Sopraffazione gay, si è superato qualsiasi limite

Sopraffazione gay, si è superato qualsiasi limite

di Riccardo Cascioli da www.lanuovabq.it

Sfilata gay

E’ agghiacciante ciò che accade alla scuola media Gramsci di Torino, come racconta Massimo Introvigne nell’articolo in Primo Piano, ma purtroppo non è un caso isolato. Sempre a Torino c’è stata la pesante intimidazione dei gruppi gay, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi, che hanno costretto la scuola cattolica Faà di Bruno a sospendere un ciclo di incontri riservati ai genitori su famiglia e ideologia di genere. A Venezia invece, apprendiamo che esiste il progetto “A proposito di genere…” dedicato alle scuole materne e primarie, dove gli insegnanti – dopo sei lezioni di “rieducazione” sull’argomento – saranno affiancati in aula da un tutor che li assisterà nel proporre ai bambini il superamento degli stereotipi di genere.

Ma iniziative del genere volte a superare i cosiddetti “stereotipi di genere” ve ne sono ormai in tutta Italia. “Stereotipi di genere”, ovviamente, indica l’antica credenza secondo cui in natura esistono soltanto due sessi e non un numero imprecisato di generi che poi ognuno “indossa” a suo piacimento, anche passando da uno all’altro se ne ha voglia.

C’è insomma una voglia di “Corea del Nord”, di campi di rieducazione sul modello della Cina maoista, che sta invadendo l’Italia, grazie anche ai nostri governanti che – come dimostra l’articolo di Gianfranco Amato nel Focus odierno – hanno pensato bene di pagare tutto ciò con i soldi delle nostre tasse.
Per i lettori più attenti della Nuova BQ non si tratta di una sorpresa: già nel maggio scorso avevamo dato notizia di una “Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale”, a forte orientamento omosessualista, spiegando che la scuola sarebbe stato il terreno principale per imporre questa nuova ideologia. Avevamo anche spiegato che esiste già da anni una rete degli enti locali, chiamata Ready, che funge da coordinamento per promuovere a livello locale quei cambiamenti che poi – si calcola – imporrà ai parlamentari di adeguare la legislazione nazionale.

E’ brutto dire “l’avevamo detto” ma in questo caso è più che giustificato, visto che siamo stati praticamente gli unici a indicare subito il pericolo e la deriva che questa “Strategia” avrebbe significato. Ora però sta arrivando l’ondata di piena, con tanto di aggressione e minacce a chi vuole continuare a sostenere che  in natura esistono solo maschio e femmina e che l’unica famiglia possibile è quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Non è questo un pensiero omofobo, ma una legittima convinzione che trova riscontro peraltro anche nella nostra Costituzione.

Lo abbiamo detto pochi giorni fa, ma lo ripetiamo: si sta instaurando un clima di intolleranza e sopraffazione da parte dei movimenti gay contro chi rifiuta l’indottrinamento, che non può lasciare indifferenti le autorità. Non è possibile chiudere gli occhi davanti a quel che accade e avallare la legge del più forte, saltando a piè pari anche ciò che dice la nostra Costituzione, tanto adulata quando fa comodo quanto bellamente ignorata se la si invoca a tutela della famiglia naturale.

Né si può accettare che l’educazione dei figli venga espropriata ai genitori per favorire l’indottrinamento di stato. E’ una grave violazione della nostra Costituzione e uno scivolamento verso una dittatura gay che in realtà è già iniziata, e senza neanche il bisogno di una legge sull’omofobia. Anche i genitori devono farsi sentire, rifiutare che ai propri bambini fin dalle elementari venga imposta una ideologia contraria ai valori con cui crescono in famiglia.

Libertà di opinione, libertà religiosa, libertà di educazione: tutto viene calpestato pur di affermare una ideologia propugnata da una piccola minoranza, cui si accoda volentieri tutto il bel mondo del politicamente corretto. Cos’altro si deve aspettare prima di intervenire a tutela di cittadini e associazioni che non vogliono fare altro che testimoniare la bellezza della famiglia naturale ed esprimere pubblicamente le proprie convinzioni?

