Lunedì dell’VIII settimana del T.O.

Lunedì dell’VIII settimana del T.O.

Dal Vangelo secondo Marco 10,17-27.

Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di Dio! E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». 

Il commento di don Antonello Iapicca

Gesù “esce per mettersi in viaggio”, perché Lui è sempre in movimento, Lui è il cammino. Passa, chiama, attira, e coinvolge nel movimento che strappa all’installazione, all’imborghesimento, al grigio della vita. Gesù è un vortice che purifica e stana chi vorrebbe nascondersi e fuggire dalla realtà. Il “tale” che appare nel Vangelo di oggi non ha nome perché non ha consistenza. E’ immagine dei tanti che scivolano nella vita aggrappati alle proprie ricchezze, non solo economiche. Apparentemente vuole la vita eterna, come ciascuno di noi, ma è davvero quello che il suo cuore desidera? “Corre incontro a Gesù, e si mette in ginocchio”: quante volte ci inginocchiamo davanti a Gesù! Quante volte ci mettiamo a pregare chiedendo luce su quello che dobbiamo fare, o chiedendo quello che desideriamo E nulla, ce ne “torniamo tristi” alla vita di ogni giorno, magari mormorando per non aver sentito nulla, per non aver capito, per essere rimasti al punto di partenza. La Parola del Vangelo di oggi invece è una luce di libertà, capace di smascherare quello che davvero vi è nel nostro cuore, l’atteggiamento ultimo e decisivo con il quale ci avviciniamo al Signore. Non basta mettersi in ginocchio. Non basta correre in Chiesa. Non bastano neanche le nostre opere di giustizia, perché il cammino di Gesù è qualcosa di diverso. Esso svela l’essenza della Legge, che non è un cumulo di articoli del codice da rispettare. La Legge del Sinai, i Dieci Comandamenti, sono le Parole della Vita, il cammino che Dio ha lasciato all’uomo per ereditare la vita che non muore. Procedere in essi conduce a gustarne un anticipo, perché sgorgano dal cuore stesso di Dio. I comandamenti sono pura Grazia, perché mostrano, nella vita quotidiana, la via alla vita in libertà di chi appartiene totalmente a Dio. Egli infatti “ha scritto sulle Tavole della Legge ciò che gli uomini non riuscivano a leggere nei loro cuori” (S. Agostino, Enarratio en Psalmum 57,1). Per questo Gesù, rivolgendosi al giovane, come per aiutarlo a scoprire la sua conoscenza superficiale della Scrittura, gli dice “Tu conosci i comandamenti”; e gli tende un trabocchetto, elencando i comandamenti ma come nascondendogli la prima parte del Decalogo, quella che fonda e genera ogni comandamento, e che fa riferimento proprio al cammino che Dio ha aperto al suo popolo quando lo ha liberato dall’Egitto: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. Non avere altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna… Non pronunciare invano il nome del Signore tuo Dio… Osserva il giorno di sabato per santificarlo…”. Da quel miracolo d’amore che è stata la liberazione dall’angoscia della schiavitù sorge un amore nuovo, l’amore a Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze. Il “tale” non se ne accorge, e risponde di “aver osservato ogni comandamento sin dalla giovinezza”, quelli elencati da Gesù, rivelando implicitamente l’illusione che covava nel suo cuore: pensare di compiere la Legge senza aver conosciuto l’amore di Dio nella propria vita è pura illusione. Quando Gesù scopre le carte e presenta al ricco la perfezione, che nel linguaggio del Nuovo Testamento indica i cristiani sine-glossa, (i “perfetti” erano i battezzati), quella che sgorga dalla prima parte del Decalogo, il “tale” si spaventa, si rattrista, perché si rende conto che, in realtà, non aveva compiuto nessun comandamento. Aveva rispettato alcuni codici della Legge, ma il suo cuore era lontano, e la sua relazione con Dio era solo un vestito indossato. Solo un cuore liberato diviene la sorgente di una vita santa, separata, consacrata.

Così il Signore, attraverso la tristezza del “tale” del vangelo, ci dice che cosa sia essere cristiani. Non sono parole esclusive per frati o monache, sono per noi, oggi. Gesù non si rivolge a un’elite di super cristiani, quasi che la libertà sia riservata ad un club esclusivo. Il “tale” che desiderava la vita eterna, in fondo desiderava essere cristiano, ma, all’udire l’annuncio di Gesù, torna alla sua vita triste, perché il suo cuore non aveva conosciuto l’amore con il quale il Signore, “fissandolo, lo aveva amato”, annunciandogli la verità. Non aveva compreso che Colui che lo invitava a lasciare tutto e seguirlo, era Dio stesso, l’unico che poteva fissare in quel modo, giungere al cuore, amare senza limiti e, per questo, chiamare con quella autorità unica e illimitata. Quella di Gesù è, infatti, l’autorità piena e illimitata di chi ama pienamente e senza limiti. Così ogni autorità terrena, si fonda e si esercita nello stesso amore; un padre e una madre, un insegnante, un pastore d’anime, un catechista, avrà autorità autentica solo se essa sgorgherà da un amore senza limiti, dal servizio gratuito e disinteressato, l’autorità crocifissa. Il “tale” chiama buono Gesù, ma nel fondo non lo riconosce come Dio, il solo buono, non gli dà credito, non si abbandona al potere della sua parola, non ha conosciuto il suo amore. Le ricchezze, segno del proprio io che la fa da padrone, gli impediscono di ascoltare, credere, e seguire Gesù nel cammino verso la Pasqua, perché esse esigono sempre una legge senza Spirito, quella che delimita, esclude, e alla fine uccide. Il mondo che non conosce Dio si costruisce morali, pronte a cambiare secondo lo spirito dei tempi, le eleva ad assoluto, stritola chi ad esse non si piega e non acconsente, ed è sempre e solo per proteggere i propri beni e difendere il proprio io insaziabile di concupiscenze. E’ il panorama della società attuale, nella quale sorgono sempre più diritti, non importa se nemici dell’uomo e della sua anima, che diventano la cifra e la misura di morali nuove che pretendono autorità assoluta sugli Stati e i popoli. Ma è anche la nostra realtà. Preghiamo, andiamo a messa, facciamo opere di carità, ci sforziamo alla ricerca della felicità, ma siamo tremendamente gelosi di noi stessi, delle nostre ricchezze. Qualcuno ci ha nascosto la verità che sostiene e colma la nostra esistenza: il demonio ci sta ingannando con arte, proprio occultandoci l’incipit del Decalogo, l’amore di Dio nel quale siamo stati creati, l’unica fonte incontaminata della gioia che non perisce! Un cristiano infatti, è immagine della gioia di chi, come gli apostoli, ha incontrato nello sguardo di Cristo l’amore di Dio, e per quell’amore unico, lasciare i propri beni non è una rinuncia ma una liberazione. Quel “tale” invece non ama che se stesso, non è mai uscito dall’Egitto, continua a fare mattoni, opere di buona fattura, ma impiegate per costruire una cattedrale al proprio io. La gioia e la pienezza della vita non derivano dal compiere la Legge, ma dalla rettitudine di intenzione con la quale si opera. C’è chi lavora e studia con grande profitto, ma resta incatenato alla tristezza. C’è chi paga le tasse sino all’ultimo centesimo, ed è pieno di livore e odio per chi evade il fisco. Senza amore, nella vita tutto non è che vanità… Nel “tale” del vangelo infatti, si riflette l’immagine di tutti coloro che credono di poter raggiungere il Cielo con le proprie forze e che la vita eterna sia una questione di meriti da porre dinanzi a Dio; o, più laicamente, un attestato di “civiltà” presso la “società civile”, tanto di moda in questi tempi di moralismi amorali. Da qualunque parte lo si consideri,  il centro della sua vita è lui con il proprio ego. E’ immagine di chi si sforza, di chi si impegna per compiere la legge, di non sgarrare, dell’uomo che vive l’orizzonte della religiosità naturale, dove non c’è posto per la Grazia. San Tommaso d’Aquino, commentando l’affermazione di San Paolo «Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legittimamente» (1 Tim. 1,8): scriveva «L’Apostolo si riferisce qui ai precetti morali perché aggiunge che si tratta di legge posta per i peccati… Il loro uso legittimo [potremmo anche tradurre ragionevole] è che l’uomo non attribuisca a questi precetti più di quanto è in essi contenuto. La legge è data per conoscere il peccato. Non vi è dunque in questi precetti morali la speranza di essere resi giusti, ma solo nella grazia della fede».

