Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale pakistana, «i cristiani sono discriminati non solo a scuola ma anche sul luogo di lavoro, dove è quasi impossibile che ottengano promozioni proprio a causa della loro fede».

La difficile battaglia dei cattolici contro l’ideologia gender

La difficile battaglia dei cattolici contro l’ideologia gender

di Josip Horvaticek da www.lanuovabq.it

Bandiera croata

I vescovi croati non perdono occasione di denunciare il gravissimo pericolo per la famiglia, i giovani e la società intera rappresentato dall’ideologia del gender.

Nel corso dell’omelia della Santa Messa celebrata al santuario mariano nazionale di Marija Bistrica, nei pressi di Zagabria, in occasione del pellegrinaggio annuale delle Forze Armate croate di domenica 6 ottobre, l’Arcivescovo di Spalato, mons. Marin Barišic, ha affermato la necessità di «reagire, vivere e agire nello spirito della fede» ai problemi della vita quotidiana. C’è da domandarsi, ha aggiunto mons. Barišic, se«non siamo diventati fuggitivi, disertori, pensionati della fede?» Non è la nostra fede staccata dalla vita, o forse perfino fuggita dalla realtà, «non ci siamo ritirati, diventati invisibili e paurosi?» Ritirandoci dalla realtà «non abbiamo forse abbandonato i campi della cultura, dell’educazione, del matrimonio e della famiglia, alle idee che sono prive di una bussola che ci guidi verso il futuro e la verità?». Quale conseguenza di questa pusillanimità, «vi è il pericolo che non sapremo più né ci sarà più permesso dire se un bambino è maschio e femmina, se i genitori sono il padre e la madre, oppure le lettere A e B o i numeri 1 e 2».

L’arcivescovo di Spalato si è infine appellato ai soldati, alle forze dell’ordine e ai veterani della Guerra per la Patria (la guerra di indipendenza croata del 1991, ndr) affinché siano difensori della famiglia la quale rappresenta «il fondamento della vita e dell’ordine sociale».

L’appello di mons. Barišic è più che mai attuale nonostante le recenti vittorie del vasto fronte che si oppone all’attuazione dell’ideologia del gender nella scuola e nella società croate.

Infatti, la Corte Costituzionale ha bocciato la procedura di attuazione del corso di educazione sessuale di stampo gender nelle scuole croate, nel contempo accusando il governo di avere agito con metodi non democratici; la raccolta di firme per indire un referendum affinché nella Costituzione sia inserito un articolo che preveda che il matrimonio rappresenta solamente l’unione di vita di un uomo e una donna ha avuto un grandissimo successo – il numero finale di firme raccolte in sole due settimane è stato di circa 770.000.

Tuttavia il governo di sinistra non demorde: non è certo che il referendum si possa tenere, giacché in un Paese alle soglie del totalitarismo come la Croazia ogni garanzia democratica è sempre sub judice; è in fase di redazione una nuova legge sulla famiglia, secondo la quale le unioni omosessuali non si chiameranno ‘famiglia’, ma avranno i medesimi diritti delle famiglie naturali, ad eccezione del diritto di adozione – unica concessione fatta al movimento di opposizione, la quale tuttavia è esclusivamente di natura tattica ed è facilmente modificabile in un prossimo futuro; infine per il nuovo anno scolastico il ministro dell’istruzione, Jovanovic, ha imposto, pur con qualche modifica puramente cosmetica, lo stesso programma di educazione sessuale dello scorso anno, anche in questo caso senza consultare i genitori e non lasciando loro la libertà di scegliere per i loro figli programmi alternativi a quello fondato sull’ideologia gender.

La battaglia è ancora lunga e irta di difficoltà, soprattutto perché l’avversario, cosciente di trovarsi in minoranza nella società croata, sfrutterà il vantaggio di essere al potere utilizzando tutti i mezzi che tale posizione gli consente, ivi inclusa l’intimidazione poliziesca, della quale hanno già avuto un assaggio alcuni esponenti del movimento cattolico Hrast. Del resto, il maggiore partito al potere ha una notevole familiarità con i metodi totalitari dell’ideologia comunista, attuati in questo Paese per quasi mezzo secolo, e che gli attuali governanti croati hanno abbandonato solamente a parole.

Lunedì della XXXI settimana del T.O.

Lunedì della XXIX settimana del T.O.

Dal Vangelo secondo Luca,12,13-21.

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». 
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Il commento di don Antonello Iapicca

“O uomo!” Così Gesù risponde al “tale” e a ciascuno di noi, insoddisfatti e sempre in cerca di giustizia. “O uomo!” perché in lui e in noi il Signore intercetta Adamo. Ricco “presso Dio” nel Paradiso, di fronte al “raccolto abbondante” ricevuto in “eredità”, si è fermato a “dialogare con sé stesso” ed è rimasto intrappolato nella menzogna del demonio; ogni pensiero, infatti, o è una preghiera che chiede a Dio la luce e la Grazia, o è un acconsentire imprudente alla menzogna del demonio. Come accade a noi quando, di fronte alla storia, ci rintaniamo nella nostra ragione facendo spazio alle adulazioni del nemico che ci convincono d’essere dio. E allora, a testa bassa ad “accumulare tesori per noi stessi”, moglie, marito, amici, denaro; “non sappiamo che fare” dei doni di Dio, non “abbiamo dove metterli” tanto il cuore è indurito, e così, nella paura di perderli, li serriamo nei “granai” del nostro egoismo, sempre “più grandi” per saziare il vuoto di un dio senza paradiso; i giorni spesi a progettare e mettere in agenda “per molti anni” riposo e godimento, e nessun giorno riservato alla morte. Sino a quello in cui un “fratello”, un altro Adamo ingannato come noi, non ci ruba “l’eredità”, il nostro tempo, l’onore, la carriera, i diritti; sino a che la “notte” degli eventi oscuri e dolorosi non viene a “chiederci la vita” rivelando la “stoltezza” di chi fa “dipendere la vita dai beni” destinati a corrompersi.

