da Baltazzar | Feb 21, 2012 | Carismi, Chiesa
La scelta del delegato pontificio ricade sul 37enne tedesco, padre Sylvester Heereman LC
ROMA, lunedì, 20 febbraio 2012 (ZENIT.org) – Padre Sylvester Heereman LC è il nuovo vicario generale della Legione di Cristo. Il delegato pontificio per la congregazione e per il movimento Regnum Christi, cardinale Velasio De Paolis, ha formalizzato la nomina la scorsa settimana, designando anche il secondo consigliere generale per la Legione, nella persona di padre Deomar De Guedes LC.
Heereman e De Guedes sostituiscono rispettivamente padre Luis Garza Medina LC e padre Francisco Mateos Gil LC, che avevano annunciato le loro dimissioni nei mesi scorsi.
Padre Sylvester Heereman LC è nato a Bad Neustadt an der Saale, in Germania, il 10 settembre 1974. Entrato in noviziato nella Legione di Cristo nel 1994, ha emesso la professione religiosa perpetua nel 1999.
Ordinato sacerdote nel 2006, dopo aver completato i propri studi in Filosofia e Teologia presso il Centro Studi Superiori dei Legionari Cristo a Roma, padre Heereman è stato nominato Direttore Territoriale per la Germania nel 2007, poi, nel 2011, Direttore Territoriale per l’Europa centrale ed occidentale (comprendente Francia e Germania, dopo la fusione delle due direzioni territoriali).
Padre Deomar De Guedes Vaz LC è nato a Santo Ângelo, Rio Grande do Sul, in Brasile, il 13 novembre 1961. Entrato in noviziato nel 1992, ha effettuato la professione perpetua dei voti nel 1997, venendo ordinato sacerdote nel 2000.
Tra i vari incarichi, padre De Guedes ha ricoperto quello di Rettore del Centro di formazione per consacrati del Regnum Christi a Città del Messico, Direttore Territoriale per la Spagna, superiore di comunità a Buenos Aires ed, infine, rettore del Seminario Maria Mater Ecclesiae in Brasile.
Le novità non si limitano alla congregazione sacerdotale ma coinvolgono anche i consacrati e le consacrate del Regnum Christi. A questi ultimi il cardinale De Paolis ha inviato una lettera in cui si fissano alcune disposizioni da seguire, a seguito della visita apostolica per questo settore del movimento, conclusasi lo scorso settembre che, ad avviso del delegato pontificio, “ha rilevato molte cose buone ma ne ha indicato non poche da correggere o migliorare”.
Gli incontri tenuti a questo scopo in Messico e in Brasile, sotto la guida di padre Gianfranco Ghirlanda, e a Roma sotto la guida di padre Agostino Montan e dello stesso cardinale De Paolis, “sono stati, al dire di tutti, altamente positivi”, ha commentato il porporato.
“Al termine degli incontri – ha proseguito il delegato pontificio – abbiamo avuto la convinzione che la riflessione sulla vocazione alla vita consacra nel Regnum Christi fosse sulla buona strada; che la vostra vocazione era autentica ed è stato ravvivato l´impegno di custodirla e perseverare in essa”.
Nel corso di questi incontri è stato confermata la validità di “un unico carisma partecipato differentemente dai Legionari, dai consacrati e dai membri laici non consacrati”, mentre le revisioni paventate riguardano soprattutto l’“organizzazione del lavoro”.
Il cardinale De Paolis ha poi preso atto dalle dimissioni di Malén Oriol, da assistente generale delle consacrate, nonostante un iniziale “tentativo di indurla a desistere”. La Oriol rimarrà comunque membro di terzo di grado – ovvero consacrata – del movimento Regnum Christi.
“In questi giorni – ha proseguito il delegato pontificio – vissuti in momenti di particolare comunione e rinnovata gioia per la riscoperta della bellezza della consacrazione, abbiamo avuto anche il dispiacere proveniente dal fatto che alcune sorelle hanno chiesto di lasciare il Regnum Christi”.
Il cardinale De Paolis ha avuto parole di ringraziamento per queste consacrate, “per il bene che hanno fatto e che dicono di avere anche ricevuto”, augurandosi, tuttavia, che nessuna di loro “si lasci trarre dalla tentazione di fare opera di persuasione e proselitismo presso altre che intendono rimanere ferme e perseverare fedeli agli impegni assunti”.