Gesù vuole accompagnare il giovane ricco e ciascuno di noi alle fonti e alle radici della nostra storia, laddove si annida l’inganno, per svelarci di nuovo la verità: “Una sola cosa ti manca…”, la sola cosa buona, necessaria, fondamentale che aveva scelto Maria mettendosi ai piedi del Signore in ascolto della sua ParolaAbbiamo tutto e ci manca l’unica cosa davvero importante! E’ uno shock, è lo tsunami che accompagna l’irrompere della verità. Quel giovane, come ciascuno di noi, sbatte violentemente contro se stesso, e si scopre un usurpatore insediatosi nel posto riservato a Dio. E’ figlio di Adamo, la sua vita sgorga dalla menzogna primordiale: si sta corrompendo nel peggiore dei modi, perché irretita nell’illusione di voler compiere la volontà di Dio, mentre il cuore è inceppato sui desideri della propria carne. L’esito non può che essere la tristezza, la stessa che sperimentiamo anche noi quando abbiamo realizzato qualcosa di importante; dopo un breve entusiasmo, al seccarsi delle lacrime commosse, ci resta l’amaro dell’insoddisfazione, ci “manca qualcosa” per essere felici davvero, perché quella gioia si stabilisca nel nostro intimo senza evaporare irrimediabilmente. Ci manca “una sola cosa”….  Ci manca vendere tutti i nostri beni per entrare, già oggi, nel Cielo, e pregustare, in questa terra, le primizie della vita eterna: vendere tutto per avere un tesoro in Cielo; liberi da se stessi perché Cristo sia il centro della nostra vita; lasciare il posto che abbiamo usurpato schiacciando l’esistenza sul triste e infecondo orizzonte terreno, perché vi si insedi Colui che ci ha amati e introdotti nel Cielo, il nostro destino autentico, luce che illumina ogni istante attirandolo nell’orizzonte infinito dell’amore, di una vita donata sino all’ultimo spicciolo, senza risparmiare nulla. Gesù dice “quello che hai”, perché può camminare dietro a Lui solo chi è tutto suo e non si ritaglia spazi di autonomia nelle scelte. Seguire Gesù è lasciarsi liberare sino in fondo dal suo amore che fa possibile l’impossibile, cioè far nascere la vita divina in una carne corruttibile. Per questo il Vangelo di oggi è una Buona Notizia: ci denuncia schiavi ma ci annuncia la liberazione: “Se vuoi essere perfetto…Traduci in opere queste parole e seguendo nudo la nuda Croce salirai con più prontezza la scala di Giacobbe” (S. Girolamo, Lettera a Paolina). Non possiamo, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che oggi, così come siamo, decidiamo di lasciare tutto e abbandonarci al suo amore per seguirlo. Ma scoprire oggi la tristezza dell’impossibilità, la frustrazione dei nostri limiti disegnati dall’egoismo, è il principio di una vita nuova, la porta stretta che conduce alla libertà. Non possiamo, forse neanche lo desideriamo davvero, ma non importa! Lui è oggi davanti a noi, e ci guarda fissandoci con amore infinito! Lui vuole compiere in noi quanto ci annuncia: ci ha detto la verità, non abbiamo scampo, ma proprio per questo possiamo abbandonarci a Lui. Gesù non cerca i sani, i perfetti, gli illusi; Lui è venuto per te e per me esattamente come siamo oggi, tristi perché avvinti alle nostre ricchezze che ci si corrompono tra le mani, incapaci di liberarci dal nostro io, dai nostri progetti; Lui ci ama così, ora! Lui freme di compassione, ci fissa sino al fondo del nostro cuore malato e paralizzato per entrarvi e compiere l’impossibile. La Buona Notizia di oggi è che proprio la nostra totale debolezza è il nostro autentico trofeo, la porta dischiusa sulla Vita che non muore, la pienezza cui aneliamo. Lui è il cammino al Padre e al Cielo, Lui oggi può strapparci all’Egitto e condurci, sulle sue spalle, al riposo del suo amore, compiendo in noi e con noi, sino al più piccolo iota della Legge, liberandoci da ogni ricchezza avvelenata. Guardiamolo, fissiamolo e lasciamoci rapire dal suo amore, è questa l’unica cosa che ci manca, per sperimentare la gioia della fede invece della tristezza dell’idolatria: “La forza con cui la verità si fa strada deve essere la gioia in cui essa si manifesta. Essa – la gioia della fede – porta direttamente al centro della natura umana, che attende questa gioia con tutte le fibre dell’anima” (J. Ratzinger, La festa della fede).

