Il Rinnovamento nello Spirito Santo è un “frutto del Concilio”

Oltre ventimila persone all’apertura della 35° Convocazione Nazionale

di Luca Marcolivio

RIMINI, domenica, 29 aprile 2012 (ZENIT.org) – Oltre 20mila persone hanno preso parte ieri pomeriggio alla festosa inaugurazione della 35° Convocazione Nazionale del Rinnovamento nello Spirito.

Tra canti, danze e battimani, i membri del movimento si sono radunati presso il padiglione D5 della Fiera di Rimini, per la preghiera comunitaria carismatica che ha aperto l’evento. Molti dei presenti avevano indosso la maglietta ufficiale dell’evento, recante impressi tutti i numeri dal 1972 al 2012, ovvero i 40 anni del Movimento in Italia.

Al suono di tromba è stato proclamato il motto della Convocazione di quest’anno: «Con Maria, Madre del Rinnovamento, nello Spirito gridiamo: “Gesù è il Signore! Alleluia!”». Questo annuncio, “non è slogan, né un tema malinconico del passato, ma un voler tornare all’essenzialità dell’essere sotto l’azione dello Spirito Santo”, ha commentato il coordinatore nazionale di RnS, Mario Landi, durante la sua relazione introduttiva.

Non si tratta, ha proseguito Landi, di un “fatto verbale” ma “esistenziale”, perché “la nostra vita, se non è guidata dallo Spirito Santo non ha senso”. Il coordinatore nazionale di RnS ha aggiunto che il movimento “è un frutto del Concilio, come nuova Pentecoste nella Chiesa, e dopo il Concilio lo Spirito Santo non poteva non far nascere un movimento che riproponesse alla Chiesa e alla società il cuore fondamentale del kerigma dell’annuncio cristiano”.

La prima giornata di Convocazione è stata conclusa dalla Celebrazione Eucaristica, presieduta dal vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi. Poco prima della Santa Messa, monsignor Mariano De Nicolò, vescovo emerito della diocesi romagnola, ha espresso il suo saluto ai presenti sottolineando l’importanza della vita sacramentale.

L’eucaristia, in particolare, è “un alimento e un sostegno indispensabile per poter percorrere la via della vita, finché non giungiamo, dopo aver lasciato questo mondo, alla nostra vera meta, che è il Signore”, ha detto il presule. Ogni sacramento va quindi amministrato da tutti i sacerdoti del mondo, affinché i fedeli “conservino indelebile memoria della redenzione”.

Lo Spirito Santo, poi, “esercita sul Corpo mistico la stessa azione che esercita sul corpo fisico di Cristo”, ha aggiunto il vescovo emerito di Rimini.

L’omelia di monsignor Lambiasi, nei Vespri prefestivi della Domenica del Buon Pastore, si è soffermata sul concetto di “gregge” cristiano, che non ha nulla a che vedere con un “collettivismo massificante e spersonalizzante”. Gesù, il Buon Pastore, infatti, “chiama le sue pecore, ciascuna per nome” (Gv 10,3), mentre la comunità cristiana è “unità di distinti, non confusione di identici”, non una “massa di anonimi”, bensì una “comunità di chiamati”.

Con riferimento alla Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni sacerdotali, il presule si è poi rivolto in modo particolare ai giovani del Rinnovamento nello Spirito, invitandoli ad aprirsi allo sguardo di Gesù che li cerca e, “con la sua voce inconfondibile, dice: Seguimi”.

“Preghiamo perché molti giovani rispondano alla chiamata del bel Pastore con umile, grata e incondizionata generosità”, ha poi concluso il vescovo.

Andrea e Francesca: come famiglia siamo portatori di un annuncio speciale

I coniugi Macina, con 4 dei dieci figli, operano in diverse diocesi del Paese africano, trovandosi in mezzo ad attacchi cruenti

In Nigeria sperano di rientrare fra qualche mese, in estate: «Lì Dio parla in modo speciale: quando hai paura, ti appoggi davvero a Lui», dice Andrea Macina, 48 anni, da 19 missionario itinerante in varie diocesi nigeriane con la moglie Francesca e quattro dei dieci figli.

«I più grandi vivono a Roma e ci raggiungono quando vogliono, mentre i più piccoli stanno con noi», racconta. Una passione e una vocazione, quella missionaria, che vive nella coppia ancor prima del matrimonio. Lei ex hostess, lui impiegato «con lunghe aspettative» in uno studio notarile, fanno parte di una comunità neocatecumenale, nella parrocchia dei Martiri Canadesi.