Ogni conflitto nasce sempre da questo inganno. Lo sanno i genitori? Forse no, perché credono alle balle degli psicologi, anni e anni di studio per dirti sempre la stessa cosa, che il secondo figlio ha problemi con il primo, e poi l’invidia e la gelosia. Tutte cose già rivelate nel III capitolo del Libro della Genesi, peccato originale. Esiste, ed è il morbo maligno, e la cupidigia, o concupiscenza, ne è la figlia primogenita. Se la vita, la giornata di oggi, il matrimonio e la spesa, la cena, i compiti dei figli, le bollette e gli straordinari, e il saggio a scuola, e la riunione di condominio. Se la vita dipende dai beni la frittata è fatta. Tutto si convertirà in una competizione, una gara all’ultimo sangue per accaparrarsi l’ossigeno per vivere di beni. E i fallimenti non si contano, risvegli bruschi che, come una secchiata d’acqua fredda in faccia, ci destano sulla stoltezza che ci ha ingoiato. Proprio quelli con cui abbiamo lottato ci chiedono la vita: se l’abbiamo fatta dipendere dai beni, non avremo nulla da dare; se essa dipende dallo Spirito che ci ha tratti dalla polvere e dal fango, potremo donare noi stessi…. O cupidigia o libertà, o carne o Spirito, o egoismo o amore, non si scappa. Quando, troppo spesso, prevale in noi l’uomo della terra, ci facciamo maestri del Maestro, insegnandogli come e cosa giudicare per giustificare la nostra cupidigia. E Gesù, che è Dio, giudica anche oggi, ma con la croce. I progetti fondati sull’egoismo sono spine conficcate nella testa, preoccupazioni, angosce e notti insonni. Le ricchezze accumulate con avidità sono chiodi che ci impedisco la libertà di donarci ed essere felici. Desideriamo davvero vivere cosi? Il Signore ha preso su di sé questa nostra croce, si è lasciato uccidere dalla nostra cupidigia ed è risorto per donarci l’autentica “eredità”, la “parte buona e migliore” che nessuno potrà rubarci. Ecco “che fare”: rimanere “presso” il Signore come Maria per arricchirci con Lui. Nel matrimonio, aprendoci alla vita che Dio vuole donarci “tenendoci lontani” da settimane bianche e schermi ultrapiatti che le famiglie numerose non possono permettersi. Nello studio, spendendo le ore nel sacrificio che ci fa adulti e “ricchi” di maturità e responsabilità. Donare ovunque e a tutti “il raccolto abbondante” dell’amore che colma gratuitamente la “campagna” della nostra vita: spenderci nell’annuncio del Vangelo dimenticando noi stessi, e consegnarci a Cristo, così come siamo, con le nostre rivalità, i complessi e tutto quello che ci conferma la nostra debolezza. Oggi, ora, noi e la nostra famiglia, i figli, tutti lanciati in una nuova dimensione, quella del dono nel quale siamo rinati. E così arricchire il Cielo di “fratelli” che cercano in noi l’Eredità perduta.

QUI IL COMMENTO APPROFONDITO

Eredità e cupidigia, ogni conflitto tra fratelli sorge dalla contraddizione di questi due termini. Dove vi è eredità non può esservi cupidigia. L’eredità è un dono che scaturisce dall’essere legati a colui che fa testamento. E’ frutto della sua liberalità, del suo amore. Noi tutti siamo eredi di Dio e coeredi di Cristo. Per pura Grazia, senza aver desiderato nè sperato nulla. Di nostro abbiamo messo solo ribellioni e peccati. Come il figlio prodigo abbiamo dilapidato tutto. Eppure il Padre ci ha amati, ha inviato il suo Figlio sulle nostre tracce, quelle di un’eredità amaramente perduta. Ci siamo appropriati della primogenitura stravolgendola e pervertendola. Ci siamo fatti dio in ogni aspetto della nostra vita e ci siamo ritrovati mille volte gettati in terra, in mezzo al fango di tanti fallimenti. Abbiamo perso ogni diritto, come i carcerati. Eppure Dio ci ha amati e, nella Croce del suo Figlio, ci ha riscattati e ci ha ridonato la dignità e l’eredità perduta. Di più. ci ha ricreati quale sua eredità più bella, figli nel Figlio. Per questo Gesù è giudice in quanto mediatore. Ha giudicato il peccato e ha posto la sua vita come mediazione per il riscatto. Lui al posto nostro. Lui nella tomba, nudo, senza diritti, come l’ultimo dei peccatori perché noi potessimo essere riaccolti quali figli degni dell’eredità paterna.