“Come giustamente si esige il rispetto della scelta di chi lascia, altrettanto ci si deve attendere per chi, e sono la grandissima maggioranza, intende perseverare nella scelta già fatta nel Regnum Christi”, ha infine sottolineato il delegato pontificio.
da Baltazzar | Feb 16, 2012 | Carismi, Chiesa, Cultura e Società
Il cardinale Peter Erdő, presidente del CCEE, interviene a margine del Simposio dei vescovi euro-africani
di Luca Marcolivio
ROMA, mercoledì, 15 febbraio 2012 (ZENIT.org) – Sia in Europa che in Africa è necessaria la riscoperta della fede come esperienza personale se si vuole fare decollare definitivamente la Nuova Evangelizzazione. Lo ha dichiarato il cardinale Peter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), in un’intervista a Zenit.
Il porporato ungherese è uno dei relatori di punta del II Simposio di Vescovi Europa-Africa, in corso in questi giorni presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e promosso dal CCEE assieme al SECAM.
Eminenza, quali sono i nodi strategici nelle relazioni tra episcopato europeo e episcopato africano?
Card. Erdő: La nostra è una collaborazione che dura da tempo. Da anni teniamo convegni e da almeno un decennio abbiamo incontri regolari tra rappresentanti del CCEE e del SECAM. Annualmente affrontiamo un argomento specifico: dopo la schiavitù, l’immigrazione e altri temi, quest’anno trattiamo la Nuova Evangelizzazione. I rapporti tra vescovi europei ed africani sono ormai “familiari”: la maggior parte dei vescovi africani hanno studiato in qualche università europea, conoscendo la realtà della nostre diocesi. A loro volta le diocesi europee inviano in Africa molti missionari, anche laici. Si è sviluppata una rete che sembra offrire un raggio di speranza.
Nel corso di questo Simposio stanno emergendo problematiche comuni ed altre più specifiche. Si è parlato delle piccole comunità, dei movimenti, di spiritualità, del ruolo del catechista, ovvero di colui che trasmette la fede ed è vicino alla gente. C’è la sfida delle sette che è forte non solo in Africa, ma anche in Europa. Chiaramente in Europa è più pronunciata la sfida della secolarizzazione, in Africa quella della povertà. Il rapporto tra poveri e ricchi non può essere unilaterale: anche il ricco è bisognoso di molte cose (non materiali), mentre il povero, viceversa, può dare molto sul piano umano. Gesù non ha promesso una felicità “a breve scadenza”, né ha detto: “io guarisco subito tutti i malati, elimino subito la povertà…”. Altro aspetto importante è la preparazione dei seminaristi, in particolare educandoli alla trasmissione della convinzione di fede vissuta, perché non basta diffondere una dottrina.
Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla sostanza del messaggio cristiano ed è la nostra prospettiva esistenziale della fede che indica dov’è questa sostanza. Da una parte c’è la persona di Gesù, dall’altra c’è la nostra felicità in una prospettiva non tanto terrena, quanto di vita eterna. Se questa convinzione è viva in noi, allora abbiamo molto da dire.
L’Anno della Fede, che inizierà ad ottobre, che prospettive offre, in particolare per l’Europa?
Card. Erdő: Innanzitutto dobbiamo essere consapevoli del fatto che la nostra fede ci collega alle nostre origini. La nostra non è una religione filosofica ma rivelata. Dobbiamo trovare la continuità storica della tradizione tra Gesù Cristo e noi stessi. Ciò è una sorta di “ponte della fede”, una fede che è anche speranza, come ci insegna papa Benedetto XVI nella Spes Salvi. Dobbiamo essere pronti a testimoniare il motivo di una speranza esistenziale e non astratta. L’Anno della Fede è, quindi, un’occasione per concentrarci sulla sostanza della fede stessa e sul significato esistenziale della fede per noi. Solo così possiamo diventare evangelizzatori.
Che speranza rappresentano i laici e i movimenti ad essi collegati nella Nuova Evangelizzazione?
Card. Erdo: Più che una speranza, i laici sono una realtà concreta. Tutti i battezzati, del resto, hanno la vocazione ad essere missionari. In particolare per il ruolo della famiglia nella trasmissione della fede. Anche nell’evangelizzazione dobbiamo compiere uno sforzo significativo per la famiglia che oggi attraversa un momento difficile. L’appoggio culturale e istituzionale della società alla Chiesa è venuto meno: questa è una realtà di cui tenere conto. Quindi è necessaria una fede più intensa e personale che in passato.