Hanno dato la loro disponibilità e sono partiti quando erano sposati da 6 anni, con cinque figli e uno in arrivo. Destinazione: la città di Kaduna, capitale dell’omonimo Stato al centro-nord della Nigeria, con circa 3 milioni di abitanti, dove cattolici e musulmani si equivalgono numericamente. E dove le tensioni non mancano, «ma le religioni vengono strumentalizzate politicamente», osserva Andrea. Lo scorso anno, a causa degli scontri in prossimità delle elezioni presidenziali, «abbiamo vissuto la Pasqua chiusi in casa e la Pentecoste in un luogo protetto, aspettando l’alba per poter celebrare l’Eucaristia». Insieme a loro, anche don Eduardo, cileno, che condivide da due anni la missione in una terra complessa, difficile da decodificare attribuendo le violenze al fondamentalismo islamico.

«L’intolleranza è anzitutto politica, poi entrano in gioco fattori etnici e religiosi, ma non sono scatenanti e, anzi, vengono strumentalizzati. Gli attuali estremisti, ad esempio, uccidono anche musulmani; il loro obiettivo è arrivare al potere, attaccando le istituzioni».

Per il crescendo di violenze, il 7 dicembre la famiglia Macina è rientrata temporaneamente in Italia: «Era difficile fare catechesi, vedersi per le riunioni e per gli incontri con le comunità», confida il capofamiglia, che la prossima settimana festeggerà la laurea in matematica della primogenita Benedetta, 23 anni, mentre a novembre sarà il turno di Miriam, la seconda figlia, che ha scelto di laurearsi in storia. Poi c’è Tommaso, che studia ingegneria, fino all’ultimo arrivato, che frequenta la seconda elementare. «I presidi ci concedono di farli studiare con noi, quando siamo in Nigeria, così quando rientrano nella loro classe si trovano in pari con il programma svolto», assicura il papà.

Che ci tiene a sottolineare: «Non facciamo niente di speciale: l’annuncio che portiamo è infinitamente più grande di noi stessi. Ci muoviamo in diverse diocesi, da Kaduna e Zaria al nord, a Minna, nel centro-nord del Paese, fino ad Awka (nella zona orientale) e a Ekiti, a sud-ovest». Non è la prima volta che i Macina si ritrovano in mezzo ad attacchi cruenti, «nella precarietà più assoluta»: è successo anche nel 2000 e nel 2002. Allora preferiscono rientrare a Roma, riunendo tutta la famiglia. «Non ci andiamo a cercare il martirio», precisa Andrea, che insieme a Francesca e ai suoi figli ha visto frutti evangelici. Qualche esempio? «Il perdono: fratture secolari risanate tra persone di tribù diverse, che stanno da 27 anni nella stessa comunità. E il regredire di una mentalità abortistica: non è facile essere aperti alla vita e fidarsi della Provvidenza in un Paese dove le scuole e la sanità si pagano».

Laura Badaracchi

fonte: www.avvenire.it

Nella vita  della grande comunità ecclesiale

Nella vita della grande comunità ecclesiale

Liturgia e Cammino neocatecumenale nell’insegnamento di Benedetto XVI

I Padri della Chiesa (in particolare Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia) nelle loro catechesi prebattesimali predicate soprattutto durante la Quaresima, introducevano, si potrebbe dire portavano per mano, guidavano i catecumeni, cioè coloro che si preparavano a ricevere il battesimo nella notte di Pasqua, a scoprire, conoscere e memorizzare la fede cristiana attraverso la professione di fede, il Credo, e dando loro un modello di preghiera, il Padre nostro. Durante tutto questo periodo di preparazione, nell’attesa del battesimo che, come tutti i sacramenti, è un dono che si riceve, che si accoglie nella grande Chiesa, nel suo grembo che rigenera, i catecumeni erano iniziati alla fede, all’ascolto e alla comprensione della Parola di Dio, e partecipavano soltanto alla prima parte della celebrazione dei santi misteri. Dopo il Vangelo infatti — e di questo abbiamo una testimonianza ancora oggi nelle liturgie orientali — il diacono congedava i catecumeni, intimava loro di uscire dalla chiesa, mettendoli in qualche modo in attesa, una gioiosa attesa, di partecipare all’unico sacrificio di Cristo, quello celebrato la notte di Pasqua dal vescovo nella grande e unica madre Chiesa che nel Battesimo li rigenerava in Cristo. Perciò i catecumeni, accolti nella chiesa al canto del versetto paolino «Tutti quelli che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo, alleluia», non venivano più chiamati “catecumeni” bensì “neofiti”, cioè innestati, inseriti. Dove? In Cristo nell’unica e grande Chiesa; e da quel momento partecipavano pienamente ai santi misteri del Corpo e del Sangue di Cristo che erano — e sono tuttora — non più una tappa nel catecumenato bensì la pienezza dell’appartenenza di tutti i fedeli cristiani alla vita di Cristo nella Chiesa.