APPROFONDIMENTI

Benedetto XVI. Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?

San Giovanni Crisostomo. Chi mai si può salvare?

Bergoglio esorcista sulle orme di Wojtyla

Bergoglio esorcista sulle orme di Wojtyla

Anche Giovanni Paolo II avrebbe scacciato Satana dal corpo di una donna in piazza San Pietro. Padre Amorth: “Il demonio ha lottato molto contro la beatificazione del papa polacco”

di Giacomo Galeazzi
da Vatican Insider

Giovanni Paolo IIIl successore di Pietro contro il Principe delle tenebre: Bergoglio sulle orme dell’esorcista Wojtyla. Il prefetto della Casa pontificia Martin riferì nelle sue memorie postume di come Giovanni Paolo II il 27 marzo 1982 avesse scacciato Satana dal corpo di una donna umbra vittima di possessione diabolica. Domenica il copione si è ripetuto. Siamo in piazza San Pietro, esattamente nei pressi dell’Arco delle Campane. La messa di Pentecoste è finita da poco. Francesco si avvia, come al solito, verso i malati che hanno assistito alla celebrazione. Il Pontefice si avvicina ad un ragazzo.

Il sacerdote che lo accompagna lo presenta al Papa con qualche parola che non si riesce a cogliere. Ma l’espressione di Francesco cambia improvvisamente. Il Papa appare pensoso e concentrato e stende le mani sul giovane pregando intensamente, mentre il ragazzo spalanca la bocca. «Gli esorcisti che hanno visto le immagini non hanno dubbi: si è trattato di una preghiera di liberazione dal Maligno o di un vero e proprio esorcismo», fa sapere Tv2000. Ma in serata il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, chiarisce che l’intenzione del Papa era quella di pregare per una persona sofferente e non di esorcizzarla. Se ne parlerà nella prossima puntata di venerdì prossimo, che sarà dedicata «alla battaglia di Papa Francesco contro il Diavolo e le sue seduzioni». In due mesi di omelie il Pontefice argentino ha più volte messo in guardia dalle insidie di Satana. Secondo il Codice di diritto canonico, nessuno può legittimamente proferire esorcismi sugli ossessi, se non ha ottenuto dal suo vescovo «peculiare ed espressa licenza».

Un’ autorizzazione che viene concessa soltanto «al sarcerdote ornato di pietà, di scienza, di prudenza e di integrità . Racconta il decano degli esorcisti Padre Gabriele Amorth: «Nel corso del suo lungo pontificato Giovanni Paolo II ha lottato diverse volte contro Satana. E la sua battaglia continua anche oggi che è morto». Infatti «Wojtyla è presente ancora oggi durante molti esorcismi». Aggiunge Amorth nel suo libro «L’ultimo esorcista»: «Una volta una posseduta mi ha detto: “Mentre mi esorcizzavi ho visto di fianco a te Giovanni Paolo II. Tu non te ne sei accorto ma mi stava esorcizzando assieme a te”». Dalle affermazioni di diversi esorcisti emerge che l’invocazione a Giovanni Paolo II ha un impatto devastante sul diavolo. «Quando si nomina Wojtyla durante un esorcismo il posseduto schiuma letteralmente rabbia- precisa Amorth-. Il demonio ha lottato parecchio contro la beatificazione di Giovanni Paolo II e ancor più lotterà per la sua canonizzazione. Ma non riuscirà a impedirla perché Satana è il grande perdente mentre Dio vince sempre».

In Sudamerica la spiritualità carismatica e l’attenzione agli esorcismi sono predominanti. Bergoglio appare proiettato sulla scia pastorale di Wojtyla anche in quella lotta al Maligno che invece Ratzinger ha condotto salvaguardando l’ortodossia della dottrina da pericolose deviazioni. «Tutto il pontificato di Benedetto è stato un esorcismo», spiega Amorth.

La preghiera fa miracoli

La preghiera fa miracoli

Messa del Papa a Santa Marta
da L’Osservatore Romano

I miracoli esistono ancora oggi. Ma per consentire al Signore di compierli c’è bisogno di una preghiera coraggiosa, capace di superare quel “qualcosa di incredulità” che alberga nel cuore di ogni uomo, anche se uomo di fede. Una preghiera soprattutto per coloro che soffrono a causa delle guerre, delle persecuzioni e di ogni altro dramma che scuote la società di oggi. Ma la preghiera deve “mettere carne al fuoco”, cioè coinvolgere la nostra persona e impegnare tutta la nostra vita, per superare l’incredulità. È questa la raccomandazione affidata da Papa Francesco a quanti hanno partecipato alla messa celebrata questa mattina, lunedì 20 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Nell’omelia il Pontefice ha svolto una riflessione sull’incredulità a partire dal racconto del vangelo di Marco (9, 14-29) su un giovane posseduto dallo spirito maligno e liberato da Cristo. “Non è la prima volta – ha detto il Santo Padre – che Gesù si lamenta dell’incredulità: O generazioni incredule! Tante volte l’ha detto”; e ha sofferto molto per questa incredulità verso le sue parole, il suo messaggio. “Gli volevano bene, la folla andava a salutarlo. Gli volevano bene ma fino a un certo punto. Non rischiavano troppo nella loro fede nei confronti di lui. Non rischiavano. E Gesù soffriva per questo, no? È forte quello che dice oggi: O generazione incredula, fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?”.