Si comprendono allora le parole del Signore: chi mi ha costituito giudice secondo i criteri del mondo e della carne? Chi ha posto la mia vita a mediare tra una cupidigia e l’altra? Questo è l’inganno con il quale spesso ci accostiamo a Lui, cercando giustizia e mediazione, e vedere così affermate le nostre ragioni, sempre tristemente mosse dalla cupidigia, che nel greco originale significa anche arroganza e avidità. Cerchiamo Cristo perché decreti giusti i nostri ragionamenti, i dialoghi con se stesso di cui è schiavo l’uomo ricco della parabola. Dirò a me stesso: la pazzia di chi si crede nello stesso tempo autore e fruitore della vita, dio e creatura. La stoltezza demoniaca che si fa cupidigia, desiderio rapace, perché sempre inappagato. O si è Dio o si è creatura. La sapienza del cuore è saper contare i propri giorni, ciascuno come un dono di Dio, eredità gratuita che ci raggiunge senza alcun merito e diritto. Siamo tutti uomini ricchi la cui vita dà sempre un raccolto abbondante: Cristo Gesù vivo in noi! E con Lui ogni altro bene! Pensare che questo possa essere utile per installarsi e mangiare, bere e divertirsi, è fare della vita una folle corsa verso il nulla. Stoltezza di chi non sa che ogni giorno ci viene chiesto conto del dono ricevuto, se il frutto abbondante recato da Cristo si è compiuto in amore oppure se è stato fagocitato dalla cupidigia. La morte è sempre in agguato, e non solo quella fisica: il tradimento, una malattia, una crisi economica, e molto altro che fa verità e mostra la qualità della nostra vita: oro o paglia!

La vita non dipende dall’abbondanza, ma dall’uso che se ne fa. A chi molto è stato dato,  molto molto sarà richiesto. E vi è un solo uso della vita che la rende autentica e innestata nell’eternità: arricchire presso Dio. Già, ma come è possibile? Arricchire presso Dio significa vivere con sapienza, mentre stoltezza è accumulare per sè. Il sapiente vive fissando lo sguardo sul Cielo, è figlio del Padre, conosce se stesso e conosce il dono che costituisce la sua vita: sa che può essere vissuta solamente donandola, esattamente come è stata ricevuta. Il sapiente vive abbandonato all’amore provvidente di Dio; conosce per esperienza il valore di ogni istante quale scrigno di Grazie infinite, tra le quali può celarsi quella della Pasqua eterna, l’incontro con il suo Signore. Lo stolto teme di morire, vive tutto con cupidigia perché è ancora nudo del peccato di Adamo e tutto, persone e cose, accaparra tentando maldestramente di coprirsi e sfuggire alla corruzione. Il sapiente ha conosciuto il perdono, lo stolto vive nel rimorso. Per il sapiente la vita, con i suoi beni e i suoi affetti, è segno del perdono e così diventa dono. Lo stolto progetta e si tormenta, e non trova mai pace, difendendo senza requie quei brandelli di vita che ancora gli restano tra le mani. Accogliamo oggi la Sapienza fatta carne, Cristo Gesù vittorioso sul peccato e sulla morte. Lasciamo che ci liberi e ci perdoni, e ci faccia figli della Sapienza, quella eterna della Croce, porta del Cielo sul quale fissare il nostro sguardo e il nostro cuore.

Lunedì della XXXI settimana del T.O.

18 Ottobre. San Luca Evangelista

Dal Vangelo secondo Luca 10,1-9. 

Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe.
Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.
Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.
Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.