Sulla scia dei grandi Padri della Chiesa, delle loro catechesi e delle loro mistagogie, possiamo collocare il discorso di Benedetto XVI ai membri del Cammino neocatecumenale dello scorso 20 gennaio; udienza, che lo stesso Papa situa nell’insieme di udienze da lui concesse ai fondatori e agli aderenti a questa realtà ecclesiale. Si tratta di una lezione di teologia liturgica valida e utile per il Cammino neocatecumenale e per tutta la Chiesa. Il Papa sin dall’inizio sottolinea il valore dell’impegno missionario e di evangelizzazione del Cammino neocatecumenale, impegno che deve essere fatto sempre — e il Santo Padre lo ricorda per ben due volte — «in comunione con tutta la Chiesa e con il Successore di Pietro»; cercando «sempre una profonda comunione con la Sede Apostolica e con i pastori delle Chiese particolari nelle quali siete inseriti». Si direbbe che il Vescovo di Roma non dimentichi mai il suo ruolo di principio di comunione con tutti i pastori della Chiesa cattolica: «l’unità e l’armonia del Corpo ecclesiale sono una importante testimonianza a Cristo e al suo Vangelo nel mondo in cui viviamo». Benedetto XVI, da buon pastore, ancora e giustamente non si risparmia nel mettere in luce la generosità e lo sforzo missionario del Cammino neocatecumenale — e anche le difficoltà che incontra nel suo impegno evangelizzatore — e nell’incoraggiare i suoi membri, sacerdoti, laici, famiglie intere a continuare nello zelo di annunciare ovunque, anche in luoghi molto lontani dal cristianesimo, il Vangelo, sempre nell’amore a Cristo e alla Chiesa.

Dopo le parole introduttive, il Papa spiega il senso dell’approvazione per il Cammino neocatecumenale di quelle celebrazioni che «non sono strettamente liturgiche, ma fanno parte dell’itinerario di crescita della fede». Benedetto XVI ricorda al Cammino neocatecumenale e a tutta la Chiesa che le celebrazioni liturgiche sono quelle approvate dalla Chiesa nei diversi testi del magistero del vescovo di Roma o dei vari concili ecumenici che hanno regolato e approvato la liturgia della Chiesa. Il Papa mette in evidenza come l’approvazione delle celebrazioni presenti nel Direttorio Catechetico del Cammino neocatecumenale vada letta in maniera strettamente vincolata al sensus Ecclesiae e in sintonia con le esigenze della costruzione del corpus Ecclesiae. Il Papa mostra il suo cuore di Pastore della Chiesa «che comprende la vostra ricchezza, ma guarda anche alla comunione e all’armonia dell’intero Corpus Ecclesiae».