Scuole come campi di rieducazione al gender

Scuole come campi di rieducazione al gender

di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Identità

Nei giorni scorsi per prima «La nuova Bussola quotidiana» e a seguire buona parte della stampa nazionale hanno dato conto di che cosa è vietato nelle scuole torinesi: promuovere incontri per i genitori, anche privati, sui temi dell’ideologia di genere e dell’omofobia, cui un istituto cattolico, il Faà di Bruno, ha dovuto rinunciare dopo aggressioni e minacce della lobby gay. Non è meno istruttivo vedere che cosa è permesso, anzi è obbligatorio.

Il 24 ottobre 2013 è stata pubblicata sul sitowww.direfarenondiscriminare.com, gestito dalla Compagnia 3001, lacronaca di uno dei tanti simpatici eventi allestiti da questa organizzazione nelle scuole piemontesi, questa volta per gli alunni della II B della Scuola Media Antonio Gramsci, Plesso Gobetti di Settimo Torinese, cintura di Torino. Seconda media: cioè, dodicenni. Certo, uno potrebbe pensare che tra Gramsci e Gobetti sia difficile immaginare qualche cosa che assomigli vagamente a un’educazione rispettosa offerta agli alunni cattolici. Ma qui si va molto oltre.

Il sito ci informa – e ci documenta – che «la classe ha voluto allestire una riflessione teatrale come restituzione al tema trattato nel primo incontro relativo alla discriminazione in base all’orientamento sessuale». Le chiamano proprio così: «restituzioni».

Vediamo dunque che cosa «restituiscono» i bambini dopo avere ascoltato una lezione di indottrinamento sul gender. Una bambina attacca: «Amava indossare i pantaloni rosa… era un ragazzo di 15 anni… si è suicidato». Gli altri dodicenni elencano varie discriminazioni, fino a che due bambini esclamano: «Mi chiamano frocio» – «Mi dicono che sono lesbica». E tutti i dodicenni gridano insieme: «basta».

Scena seconda: il Parlamento della Repubblica Italiana. Un bambino interpreta il parlamentare che propone: «Dichiaro aperta la seduta. “In base all’articolo 3 della nostra Costituzione io propongo di riconoscere giuridicamente le unioni civili tra persone dello stesso sesso”. Seguiamo l’esempio dei nostri vicini europei (Francia, Spagna, Regno Unito)…». Applausi. Un’altra piccola parlamentare interviene a favore: «Sono d’accordo! Dobbiamo combattere ogni forma di discriminazione… Tutti devono sentirsi tutelati dalla nostra Costituzione, nessuno può venire escluso perché sceglie di amare una persona del suo stesso sesso». E c’è anche la bambina che fa la parte della parlamentare cattiva: «Io, invece, non sono d’accordo! L’unico matrimonio possibile è quello eterosessuale e l’unica famiglia degna di tale nome è formata da mamma e papà, non da papà e papà o mamma e mamma… e poi cari colleghi pensiamo alle cose serie… l’economia per esempio. Stiamo solo perdendo tempo…».

Un’altra parlamentare buona: «Non è accettabile che, in un paese che si dichiara moderno, le coppie gay non vedano riconosciuti pienamente i loro diritti… il loro amore è forse di serie B? Chi siamo noi per decidere cosa è giusto e cosa non lo è ?». Per fortuna ci è risparmiata la consueta citazione manipolatrice di Papa Francesco, ma forse è implicita. Segue un parlamentare maschio cattivo, sempre interpretato da uno dei dodicenni: «E già, magari, ora approviamo anche una legge che permetta ai gay di adottare dei figli… È un’unione contro natura… ma cosa state dicendo?!! Non sono d’accordo!».