Il Papa ha poi notato che Gesù è serio nel suo rimprovero. Anzi, si rivolge deciso ai discepoli e chiede di portare il giovane posseduto davanti a lui. “Prende le cose in mano” e quando “Gesù prende le cose in mano, vanno bene”. Ma come si fa perché il Signore prenda le cose in mano? Certo non è facile, proprio perché entra in gioco l’incredulità. “Ma perché questa incredulità?” si è chiesto ancora il Papa. “Tutti vedevano che Gesù faceva dei miracoli, tante cose belle. Le parole di Gesù erano tanto belle e arrivavano al cuore”. Ed è proprio una questione di cuore: “Credo – ha infatti detto il vescovo di Roma – che sia proprio il cuore che non si apre, il cuore chiuso, il cuore che vuol avere tutto sotto controllo”. Abbiamo “paura di fallire”. Il Pontefice ha ricordato in proposito quanto avvenuto la domenica della risurrezione, “quando Gesù viene tra i suoi discepoli nel cenacolo. Luca dice: Era tanta la gioia che non potevano credere. Avevano paura che questa gioia fosse un sogno, fosse una fantasia, che non fosse Gesù… “.

Tornando all’episodio evangelico, il Santo Padre ha riproposto la domanda dei discepoli che non erano riusciti a scacciare lo spirito maligno dal giovane: “Ma perché noi non abbiamo potuto cacciarlo? Questa specie di demoni, spiega Gesù, non si può cacciare in alcun modo se non con la preghiera”. E il padre del fanciullo “ha detto: Credo Signore, aiuta la mia incredulità”. La sua è stata “una preghiera forte; e questa preghiera, umile e forte, fa sì che Gesù possa fare il miracolo. La preghiera per chiedere un’azione straordinaria – ha spiegato il Pontefice – deve essere una preghiera che ci coinvolge tutti, come se impegnassimo tutta la nostra vita in quel senso. Nella preghiera bisogna mettere la carne al fuoco”.

Il Pontefice ha poi raccontato un episodio avvenuto in Argentina: “Mi ricordo una cosa che è successa tre anni fa nel santuario di Luján”. Una bambina di sette anni si era ammalata, ma i medici non trovavano la soluzione. Andava peggiorando sempre, sino a quando, una sera, i medici dissero che non c’era più niente da fare e che le rimanevano poche ore di vita. “Il papà, che era un elettricista, un uomo di fede, è diventato come pazzo. E spinto da quella pazzia ha preso il bus ed è andato al santuario di Luján, due ore e mezzo di bus, a settanta chilometri di distanza. È arrivato alle nove di sera e ha trovato tutto chiuso. E lui ha cominciato a pregare con le mani aggrappate al cancello di ferro. Pregava e piangeva. Così è rimasto tutta la notte. Quest’uomo lottava con Dio. Lottava proprio con Dio per la guarigione della sua fanciulla. Poi alle sei di mattina è andato al terminal e ha preso il bus. È arrivato all’ospedale alle nove, più o meno. Ha trovato la moglie che piangeva e ha pensato al peggio: cosa è successo? Non capisco. Cosa è successo? Sono venuti i dottori, gli ha risposto la moglie, e mi hanno detto che la febbre è scomparsa, respira bene, non c’è niente… La terranno ancora solo due giorni. Ma non capiscono quello che è successo. E questo – ha commentato il Papa – succede ancora. I miracoli ci sono. Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle preghiere per cortesia: Ah, io pregherò per te! Poi un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No! Ci vuole una preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città; come quella di Mosè che pregava con le mani in alto e si stancava pregando il Signore; come quella di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega”.

La preghiera fa miracoli, “ma – ha concluso Papa Francesco – dobbiamo crederlo. Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera, non una preghiera per cortesia, ma una preghiera con il cuore, e dirgli oggi per tutta la giornata: Credo Signore! Aiuta la mia incredulità. Tutti noi abbiamo nel cuore qualcosa di incredulità. Diciamo al Signore: Credo, credo! Tu puoi! Aiuta la mia incredulità. E quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, nelle loro condizioni di rifugiati, in tutti questi drammi preghiamo, ma con il cuore, e diciamo: Signore, fallo. Credo, Signore. Ma aiuta la mia incredulità”.

Tra i presenti alla messa, un gruppo di dipendenti della Radio Vaticana, guidati dal direttore padre Federico Lombardi, e i dipendenti dell’Ufficio sistemi informatici del Governatorato.

La gemma di Kiko Arguello

La gemma di Kiko Arguello

di Antonio Socci da www.antoniosocci.com

Le giornate di ieri e di oggi del Papa con i movimenti colpiscono i media soprattutto per il fiume immenso di persone che arriva in Piazza San Pietro.

I movimenti nati nella Chiesa sono ormai come bei rami frondosi della grande quercia che abbraccia tutte le miserie umane.

Ma la cosa più rivelatrice è scoprire quella piccola “gemma d’aprile” da cui nascono questi rami. Perché nell’inizio è contenuta l’essenza di una cosa.

E senza il rinnovarsi di quella piccola gemma – come diceva Péguy – tutto il grande albero non sarebbe che legna secca. Da ardere.

Su queste colonne di recente ho raccontato la vicenda di Chiara Amirante e di Nuovi Orizzonti. Altre volte ho parlato di don Luigi Giussani e di Comunione e liberazione. In diverse occasioni ho ripercorso dall’inizio le apparizioni di Medjugorje riferendo dell’immenso popolo che da lì è nato.

Anche all’inizio di uno dei movimenti più grandi e vitali di oggi, il Cammino Neocatecumenale, c’è lo stesso “segreto”, la piccola gemma.

Tutto nasce sempre nel silenzio di un cuore umano affascinato da Cristo, trasformato e riempito delle sue grazie dallo Spirito Santo (è ciò che si chiama carisma).

Non c’erano finora libri che ripercorressero la storia del Cammino, ma nelle scorse settimane è uscito un preziosissimo memoriale dove è lo stesso Kiko Arguello, il fondatore, a raccontarla.

Quello di Kiko è un nome che alle cronache dei giornali forse dice poco (perché l’uomo non frequenta salotti), ma è invece molto importante per la Chiesa e per la vita del suo immenso popolo.

Kiko dunque racconta cosa gli è accaduto, come è stato sorpreso da Gesù e “chiamato”: il suo bel libro, “Kerigma”, è stato tradotto dalla San Paolo.

IL SUCCESSO E IL VUOTO

Francisco, detto Kiko, nasce a Léon, in Spagna, il 9 gennaio 1939, in una famiglia dell’alta borghesia. Dotato di buone doti artistiche da giovane frequenta l’Accademia di Belle Arti a Madrid. E naturalmente si trova immerso nel clima culturale delle élite del tempo che avevano i loro riferimenti esistenziali in autori come Sartre e Camus.