Ancora una volta, lungo il pontificato di Benedetto XVI, vediamo Pietro come fondamento di comunione e di unità nella Chiesa. Quanto detto sul ruolo e l’impegno nell’annuncio del Vangelo da parte del Cammino neocatecumenale e sull’approvazione delle celebrazioni non strettamente liturgiche previste dal Direttorio Catechetico, offre a Benedetto XVI anche l’occasione per parlare del valore della liturgia. In fondo il Papa si intrattiene col Cammino neocatecumenale parlando della liturgia, cioè di quella realtà della vita ecclesiale che precisamente non ha nessuna necessità di specifica approvazione perché già esaminata, approvata e regolata dalla Sede romana e dallo stesso Vaticano II. Il Papa non pretende di “spiegare” cos’è la liturgia, bensì ne vuol mettere in luce il “valore”, cioè quello che essa ha di centrale e di valido nella vita della Chiesa e di ogni cristiano. Volendo fissare dei principi chiari nel suo ragionamento, Benedetto XVI inizia la sua riflessione partendo dal n. 7 dellaSacrosantum concilium: la liturgia è «opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa». Mette al centro della sua catechesi l’anno liturgico che non soltanto ricorda ma celebra, fa presente e attuale con una forza veramente epicletica tutto il mistero di Cristo per e nella Chiesa: «La Passione, Morte e Risurrezione di Gesù non sono solo avvenimenti storici; raggiungono e penetrano la storia, ma la trascendono e rimangono sempre presenti nel cuore di Cristo. Nell’azione liturgica della Chiesa c’è la presenza attiva di Cristo Risorto che rende presente ed efficace per noi oggi lo stesso Mistero pasquale, per la nostra salvezza; ci attira in questo atto di dono di Sé che nel suo cuore è sempre presente e ci fa partecipare a questa presenza del Mistero pasquale». La Chiesa, quindi, celebrando il mistero di Cristo ne diventa il suo corpo. E Benedetto XVI corrobora la sua riflessione citando sant’Agostino: «Questa opera del Signore Gesù, che è il vero contenuto della Liturgia (…) è anche opera della Chiesa, che, essendo suo corpo, è un unico soggetto con Cristo — Christus totus caput et corpus».

Fedele alla tradizione catechetica e mistagogica dei Padri della Chiesa, Papa Benedetto situa l’Eucaristia come «culmine della vita cristiana»; essa è la piena comunione con Cristo attraverso il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, e con la Chiesa che a sua volta ne è anche corpo e suo custode. Le Chiese orientali, fedeli all’antica tradizione cristiana, celebrano sempre i sacramenti dell’iniziazione cristiana tutti e tre insieme: Battesimo, Cresima, Eucaristia. Quindi il culmine del cammino del catecumenato che finisce col battesimo nella notte di Pasqua è la partecipazione — nella piena comunione della Chiesa — ai santi e divini misteri. Il Papa, citando gli statuti del Cammino neocatecumenale, che contemplano anche l’Eucaristia come una sorta di catecumenato post-battesimale, situa questa particolare visione dell’Eucaristia soprattutto in vista «di favorire il riavvicinamento alla ricchezza della vita sacramentale da parte di persone che si sono allontanate dalla Chiesa, o non hanno ricevuto una formazione adeguata». È come se il Papa volesse in fondo ricondurre l’Eucaristia da una visione e un contesto di catecumenato verso quel contesto di mistagogia vera e propria che le è specifico. In tal modo intende ricondurre anche l’Eucaristia celebrata dal Cammino neocatecumenale o da qualsiasi altro gruppo o movimento ecclesiale, al contesto ecclesiale fuori dal quale la celebrazione stessa dei divini misteri si vedrebbe privata dal suo fondamento cristologico ed ecclesiologico: «Ogni celebrazione eucaristica è un’azione dell’unico Cristo insieme con la sua unica Chiesa e perciò essenzialmente aperta a tutti coloro che appartengono a questa sua Chiesa. Questo carattere pubblico della Santa Eucaristia si esprime nel fatto che ogni celebrazione della Santa Messa è ultimamente diretta dal Vescovo come membro del Collegio Episcopale, responsabile per una determinata Chiesa locale».

Benedetto XVI ancora una volta ribadisce il ruolo, unico e insostituibile, del vescovo come custode e liturgo della Chiesa. La liturgia non appartiene — magari adattata, modificata, fatta a propria misura — a nessuno, si tratti di persone o gruppi o movimenti, ma appartiene alla Chiesa stessa avendo come garante colui che per l’imposizione delle mani ha ricevuto la pienezza della grazia divina e del dono dello Spirito Santo, per pascere il gregge, per essere colui che “veglia dall’alto” (questo è il senso vero e proprio del termine epìskopos). Oserei dire che la liturgia, in qualsiasi Chiesa cristiana d’Oriente e d’Occidente va rispettata e accolta quasi come i santi doni che si ricevono come tali, come doni, non come qualcosa che ognuno si prende o di cui si serve a propria misura e piacimento. Concludendo il suo discorso, il Papa ricorda al Cammino neocatecumenale — e a tutti i membri della Chiesa — la necessaria fedeltà ai libri liturgici che sono lo strumento che regola la celebrazione liturgica, evita qualsiasi arbitrarietà e soggettivismo e che in fondo sono al servizio della comunione ecclesiale che ne deriva. Il necessario inserimento nella piena vita ecclesiale viene ancora sottolineato dal Papa: «Al tempo stesso, la progressiva maturazione nella fede del singolo e della piccola comunità deve favorire il loro inserimento nella vita della grande comunità ecclesiale, che trova nella celebrazione liturgica della parrocchia, nella quale e per la quale si attua il Neocatecumenato, la sua forma ordinaria». Infine, Benedetto XVI ribadisce il filo conduttore di tutto il suo intervento: «Ma anche durante il cammino è importante non separarsi dalla comunità parrocchiale, proprio nella celebrazione dell’Eucaristia che è il vero luogo dell’unità di tutti, dove il Signore ci abbraccia nei diversi stati della nostra maturità spirituale e ci unisce nell’unico pane che ci rende un unico corpo. La teologia, la liturgia, la comunione ecclesiale. Ecco tre argomenti che stanno a cuore a Papa Benedetto. Nel testo del 20 gennaio sono trattati da teologo? Sì, ma soprattutto da mistagogo che sa portare per mano i fedeli alla vera comprensione dei misteri, nella piena comunione con Cristo nella Chiesa.

