La buona musica ci porta a Dio e viene dal suo cuore. Innato nell'uomo il senso del trascendente. La creazione uno magnifico spartito scritto dall' Onnipotente. Elogio i neocatecumenali

Non é un mistero che Papa Benedetto XVI, il Pontefice – teologo, sia anche un grande conoscitore di musica, specie di quella sacra e della barocca. Una vita senza musica sarebbe sicuramente monca e, come affermava un grande santo, chi canta bene prega due volte. L’ importante é che questi canti e le relative melodie siano intonate e consoni alle esigenze del sacro, cosa che non sempre accade nelle nostre chiese. Del rapporto divino- musica, discutiamo con Antonello Venditti. Venditti, Papa Benedetto XVI dedica molta importanza alla musica e soprattutto alla sua qualità: ” credo che sia giusto, la musica aiuta a comprendere la celebrazione della liturgia e della messa e quindi ritengo le attenzioni del Papa condivisibili”. La musica ci eleva verso Dio: ” la musica aiuta molto nella ricerca del divino, mi sembra una spinta rilevante, sempre che sia di qualità accettabile. La musica viene dal cuore di Dio e a lui ci porta. …

… Dio é presente dappertutto, nella musica, nella vita, nelle scienze, nella tecnica e trovo assurde quelle pretese di eclissarlo, di farlo passare in secondo piano. Tutti noi abbiamo bisogno di Dio, senza fanatismi, con la forza della ragione. Ma l’ uomo, per natura, tende al senso del trascendente”.

Quando lei sente il racconto della Creazione nel Genesi, che cosa pensa?: ” intanto che la natura é opera di Dio e come tale va tutelata e rispettata. Poi ,che Dio, per fare un paragone musicale che spero mi passerete, ha disegnato uno splendido pentagramma musicale nella creazione. Ora quel pentagramma va eseguito con la maggior fedeltà possibile e senza stonature”.

Nelle nostre parrocchie, talvolta, le arie liturgiche spesso lasciano a desiderare per qualità e aderenza dei testi, che cosa ne pensa?: ” in parte é vero. Ma da chi fa opera di volontariato non é pensabile pretendere sempre il massimo. Ritengo che sulla perfezione e il rigore della musica liturgica, che pure é importante, non ci si debba impuntare e che ogni esperienza va comunque salutata e giudicata con attenzione. Ci sono varie inclinazioni etniche che non é pensabile escludere e pertanto quello che alla fine conta, insieme alla dignità della esibizione, é la comune ricerca del divino. Poi la perfezione non esiste”.

Ma un esperto come lei sa riconoscere il bene dal male: ” le ripeto, quando si tratta di esibizioni volte alla causa di Dio, tutto va incoraggiato. Chiaro, esistono maestri e maestri. Io a messa amo ascoltare le musiche di quel genio che é il Maestro Frisina che, per altro, sta di fronte a casa mia. Ma non tutti sono come lui”. Lei ha parlato della natura come pentagramma divino ed é vero, specie in tempi in cui verso il creato non si porta molta attenzione, avvengono calamità prevedibili ed evitabili con maggior attenzione, le stesse risorse  della terra sono mal sfruttate o in modo ingiusto, a danno dei paesi poveri, nel nome di un feroce capitalismo che non ammette il principio di giustizia sociale o solidarietà: ” Dio ha creato il mondo e la natura perché tutti ne possano godere. Ora sta a noi salvaguardarla”.

Parliamo dei movimenti religiosi: ” li apprezzo. Cito la esperienza dei neocatecumenali che svolgono un buon servizio alla Chiesa con afflato mistico. Una mia conoscente ha radicalmente cambiato vita tra di loro”.

Bruno Volpe – Maddalena Cassano

da Pontifex.roma.it

Battezzati a Roma due catecumeni adulti del Cammino Neocatecumenale

Le testimonianze di Michele, 38 anni, ricercatore, e di Giuliano, 31 anni, programmatore, che hanno ricevuto il Battesimo durante la veglia pasquale a Santa Francesca Romana dopo un lungo cammino di formazione di Marta Rovagna

La scoperta di una nuova esigenza. Della possibilità di vivere una vita radicati in Cristo. Di essere davvero presenti a se stessi. Una grande opportunità per la propria esistenza. Un tesoro che schiude un futuro di gioia. È questo il percorso e il traguardo dei catecumeni che, durante la veglia pasquale, hanno ricevuto il sacramento del Battesimo dopo un cammino di formazione durato diversi anni. Lo hanno compiuto nella parrocchia di Santa Francesca Romana all’Ardeatino, vicino a piazza dei Navigatori. A guidare il gruppo il parroco, don Fabio Rosini, che ha seguito personalmente gli otto catecumeni, provenienti da storie molto diverse.