Alla fine si vota. I parlamentari contrari si chiamano – che bei nomi – Paura, Disprezzo, Pregiudizio, Disparità, Diversità ed Esclusione. Ma perdono: almeno in una scuola media è giusto fare interpretare dai ragazzini spettacoli dove vincono i buoni. Interviene il Presidente della Repubblica – beninteso, una bambina – la quale proclama: «Sono orgogliosa di essere il Presidente di un Paese come l’Italia che ha dimostrato di essere uno Stato civile, rispettoso e garante dei diritti di tutti, senza nessuna distinzione. Oggi l’Italia ha mantenuto una promessa: quella dell’eguaglianza… Dichiaro valida la legge che riconosce giuridicamente le unioni civili tra le persone dello stesso sesso!».

I bambini si scatenano. C’è chi dice «Il mio cane può amarmi» e chi «Io posso amare il mio gatto». In attesa di nuovi spettacoli che esplorino queste ulteriori interessanti frontiere – perché fermarsi alle persone dello stesso sesso, chi siamo noi per giudicare chi preferisce i cani e i gatti? – al segnale della professoressa tutte le ragazzine gridano «Sonia può amarmi» e i ragazzini «Fabio può amarmi». E tutti i dodicenni finiscono cantando «A te povero egoista che vivi senza amore – Auguro che il nostro sentire arrivi fino al cuore».

Naturalmente, è prevista la possibilità che i ragazzi delle scuole non se la sentano subito di recitare. Niente paura, sono previsti spettacoli di «tecnologia filosofica» interpretati da adulti con tanto di baci omosessuali,postati in video sul sito tanto perché nessuno possa dire che non era stato avvertito.

Non è un racconto satirico. Succede davvero. A Torino, a bambini di dodici anni. Anche in altre scuole: per esempio alla statale Meucci, in tre classi di seconda media, sono stati proposti uno spettacolo e una discussione sul genere, spiegando che «se il vostro compagno [maschio] domani venisse a scuola vestito di fuxia e paiettes [sic]» nessuno dovrebbe particolarmente stupirsi. Qualche genitore ha protestato, ma è stato messo a tacere o in ridicolo.

Siamo chiari, visto che oggi si dà dell’«omofobo» molto facilmente e gratuitamente. È giusto combattere ogni forma di bullismo nelle scuole, spiegare ai bambini che è odioso insultare, prendere in giro, picchiare i compagni percepiti come «diversi», si tratti di maschietti che sembrano effeminati, di bambine che sembrano mascoline, d’immigrati, di rom. O magari – succede – di cattolici o di musulmani devoti – a Torino ormai in molte scuole i secondi sono più numerosi dei primi – in classi dove nessuno è religioso. Tutt’altra cosa è indottrinare all’ideologia di genere, far mettere in scena da bambini una seduta del Parlamento a proposito di una legge tuttora in discussione, servirsi dei dodicenni per insultare come incivili o vittime di pregiudizi i parlamentari che su quella legge hanno opinioni diverse dagli autori del copione.

E tutto questo succede in scuole pubbliche, a spese dei contribuenti. A Torino come in mezza Italia. Continuerà a succedere, se non fermiamo in tempo questo treno impazzito che corre verso un burrone. E continuerà anche a succedere che, se invece qualche cattolico vuole esporre, civilmente e privatamente, idee diverse, come si è visto nel caso Faà di Bruno, intervengono i Comuni minacciando sanzioni. Con l’applauso anche di cattolici impauriti o complici.

Lunedì della XXXI settimana del T.O.

Lunedì della XXXI settimana del T.O.

Dal Vangelo secondo Luca 14,12-14.

In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”. 

Il commento di don Antonello Iapicca

Ogni relazione, precaria nella friabilità degli affetti e instabile sotto la dittatura degli umori, nasce ferita da un’assenza. Nessuno può dare l’amore che il cuore dell’altro desidera. Invece ci ostiniamo a chiedere al prossimo di saziare i nostri vuoti. «Quando invitiamo amici, fratelli e parenti» ad entrare in comunione con noi ai nostri «banchetti», e sembriamo aprirci alle loro necessità, in realtà «offriamo» sofisticati menù a base di compromessi e ipocrisia; pensieri, parole e gesti come lacci tesi perché ci «invitino a loro volta» nell’intimità. Facciamo dipendere la nostra identità dall’esile filo che ci lega al «contraccambio» degli sforzi profusi per contare qualcosa nel cuore degli altri. Non possiamo vivere senza la loro attenzione, l’indifferenza ci polverizza. Così, ad esempio, diluiamo i «no» che dovremmo dire ai figli e gli permettiamo vestiti e orari inaccettabili, discoteche sature di droga e sesso, vacanze promiscue, gadget costosissimi: li tempestiamo di «inviti» al dialogo per non perdere l’affetto e non dover sopportare ribellione e rifiuto.