Il commento di don Antonello Iapicca

Il mondo muore di fame. In «ogni città e luogo» tutti hanno un urgente bisogno dei discepoli del Signore, come i «lupi» che si aggirano famelici in cerca di cibo, hanno bisogno degli agnelli. Il mondo giace nelle tenebre del peccato, le persone che incontriamo ogni giorno sono lupi affamati, sui loro denti cola la concupiscenza; stanno divorando famiglia, figli, chiunque, anche la propria vita, pur di saziare il vuoto e la solitudine. Solo un «Agnello sgozzato» che si offre mite può saziarli, solo un amore come il suo che arriva «sino alla fine», lì dove si fanno insopportabili i crampi della fame. Anche noi, ogni giorno, siamo nutriti dall’Agnello immolato per la nostra salvezza; “ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”: così, prima di partecipare alla beatitudine del banchetto eucaristico, il presbitero ci mostra e annuncia l’amore che ci salva. E ci salva in quel momento: possiamo alzare gli occhi e contemplarlo, come il Popolo di Israele ha fissato il serpente di bronzo, come i Popoli hanno guardato a Colui che hanno trafitto, e sono stati salvati. Così oggi saremo salvati dal giudizio che ci ha chiuso al fratello, dall’egoismo e dall’invidia, dall’avarizia e dalla gelosia. Ambasciatori «inviati avanti» all’Agnello, i discepoli non possono che essere agnelli, miti e indifesi come Lui, «senza borsa, né bisaccia e calzari». Ogni discepolo appare sulla soglia del giorno e della storia come gli “operai” dell’Agnello: quando ci svegliamo il Signore ci invia e ci presenta a nostro marito e a nostra moglie, ai figli e ai colleghi, ai parenti e a chiunque incontreremo al mercato o sulla metropolitana, ai compagni di scola, ai professori e al fidanzato, dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio”…. Siamo stati salvati, lo abbiamo mangiato tante volte, ci ha saziati, e siamo stati trasformati in Lui. Per questo anche oggi il Padre svela suo Figlio in noi, agnelli inviati ai lupi, al marito che è famelico, come la moglie, come tutti: homo homini lupi diceva Plauto, e lo sperimentiamo ogni giorno, sino a quando qualcuno – tu ed io – non sono trasformati, per Grazia, in piccoli, umili e indifesi agnellini… Ma sono “pochi” gli operai che hanno accolto la Grazia di vivere come gli ultimi, in silenzio, ogni giorno come pecore da macello. “Operai” che chiedono giustizia, che predicano se stessi e la propria carne affamata come quella del mondo, ve ne sono molti, troppi. Credono di sfamare e contribuire a un mondo migliore, e invece generano mostri, una miriade di uomini vecchi ingrassati a dovere, pieni di concupiscenze e di desideri inappagati. Preti, suore, padri e madri, il mondo è pieno di “operai” incapaci di andare nella “messe” di Gesù; “operai” come tu ed io, intenti a girare al largo dal Calvario autentico di questa generazione. Entriamo, invece, in quelli che il demonio ci vuol far credere essere la “messe” del Signore, le ingiustizie sociali, le difficoltà relazionali nei matrimoni, le malattie incurabili. Queste situazioni non costituiscono la “messe” di Dio. Sono le conseguenze, o i sintomi di una malattia molto più profonda, quella che gli “operai” autentici sono inviati a “curare”. La malattia del peccato, la vera schiavitù che impedisce di perdonare un marito violento. Che facile fare una legge contro il femminicidio, come se con essa si riuscisse a cambiare il cuore dell’uomo. Siamo tutti femminicidi, tutti ominicidi, infanticidi, perché l’assassino e menzognero ci ha ingannato e abita nel nostro cuore! Il Signore pensa, invece, ad “operai” capaci di esorcizzare  i “malati” di questa generazione, con l’annuncio e l’incarnazione della Croce. E ve e sono pochi, perché pochissimi credono che l’origine della sofferenza sia il peccato e il demonio suo padre. Come, di conseguenza, pochissimi sono quelli che credono al potere della povera e stolta predicazione della Croce. Altro che San Paolo, che affermava di conoscere e annunciare solo Cristo crocifisso. E noi? A casa, ieri sera con nostro marito che voleva unirsi e lo abbiamo rifiutato? E stamattina con il muso di nostro figlio, o due giorni fa con l’imbroglio del collega? Abbiamo annunciato e assunto la Croce o la giustizia del mondo? Per questo occorre “pregare il Padrone della messe” – l’unico che la conosce bene perché l’ha creata Lui, libera e vulnerabile – perché “mandi operai” veri a portare e annunciare il regno di Dio capace di distruggere quello del demonio. Occorre pregare perché oggi, e ogni giorno, il Padre ci invii di nuovo in missione; chiediamogli di liberarci da noi stessi e dai nostri criteri mondani perché, senza i ricorsi psicologici e politici, ideologici e pedagogici, lasciamo a casa “borsa e denari” e, impugnando solo la sapienza della Croce e il Vangelo, con zelo ci infiliamo nei luoghi della nostra vita per annunciare Cristo e Cristo crocifisso. Solo così la Chiesa, erede dei «72» anziani collaboratori di Mosè, potrà adempiere alla sua missione nel «deserto» del mondo: con la sola sapienza della Croce saprà dirimere le cause insinuate dalla malizia del demonio, perché le persone raggiunte dal Vangelo sappiano deporre le armi e riconciliarsi, nella “Pace” del Signore vittorioso sulla morte. “Operai” così nessun «piano pastorale», purtroppo, li prevede.

Ben fondati sulla Croce che ci ha salvati, siamo allora inviati anche noi ad offrirci «come agnelli in mezzo ai lupi», perché appaia compiuta nel mondo la profezia di Isaia: “Il lupo dimorerà con l’agnello”. Ogni lupo può dimorare nell’ovile di Cristo, l’agnello muto di fronte ai suoi macellai: nella Chiesa gli agnellini ammansiscono i lupi offrendosi in cibo per loro. L’amore soprannaturale che perdona e si carica dei peccati degli altri fa della terra un’ enclave del Cielo. I fidanzati come agnelli alle proprie fidanzate, per spegnere nel dono, nel rispetto e nel sacrificio gli ardori della lussuria; i genitori come agnelli alle ribellioni e all’immaturità dei propri figli, per educarli trasmettendo loro la fede nella verità e nella misericordia. E così gli sposi l’uno all’altro, i professori agli studenti, i pastori al gregge. Siamo inviati a «curare» i colleghi, gli amici, i parenti «malati», spingendoci con amore sino alla soglia delle loro «case», a quei frammenti di vita dove la paura della morte li spinge a farsi lupi; sin dentro le loro «città», per «mangiare» e prendere su di noi il dolore «che ci è messo dinanzi»; senza giudicare, perché «il Medico è venuto dai malati, per guarirli mangiando con loro» (San Pietro Crisologo). Come «paraninfi» siamo inviati a cercare i «figli della Pace» e condurli al Principe della Pace loro legittimo Sposo. Come a Gubbio quel giorno San Francesco si fece capire dal lupo con parole di misericordia che seppero ammansirlo, così con il nostro annuncio e nella nostra vita si fa «vicino» ad ogni uomo il «Regno di Dio», dove Cristo sazia del suo amore la fame di tutti. E dove c’è il Regno celeste non resta sui piedi neanche un po’ di “polvere” della terra: essa è trasfigurata, come la storia di coloro che hanno accolto il Vangelo. Per chi, invece, lo rifiuta, la terra e la vita resteranno la povera cosa che si avvia alla corruzione. La “testimonianza” autentica e nella verità che illumina il destino per i quale è stato creato ogni uomo apre il cammino alla libera adesione all’annuncio, anche di chi oggi lo rifiuterà. “Operai” che dissimulano e truccano le carte non sono quelli inviati dal “Padrone” della messe. Sono ladri che non hanno a cuore nessun uomo perché non desiderano per nessuno il destino celeste. Desiderare e attuare solo per alleviare un po’ di dolore oggi non è amore: spingere verso divorzio e aborto, decodificando la realtà con i parametri di un lassismo buonista che per tutto prepara un’eutanasia scacciapensieri, è odiare le persone, ingannandole. Ma no, il Signore ama davvero ogni uomo, e invia noi, gli “operai” crocifissi che annunceranno la stoltezza e lo scandalo della Croce, per strappare dalla morte chi oggi incontreremo.