L’Europa è fortemente secolarizzata, eppure a livello istituzionale recentemente sono arrivati segnali positivi sull’esposizione del crocefisso nelle scuole, sull’eutanasia, sull’obiezione di coscienza…
Card. Erdő: Ogni segnale positivo è significativo, ovviamente. Quando si parla di valori fondamentali come la vita umana, c’è un consenso che va oltre la comunità cattolica. In particolare in collaborazione con la chiesa ortodossa stiamo promuovendo i valori morali e sociali.
Come è vissuta la Nuova Evangelizzazione nell’Europa orientale?
Card. Erdő: Le chiese cristiane orientali, in particolare, hanno un grande punto di forza nella celebrazione liturgica che ha un effetto forte, anche sulla gioventù. Se non banalizziamo il culto, possiamo aprire le porte alla forza missionaria della celebrazione.
Lei è originario di un paese ex-comunista. Paesi come l’Ungheria o la Polonia, che hanno sofferto la persecuzione anti-cristiana, che insegnamento rappresentano per l’Occidente?
Card. Erdő: L’esperienza passata ci insegna che dobbiamo rimanere vigili alle correnti dottrinali e alle ideologie, molte delle quali hanno contenuti disumani e programmi arbitrari nei confronti della società e della dignità umana. Le grandi filosofie, di solito, nascono in Ovest e, in molti casi, hanno provocato i loro effetti più nefasti soprattutto a Est. In Ungheria la Chiesa non è forte né sul piano sociale, né sul piano organizzativo o istituzionale.
Quello che vediamo molto chiaramente è la necessità dell’approfondimento della convinzione personale di ognuno di noi. Non possiamo lasciarci travolgere dall’andamento “naturale” delle cose in quanto non c’è più nulla di “naturale”: non sono scontati né le circostanze pacifiche, né il benessere materiale, né il rispetto reciproco. Bisogna approfondire la nostra fede in tutta la nostra consapevolezza, abituandoci a un certo “anticonformismo”, aprendoci alla dignità e alla sensibilità di tutti. Il cristianesimo non può certo divenire un’ideologia combattiva: esso deve, al contrario, avvicinare i popoli, riconciliare i diversi gruppi all’interno della società.
Che ruolo può giocare la Nuova Evangelizzazione, rispetto alle crisi economiche attuali?
Card. Erdő: San Paolo dice: “Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini” (1Cor 15,19). La nostra fede non ha ad oggetto il successo economico. Certamente dobbiamo lavorare per rendere più dignitose le condizioni di vita di tutti i popoli, ma il cristianesimo non è una teoria economica, né ha ricette concrete su come “gestire le finanze”. Il Vangelo piuttosto offre valori fondamentali che vanno rispettati, anche nel campo dell’economia e della società, come la giustizia, la misericordia, la carità, l’aiuto ai bisognosi. Non dobbiamo semplicemente dare qualcosa ai poveri, dobbiamo amarli. Certamente negli ultimi anni, assistiamo a dibattiti che vertono quasi sempre su dati statistici astratti e molto spesso alla gente non si promette nulla che riguardi davvero la loro vita. Dalle statistiche non emerge il valore della cultura, della lingua, della storia e della genialità dei popoli. Non basta parlare solo di migrazione o di posti di lavoro, serve rispetto e considerazione anche verso i beni umani e culturali, anche se concretamente è difficile quantificare il loro valore economico.
da Baltazzar | Feb 7, 2012 | Carismi, Chiesa, Libri
Julián Carrón commenta il libro postumo di don Luigi Giussani
di Luca Marcolivio
Tratto dal sito ZENIT, Agenzia di notizie il 4 febbraio 2012
È il secondo volume di una trilogia postuma di don Luigi Giussani, nell’ambito del Per-Corso di Comunione e Liberazione. In libreria da alcune settimane, All’origine della pretesa cristiana (Rizzoli) è stato presentato ufficialmente lo scorso 25 gennaio al Teatro Arcimboldi di Milano in una lunga prolusione a cura di don Julián Carrón.
Il discorso di Carrón, successore di Giussani come presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, è stato trasmesso via satellite in tutta Italia, presso varie location (A Roma è stata messa a disposizione la Pontificia Università Urbaniana) ed è stato riportato integralmente dalla rivista Tracce.