Manuel Nin da L’Osservatore Romano

La nuova evangelizzazione in Francia

Maurizio Moscone racconta il riemergere dei cristiani

di Antonio Gaspari

ROMA, sabato, 10 marzo (ZENIT.org).- Sono molti gli articoli ed i rapporti che indicano la Francia come un Paese dove il cattolicesimo sta trovando molte difficoltà.

Dopo oltre due secoli dalla rivoluzione giacobina infatti la secolarizzazione sembra prevalere, ma non mancano segni di speranza e un rinnovato zelo apostolico dei nuovi movimenti e delle famiglie missionarie.

Nel contesto del progetto di rievangelizzazione dell’Europa rilanciato da Roma con l’istituzione del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, ZENIT ha intervistato il professor Maurizio Moscone, docente di filosofia nei seminari diocesani ‘Redemptoris Mater’.

Il prof. Moscone è già stato ad insegnare Filosofia nei seminari di Taiwan, Pola in Croazia e di recente è tornato dal seminario di Tolone in Francia.

Cosa può dirci della situazione della fede in Francia?

Moscone: Sono stato in Francia a tenere un corso di Filosofia presso un seminario cattolico. Sono partito dall’Italia con delle idee sulla Chiesa in Francia, e in generale della vita cristiana, che sono state contraddette dalla realtà.

Pensavo che la Chiesa fosse ricca perché inserita in uno dei paesi più prosperi d’Europa, invece ho scoperto che è povera. Infatti non riceve alcun aiuto finanziario dallo Stato, il quale è proprietario di tutti i templi costruiti fino all’anno 1906 (da questa data in poi sono proprietà della Chiesa) e non contribuisce alla manutenzione degli edifici, per cui quasi tutti necessitano di opere di restauro, vivendo la Chiesa delle offerte di pochi laici, per lo più anziani.

Credevo che la partecipazione alla liturgia da parte dei fedeli fosse analoga a quella riscontrata in Italia, invece sono rimasto colpito dalla loro scarsa presenza.

Parlando con un sacerdote, di una parrocchia che comprende un territorio con circa 28.000 persone, ho saputo che mediamente si confessa un solo fedele ogni settimana e che, in generale, la pratica della confessione in Francia è limitata alle grandi ricorrenze: Natale, Pasqua.

Ho assistito personalmente a un funerale in cui erano presenti molte persone, che, in attesa del feretro, parlavano tra di loro sulla scalinata antistante la chiesa. Quando la bara è stata trasportata all’ingresso della chiesa, nessuno si è fatto il segno della croce e nessuno ha risposto all’invito alla preghiera rivolto dal prete.

Alcuni amici mi hanno detto che questo comportamento è diffuso perché in Francia il popolo è molto secolarizzato e sono presenti anche forme di apostasia.

Ho parlato con diversi sacerdoti e tutti sono stati concordi nel dirmi che la maggior parte dei francesi non è più cristiana e vive in modo pagano: le convivenze sia tra i giovani e che tra gli adulti sono molto diffuse, la famiglia è fortemente in crisi e, di conseguenza, i ragazzi vivono un vuoto esistenziale che spesso cercano di riempire con la droga, il sesso ed espedienti vari per cercare di sfuggire a una situazione di sofferenza per loro insopportabile.

Quali secondo Lei le cause di questa situazione?