Tra loro Michele e Giuliano, il primo trentottenne, ricercatore del Cnr e sposato da un anno con Ilaria; il secondo trentunenne, programmatore. Per Michele, figlio di atei, l’approccio al cristianesimo si è verificato in un momento particolare della vita: «Ho perso mia madre nel 2003 e mio padre nel 2005 – racconta – e, grazie a un amico, mi sono avvicinato alla Bibbia che ho iniziato a studiare con interesse. Poi ho conosciuto Ilaria, oggi mia moglie, e con lei, praticante, ho avuto modo di iniziare a conoscere il cattolicesimo». Michele, fino a qualche anno fa, pensava alla religione cattolica come a qualcosa di oppressivo, un modo di vivere e di approcciarsi alla realtà predeterminante. «Non mi ero mai reso conto – ammette adesso – che le mentalità atea e liberale hanno, ugualmente, una forte influenza sulla formazione di una persona, determinando ugualmente l’agire». Non essere stato battezzato, quindi, non ha significato essere «libero di scegliere», ma semplicemente vivere ed essere educato con altri valori e un’altra «bussola». Per Michele l’esperienza del catecumenato, vissuta da tre anni all’interno di una delle comunità neocatecumenali della parrocchia, e poi più specificatamente con il gruppo di catecumeni, è stata la scoperta di «un nuovo modo di stare al mondo e nella realtà, con la possibilità concreta di accoglierla, valorizzarla, cercando di amarla anche quando spiazza e disorienta».

Il catecumenato, pratica antichissima, presente sin dai primi secoli del Cristianesimo, è un percorso che dura diversi anni, finalizzato ad accedere al sacramento del Battesimo. I sacramenti dell’iniziazione cristiana sono amministrati ai catecumeni nel corso della veglia pasquale, dopo un periodo finale, di preparazione, quasi quotidiana, al momento conclusivo del percorso e centrale per il mondo cristiano, la Resurrezione di Cristo.

«Sono cresciuto in una famiglia che ha scelto di non battezzarmi perché non era interessata alla religione – racconta invece Giuliano -. I miei genitori erano più che altro indifferenti. Quando mi sono fidanzato con la mia attuale moglie ho iniziato a frequentare con lei delle catechesi di approfondimento sulle Dieci Parole, i “Dieci Comandamenti”, tenute da don Rosini a Santa Francesca Romana». Il primo impatto è stato forte: «Non ci ero andato con alcuna aspettativa, ma sono rimasto subito colpito – spiega -. Poi tutto è stato quasi automatico. Mi sono reso conto che non mi ero mai guardato dentro davvero e invece, piano piano, ho preso consapevolezza di me stesso». È iniziato così il percorso di catecumenato. «So, e ci dicono spesso – afferma Giuliano – che il Battesimo non è una bacchetta magica, ma è un processo che hai dentro e che cresce nel tempo, ma io mi aspetto una vita nuova, una gioia piena, come quella che ho assaggiato, in alcuni momenti, in questi anni. Come se avessi avuto l’antipasto e ora, ora desidero tutto il banchetto!». Per Michele l’attesa è segnata «da una grande stanchezza per questo periodo di preparazione così intenso, ma anche da tanta gioia. Per uno come me, con un percorso così lungo, per la mia età il Battesimo è un dono veramente prezioso e chiedo la forza di saperlo valorizzare, in modo che Gesù Cristo mi dia la beatitudine e la pienezza che promette a chi Lo segue. La mia speranza – conclude – è di godere di questa gioia».