“È venuto un Uomo, un giovane Uomo, nato in un certo paese, in un certo posto del mondo geograficamente precisabile, Nazareth”, scrive don Giussani, a ribadire la storicità e la fisicità dell’avvenimento cristiano. Recarsi in Terra Santa e poter ammirare a Nazareth, l’iscrizione con la frase Verbum hic caro factum est, è un esperienza che dà i “brividi”, scrive ancora il fondatore di CL.
Di fronte all’avvenimento del Dio fatto carne che, ha commentato Carrón, “esprime tutta la passione piena di tenerezza di Dio per l’uomo”, è impossibile non chiedersi, con il salmista, “Chi è mai l’uomo, Signore, perché te ne ricordi?” (Sal 8, 5).
Eppure “poveracci come noi siamo”, intenti a camminare “a tentoni nel buio”, a noi uomini “viene data la grazia di questa notizia”, ha proseguito Carròn. “Chi non desidererebbe vivere ogni istante della sua vita sotto la pressione di questa commozione senza pari, generata dalla Sua presenza?”, si è domandato il successore di don Giussani.
Eppure il fatto meraviglioso dell’incarnazione di Dio nell’uomo, si manifesta in maniera problematica per l’uomo d’oggi. Già nella seconda metà del XIX secolo, Dostoevskij, ne I demoni, si domandava se “un uomo colto, un europeo dei nostri giorni”, potesse credere alla divinità del figlio di Dio.
Può, dunque, ha proseguito Carrón, l’uomo moderno, intriso com’è di un “razionalismo pervasivo” e di una “fiducia spontanea nel metodo scientifico”, lasciarsi affascinare ed attrarre dalla fede?
Nel 1982, don Giussani ammoniva i suoi figli spirituali sul rischio di una “lontananza da Cristo”, uno smarrimento del credente nelle pieghe della quotidianità, quando ormai è trascorso parecchio tempo dal gioioso incontro originario con Lui.
A fornire una risposta positiva agli interrogativi precedenti è stato il cardinale Joseph Ratzinger che, nel 1996, affermò che nell’uomo “vi è un’inestinguibile aspirazione nostalgica verso l’infinito”. Ciò implica, comunque, che “il cristianesimo ha bisogno di incontrare l’umano che vibra in ciascuno di noi per poter mostrare tutto il suo potenziale, tutta la sua verità”, ha commentato Carrón.
Lo ribadisce lo stesso Carrón nell’introduzione a All’origine della pretesa cristiana: la ragione per aderire alla fede cristiana è la sua “profonda corrispondenza umana e ragionevole delle sue esigenze con l’avvenimento dell’uomo Gesù di Nazaret”.
Viene meno, dunque, il “ragionamento astratto” e si compie il “passaggio dal senso religioso alla fede: non è più un ricercare pieno di incognite ma la sorpresa di un fatto accaduto nella storia degli uomini”.
La corrispondenza tra l’uomo e Cristo, inoltre, “si realizza in un incontro reale, storico, nel presente”. Quando invece questo incontro non si verifica, il cristianesimo è ridotto a “discorso, dottrina o morale”, con una “correlativa riduzione dell’umanità dell’uomo” che finisce per scavare “il solco di una profonda estraneità” tra Cristo e l’uomo.
Per conoscere pienamente Cristo è necessario che “ciascuno di noi sia davanti a Lui con tutto il proprio umano”, perché “senza coscienza di me stesso anche quello di Gesù Cristo finisce per diventare un puro nome”, ha proseguito Carrón.
La nostra visione della reale natura di Cristo è però spesso offuscata dall’“influsso della società e della storia che riduce le nostre esigenze originali”. Anche noi, infatti, come nove dei dieci lebbrosi della parabola (Lc 17, 12-19) “ci accontentiamo della guarigione” ed il nostro cuore “resta lontano da Cristo”.
L’avvenimento cristiano, tuttavia, ammoniva Giussani, non è tale se non è attuale e se non è in grado di “calamitare tutta la nostra affezione e tutta la nostra libertà”. Esso non richiede “preparazioni, né precondizioni: esso irrompe ed accade come l’innamorarsi”.
La venuta di Cristo al mondo, il suo incontro con gli uomini, sono paradigmi attuali perché, senza di essi, è impossibile porre soluzione ai problemi umani: dal “problema della conoscenza del senso delle cose (verità)” al “problema dell’uso delle cose (lavoro), dal “problema di una compiuta consapevolezza (amore)” fino al “problema dell’umana convivenza (società e politica)”.