Siamo tutti «poveri, storpi, zoppi e ciechi». Abbiamo bisogno di gustare le primizie della «ricompensa» celeste, la vita e l’amore più forti della morte capaci di liberarci dalla paura e dall’esigenza. Il compimento di ogni vita è in Cielo, inutile e dannoso sperare di cambiare i rapporti per perfezionarli qui sulla terra, mentre proprio la precarietà ci impedisce di appropriarcene aprendoci alla beatitudine. Lavorare, studiare, cucinare, lavare e stendere, fare qualunque cosa aspettando o esigendo una ricompensa è stolto e frustrante, perché ci schiaccia sulla carne e ci impedisce di sperare il Cielo. «Beato», invece, è colui che «invita» il prossimo accogliendolo proprio quando non ha nulla per «contraccambiare» perché è allora che il Signore si fa presente provvedendo con più generosità. Siamo chiamati ad “invitare” la moglie quando è più povera e più debole; a perdonarla e a donarci a lei quando la carne la rifiuterebbe perché non vi trova nessuna soddisfazione; come ha fatto Gesù con noi, che ci ha “invitato” quando non avevamo che peccati e ribellioni, non certo qualcosa per contraccambiare. Ma in questo misterioso scambio vi è il Regno di Dio: quando si “invita”, cioè quando ci si apre e si accoglie e ci si dona a chi non ci considera, ci giudica e forse ci disprezza, incapace di camminare e vedere, sperimentiamo il Cielo sulla terra! Questo amore è il segno che esiste la vita eterna, infinitamente più grande, libera e felice di quella della carne. Ogni rapporto è un cantiere aperto al dono di Dio; l’unico modo per vivere in pienezza il matrimonio, la famiglia, l’amicizia e il fidanzamento è accogliere insieme al fratello l’«invito» del Signore alla sua mensa della Parola e dei Sacramenti; e qui lasciarsi sfamare ogni istante dai frutti fecondi della sua «risurrezione», sino a giungere alla nostra, quando saremo “giusti” in virtù della “Giustizia” di Dio, sempre e infinitamente misericordiosa.

Pakistan, nei libri di scuola uccidere i cristiani diventa un “obiettivo formativo”

Pakistan, nei libri di scuola uccidere i cristiani diventa un “obiettivo formativo”

Lo rivela un rapporto di Memri, secondo cui i cristiani sarebbero così aiutati a cercare anche loro il martirio per la fede 

da www.tempi.it

Uccidere i cristiani? In Pakistan, secondo alcuni libri di testo, è un “obiettivo formativo” che aiuterebbe gli stessi membri della minoranza nel paese a cercare il martirio per la fede. Questo emerge, secondo quanto riporta AsiaNews, da un rapporto pubblicato da Memri.

COSTRETTI A STUDIARE IL CORANO. La ricerca afferma che i testi scolastici, che normalmente discriminano i cristiani, sono diffusi «nella maggior parte delle scuole pubbliche primarie pakistane e anche i cristiani e membri di altre minoranze sono costretti a leggerli e studiarli». Nel 2011 è emerso nel paese che anche gli studenti non musulmani sono costretti a studiare l’islam. Nel 2012 la Commissione nazionale di Giustizia e pace della Chiesa cattolica ha pubblicato un rapporto in cui denuncia la legge approvata dal Parlamento del Punjab che rende obbligatorio nel piano studi l’apprendimento del Corano.

DISCRIMINAZIONE SUL LAVORO. Secondo quanto da Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale pakistana, «i cristiani sono discriminati non solo a scuola ma anche sul luogo di lavoro, dove è quasi impossibile che ottengano promozioni proprio a causa della loro fede».