“Ho provato a vivere così, ma presto mi sono reso conto che, quando la vita diventa insopportabile, c’è solo un’uscita: suicidarsi. Dicono che ogni secondo si uccide una persona nel mondo”.

Nonostante la pittura lo avesse portato al successo, Kiko ricorda che ogni mattina si alzava con queste domande: “Vivere, perché? Per guadagnare soldi? Per essere felice? Perché? Avevo già soldi, già avevo fama, e non ero felice; ero come morto dentro. Ho capito subito che, se continuavo così, mi sarei ucciso”.

Ma, annota, “in questo cielo chiuso, Dio ha avuto pietà di me”. Infatti, nonostante il nichilismo respirato dovunque, “qualcosa dentro di me non era d’accordo che tutto fosse assurdo: la bellezza, l’arte, l’acqua, i fiori, gli alberi… Qualcosa non quadrava”.

Insomma “per me non era indifferente se Dio c’è o non c’è; era una questione di vita o di morte”.

Così “in un momento tragico della mia esistenza, entrai nella mia stanza, chiusi la porta e gridai a Dio: Se esisti, vieni, aiutami, perché avanti a me ho la morte!”.

Era una “discesa” nel baratro che Dio aveva permesso “per farmi umile”, spiega Kiko, “per farmi capace di gridare, di chiedere aiuto. E in quel momento avvenne un incontro”.

L’INCONTRO

Non c’è qui lo spazio per seguire, passo dopo passo, il cammino di Kiko. L’amicizia con i “Cursillos de Cristianidad” lo aiuta a liberarsi da “tanti pregiudizi che avevo contro la Chiesa” e che “venivano dai miei amici marxisti”.

Che contestava con un argomento molto acuto: “volete creare un paradiso comunista in cui ci sia giustizia per tutti. Ma se non date una risposta a tutta la storia, nel fondo siete dei borghesi”.

Chi darà giustizia – per esempio – alla massa di schiavi schiacciati come bestie per millenni? “E’ assurdo” obiettava Kiko “che per alcuni ci sia giustizia e per altri no”. Se non c’è un’altra vita e una giustizia suprema e totale per tutti non può esserci nessuna giustizia.

Poi Kiko fa l’esperienza del deserto e dell’adorazione con i Piccoli Fratelli di De Foucauld. Infine un episodio. Un giorno di Natale, in una casa facoltosa, trova la donna di servizio a piangere.

Lei gli racconta il suo dramma, un marito violento e alcolizzato, orrori vari, la vita in un quartiere spaventoso. Da qual momento Kiko scopre “una sofferenza umana inaudita… Ho capito che c’è una presenza di Cristo in coloro che soffrono, soprattutto nella sofferenza degli innocenti”.

LA BARACCA

Così il giovane artista, ricco e famoso, lascia tutto e va a vivere fra i poveri. In baracche terrificanti. E lì, alla periferia estrema di Madrid, in “una piccola valle piena di grotte, dove c’erano zingari, ‘quinquis’, barboni, clochard, mendicanti, vecchie prostitute…una zona orribile”, proprio lì nasce il Cammino neocatecumenale, una delle realtà più straordinarie della Chiesa di oggi.

Ma, attenzione, Kiko andò lì solo per condividere quella povertà, per amore di Gesù, non andò affatto lì per fare qualche opera sociale, né per fondare un movimento ecclesiale. Neanche ci pensava.

Anzi, era refrattario ogni volta che – all’inizio – qualcuno di quei poveracci a cui raccontava di Cristo voleva che parlasse in pubblico, a tutti.

Kiko all’inizio non voleva saperne, “ma il Signore mi ha obbligato, in quell’ambiente” a catechizzare “perché volevano che parlassi loro di Gesù Cristo”.

Questa è una caratteristica di ogni movimento ai suoi inizi. Non è un progetto umano, non nasce per la volontà di un uomo. E’ sempre Cristo che si rende presente con potenza attraverso la povera umanità di un uomo.

LE LACRIME DEL VESCOVO

Gli aneddoti che Kiko racconta su questo periodo sono freschi, a volte drammatici e struggenti, a volte divertenti. Un giorno arriva la polizia, vuole sgomberare le baracche. Per una serie di circostanze viene chiamato lì pure l’arcivescovo di Madrid, monsignor Morcillo, e “scopre” Kiko, vede dove e come vive, quello che fa. E si commuove profondamente.

Gli dice: “Kiko, io non sono cristiano. Guarda, da oggi il mio palazzo episcopale è sempre aperto per te”.

Siamo attorno al 1965-66. E’ appena finito il Concilio. La predicazione di Kiko comincia a diffondersi a Madrid. Poi valica i confini. Dopo il ’68 arrivano dall’Italia quelli delle comunità di base, affascinati da ciò che hanno sentito di lui. Ma quando Kiko, barba lunga e giacca verde alla Che Guevara, arriva a Roma, “lì, in un’assemblea, tutta di giovani di sinistra, ho detto che Lenin e Che Guevara erano falsi profeti e ho parlato di Cristo che non resiste al male, gettando a terra tutte le loro idee. Sono rimasti di stucco”.

Poi alcuni lo hanno portato a “una messa beat” e alla fine gli hanno chiesto: “che te ne sembra?”. Risposta fulminante: “Non si rinnova la Chiesa con le chitarre”. “No? E con cosa?”. Risposta: “Con il Mistero Pasquale, con il kerigma”.

Il kerigma, che è il cuore dell’annuncio di Kiko, è la notizia – data con la forza dello Spirito Santo – di Dio fatto uomo, morto per noi e risorto. E’ iniziata così un’avventura straordinaria.

VERSO IL MONDO

Oggi a Roma il Cammino è presente in cento parrocchie e ci sono circa 500 comunità. Il movimento ormai vive in cento nazioni del mondo. Tantissime sono le famiglie del Cammino che partono per la missione ai quattro angoli della Terra.

“Il Signore” dice Kiko “ci ha ispirato che dobbiamo preparare 20 mila sacerdoti per la Cina”. Di recente, in un grande incontro, ha invitato i giovani presenti a offrirsi per l’evangelizzazione di quel Paese “dove ci sono un miliardo e 300 milioni di persone che non conoscono Cristo… si sono alzati e sono venuti verso il palco circa 5.000 giovani. Non sapevamo dove metterli. Era un fiume enorme di ragazzi… E dopo si sono alzate circa 3.000 ragazze”.