In cosa consiste, dunque, la “pretesa cristiana”? Essa è la mobilitazione di “tutte le risorse che si hanno a disposizione – ragione, affezione e libertà”, per verificare che “la fede rende più umano il mio vivere”, come affermava lo stesso don Giussani nel precedente volume L’io rinasce in un incontro (1986-1987) (BUR, 2010).
da Baltazzar | Feb 1, 2012 | Carismi, Cultura e Società
Lo ha detto il capo Julian Carron. E lo ha ripetuto anche il cardinale di Milano, Scola • È la linea di don Giussani. Ma perché evidenziarla adesso?
di Bonifacio Borruso
Tratto da Italia Oggi
L’aveva detto prima Julian Carron, il successore di don Luigi Giussani a capo di Comunione e liberazione, con un’intervista netta e dura al Corriere della Sera, quindici giorni fa. Ha poi rincarato la dose, il cardinale Angelo Scola, in un incontro coi giornalisti, sabato a Milano: «Comunione e liberazione non c’entra con Roberto Formigoni».
Ovviamente, né il sacerdote spagnolo che guida Cl né l’arcivescovo di Milano, che del fondatore, don Giussani, fu uno dei primissimi collaboratori, si sono espressi in maniera così tranchant (come si conviene a due navigati uomini di Chiesa), ma le loro parole, in molti ambienti politici ed ecclesiali, sono suonate esattamente in questo modo.
Scola aveva parlato di sé prima ancora che di Cl. Esortando una platea di giornalisti a scegliere sempre il vero e non il verosimile, aveva usato un esempio singolare per chiarire il suo pensiero: «Scola è di Lecco come Formigoni, e come lui mi si è formato in Cl e sono stati amici per tanti anni. Possibile che Scola non c’entri nulla con quello che fa Formigoni?», si era chiesto retoricamente parlando di sé in terza persona, «Non c’entra: Scola e Formigoni da vent’anni si sono visti sì e no una volta l’anno a Natale».
Carron, invece, aveva rilasciato ad Aldo Cazzullo un’intervista sul Corsera che aveva preceduto di poche ore l’arresto di un ciellino, il vicepresidente della Provincia di Monza, e contenente un passaggio perentorio: «Non ci sono politici di Cl. Questo, prima lo si capisce, e meglio è».
Prese di distanza, secondo alcuni, legate all’inchiesta sul San Raffaele e sulla politica brianzola che hanno messo sotto la lente alcuni uomini considerati vicini al governatore. Ma, a ben vedere, entrambe le dichiarazioni non fanno altro che rinnovare i giudizi che erano propri dello stesso fondatore. Per quanto fosse accusato di integralismo e di quindi confondere volutamente il piano religioso e quello civile e politico, don Giussani aveva sempre tenuto a ribadire che la responsabilità di chi si impegnava nelle istituzioni e nei partiti era assolutamente personale e che, in quanto tali, non esistevano «politici del movimento».
Distinguo che si rese necessario quando, alla fine degli anni 70, dopo aver sostenuto a lungo il senatore Andrea Borruso, dc varesotto che stava fra la corrente di Base e i sindacalisti di Forze Nuove, i ciellini cominciarono a mandare in campo (e in Parlamento) persone che provenivano dalle loro fila, fra cui lo stesso Formigoni, cooptato dalla Dc, con l’assemblea degli esterni del 1981, con cui il partito tentò di rifarsi una verginità cattolica.
E a rafforzare la distinzione, negli stessi anni, fu creato il Movimento popolare, che permetteva ai ciellini più attivi in politica una libertà di azione e di giudizio non impegnando il movimento ecclesiale.
Non che la gente di Cl rifuggisse la politica come accadeva, negli stessi anni, a quelli dell’Azione cattolica, che teorizzavano, con Alberto Monticone, la scelta religiosa che, tradotta in soldoni, voleva dire fine del collateralismo con la Dc. Anzi, nel 1987, all’assemblea della Dc lombarda ad Assago, lo stesso Giussani pronunciò un discorso molto alto, sulla necessità della politica di favorire una concezione autenticamente laica dello Stato. E tutta la sua lezione era imperniata sul cristianesimo come fatto, che abbracciava tutta la vita, inclusa quindi la politica. Ma sulla riduzione del movimento a corrente di partito, lo stesso fondatore non transigeva.