QUI IL COMMENTO APPROFONDITO 
con il fioretto di San Francesco sul lupo di Gubbio

Il mondo ha bisogno dei discepoli di Cristo, come i lupi hanno bisogno degli agnelli, perchè il mondo ha fame. I discepoli sono inviati come cibo, consegnati alle fauci dei lupi. Un agnello in mezzo ad un branco di lupi è destinato ad essere sbranato. Per questo, nella missione della Chiesa, la sconfitta è programmatica. “La forza della Parola non dipende anzitutto dalla nostra azione, dai nostri mezzi, dal nostro ‘fare’, ma da Dio, che nasconde la sua potenza sotto i segni della debolezza, che si rende presente nella brezza leggera del mattino, che si rivela sul legno della Croce” (Benedetto XVI, Omelia dell’11 Ottobre 2011). Ogni cosiddetto “piano pastorale” nasconde una contraddizione in sé stesso: non se ne conoscono che pongano, come obiettivo, il fallimento ed il martirio, essenziali per la missione e che non si possono programmare. La missione dei settantadue incarna e annuncia la paradossale novità del Discorso della Montagna. Con loro si avvicina e appare il Cielo, qualcosa che non si è mai visto prima, che sfugge ad ogni programmazione, il compimento stupefacente delle promesse di Dio. La Chiesa è chiamata a rendere visibile e credibile il Regno di Dio. In esso ogni criterio mondano è stravolto. Il buon senso carnale mostra la sua inconsistenza. La Verità ha ragione della menzogna, e la vanità si dissolve per far posto all’autenticità.

Unico piano pastorale di Gesù è quello di consegnarsi, mite e indifeso, alla morte. Unico progetto, la croce. I discepoli sono i messaggeri del Signore inviati avanti a Lui ad annunciare il suo arrivo. Ambasciatori dell’agnello non possono che essere agnelli. Con loro si avvicina il Regno di Dio, la vita nella morte, Gesù vittorioso sulle menzogne del mondo. Per questo i discepoli sono inviati nudi, senza alcuna sicurezza, indifesi. Niente bastone, niente calzari, niente borsa, alla mercè di tutto e di tutti. Crocifissi. E dentro il fuoco ardente dello zelo per annunciare il Vangelo: il mondo giace nelle tenebre della schiavitù, non c’è tempo per salutare, per convenevoli e cedimenti affettivi. Ci si ferma in una sola casa, la comunità dove pregare, ascoltare la Parola e nutrirsi dei sacramenti, la comunione che approfondisce l’intimità con Colui che invia. Niente legami di casa in casa, niente ricerche di affetto e compiacenze, niente luoghi dove pianificare strategie. Il riposo arriverà dopo, quando ritorneranno dal Signore, per esultare con Lui nel vedere i propri nomi scritti in Cielo, perchè è lassù il vero riposo che li attende. Il passaggio dei discepoli è la luce pasquale che illumina la notte: essi sono gli azzimi della fretta, dell’urgenza che infiamma il cuore di Dio; sono le sue viscere commosse di misericordia per ogni suo figlio reso lupo dall’inganno del demonio: annunciano la Pace, il riscatto e la libertà. I discepoli, come paraninfi del Signore cercano i figli della Pace per prepararli alle nozze con Cristo, la Pasqua nella quale sia distrutto l’uomo vecchio che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici,e rivestire quello nuovo che si rinnova ad immagine del suo Creatore. I discepoli, come Giovanni  Battista, preparano il banchetto di nozze nelle quali il lupo ritorna ad essere l’agnello che è stato creato. “Chi dunque può rendere testimonianza a questa luce solare latente nella carne come in una nube? Tale compito è proprio degli amici dello sposo; nelle nozze umane è tradizionale un rito solenne, per cui, oltre tutti gli altri amici, è presente anche il paraninfo, amico più intimo, che conosce la casa dello sposo. Ma costui è importante, veramente molto importante. Quel che nelle nozze umane, uomo a uomo è il paraninfo, questo è Giovanni in rapporto a Cristo” (S. Agostino, Discorso 293).