La Sacra Scrittura annuncia che “il Signore compie meraviglie”. Ma tutto comincia sempre attraverso il semplice “sì”, personale, intimo, che una creatura gli dice. Nel silenzio del mondo. Così la Chiesa rinasce e attraversa i millenni e abbraccia i continenti riempiendoli della luce del Salvatore.

Antonio Socci

Ps  Faccio sommessamente notare che stamani per i giornali italiani (con rarissime eccezioni) l’incontro di 300 mila persone dei movimenti con il papa in Piazza San Pietro, non è una notizia degna della prima pagina….
C’è d ridere o da piangere per questo sistema mediatico?

Lunedì dell’VIII settimana del T.O.

Martedì della VII settimana del Tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo Marco 9,30-37.

Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Il commento di don Antonello Iapicca

Il Signore ci “istruisce”, senza ingannarci. Camminando dinanzi a noi ci indica il nostro destino, non diverso dal suo. Non fa sconti sentimentali, non annacqua le parole. Per dirci oggi la serietà del peccato Gesù ce ne mostra le conseguenze, e il suo amore, tanto grande da far paura. Gesù ne già aveva parlato. ” La prima volta…. satana uscì allo scoperto, con un’opposizione netta, “questo non ti accadrà mai…”. Questa volta si nasconde nell’incomprensione, e fa seccare il seme nel mutismo di un cuore di pietra” (S. Fausti, Ricorda e racconta il Vangelo). Quante volte ci ritroviamo come pietrificati dinanzi agli avvenimenti! Il timore di capire e di accedere al mistero celato dietro gli eventi ci paralizza la lingua, perchè la mente non le invia nessun impulso, gelata dalla paura, quella terribile della morte, di scoprire una verità che abbiamo rimosso, che non abbiamo voluto credere, il male vero, quello capace di uccidere la speranza, la fiducia, ogni relazione. O, più banalmente, la paura che sperimentiamo al mercato, o sul tram: quando qualcuno ci parla di un evento luttuoso vorremmo tagliar corto, non approfondire, voltare lo sguardo a cercare la vita. In un ospedale, al capezzale di un malato terminale, le parole ci escono a brandelli, caricature fuori luogo di pronte guarigioni, di future mangiate, vacanze e lunghe passeggiate in montagna. Di fronte alla morte, l’unico che ci viene da dire sono speranze illusorie balbettate come una pacca sulla spalla mentre il cuore gela. Eufemismi. Il cancro è diventato un ” brutto male”. E guai ad evocare la morte, perchè la morte mette paura. E diventa ancor più incomprensibile quando appare come un segno d’amore: la morte che Gesù annuncia ai suoi discepoli e a ciascuno di noi, la consegna della propria vita alle mani degli assassini, è il suo amore vero, perfetto, autentico. Non si comprende la morte di Gesù se non si accoglie il suo amore che ne è la causa prima e fondamentale. Lo ha detto Lui, e tutti i passi evangelici che ne fanno riferimento lo illustrano inequivocabilmente: è Lui che ha consegnato la Sua vita per amore, molto prima che altri gliela togliessero. Risuona infatti in tantissimi testi il verbo “consegnare” (“paradìdomi”)Gesù è consegnato: il tradimento di uno dei suoi apostoli lo consegna agli avversari. Il sinedrio lo consegna al potere romano. Pilato lo consegna alla Croce compiendo così quanto Gesù ha preannunciato. Eppure nella trama di consegne di cui sarà fatto oggetto emerge qualcosa di infinitamente più grande di una semplice sequenza sfortunata di eventi, come quelli di cui spesso anche noi crediamo di essere vittime. Prima ancora d’essere consegnato da mani umane, è il Figlio stesso a consegnarsi, per amore: «Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Gesù, consegnandosi al Padre e alla sua volontà, si consegna a ciascun uomo, perchè tutti fossimo riconsegnati al Cielo, in un unico e perfetto amore: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito!» e «Chinato il capo consegnò lo Spirito». La sua offerta lo consegna alla solitudine, al cuore d’ogni dolore, alla madre della nostra paura. Gesù si consegna alla morte, all’assenza di Dio, alla patria del peccato di cui tutti facciamo dolorosa esperienza. E, consegnando lo spirito, grida l’estrema solitudine: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Il Padre e il Figlio uniti in un’unico, infinito amore, un dolore lancinante che spinge il perdono a bussare alla porta della nostra tomba, quella di oggi. E’ scandaloso, ma è andata proprio così: il Padre ha voluto consegnare suo Figlio per noi, non è stato un incidente a cui Dio, con la resurrezione, ha messo fine. Uomini empi hanno ucciso Gesù, ma proprio quell’empietà con cui l’uomo raggiungeva il limite estremo della lontananza tra Dio e la sua creatura diveniva lo strumento con cui Dio stesso raggiungeva quel luogo di solitudine e angoscia, l’ultimo gradino dell’inferno, per riscattarvi il peccatore peggiore, il più lontano da Lui: “Il dramma tra l’uomo e Dio raggiunge qui il suo acme, poiché la perversa libertà finita getta tutta la sua colpa su Dio come sull’unico imputato e capro espiatorio, e Dio se ne lascia totalmente colpire non solo nell’umanità di Cristo, ma nella sua stessa missione trinitaria, dove nel mistero dell’ottenebrazione e della alienazione tra Dio ed il Figlio portatore del peccato, compare l’onnipotente impotenza dell’amore di Dio” (Von Balthasar, Teodrammatica).