6 aprile 2010

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Una chiesa sulla montagna dove Gesù parlò delle beatitudini

Ecumenismo La bellezza attrae tutti e il luogo è visitato da ebrei, cristiani e atei

Israele La Domus Galileae voluta dai fondatori dei Neocatecumenali

“Beati gli afflitti”, “beati quelli che hanno fame e sete della giustizia”, beati i perseguitati “per causa mia”: sono le Beatitudini, il discorso più incredibile mai fatto da un uomo dotato di autorità. Il luogo delle beatitudini non è un posto qualsiasi per i cristiani. È anche il monte su cui Gesù aveva dato appuntamento dopo la risurrezione: ed infatti, sempre Matteo, racconta che gli undici “andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato”. Ma dove sta la montagna delle beatitudini? In tutti i principali luoghi della vita, della morte e della risurrezione di Cristo, sono state costruite nel corso dei secoli chiese e basiliche, più o meno importanti, più o meno belle. Sul monte delle beatitudini nulla (o quasi).

Ora non è più così. È stato Giovanni Paolo II, nel suo pellegrinaggio in Israele nel 2000, ad inaugurare la prima parte di quell’inusuale, grande, e modernissima costruzione, che è la Domus Galileae. Sorta su un terreno di proprietà della Custodia di Terra Santa, la Domus è stata voluta dai fondatori del Cammino neocatecumenale Kiko Argüello e Carmen Hernandez. Abbiamo chiesto a don Rino Rossi, cuore organizzatore e padre spirituale della Domus, come mai i cattolici, dopo duemila anni, abbiano deciso di costruire sul monte delle beatitudini un edificio avveniristico, chiamato Domus: “Il Cammino neocatecumenale -risponde- pone il discorso della montagna al centro della nuova evangelizzazione. Naturale che i suoi iniziatori abbiano desiderato di edificare proprio in quel punto una casa per ospitare le comunità in pellegrinaggio in Terra Santa. La Domus, però, non è un centro di accoglienza per i soli cattolici. Da quando Giovanni Paolo II ha celebrato qui un’eucarestia per 50.000 giovani del Cammino provenienti da 72 nazioni, gli israeliani sono stati incuriositi ed attratti da questa nuova realtà che hanno visto in diretta TV a reti unificate. Basti pensare che lo scorso anno sono stati più di 100.000 gli ebrei che ci hanno fatto visita». La Domus si articola su 15.000 mq: un’estensione notevole su cui sorgono, incastrati uno nell’altro, spazi diversi adibiti a funzioni diverse. Quali sono le principali destinazioni degli ambienti della Domus? «Innanzi tutto c’è il Santuario della Parola, cioè il luogo in cui si fa la scrutatio della Bibbia alla presenza del Santissimo Sacramento. Dice Gesù: scrutate le Scritture perché esse parlano di me. Poi c’è la biblioteca: al centro della sala, che è circolare ed è sovrastata da una grande calotta di cristallo, sotto una capanna di vetro è custodita un’antichissima Torah; una chiesa dominata da un’icona gigantesca di 56 mq raffigurante a colori vivissimi il giudizio universale; un auditorium per i congressi internazionali con una vista spettacolare sul lago di Tiberiade. Al centro della Domus c’è un monastero con una cappella per l’adorazione perpetua e, all’interno del monastero, un seminario missionario Redemptoris Mater (uno degli 80 seminari che il Cammino ha costruito in tutto il mondo)». Quali sono i rapporti che legano la Domus alle varie tipologie di chiese cristiane presenti in Galilea? «Il Cammino è un servizio all’evangelizzazione offerto a tutta la chiesa locale nei suoi vari riti: latino, greco-cattolico, maronita ed ortodosso. Di fatto l’ecumenismo di cui tanto si parla, da noi è una realtà della vita di tutti i giorni: sono nate comunità neocatecumenali in tutte le chiese locali, comprese le ortodosse». Quale pensa sia la ragione del successo della Domus al di là di ogni ragionevole aspettativa? «Senz’altro la bellezza. La Domus è un edificio di straordinario impatto estetico e dalla bellezza sono attratti tutti: ebrei, cristiani ed atei. Chi viene, rimane affascinato. Nella sua bimillenaria storia la chiesa ha sempre saputo che la lode a Dio va celebrata con il massimo dell’arte di cui l’uomo è capace. Dopo alcuni decenni di trascuratezza e noncuranza, Kiko e Carmen sono tornati con forza alla tradizione della bellezza cristiana. Non a caso Dostojevsky scriveva: “il mondo sarà salvato dalla bellezza”. La bellezza è Cristo».

di Angela Pellicciari da Il Tempo

Incontro Vocazionale dei giovani del Cammino Neocatecumenale sulla spianata del Santuario del Divino Amore

di Don Antollo Iapicca

Per celebrare i 25 anni della Giornata mondiale della Gioventù, il Santo Padre Benedetto XVI ha riunito a Roma, in piazza S. Pietro circa 75.000 giovani provenienti da 43 diocesi d´Italia, tra questi  quasi 20.000 erano i giovani del Cammino Neocatecumenale.