Moscone: Visitando le chiese, un aspetto che mi ha colpito è lo stato di degrado in cui, salvo eccezioni, versano. In alcune chiese le statue hanno le teste mozzate, oppure sono prive di statue e di quadri. Conseguenza questa della Rivoluzione francese, la quale per odio alla Chiesa ha non soltanto deturpato, ma anche distrutto molti templi. I rivoluzionari, afferma Pierre Chaunu, membro dell’Institut de France, uno dei maggiori studiosi della storia moderna, “fecero a pezzi le statue di Notre Dame, distrussero Cluny, e quasi tutte le chiese romaniche e gotiche”.

Per un caso fortuito dalla barbarie rivoluzionaria si è salvato il Palazzo dei Papi ad Avignone, dove hanno risieduto i pontefici durante il periodo della cosiddetta “cattività avignonese”.

La costruzione è stata usata come carcere dal 1791 fino al 1810 e successivamente fino al 1906 come caserma militare. L’esterno del palazzo è stupendo e maestoso, ma l’interno è desolante: una lunga serie di enormi stanze completamente vuote, perché gli arredi sono stati distrutti dai rivoluzionari.

Eppure la Rivoluzione Francese è conosciuta come espressione di progresso…

Moscone: La Rivoluzione francese viene presentata ancora oggi nei manuali scolastici, che formano il modo di pensare di milioni persone, come un avvenimento benefico per la Francia e per l’umanità intera, poiché avrebbe liberato gli uomini dalla tirannia della monarchia e dall’oppressione della Chiesa e avrebbe affermato i diritti dell’uomo: égalité, liberté, fraternité.

Molti studi dimostrano l’infondatezza storica dei tanti luoghi comuni sulla Rivoluzione francese che i mass media diffondono. Storici come Jean Tulard, Pierre Chaunu, Paul Hazard e soprattutto François Furet documentano come la Rivoluzione francese non sia stata un evento improvviso, causato dal popolo affamato che si voleva liberare dalla tirannide, ma è stato un evento originato dalle idee elaborate da un’élite di intellettuali che invece di servirsi della ragione come uno “strumento” per conoscere la verità  l’hanno idolatrata trasformandola in oggetto di culto. La ragione ha preso il posto di Dio e l’odio verso Cristo e la sua Chiesa è stato il vero movente che ha animato i capi rivoluzionari, imbevuti di idee illuministiche, come Jaques Danton e Maximilien Robespierre .

Gli studi effettuati da René Sedillot attestano come gli effetti della Rivoluzione francese sulla popolazione sono stati disastrosi: 600.000 morti nelle guerre interne (dei quali 117.000 in Vandea), 400.000 morti nelle guerre esterne, un milione di morti nelle guerre napoleoniche, forte aggravamento del deficit economico, distruzione del patrimonio culturale.

Il danno più grave provocato dalla Rivoluzione è però di carattere spirituale. Come insegna Gadamer esiste una “storia degli effetti”: idee elaborate in epoche passate perdurano nel tempo e fanno sentire i loro effetti nelle epoche successive.

Gli “effetti” delle idee illuministiche radicalmente anti-cristiane e propagate dalla rivoluzione sono la secolarizzazione e l’apostasia silenziosa del popolo francese.

Lei ha notato però segni di risveglio cristiano vero?

Moscone: Di fronte a questa situazione la Chiesa non si chiude in un atteggiamento vittimistico e rinunciatario, ma rilancia la “nuova evangelizzazione”, tramite i nuovi movimenti e le nuove comunità, che, con zelo, annunciano Cristo salvatore.

Dagli anni ’70 – ‘80 operano in Francia realtà ecclesiali missionarie, come Chemin Neuf, Comunità Emmanuel, Rinnovamento nello Spirito, Cammino Neocatecumenale, che hanno portato una nuova linfa vitale nella Chiesa.

La Comunità Emmanuel accoglie persone svantaggiate senza famiglia o emarginate,

Chemin Neuf è una comunità apostolica che si ispira alla spiritualità di Sant’ Ignazio di Loyola e al Rinnovamento carismatico, il Rinnovamento nello Spirito opera nella Chiesa per il rinnovamento della vita cristiana, il Cammino Neocatecumenale è una delle modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana e dell’educazione permanente della fede.

Queste nuove realtà ecclesiali, insieme alla Comunità di Taizé iniziata negli anni ’50, stanno realizzando un “risveglio cristiano vero”: conversioni di adulti e giovani, famiglie unite e aperte alla vita, vocazioni al presbiterato e alla vita consacrata, accoglienza delle persone emarginate e disabili. Tutti segni questi dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa.