Tanto che, archiviato Mp con la prima repubblica, fu l’ala imprenditrice della Compagnia delle opere a occuparsi di dare giudizi politici nel cui perimetro si poteva iscrivere questo o quel candidato. E che non esistessero «politici di Cl», fu particolarmente chiaro quando i voti cominciarono a indirizzarsi anche a sinistra.
Dal sostegno, a Roma, al democratico Raffaello Fellah, nelle europee del 1989, a quello al sindaco uscente di centrosinistra, Paolo Corsini, nelle comunali di Brescia del 2003, al voto, fra gli altri, al diessino Dario Nardella a Firenze, oggi vicesindaco, nelle amministrative del 2004.
Semmai ci sono ciellini che fanno politica e che non mancano di mandare segnali di sintonia col movimento, come il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, che per il suo reclamizzatissimo libro ha voluto utilizzare (scippare secondo qualcuno) un vecchio slogan degli studenti universitari del movimento: La prima politica è vivere.
da Baltazzar | Gen 24, 2012 | Carismi, Chiesa, Liturgia, Post-it
Alla Radio Vaticana il prefetto della Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti interviente sul decreto
«Penso che il rapporto tra catechesi e liturgia nel cammino neocatecumenale sia esemplare». Lo afferma il cardinale Antonio Canizares Llovera, prefetto della Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti. «L’approvazione di questo Decreto sulle celebrazioni del Cammino neocatecumenale, contenute nel Direttorio catechetico, è per tutta la Chiesa – spiega ai microfoni della Radio Vaticana – un riconoscimento di come l’iniziazione cristiana deve avere sempre un’unione tra Parola e celebrazioni».
Nell’intervista, il porporato spagnolo fa riferimento al catecumenato antico dove le diverse tappe erano segnate da celebrazioni specifiche per ciascun momento dell’itinerario e rileva che nel Cammino Neocatecumenale «oggi si fa lo stesso: quindi – osserva – non sono tappe artificiali, non si tratta di una semplice metodologia inventata per gli uomini, ma corrispondono all’itinerario della conversione».
«Alcuni – sottolinea Canizares – vogliono fare l’iniziazione cristiana soltanto sulla base della catechesi, di qualcosa cha fa l’uomo e che sia conosciuto soltanto a livello intellettuale», invece nella fede cristiana «la priorità è di Dio: Dio agisce, l’uomo risponde. L’uomo compie un itinerario che deve essere illuminato dalla Parola di Dio, allo stesso tempo deve essere vissuto come azione di Dio e accoglienza dell’azione di Dio».
«Questo – conclude il prefetto vaticano competente sui temi liturgici – nel Cammino neocatecumenale è chiarissimo e oggi, con l’approvazione del Decreto si sottolinea questo».
da Vatican Insider
da Baltazzar | Gen 20, 2012 | Benedetto XVI, Carismi, Chiesa, Liturgia, Post-it
CITTÀ DEL VATICANO, 20 GEN 2012 (VIS). Il Pontificio Consiglio per i Laici ha pubblicato oggi un decreto con il quale concede l’approvazione alle celebrazioni contenute nel Direttorio Catechistico del Cammino Neocatecumenale. Il decreto è datato 8 gennaio 2012, festa del Battesimo del Signore; e porta le firme del Presidente di questo Dicastero, il Cardinale Stanislaw Rylko, e del Segretario, il Vescovo Josef Clemens.
Presentiamo di seguito il testo pubblicato oggi: “Con decreto dell’11 maggio 2008, il Pontificio Consiglio per i Laici ebbe ad approvare in modo definitivo lo Statuto del Cammino Neocatecumenale e, successivamente, dopo aver debitamente consultato la Congregazione per la Dottrina della Fede, con decreto del 26 dicembre 2010, diede la sua approvazione alla pubblicazione del Direttorio catechetico come sussidio valido e vincolante per le catechesi del Cammino Neocatecumenale.
Ora, visti gli articoli 131, e 133, §1e §2, della Costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana, il Pontificio Consiglio per i Laici, avuto il parere favorevole della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, concede l’approvazione a quelle celebrazioni contenute nel Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale che non risultano per la loro natura già normate dai Libri liturgici della Chiesa”.
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
ALLA COMUNITÀ DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE
Aula Paolo VI
Venerdì, 20 gennaio 2012
Cari fratelli e sorelle,
anche quest’anno ho la gioia di potervi incontrare e condividere con voi questo momento di invio per la missione. Un saluto particolare a Kiko Argüello, a Carmen Hernández e a Don Mario Pezzi, e un affettuoso saluto a tutti voi: sacerdoti, seminaristi, famiglie, formatori e membri del Cammino Neocatecumenale. La vostra presenza oggi è una testimonianza visibile del vostro gioioso impegno di vivere la fede, in comunione con tutta la Chiesa e con il Successore di Pietro, e di essere coraggiosi annunciatori del Vangelo.