La consegna alla morte per amore, il dolore per amore: «Il Padre, Dio dell’universo, paziente e misericordioso, sente egli stesso in certo modo il dolore… Il Padre stesso non è senza dolore! Se qualcuno lo implora egli è preso da pietà e compassione; soffre attraverso l’amore; ha sentimenti che non potrebbe avere secondo la sua natura sublime. Riguardo a noi egli sente il dolore umano» (Origene, Hom. in Ezech. 6,6). L’incomprensibile si svela oggi dinanzi a noi. «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati». Gesù è inchiodato sulla Croce per un amore che ha esigitola morte, il salario d’ogni peccato. Come l’amore d’una madre esige il dolore del parto. E molto di più. Amore divino, geloso, compassionevole, pietoso, misericordioso. La morte di Gesù ci parla dunque di noi, dei nostri peccati, che hanno esigito la morte di Gesù. Senza la sua morte saremmo ancora nei peccati dice san Paolo. Senza la sua morte il suo amore non ci avrebbe raggiunti, salvati. risuscitati, perchè il peccato conduce alla morte, sempre. E lì, nella morte, doveva giungere il suo amore, per distruggere la radice della paura. E lì, nel freddo silenzio del terrore, oggi possiamo incontrarlo per mezzo dello Spirito Santo, quando Gesù, al culmine della sua passione, dopo aver gridato la Sua incarnazione nella nostra carne morta, «Chinato il capo, consegnò lo Spirito» (Gv 19,30). Siamo peccatori: «E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati». (San Francesco d’Assisi, Admonitio, 5, 3). Ecco perchè l’annuncio di Gesù terrorizza i discepoli e tutti noi, ecco perchè la morte ci fa paura: il peccato ha avvelenato la nostra vita, e non lo possiamo accettare, siamo abituati a dare la colpa a tutto ciò che si trova fuori di noi, alle circostanze, agli eventi sfortunati e alla malvagità altrui. Discutiamo sempre su chi sia il più grande, il più perfetto, ed è un’immagine delle relazioni avvelenate di chi non accetta la propria debolezza, la realtà dei propri peccati. L’orgoglio che, scalando prestigio, potere e affetto, camuffa l’estrema indigenza di un cuore malvagio. Non possiamo accettare di essere smascherati come peccatori, empi che hanno ucciso davvero Cristo. Causerebbe un terremoto nella nostra vita, certezze e rendite di posizione evaporerebbero come neve al sole, non potremmo più discutere e lottare per essere i più grandi, non ne avremmo diritto, l’evidenza ci getterebbe piuttosto all’ultimo posto. Dovremmo umiliarci, e guardare con occhi diversi la nostra storia, la moglie, il marito, i figli, i genitori, noi stessi. E, come peccatori, sperimentare un perdono che non abbiamo mai conosciuto, e ricevere l’amore scandaloso, gratuito, divino, che ci “farebbe bambini”, pura accoglienza perchè pura debolezzaL’amore infatti è consegnato per essere accolto, e Gesù cerca un bambino che accolga il suo dono. L’umiltà di sapersi piccoli, gli ultimi, non per una virtù morale, ma perchè è proprio così. Un bambino è quello che è. L’annuncio di Gesù oggi fa luce su chi noi siamo veramente. La verità sulla nostra piccolezza emerge dall’enormità del suo amore. Dinanzi alla Croce non possiamo che scoprirci bambini, infinitamente piccoli. Dinanzi al peccato il suo amore svela la nostra identità: mendicanti d’amore. Come san Francesco, che infatti ai piedi della Croce è stato abbracciato da Gesù, perchè Lui prende in braccio i piccoli, i poveri, i peccatori. La sua Croce è il suo abbraccio consegnato a ciascuno di noi, il suo perdono, il suo amore. «Non sono che una fanciulla, incapace e debole, tuttavia è la mia stessa debolezza che mi dà l’audacia di offrirmi Vittima al tuo Amore, o Gesù! Una volta solo le vittime pure e senza macchia erano gradite al Dio Forte e Potente. Per soddisfare la Giustizia Divina, erano necessarie vittime perfette, ma alla legge del timore è succeduta la legge d’Amore, e l’Amore mi ha scelta per olocausto, me, debole e imperfetta creatura… Questa scelta non è forse degna dell’Amore?… Si, perché l’Amore sia pienamente soddisfatto, bisogna che Egli si abbassi, che si abbassi fino al nulla e che trasformi in fuoco questo nulla… » (Santa Teresa di Lisieux). Ecco il segreto: l’amore si fa bambino perchè noi si diventi bambini: indifeso perchè smettiamo di difenderci, piccolo perchè abbandoniamo i miseri sogni di grandezza. La storia che oggi ci crocifigge, che ci fa paura, è il suo amore che si fa fanciullo, che dal Cielo discende sulla terra, e si fa vita nostra, ore e lavoro, famiglia e amicizia, amore che si fa carne nella nostra carne: aspra nelle conseguenze del peccato, ma che reca, misteriosamente, proprio laddove dovrebbe uccidere e gettare all’inferno, l’amore capace di riscattare, il perdono che rigenera e trasforma il nulla nella pienezza di gioia e pace. Accogliere la storia in ogni suo aspetto, perchè in essa Gesù si fa bambino, da abbracciare, come si abbraccia la Croce. E così scoprirsi figli del Padre che lo ha inviato. Abbracciare Gesù laddove Egli stesso abbraccia la nostra vita, la piccolezza che ci fa autentici, l’indigenza che ci fa suoi prediletti. Fin dall’infanzia il demonio ha tenuto schiavo ciascuno di noi, all’infanzia ci riconduce il Signore; laddove l’abbiamo perduta, Egli ci riconsegna l’innocenza che crede oltre ogni evidenza, che ci fa consegnare l’intera nostra esistenza alla sua misericordia. Il suo amore che ci fa servi, gli ultimi di tutti, non perchè nella nostra presunta magnanimità ci spogliamo di una grandezza inesistente, ma perchè amati nella piccolezza e per questo primi nell’amarenel donare se stessi gratuitamente, perché gratuitamente abbiamo ricevuto tutto.

La preghiera fa miracoli

Papa Francesco saluta gli iniziatori del Cammino Neocatecumenale

Kiko Argüello, Carmen Hernández e padre Mario Pezzi sono stati invitati alla Messa di oggi a Santa Marta. Circa 15.000 i membri del Cammino Neocatecumenale presenti all’incontro con i Movimenti

CITTA’ DEL VATICANO, 18 Maggio 2013 (Zenit.org) – Kiko Argüello, Carmen Hernández e padre Mario Pezzi hanno partecipato alla Messa presieduta dal Papa questa mattina nella Casa Santa Marta. Dopo la celebrazione, hanno avuto un breve incontro, durante il quale Kiko Argüello ha fatto dono al Papa di un’icona della Vergine del Cammino, che il Santo Padre ha apprezzato e gradito. Inoltre Kiko ha mostrato al Papa alcune foto della Grande Missione nelle piazze di tutto il mondo, che il Cammino Neocatecumenale ha messo in moto durante cinque domeniche del tempo pasquale.