Toni Spandri: testimone di Cristo risorto

Un ricordo del catechista itinerante del Cammino Neocatecumenale responsabile della Germania
di Pietro Barbini

ROMA, martedì, 28 febbraio 2012 (ZENIT.org) – Esattamente un anno fa, la sera di lunedì 28 febbraio 2011, a Monaco di Baviera, si spegneva inaspettatamente Antonio “Toni” Spandri, all’età di 67 anni.

Padre di 10 figli, 35 nipoti, catechista itinerante del Cammino Neocatecumenale, era stato responsabile dell’evangelizzazione in Germania e in Olanda. Negli ultimi anni, assieme alla moglie Bruna, seguiva con dedizione la pastorale vocazionale dei seminari Redemptoris Mater e le missio ad gentes.

Nato a Venezia nel 1943 e laureato in legge, Toni dedicò tutta la sua vita al servizio della Chiesa. Fece parte della FUCI e, proprio in quel periodo, cominciò ad interessarsi allo studio della teologia; fu tra l’altro allievo di don Germano Pattaro e, fin da subito si distinse per il suo profondo pensiero teologico.

Toni era convinto che la “battaglia” che i cattolici dovevano intraprendere non era quella dettata dalla forza, impugnando la “spada”, ma quella interiore, ossia, la cosiddetta “buona battaglia della fede”, che doveva essere affrontata attraverso un cammino di “discesa”, alla riscoperta del sacramento del battesimo, alle radici della fede cristiana.

Sentiva che nel trambusto e nella confusione di quegli anni tumultuosi, bisognava fare qualcosa; voleva servire la Chiesa, ma non capiva in che modo. Dopo essersi sposato decise, assieme alla moglie, di andare a studiare teologia a Tubinga, in Germania, con l’allora professor Joseph Ratzinger, che seguiranno poi a Regensburg, quando quest’ultimo si trasferì.

In quegli anni conobbero anche Stefano Gennarini, loro compagno di studi, attraverso il quale verranno a conoscenza dell’esperienza del Cammino Neocatecumenale. Tornati a Venezia i coniugi Spandri introdussero il Cammino nella diocesi veneziana con l’appoggio dell’allora cardinale Albino Luciani, formando la prima comunità neocatecumenale, nella parrocchia di Santa Maria Formosa, della quale Toni sarà eletto responsabile.

Successivamente Toni e Bruna, assieme a Stefano Gennarini, raccontarono la loro esperienza del Cammino al prof. Ratzinger, con il quale si tennero sempre in contatto (nel 2010 Toni e Bruna parteciparono all’incontro annuale che il Santo Padre tiene ogni anno a Castel Gandolfo, incontrando i suoi alunni per tre giorni, i quali, in quell’occasione, suggerirono il “tema” che il Papa adottò per il 2011, ossia, la “Nuova evangelizzazione”).

Nel 1974, colpiti dalla parole del Vangelo “va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”, presero la decisione di lasciare Venezia e di dedicare la loro vita all’evangelizzazione.

Lasciarono dunque tutto quanto era in loro possesso, la redditizia attività ereditata dalle facoltose famiglie e una promettente carriera di avvocato, per Toni, presso l’avviato studio legale del padre.

Abbandonati tutti i loro beni, seguirono Cristo, nella convinzione che solo così avrebbero fatto una vera esperienza di Dio, sicuri che Lui li avrebbe protetti da qualsiasi pericolo e difficoltà e che avrebbe provveduto a tutti i loro bisogni, come d’altronde è stato.

Si recarono dunque nella Germania comunista, dove evangelizzarono per le strade e per le parrocchie, aprendo il Cammino Neocatecumenale con l’appoggio del “loro” professore, Joseph Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco.

Vissero anni difficili, patirono la fame, il freddo e numerosi disagi; attraversarono più volte il check point Charlie, rischiando spesso la vita, e passarono più di qualche nottata in cella interrogati dai Vopos, le guardie comuniste.

Nonostante le numerosissime difficoltà incontrate nel corso della loro vita, le avversità e le non poche tribolazioni patite, la loro fede non vacillò mai, niente e nessuno impedì a Toni e a Bruna di svolgere la loro missione di evangelizzazione, come testimoni dell’amore di Dio.