«Mia madre non era malata ma l’hanno uccisa con l’eutanasia». In un film la verità sugli abusi della legge in Belgio

«Mia madre non era malata ma l’hanno uccisa con l’eutanasia». In un film la verità sugli abusi della legge in Belgio

Nel documentario di Pierre Barnérias medici e parenti delle vittime raccontano la realtà della “buona morte”. Che permette veri e propri «omicidi camuffati»
di Leone Grotti da www.tempi.it 

eutanasia-beglio-documentario2La mamma di Marcel Ceuleneur (nella foto con la nipote) non era in fase terminale, anzi, non era neanche malata, salvo gli acciacchi dell’età avanzata, e non soffriva di dolori insopportabili. Eppure «le hanno fatto l’eutanasia, anche se la sua situazione non soddisfaceva i criteri stabiliti dalla legge». Quello della madre di Marcel è solo uno dei tanti casi di eutanasia in Belgio, in costante crescita negli anni e legale dal 2002: se “appena” 235 persone vi hanno fatto ricorso nel 2003, nel 2011 sono diventate già 1.133.

LAVAGGIO DEL CERVELLO. Dopo le tante testimonianze raccolte da rapporti indipendenti sull’abuso dell’eutanasia nel paese, dove solo il 20 per cento dei casi viene dichiarato, è uscito da poco un documentario intitolato “Eutanasia, fino a dove?” (si può vedere qui, in francese) che raccoglie storie e testimonianze, come quella di Manuel, che documentano l’abuso della legge. Manuel è un sindacalista che non aveva mai avuto niente da ridire sulla “buona morte”, fino a quando non ci è passata sua mamma. «Io ero contrario all’eutanasia di mia mamma – racconta nel documentario realizzato dal giornalista Pierre Barnérias – il suo medico di fiducia era contrario, così come tutta la mia famiglia. Lei non aveva mai parlato di eutanasia, per giunta, se non dopo aver conosciuto un medico che le ha fatto il lavaggio del cervello e l’ha uccisa senza che ci fossero le precondizioni stabilite dalla legge. La verità è che dicono che vale solo in certi casi, ma poi succede tutt’altro».

CONTROLLORI NON CONTROLLANO. Secondo la legge solo un malato in fase terminale e senza speranze cliniche, attraverso ripetute domande scritte, dopo la valutazione di un secondo medico e di una équipe di infermieri può ottenere l’eutanasia. Ma secondo quanto dichiarato nel documentario dalla presidente della Commissione di controllo che deve assicurarsi che la legge non venga abusata, «noi riceviamo direttamente le dichiarazioni dei medici, che spesso sono compilate in modo incompleto. Purtroppo, non abbiamo la possibilità di valutare il numero reale di casi di eutanasia praticati nel paese». La Commissione, infatti, valuta i rapporti inviati dai medici e non è in grado di fare controlli indipendenti.

eutanasia-beglio-fino-a-doveALTRO CHE AUTODETERMINAZIONE. Etienne Montero, docente alla facoltà di Diritto di Namur, capitale della Vallonia, conferma che «non si può controllare l’eutanasia, l’ha ammesso la stessa Commissione di controllo. È chiaro che un medico che va contro la legge non si denuncia da solo: o non riporta alla Commissione il caso di eutanasia o riempie male i moduli o li falsifica. Secondo uno studio recente, solamente in un caso di eutanasia su due è stato raccolto il consenso scritto dei pazienti. Questo è illegale. L’ideologia alla base di questa legge è il rispetto dell’autonomia e dell’autodeterminazione, ma è evidente che viene contraddetto ogni giorno nei fatti».