Il Santo Padre gli ha detto: “Dopo l’annuncio del Vangelo nelle piazze, preparati a un colpo di coda del demonio contro di te”. Il Papa ha inoltre comunicato loro che presto gli concederà un’udienza privata. Sono poi circa 15.000 i membri del Cammino che parteciperanno, questa sera, alla Veglia di Pentecoste in Piazza San Pietro, in occasione dell’incontro del Pontefice con i Movimenti, le Nuove Comunità e le Realtà ecclesiali. Saranno presenti anche gli Iniziatori del Cammino, ai quali il Santo Padre ha concesso di poterlo salutare al termine dell’incontro.

Disinformazione, diffamazione e calunnia: tre modi per ammazzare il fratello
Papa Francesco, nella Messa a Santa Marta, mette in guardia dalle chiacchiere e dal “mischiarsi nella vita altrui”: un peccato che “fa tanto male” alla Chiesa

Di Salvatore Cernuzio

CITTA’ DEL VATICANO, 18 Maggio 2013 (Zenit.org) – “Quanto si chiacchiera nella Chiesa!”. Ancora una volta, Papa Francesco, nella Messa di oggi a Santa Marta, dà voce ad uno dei problemi che distrugge l’armonia della comunità cristiana e che mostra chiaramente la limitatezza dell’essere umano: la chiacchiera, il “mischiarsi nella vita degli altri”, fino a “spellare” il prossimo.

Il Santo Padre “non se ne tiene una” – si direbbe popolarmente – e l’uditorio sembra apprezzare i quotidiani e vigorosi richiami del Pontefice. Alla Messa di questa mattina, concelebrata con don Daniel Grech del Vicariato di Roma, c’erano alcuni studenti della Lateranense, guidati dal rettore mons. Enrico Dal Covolo; Roberto Fontolan e Emilia Guarnieri di Comunione e Liberazione; Kiko Argüello e Carmen Hernández iniziatori del Cammino Neocatecumenale, insieme a Padre Mario Pezzi. I rappresentanti delle due realtà ecclesiali sono stati invitati personalmente dal Santo Padre, in occasione del grande incontro di oggi pomeriggio, in piazza San Pietro, con i Movimenti.

Come nell’omelia di ieri, Papa Francesco prende spunto per la sua riflessione da un dialogo tra Gesù e Pietro. In particolare, il Papa si è soffermato sulla domanda “A te che importa?”, che Cristo rivolge all’apostolo che si era immischiato nella vita del discepolo Giovanni. Il Pontefice ha ribadito che tra il Signore e Pietro c’è sempre “un dialogo d’amore”; ma, in quest’occasione, il colloquio “è deviato su un altro binario”, a causa della tentazione del discepolo di fare il “ficcanaso”.

Un atteggiamento, questo, che rispecchia una cattiva e, purtroppo, frequente abitudine di tutti noi cristiani. Ci sono due modalità di mischiarsi nella vita altrui, ha poi spiegato Papa Bergoglio. Innanzitutto il “compararsi con gli altri”, che sfocia “nell’amarezza e anche nell’invidia”, e che a sua volta “arrugginisce la comunità cristiana”, le “fa tanto male”, dando soddisfazione al diavolo che “vuole proprio quello”. E poi le chiacchiere, che partono da “modalità tanto educate” e finiscono con lo “spellare il prossimo”.

“Quanto chiacchieriamo noi cristiani!” ha esclamato Papa Francesco, “la chiacchiera è proprio spellarsi eh? Farsi male l’uno l’altro. Come se volesse diminuire l’altro, no? Invece di crescere io, faccio che l’altro sia più basso e mi sento grande. Quello non va!”.

Il guaio, ha proseguito il Papa, è che “sembra bello chiacchierare”. “Non so perché – ha detto – ma sembra bello. Come le caramelle al miele, no? Tu ne prendi una: “ah, che bello!”, e poi un’altra, un’altra, e alla fine ti viene il mal di pancia”. Come la chiacchiera, insomma, che “è dolce all’inizio e poi ti rovina l’anima!”.

“Le chiacchiere sono distruttive nella Chiesa” ha ribadito il Santo Padre, sono distruttive come “lo spirito di Caino”; con esse si rischia di “ammazzare il fratello, con la lingua!”. Non solo: di questo passo – ha soggiunto il Pontefice – “diventiamo cristiani di buone maniere e cattive abitudini!”.

Quasi a voler estirpare questo male della Chiesa, Papa Francesco va alla radice e spiega in che modo si presenta la chiacchiera. Normalmente, segue uno schema a tre punti, ha detto: innanzitutto, “facciamo la disinformazione”, ovvero “dire soltanto la metà che ci conviene e non l’altra metà, perché non è conveniente per noi”. Poi la diffamazione: “Quando una persona davvero ha un difetto, ne ha fatta una grossa, raccontarla, ‘fare il giornalista’, e la fama di questa persona è rovinata!”. La terza – ha affermato Bergoglio – “è la calunnia: dire cose che non sono vere. Quello è proprio ammazzare il fratello!”.

Disinformazione, diffamazione e calunnia sono, dunque, le tre armi per uccidere il prossimo. “Sono peccato! Questo è peccato!” ha ribadito il Papa, “è dare uno schiaffo a Gesù nella persona dei suoi figli, dei suoi fratelli”.

La domanda di Gesù a Pietro diventa pertanto un monito per tutti noi: “A te che importa? Tu segui me!”. Il Signore così ci “segnala la strada”, ha osservato il Santo Padre: “È bella questa parola di Gesù, è tanto chiara, è tanto amorosa per noi. Come se dicesse: ‘Non fate fantasie, credendo che la salvezza è nella comparazione con gli altri o nelle chiacchiere. La salvezza è andare dietro di me’”.

“Seguire Gesù!” quindi: è questa la grazia da chiedere oggi al Signore, secondo il Pontefice, la grazia “di non immischiarci mai nella vita degli altri, di non diventare cristiani di buone maniere e cattive abitudini, di seguire Gesù, di andare dietro Gesù, sulla sua strada. E questo basta!”.