Ad accogliere il Papa, tra gli applausi dei ragazzi, il cardinale vicario Agostino Vallini: «Sappiamo con certezza che ella ama i giovani e ogni giorno prega per loro, ma vogliamo che sappia che anche i giovani amano il Papa e ringraziano della fulgida testimonianza di fede e amore». La prima Gmg, ha ricordato il cardinale Vallini, «si è tenuta a Roma nel 1985 e ringrazio il Signore perché da quel seme è cresciuto un grande albero i cui rami hanno raggiunto tutti i continenti». Oggi quei ragazzi «sono tutti cercatori di verità e del senso vero da dare alla vita, desiderosi di superare la tentazione dell’incredulità, di maturare una fede personale e convinta».

Commentando il tema della Giornata, ´Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?´ (Mc 10,17), preso dall’episodio del giovane ricco, Benedetto XVI ha detto che “questo racconto esprime in maniera efficace la grande attenzione di Gesù verso i giovani, verso di voi, verso le vostre attese, le vostre speranze, e mostra quanto sia grande il suo desiderio di incontrarvi personalmente e di aprire un dialogo con ciascuno di voi. Cristo, infatti, interrompe il suo cammino per rispondere alla domanda del suo interlocutore, manifestando piena disponibilità verso quel giovane”.

“Gesù – ha continuato il Papa – non si stanca mai di volgere il suo sguardo di amore e chiamare ad essere suoi discepoli, ma Egli propone ad alcuni una scelta più radicale. In quest´Anno Sacerdotale, vorrei esortare i giovani e i ragazzi ad essere attenti se il Signore invita ad un dono più grande, nella via del Sacerdozio ministeriale, e a rendersi disponibili ad accogliere con generosità ed entusiasmo questo segno di speciale predilezione, intraprendendo con un sacerdote, con il direttore spirituale il necessario cammino di discernimento. Non abbiate paura, poi, cari giovani e care giovani, se il Signore vi chiama alla vita religiosa, monastica, missionaria o di speciale consacrazione: Egli sa donare gioia profonda a chi risponde con coraggio!”.

Il giorno seguente all´incontro con il Papa, i giovani del Cammino Neocatecumenale hanno partecipato, insieme agli iniziatori Kiko Argüello, Carmen Hernández e padre Mario Pezzi ad una celebrazione di ringraziamento per i frutti che le Giornate mondiali della Gioventù hanno avuto. L´incontro è stato presieduto dal cardinale vicario Agostino Vallini.

Un momento dell´omelia del card. Vallini

Il cardinal Agostino Vallini ha lungamente incoraggiato i partecipanti a ´non aver paura´ ricordando che la vera felicità è solo nella volontà di Dio.

Al termine dell´incontro poco prima delle chiamate vocazionali, quando Padre Mario Pezzi ha ricordato l´intuizione profetica che 25 anni fa ha avuto Giovanni Paolo II, un lungo applauso ha salutato l´amato Pontefice. 320 ragazzi e 200 ragazze hanno poi risposto alla chiamata rendendosi disponibili ad accogliere la chiamata che il Signore ha suscitato nella loro vita.

I ragazzi vengono benedetti dal cardinal Vallini

Le ragazze vengono benedette dal cardinal Vallini

Carmine, 48 anni: un ribelle dalle lotte contadine al sacerdozio grazie al Cammino Neocatecumenale

Loreto, la storia di Carmine: sacerdote a 48 anni dopo una vita passata con i duri della sinistra. La vocazione avvertita a Parigi alla Giornata della gioventù con Papa Giovanni Paolo II

di Lalla D’Ignazio

LORETO. Primo dei 4 figli di un muratore, Angelo, e di Rita, casalinga, Carmine, geometra con la passione per la terra e i suoi frutti, cercando la giustizia nel mondo ha trovato Dio e si è fatto prete.