«SAREMMO TUTTI ASSASSINI». Lo sanno bene gli stessi medici che praticano l’eutanasia. Il dottor Marc Cosyns, intervistato nel documentario, afferma: «La legge sull’eutanasia belga è molto simile a quella olandese. Ma non è così rigida, si può interpretare molto da caso a caso. Il problema più grande del Belgio è che ci sono dei pazienti dementi o malati mentali che non possono più esprimere il loro consenso. Per loro oggi è impossibile applicare l’eutanasia rispettando la legge e quando lo si fa, non si dichiara niente al governo. È chiaro che questa cosa è un po’ illegale, infatti bisogna cambiare il sistema perché attualmente potremmo essere tutti definiti dalla legge assassini. Noi invece facciamo solo quello che i pazienti ci chiedono».

IL RACCONTO DELL’INFERMIERA. Claire-Marie Le Huu, infermiera belga conferma in video la leggerezza con cui viene somministrata la “buona morte”: «Ho assistito a tanti casi di eutanasia somministrata in modo illegale. In uno dei primi, un anestesista una volta mi ha chiesto di aiutarlo con una persona che aveva chiesto di morire. Io mi sono rifiutata perché quell’uomo non soffriva assolutamente in maniera insopportabile e non c’erano i requisiti previsti dalla legge. L’ho detto ai miei capi, ma dalle loro risposte evasive ho capito che era una pratica consolidata. Quell’uomo alla fine è morto e come lui tanti altri. Spesso non c’è nessuna richiesta scritta: si chiede alle persone tre volte se vogliono l’eutanasia invece che le cure palliative, e la loro risposta orale è considerata sufficiente».

EUTANASIA PER L’EREDITÀ. Uno degli argomenti usato spesso contro l’eutanasia in Belgio è che può portare a veri e propri omicidi legalizzati, convincendo persone anziane e sole che la morte è la scelta migliore, facendole sentire un peso per la società e la famiglia. Una storia simile raccolta nel documentario viene racconta da Catherine (foto sopra), signora anziana che preferisce mantenere l’anonimato totale: «Dopo la morte di suo marito, mia sorella è rimasta sola. Era anziana, i suoi due figli medici la controllavano spesso e quando si sono accorti che un uomo andava sempre in casa sua per farle i lavori di casa, hanno avuto paura che lei dilapidasse tutti i risparmi che aveva. Per questo l’hanno convinta a fare l’eutanasia. Avevano tutti i moduli in ordine, tranne il fatto che mia sorella non era malata. Io poi non sono neanche stata informata della sua scelta. La verità è che i figli hanno deciso per lei e l’hanno fatto per avere la sua eredità. Una legge che permette queste cose è una mostruosità totale».

GIUDICI IMPOTENTI. Se la signora non si è rivolta ai tribunali, Marcel (foto a fianco) ha provato a chiedere giustizia per sua mamma. «Primo ho scritto a due ministri della Giustizia, che mi hanno ignorato, poi ho chiesto alla commissione di controllo di indagare ma non hanno fatto nulla». Per questo si è rivolto ai tribunali, ma dopo quattro anni di procedure i giudici hanno rigettato la sua richiesta: la madre aveva espresso il suo consenso al “trattamento”. «È tutta una farsa – commenta sconsolato Marcel – i giudici non si metteranno mai contro un sistema consolidato. Per cambiare la situazione basterebbe che la Commissione di controllo facesse il suo lavoro: controllare l’eutanasia. Ma non lo fanno».

«LIBERTÀ DI MORIRE?». Pierre Barnérias, che si è avvalso dell’aiuto di due giornalisti per realizzare il documentario, ha lavorato per 23 anni per diversi televisioni francesi come France 2, France 3, TV5 Monde, TF1 e molte altre. Dopo aver realizzato il documentario l’ha proposto a tutte le televisioni belghe e francesi ma nessuna ha voluto mandarlo in onda. Per questo ha deciso di pubblicarlo lo stesso su internet: «Sono rimasto perplesso dal rifiuto delle televisioni di mandare in onda la mia inchiesta – afferma in un’intervista – Ci ho messo due anni, dal 2011 al 2013, e ho raccolto testimonianze incredibili, di veri e propri omicidi mascherati. Il mio obiettivo non era quello di bloccare la legge, ma solo di far riflettere sulla libertà di morire e sul potere incontrastato di cui godono i medici».