Per questo, laddove sono accolti, i discepoli mangiano ciò che viene posto loro innanzi: come il Signore a casa di Matteo, dove assume su di sé il cibo della carne, si carica dei peccati per donare se stesso, il perdono che dà la vita nuova ed eterna. “Dio è accusato di chinarsi sull’uomo, di accostarsi al peccatore, di aver fame della sua conversione e sete del suo ritorno. Si mette sotto accusa il Signore perché prende il piatto della misericordia e il calice della pietà. Fratelli, Cristo è venuto a questa cena, la Vita è scesa tra questi convitati, perché i condannati a morire vivano con la Vita. La Risurrezione si è chinata, perché coloro che giacciono si levino dalle tombe. La Bontà si è abbassata, per elevare i peccatori fino al perdono. Dio è venuto all’uomo, perché l’uomo giunga a Dio. Il Giudice si è seduto alla mensa dei colpevoli, per sottrarre l’umanità alla sentenza di condanna. Il Medico è venuto dai malati, per guarirli mangiando con loro. Il buon Pastore ha chinato le spalle per riportare la pecora smarrita all’ovile di salvezza”. (S. Pietro Crisologo, Discorsi, Sermo 30). I discepoli sono inviati a preparare questo banchetto, annunciando che Dio si è fatto carne e in essa ha distrutto il veleno di morte. Come il Signore portano la natura divina nella debolezza della natura umana, fragilità e precarietà che si fanno evidenti nella missione; in loro si realizza così il mistero dell’Incarnazione compiuto nella Pasqua, la novità sconvolgente del Regno possibile qui ed ora, proprio laddove sembra impossibile, perchè nessun mezzo umano e nessuna strategia sono capaci di “produrre” un amore che si consegni al nemico. Essi dimostrano stolto tutto ciò che il mondo ritene sapiente e svelano sapiente quello che il mondo ritiene stolto.

Tutto questo è la nostra vita. Ogni mattina siamo inviati avanti al Signore: il caffè con la moglie, la colazione con i figli, le strade intasate e le metro stracolme, la scuola, l’ufficio, sino al momento di spegnere la luce e addormentarsi. “La missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita” (Benedetto XVI, Omelia del 16 ottobre 2011). Come pecore in mezzo ai lupi, come San Francesco a Gubbio, in cerca dei figli della Pace cui riconsegnare la Pace perduta, il saluto pasquale, il trofeo conquistato dal Signore nel combattimento vittorioso ingaggiato con il peccato e la morte. “Pace a voi!”. Tutto è perdonato, si può vivere una vita diversa, autentica, piena. Si può amare perchè la paura della morte che spinge a farsi lupi – homo homini lupus – è stata dissolta nella certezza di un amore più forte della tomba. Si può perdonare, si può pazientare, si può donare la propria vita. La fame dei lupi è stata saziata dall’Agnello senza macchia. La fame di affetto, di comprensione, di giustizia, di misericordia che ogni giorno miete vittime accanto e dentro di noi, è stata saziata dall’amore crocifisso, scandalo e stoltezza che cura ogni malattia perchè distrugge la malizia che avvelena il cuore così che perverta ogni aspetto della vita.

Ciascuno di noi è inviato oggi a farsi mangiare dai lupi che si nascondono in chi ci è accanto: non vi è amore più grande, non esiste altra vita per i discepoli di Cristo. Si può vivere come agnelli, anzi, proprio la vita di un agnellino è l’unica autentica, quella che custodisce la caparra del Cielo. E’ questa la missione che ci ha raggiunto: preparare l’avvento del Signore. Non si può pianificare la castità tra due fidanzati: ogni volta che escono insieme sono inviati come pecore in mezzo ai lupi delle concupiscenze, dell’egoismo che offre tutto a se stesso. Non si pianifica l’educazione: ogni giorno i genitori sono inviati come pecore in mezzo ai lupi delle ribellioni, dell’esigenza di autonomia, dell’immaturità. Non si programma l’essere marito, moglie, padre, figlio, fidanzato, collega di lavoro; non si pianifica secondo i criteri mondani un matrimonio, un’amicizia, un’attività lavorativa, lo studio. Non si pianifica il Servo di Yahwè: è una grazia che sgorga dall’essere stato scelto ed inviato, la primogenitura che costituisce la missione, la vita del missionario. In mezzo ai lupi appare l’agnello che vince il peccato e offre la vita. In ciascuno di noi si fa presente l’agnello: la pace che sgorga dalle stigmate gloriose di Cristo risorto mostrate dai discepoli nella loro totale precarietà. Le ferite del peccato, della debolezza trasfigurate nell’amore che ha vinto la morte mostrate al mondo quale segno che autentichi la Pace, il frutto del Regno dei Cieli. Ogni giorno i discepoli si affacciano sul mondo come vivi tornati dal sepolcro, annunciando a tutti che il Cielo esiste, che Cristo é risorto. Sì, ogni giorno siamo chiamati ad essere, come Cristo e con Lui, i messaggeri che giungono dal Cielo, e testimoniare, nella vita e nelle parole, che la morte non é l’ultima parola. Nei discepoli brilla la pace che genera l’educare, il lavorare, lo studiare; la pace nella malattia, nella tentazione, nel fallimento di ogni progetto, anche nel rifiuto della stessa pace offerta: ovunque farsi mangiare e saziare di Cristo la fame di tutti, come, ogni giorno, il Signore sazia la nostra.

“È mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità” (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41).

Fioretti di San Francesco: Capitolo XXI

Del santissimo miracolo che fece santo Francesco, quando convertì il ferocissimo lupo d’Agobbio.

Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio nel contado di Agobbio appari un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali ma eziandio gli uomini, in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s’appressava alla città, e tutti andavano armati quando uscivano della città, come s’eglino andassono a combattere; e con tutto ciò non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo. E per paura di questo lupo e’ vennono a tanto, che nessuno era ardito d’uscire fuori della terra.

Per la qual cosa avendo compassione santo Francesco agli uomini della terra, sì volle uscire fuori a questo lupo, bene che li cittadini al tutto non gliel consigliavano; e facendosi il segno della santissima croce, uscì fuori della terra egli co’ suoi compagni, tutta la sua confidanza ponendo in Dio.