Oggi Carmine Di Marco sarà ordinato sacerdote dall’arcivescovo Tommaso Valentinetti nella Cattedrale di San Cetteo a Pescara. Alle 18 indosserà l’abito talare, tappa di un cammino di fede, racconta, cominciato una quindicina d’anni fa tra gli uliveti della sua Loreto, dove è nato 48 anni fa, e sollecitato da domande esistenziali che non trovavano risposta adeguata nella politica, da ragazzo frequentata nella sinistra «dura e pura delle lotte contadine e operaie», nè poi nelle «comuni soddisfazioni della vita, come il lavoro o i soldi».

La «chiamata» arriva nel 1997, d’estate, a Parigi, durante la Giornata mondiale della Gioventù con papa Giovanni Paolo. Ma alla scoperta della vocazione don Carmine arriva per un percorso tortuoso e tormentato. Ragazzo come tanti, famiglia dignitosa «piena di valori», si diploma geometra al Marconi di Penne e poi sceglie la facoltà di Agraria di Perugia, «perchè la terra mi piaceva». Esami a raffica, poi il brusco stop, i primi disagi, la decisione di andare a fare il militare e qui l’incontro con la depressione. «Ebbi una crisi profonda», ricorda, «e non mi salvarono i medici, ma Dio». Il primo più consapevole e adulto avvicinamento alla fede arriva dunque dopo questo periodo buio. «Da giovane ero stato critico con la Chiesa, ma ciò che mi ha tirato fuori dalle difficoltà è stato proprio il Suo insegnamento», è la riflessione che oggi fa.

Allora mantenne «il contatto con Dio» dedicandosi al lavoro. Lavora infatti in una cooperativa agricola, la Scal: «Ero responsabile di vendita di antiparassitari per l’agricoltura e giravo per le campagne, così conoscevo tutti i contadini della mia zona e oltre e amavo stare con loro, mi ritrovavo nei loro valori semplici, legati alla terra. Insomma stavo bene». Ma dopo un po’ qualcosa ricomincia a tormentarlo. «Mi sentivo solo, mi facevo tante domande sulla vita». Domande che si fanno pressanti con la morte di un cugino coetaneo per un tumore alla colonna vertebrale. «Cominciò a farmi sempre male la schiena, la testa correva dietro pensieri cupi: che senso avevano il mio lavoro, il successo, i soldi se poi si muore in un attimo, mi chiedevo». L’incontro con una ragazza cambia le cose. «Fui colpito dal suo sorriso, tanto che le chiesi come facesse a sorridere così. E lei mi portò a una celebrazione di neocatecumeni».

Un approccio che lo portò tempo dopo al pellegrinaggio a Parigi: «Arrivai con un dolore alla schiena fortissimo», ricorda, «ma lì mi “sciolsi” e mi passò. Ascoltai le parole di Kiko Arguello, iniziatore al cammino neocatecumenale, che smosse dentro di me qualcosa di importante».
Stava scoprendo la propria vocazione al sacerdozio. Che lo porta a mollare tutto e ad andare in seminario. Prima a Macerata poi a Managua, in Nicaragua: 5 anni di studi teologici e folosofici, la missione di evangelizzazione nel carcere e sulla strada. Don Paolo, Amilcare e Mayela sono i suoi compagni di viaggio  lungo la costa del Pacifico per «annunciare il Vangelo».

«Lì ho visto la violenza dilagare, il degrado nei quartieri e nelle case, tra incesti,  adulteri, aborti, brutalità, svezzamento nei rifiuti. Capii che la giustizia sociale, che garantire un piatto di riso e fagioli a tutti non era la risposta: ho visto cambiare le situazioni solo con l’annuncio di Cristo. E c’è bisogno di Dio ovunque: ne ha bisogno la madre di 10 figli di padri diversi del Sud del mondo e la madre divorziata e sola in un Paese ricco». Da qualche mese don Carmine è diacono delle parrocchie di San Pietro e Sant’Antonio di Loreto e Passo Cordone, ma da oggi sarà a disposizione come prete diocesiano per ogni missione.

© Copyright Il Centro 24 marzo 2010