Nel brano di san Matteo che abbiamo ascoltato, gli Apostoli ricevono un preciso mandato di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28, 19). Inizialmente avevano dubitato, nel loro cuore c’era ancora l’incertezza, lo stupore di fronte all’evento della risurrezione. Ed è Gesù stesso, il Risorto – sottolinea l’Evangelista – che si avvicina a loro, fa sentire la sua presenza, li invia ad insegnare tutto ciò che ha comunicato loro, donando una certezza che accompagna ogni annunciatore di Cristo: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Sono parole che risuonano forti nel vostro cuore. Avete cantato Resurrexit, che esprime la fede nel Vivente, in Colui che, in un supremo atto di amore, ha vinto il peccato e la morte e dona all’uomo, a noi, il calore dell’amore di Dio, la speranza di essere salvati, un futuro di eternità.
In questi decenni di vita del Cammino un vostro fermo impegno è stato di proclamare il Cristo Risorto, rispondere alle sue parole con generosità, abbandonando spesso sicurezze personali e materiali, lasciando anche i propri Paesi, affrontando situazioni nuove e non sempre facili. Portare Cristo agli uomini e portare gli uomini a Cristo: questo è ciò che anima ogni opera evangelizzatrice. Voi lo realizzate in un cammino che aiuta a far riscoprire a chi ha già ricevuto il Battesimo la bellezza della vita di fede, la gioia di essere cristiani. Il “seguire Cristo” esige l’avventura personale della ricerca di Lui, dell’andare con Lui, ma comporta sempre anche uscire dalla chiusura dell’io, spezzare l’individualismo che spesso caratterizza la società del nostro tempo, per sostituire l’egoismo con la comunità dell’uomo nuovo in Gesù Cristo. E questo avviene in un profondo rapporto personale con Lui, nell’ascolto della sua parola, nel percorrere il cammino che ci ha indicato, ma avviene anche inseparabilmente nel credere con la sua Chiesa, con i santi, nei quali si fa sempre e nuovamente conoscere il vero volto della Sposa di Cristo.
E’ un impegno – lo sappiamo – non sempre facile. A volte siete presenti in luoghi in cui vi è bisogno di un primo annuncio del Vangelo, la missio ad gentes; spesso, invece, in aree, che, pur avendo conosciuto Cristo, sono diventate indifferenti alla fede: il secolarismo vi ha eclissato il senso di Dio e oscurato i valori cristiani. Qui il vostro impegno e la vostra testimonianza siano come il lievito che, con pazienza, rispettando i tempi, con sensus Ecclesiae, fa crescere tutta la massa. La Chiesa ha riconosciuto nel Cammino un particolare dono che lo Spirito Santo ha dato ai nostri tempi e l’approvazione degli Statuti e del “Direttorio Catechetico” ne sono un segno. Vi incoraggio ad offrire il vostro originale contributo alla causa del Vangelo. Nella vostra preziosa opera ricercate sempre una profonda comunione con la Sede Apostolica e con i Pastori delle Chiese particolari, nelle quali siete inseriti: l’unità e l’armonia del Corpo ecclesiale sono una importante testimonianza a Cristo e al suo Vangelo nel mondo in cui viviamo.
Care famiglie, la Chiesa vi ringrazia; ha bisogno di voi per la nuova evangelizzazione. La famiglia è una cellula importante per la comunità ecclesiale, dove ci si forma alla vita umana e cristiana. Con grande gioia vedo i vostri figli, tanti bambini che guardano a voi, cari genitori, al vostro esempio. Un centinaio di famiglie sono in partenza per 12 Missioni ad gentes. Vi invito a non avere timore: chi porta il Vangelo non è mai solo. Saluto con affetto i sacerdoti e i seminaristi: amate Cristo e la Chiesa, comunicate la gioia di averLo incontrato e la bellezza di avere donato a Lui tutto. Saluto anche gli itineranti, i responsabili e tutte le comunità del Cammino. Continuate ad essere generosi con il Signore: non vi farà mancare la sua consolazione!