E dubitando gli altri di andare più oltre, santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dove era il lupo. Ed ecco che, vedendo molti cittadini li quali erano venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco, con la bocca aperta; ed appressandosi a lui, santo Francesco gli fa il segno della croce, e chiamollo a sé e disse così: “Vieni qui, frate lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona”.

Mirabile cosa a dire! Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre: e fatto il comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere. E santo Francesco gli parlò così:

“Frate lupo, tu fai molti danni in queste partì, e hai fatti grandi malifici, guastando e uccidendo le creature di Dio sanza sua licenza; e non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardire d’uccidere uomini fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu se’ degno delle forche come ladro e omicida pessimo, e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t’è nemica.

Ma io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro, sicché tu non gli offenda più, ed eglino ti perdonino ogni passata offesa, e né li omini né li canti ti perseguitino più”.
E dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e di orecchi e con inchinare il capo mostrava d’accettare ciò che santo Francesco dicea e di volerlo osservare.

Allora santo Francesco disse: “Frate lupo, poiché ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto ch’io ti farò dare le spese continuamente, mentre tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicché tu non patirai più fame; imperò che io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male.

Ma poich’io t’accatto questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi imprometta che tu non nocerai a nessuna persona umana né ad animale, promettimi tu questo?”. E il lupo, con inchinate di capo, fece evidente segnale che ‘l prometteva.

E santo Francesco sì dice: “Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciò ch’io me ne possa bene fidare”. E distendendo la mano santo Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quello segnale ch’egli potea di fede.

E allora disse santo Francesco: “Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo, che tu venga ora meco sanza dubitare di nulla, e andiamo a fermare questa pace al nome di Dio”.
E il lupo ubbidiente se ne va con lui a modo d’uno agnello mansueto, di che li cittadini, vedendo questo, fortemente si maravigliavano.

E subitamente questa novità si seppe per tutta la città, di che ogni gente maschi e femmine, grandi e piccoli, giovani e vecchi, traggono alla piazza a vedere il lupo con santo Francesco.

Ed essendo ivi bene raunato tutto ‘l popolo, levasi su santo Francesco e predica loro dicendo, tra l’altre cose, come per li peccati Iddio permette cotali cose e pestilenze, e troppo è più pericolosa la fiamma dello inferno la quale ci ha a durare eternalemente alli dannati, che non è la rabbia dello lupo, il quale non può uccidere se non il corpo: “quanto è dunque da temere la bocca dello inferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in tremore la bocca d’un piccolo animale.

Tornate dunque, carissimi, a Dio e fate degna penitenza de’ vostri peccati, e Iddio vi libererà del lupo nel presente e nel futuro dal fuoco infernale”.

E fatta la predica, disse santo Francesco: “Udite, fratelli miei: frate lupo, che è qui dinanzi da voi, sì m’ha promesso, e fattomene fede, di far pace con voi e di non offendervi mai in cosa nessuna, e voi gli promettete di dargli ogni dì le cose necessarie; ed io v’entro mallevadore per lui che ‘l patto della pace egli osserverà fermamente”.

Allora tutto il popolo a una voce promise di nutricarlo continuamente. E santo Francesco, dinanzi a tutti, disse al lupo: “E tu, frate lupo, prometti d’osservare a costoro il patto della pace, che tu non offenda né gli uomini, né gli animali né nessuna creatura?”.

E il lupo inginocchiasi e inchina il capo e con atti mansueti di corpo e di coda e d’orecchi dimostrava, quanto è possibile, di volere servare loro ogni patto.

Dice santo Francesco: “Frate lupo, io voglio che come tu mi desti fede di questa promessa fuori della porta, così dinanzi a tutto il popolo mi dia fede della tua promessa, che tu non mi ingannerai della mia promessa e malleveria ch’io ho fatta per te”. Allora il lupo levando il piè ritto, sì ‘l puose in mano di santo Francesco.

Onde tra questo atto e gli altri detti di sopra fu tanta allegrezza e ammirazione in tutto il popolo, sì per la divozione del Santo e sì per la novità del miracolo e sì per la pace del lupo, che tutti incominciarono a gridare al cielo, laudando e benedicendo Iddio, il quale si avea loro mandato santo Francesco, che per li suoi meriti gli avea liberati dalla bocca della crudele bestia.

E poi il detto lupo vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimesticamente per le case a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto a lui; e fu nutricato cortesemente dalla gente, e andandosi così per la terra e per le case, giammai nessuno cane gli abbaiava drieto.

Finalmente dopo due anni frate lupo sì si morì di vecchiaia, di che li cittadini molto si dolsono, imperò che veggendolo andare così mansueto per la città, si raccordavano meglio della virtù e santità di santo Francesco.

Quegli ignoti film sui martiri cristiani di Spagna

Quegli ignoti film sui martiri cristiani di Spagna

di Marco Respinti da www.lanuovabq.it

locandina

C’è in giro, da qualche mese, un bel film sui martiri cattolici massacrati dagli anarco-comunisti durante la Guerra civile spagnola (1936-1939) e nessuno lo sa. Anzi, i film sono addirittura due, no tre, e però nemmeno la potenza di YouTube, dove se ne possono tranquillamente visionare i trailer, sortisce effetti.