Proprio alla morte di Toni, la moglie scrisse in una lettera “il Signore, che gli ha donato di portare per 40 anni la Croce di Cristo nell’evangelizzazione, gli ha donato anche di trovare ristoro in Lui! Cristo è veramente risorto!”.

Attraverso la sua vita, Toni ci ha lasciato una grande testimonianza di fede: seguire Cristo non è una “fregatura”, ma Egli veramente ti restituisce cento volte tanto.

La Provvidenza Divina esiste e nella vita di Toni questo era palpabile; il Dio dei cristiani è un Dio della storia, che agisce concretamente nella vita dell’uomo, perché Cristo è Risorto e vivo in mezzo a noi.

Toni Spandri con la sua vita, prima ancora che con le parole, ci ha testimoniato quindi la veridicità delle parole del Vangelo: “Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”.

Don Giussani, primo passo verso la beatificazione

L’annuncio dell’avvio del processo viene dato questa sera da don Carrón al termine della messa per il settimo anniversario della morte, celebrata nel duomo di Milano dal cardinale Scola

ANDREA TORNIELLI da Vatican Insider

Al termine della messa celebrata questa sera nel duomo di Milano dall’arcivescovo Angelo Scola per il settimo anniversario della morte di don Giussani, il suo successore alla presidenza della Fraternità, don Julián Carrón, annuncerà di aver presentato al cardinale la richiesta di aprire la causa di beatificazione del fondatore di Comunione e liberazione.

La richiesta, si legge in un comunicato di CL,  «è stata inoltrata oggi stesso, 22 febbraio 2012, giorno dell’anniversario e festa della Cattedra di San Pietro, attraverso la postulatrice nominata dal presidente della Fraternità canonicamente costituitosi attore di detta causa: si tratta della professoressa Chiara Minelli, docente di Diritto canonico ed ecclesiastico nell’Università degli Studi di Brescia».

«L’istanza – informa il comunicato – è stata presentata all’arcivescovo di Milano − nella cui diocesi è nato, è vissuto e ha operato don Giussani, sacerdote diocesano −, a norma della Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister, 25.I.1983, delle Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis in causis sanctorum del 7.II.1983, nn.11-15, e dell’Instructio Sanctorum Mater, 17.V.2007, Parte II, Titolo I, art. 25 § 1 e 2, affinché l’arcivescovo voglia disporre l’apertura dell’inchiesta informativa diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità di monsignor Luigi Giussani. Dando la notizia, don Carrón si augura che “la Madonna − ‘di speranza fontana vivace’ − ci aiuti ogni giorno a diventare degni delle promesse di Cristo e della immensa grazia che nel carisma di don Giussani abbiamo ricevuto e ancora riceviamo».

Luigi Giussani era nato nel 1922 a Desio. Entrato giovanissimo nel seminario diocesano di Milano, aveva proseguito gli studi e li aveva completati presso la Facoltà teologica di Venegono. Ordinato sacerdote si era dedicato all’insegnamento presso lo stesso seminario, specializzandosi nello studio della teologia orientale, della teologia protestante americana e nell’approfondimento della motivazione razionale dell’adesione alla fede e alla Chiesa. A metà degli anni Cinquanta don Giussani aveva lasciato l’insegnamento in seminario per quello nelle scuole medie superiori, facendo il professore di religione per dieci anni, dal 1954 al 1964, al Liceo classico «Berchet» di Milano.

Sono gli anni della nascita e della diffusione di GS (Gioventù Studentesca). Docente fino al 1990 di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica di Milano, diventerà la guida del movimento di Comunione e Liberazione. Il 16 marzo dello stesso anno, durante la quinta edizione della festa dello Statuto della Regione Lombardia, don Luigi Giussani è premiato con uno dei sedici Sigilli Longobardi assegnati ai cittadini che si sono distinti per particolari meriti sociali.

Don Giussani muore il 22 febbraio 2005 nella sua abitazione di Milano. È il cardinale Joseph Ratzinger a presiedere il funerale nel Duomo di Milano come inviato personale di Giovanni Paolo II. Sepolto nel Famedio del Cimitero Monumentale milanese, la sua salma sarà successivamente traslata in una nuova Cappella, nello stesso cimitero.La tomba di don Giussani è meta costante di pellegrinaggi.

Con l’annuncio di questa sera, si inizia il lavoro della fase diocesana della causa di beatificazione. Soltanto dopo la conclusione di questa prima fase, gli incartamenti del processo verranno inviati in Vaticano, alla Congregazione delle cause dei santi