Poco fa vi è stato letto il Decreto con cui vengono approvate le celebrazioni presenti nel “Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale”, che non sono strettamente liturgiche, ma fanno parte dell’itinerario di crescita nella fede. E’ un altro elemento che vi mostra come la Chiesa vi accompagni con attenzione in un paziente discernimento, che comprende la vostra ricchezza, ma guarda anche alla comunione e all’armonia dell’intero Corpus Ecclesiae.
Questo fatto mi offre l’occasione per un breve pensiero sul valore della Liturgia. Il Concilio Vaticano II la definisce come l’opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa (cfr Sacrosanctum Concilium, 7). A prima vista ciò potrebbe apparire strano, perché sembra che l’opera di Cristo designi le azioni redentrici storiche di Gesù, la sua Passione, Morte e Risurrezione. In che senso allora la Liturgia è opera di Cristo? La Passione, Morte e Risurrezione di Gesù non sono solo avvenimenti storici; raggiungono e penetrano la storia, ma la trascendono e rimangono sempre presenti nel cuore di Cristo. Nell’azione liturgica della Chiesa c’è la presenza attiva di Cristo Risorto che rende presente ed efficace per noi oggi lo stesso Mistero pasquale, per la nostra salvezza; ci attira in questo atto di dono di Sé che nel suo cuore è sempre presente e ci fa partecipare a questa presenza del Mistero pasquale. Questa opera del Signore Gesù, che è il vero contenuto della Liturgia, l’entrare nella presenza del Mistero pasquale, è anche opera della Chiesa, che, essendo suo corpo, è un unico soggetto con Cristo – Christus totus caput et corpus – dice sant’Agostino. Nella celebrazione dei Sacramenti Cristo ci immerge nel Mistero pasquale per farci passare dalla morte alla vita, dal peccato all’esistenza nuova in Cristo.
Ciò vale in modo specialissimo per la celebrazione dell’Eucaristia, che, essendo il culmine della vita cristiana, è anche il cardine della sua riscoperta, alla quale il neocatecumenato tende. Come recitano i vostri Statuti, “L’Eucaristia è essenziale al Neocatecumenato, in quanto catecumenato post-battesimale, vissuto in piccola comunità” (art. 13 §1). Proprio al fine di favorire il riavvicinamento alla ricchezza della vita sacramentale da parte di persone che si sono allontanate dalla Chiesa, o non hanno ricevuto una formazione adeguata, i neocatecumenali possono celebrare l’Eucaristia domenicale nella piccola comunità, dopo i primi Vespri della domenica, secondo le disposizioni del Vescovo diocesano (cfr Statuti, art. 13 §2). Ma ogni celebrazione eucaristica è un’azione dell’unico Cristo insieme con la sua unica Chiesa e perciò essenzialmente aperta a tutti coloro che appartengono a questa sua Chiesa. Questo carattere pubblico della Santa Eucaristia si esprime nel fatto che ogni celebrazione della Santa Messa è ultimamente diretta dal Vescovo come membro del Collegio Episcopale, responsabile per una determinata Chiesa locale (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 26). La celebrazione nelle piccole comunità, regolata dai Libri liturgici, che vanno seguiti fedelmente, e con le particolarità approvate negli Statuti del Cammino, ha il compito di aiutare quanti percorrono l’itinerario neocatecumenale a percepire la grazia dell’essere inseriti nel mistero salvifico di Cristo, che rende possibile una testimonianza cristiana capace di assumere anche i tratti della radicalità. Al tempo stesso, la progressiva maturazione nella fede del singolo e della piccola comunità deve favorire il loro inserimento nella vita della grande comunità ecclesiale, che trova nella celebrazione liturgica della parrocchia, nella quale e per la quale si attua il Neocatecumenato (cfr Statuti, art. 6), la sua forma ordinaria. Ma anche durante il cammino è importante non separarsi dalla comunità parrocchiale, proprio nella celebrazione dell’Eucaristia che è il vero luogo dell’unità di tutti, dove il Signore ci abbraccia nei diversi stati della nostra maturità spirituale e ci unisce nell’unico pane che ci rende un unico corpo (cfr 1 Cor 10, 16s).
Coraggio! Il Signore non manca di accompagnarvi e anch’io vi assicuro la mia preghiera e vi ringrazio per i tanti segni di vicinanza. Vi chiedo di ricordarvi anche di me nelle vostre preghiere. La Santa Vergine Maria vi assista con il suo sguardo materno e vi sostenga la mia Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i membri del Cammino. Grazie!
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