Il primo film si chiama Un Dios prohibido e il suo regista Pablo Moreno. Lo ha realizzato la Contracorriente producciones di Ciudad Rodrigo, nella provincia di Salamanca, che dal 2006 ha dato vita a 15 fra lungometraggi e cortometraggi (uno, La llamada, uscito già dopo Un Dios prohibido), tutti di argomento religioso e apologetico, tutti diretti dall’infaticabile Moreno. Ora sta promuovendo il grande sforzo di Euangelion, una serie in sei puntate preparata per la televisione e dedicata alla vita di Gesù che letteralmente sconvolge quella di quanti lo incontrano .

Un Dios prohibido è una storia tutta vera. Si svolge nell’agosto del 1936, pochi mesi dopo lo scoppio di quella Guerra civile che a lungo era incubata dopo l’instaurazione, il 14 aprile 1931, della cosiddetta Seconda repubblica spagnola, presto divenuta un vero e proprio regime liberticida con tutto il suo corollario di vessazioni anticlericali e di persecuzioni religiose. A Barbastro, un borgo della provincia aragonese di Huesca allora popolato da 8mila anime (oggi ne conta circa 15mila), 51 Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria, detti clarettiani dal nome del fondatore, sant’Antonio María Claret y Clará (1807-1870), furono barbaramente uccisi dal Fronte Popolare in odio alla fede cattolica che professarono senza compromessi, reticenze e rinunce. La pellicola ne racconta le ultime settimane di vita prima della fucilazione. Un film bello (alla cui realizzazione ha partecipato, finanziariamente e non solo, pure l’ordine dei clarettiani), ma soprattutto forte nei contenuti e politicamente scorretto con naturalezza in quel suo semplice narrare una storia emozionante di virtù eroiche.

Il secondo dei tre film annunciati d’esordio è Mártires Oblatos, sempre diretto dal prode Moreno nel 2011, sempre per la Contracorriente producciones: è un corto di taglio narrativo-documentaristico sull’assassinio, nel 1936, di 22 Missionari Obliati di Maria Immacolata falcidiati a Pozuelo de Alarcón, oggi nella comunità autonoma di Madrid.

Il terzo è Bajo un manto de estrellas, diretto da Óscar Parra de Carrizosa per la Mystical Films, un’altra bella impresa cattolica spagnola nata nel 2012. Narra del martirio, ancora e sempre in quel famigerato 1936, di 19 dominicani del Convento de la Asunción de Calatrava di Almagro, nella provincia castigliana di Ciudad Real, avvalendosi della supervisione storico-religiosa di due esperti, don Jorge López Teulón, postulatore della causa di beatificazione dei martiri (altri ancora) di Toledo, e il padre domenicano José Antonio Martínez Puche, direttore della casa editrice dell’Ordine dei predicatori Edibesa di Madrid, nonché autore di studi in materia. Bajo un manto de estrellas sta ultimando le riprese e uscirà nel 2014.

Nel complesso, i martiri cattolici mietuti dalla persecuzione che ha accompagnato ma pure preceduto la Guerra civile spagnola sono una legione. Papa Francesco ne ha esaltati all’onore degli altari 522 il 13 ottobre: con loro, il conto totale sale a 1.512 beatificati e 11 canonizzati. In tutto, la persecuzione anticattolica ha causato in Spagna 6.832 morti. Di questi, 4.184 erano membri del clero secolare, fra cui 12 vescovi (di cui 9 già beatificati) e un amministratore apostolico; 2.365 erano i religiosi; e 283 religiose. Dei laici cattolici uccisi per motivi religiosi non esistono statistiche certe, ma siamo nell’ordine delle diverse centinaia. Le violenze più intense si ebbero tra il 18 luglio 1936 e il 1º aprile 1939, quando anche il 70% delle chiese del Paese venero distrutte con profanazioni e atti palesemente sacrileghi. Per farsi un’idea di quell’abisso, resta sempre validissimo il libro di mons. Vicente Càrcel Ortì, Buio sull’altare. 1931-1939: la persecuzione della Chiesa in Spagna (trad. it. Città Nuova, Roma 1999).

In questo martirologio enorme, i 51 clarettiani di Barbastro narrati in Un Dios prohibido sono stati canonizzati dal beato Giovanni Paolo II il 25 ottobre 1992. I 22 martiri oblati di Pozuelo de Alarcón rappresentati in Mártires Oblatos sono stati beatificati da Papa Benedetto XVI il 18 dicembre 2011. E i 19 domenicani di Almagro immortalati in Bajo un manto de estrellas lo saranno presto ; nel convento che ne vide il martirio già riposano del resto alcuni testimoni eroici della fede, canonizzati il 28 ottobre 2007 da Papa Benedetto XVI.

Insomma, la cinematografia alternativa dei cattolici iberici è una piccola potenza di bellezza, fascino e apologetica che si muove senza un briciolo di vergogna in uno degli haut liuex dell’apostasia occidentale, la Spagna fu-cattolica divenuta ora un ridotto di eroi semiclandestini, assediati da secolarismi incrociati, ideologie in ritardo, statalismi irritanti, persecuzioni democratiche e “orgogli” il più contro-natura possibile. Bisognerebbe che le loro significative pellicole non finissero per diventare un secondo “caso Cristiada”, il film sui cristeros messicani prima arenatosi, poi uscito di soppiatto, poi ancora e sempre non distribuito in Italia, e quindi per forza di cose mero appannaggio del fai-da-te via Internet. Volete mettere invece l’effetto che farebbero film così nei cinema veri, con i giornaloni costretti a parlarne e i soliti noti a stracciarsi le vesti?