da Baltazzar | Nov 6, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Famiglia
Denise divorzia dal marito e sposa il suocero, anche se la legge lo vieta. Ora si batte per vedere riconosciuta la sua unione, in linea con «il clima di libertà» introdotto dalla legge sul matrimonio gay
di Leone Grotti da www.tempi.it
Denise, 66 anni, ha chiesto ieri alla Corte di Cassazione francese di convalidare il suo matrimonio con Raymond durato 22 anni. A rendere complessa la relazione, come rivelato dal Figaro, è il fatto che Raymond è suo suocero, il padre del suo primo marito, da cui ha divorziato. Il primo marito di Denise ha ottenuto l’annullamento del loro matrimonio in primo e secondo grado in base all’articolo 161 del codice civile francese, che vieta «il matrimonio tra parenti, discendenti e ascendenti, in linea diretta».
PROBLEMA DI EREDITÀ. Denise ha divorziato dal marito nel 1980 dopo 11 anni di matrimonio e la nascita di una figlia e si è sposata con il suocero nel 1983 con l’aiuto del sindaco del piccolo villaggio di Alpes de Haute-Provence, per quanto illegale. L’ex marito ha chiesto l’annullamento del matrimonio dell’ex moglie con il padre nel 2005, quando Raymond è morto e si è posto il problema della successione. Secondo l’avvocato della donna «all’ex marito della mia cliente interessa solo l’eredità. Ma lei invece è arrivata fino in Cassazione per far riconoscere la sua bella storia, il suo matrimonio d’amore». Se il matrimonio sarà giudicato valido, la donna erediterà le sostanze di Raymond, altrimenti toccheranno al figlio dell’uomo.
NON CONTA SOLO L’AMORE? Se il problema dell’eredità è al centro di questa complessa causa familiare, il tentativo della donna va più in profondità: se l’unica cosa che conta in una relazione è l’amore, come dice anche la nuova legge approvata in Francia “Matrimonio per tutti“, perché dovrebbe valere per le coppie gay e non per i parenti? Guidata da questo spirito, Denise si è detta pronta a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo facendo leva sull’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che garantisce la libertà di matrimonio.
EVOLUZIONE DELLE FAMIGLIE. L’avvocato generale Léonard Bernard ha intanto chiesto alla Cassazione di negare la richiesta di Denise a vedersi riconosciuto il matrimonio con il suocero perché «al di là di un contesto di evoluzione familiare e dei costumi incontestabile, al cuore del problema c’è l’interesse dei figli», che il già menzionato articolo 161 del Codice civile francese protegge permettendo di avere «punti di riferimento generazionali e relazionali chiari». Ma secondo l’avvocato della donna questo modo di ragionare è «paradossale e in contrasto con il clima di libertà» introdotto dalla legge Taubira sui matrimoni gay.
da Baltazzar | Nov 6, 2013 | Biopolitica, Flatulenze, Segni dei tempi
Intervista a Alex Schadenberg, direttore della Coalizione per la prevenzione dell’eutanasia: «Cosa ci stiamo perdendo? L’esserci, l’essere amati, sostenuti, accolti così come siamo»
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it
Ai bambini deve essere riconosciuto il diritto di morire, come sostengono coloro che in Belgio vogliono legalizzare l’eutanasia dei piccoli e delle persone affette da demenza. «Ma come si fa a chiamare diritto una cosa che un bambino o una persona malata non è nemmeno in grado di chiedere?». Alex Schadenberg (nella foto), direttore esecutivo della Coalizione per la prevenzione dell’eutanasia, spiega a tempi.it che «quello che sta accadendo in Belgio è simile a ciò che è già successo in Olanda».
Si è riaperto il dibatto sulla legge che legalizza l’eutanasia. Ora è permessa sopra i 18 anni, ma c’è chi sostiene che anche un bambino debba potersi autodeterminare.
La strategia è identica ovunque. Anche in Olanda hanno cercato di cambiare la legge per adeguarla a quello che già accadeva: c’erano medici che uccidevano i bambini e che volevano una tutela giuridica. Così, anche se l’eutanasia non è legale sotto i 12 anni, è stato elaborato un protocollo che, di fatto, la permette. Ora in Belgio si è riaperta la discussione per la presenza di dottori che già praticano l’eutanasia infantile e che vogliono una norma per essere protetti.
Non dovrebbero essere puniti dato che la violano?
In una democrazia dovrebbe succedere così, invece lo Stato cerca di coprirli andando contro le sue stesse norme. Non a caso, molti episodi di eutanasia non vengono riportati come tali.
Il protocollo olandese come riesce a giustificare un gesto simile?
Il protocollo serve per uccidere i bambini disabili in generale, per questo parla di porre fine anche alla eventuale sofferenza futura. Significa che se il bimbo è sereno, il genitore può comunque domandare l’eutanasia sulla base di un possibile disagio che verrà. Così si possono uccidere i bambini affetti da demenza o da spina bifida, anche se possono crescere e vivere in maniera serena. Basterebbe un po’ di amore. Invece così non c’è possibilità di salvezza, nemmeno per un bambino con un ritardo mentale che non emerga nella diagnosi prenatale. Significa eliminare tutti coloro che non sono capaci di produrre. È un’idea utilitaristica asfissiante, per cui le persone valgono a seconda delle loro capacità, di quanto “sanno fare”.
Cosa intende?
Così emarginiamo tutto ciò che non è ritenuto un produttore dei valori stabiliti dalla società attuale. Ma attenzione, cosa ci stiamo perdendo? L’esserci, l’essere amati, sostenuti, accolti così come siamo dovrebbe essere un bene insindacabile che tutti possono riconoscere.
E invece?
Questi valori sono stati sostituiti dal business, di cui però non si fa mai apertamente menzione. Anzi, lo si chiama compassione per nasconderne la presenza. Credo che la nostra società, che parla molto di tolleranza, debba rispondere senza ipocrisia a una domanda sul suo ruolo: vogliamo rifiutare i deboli uccidendoli o accoglierli facendoli sentire amati? Perché è questo il vero problema: se vogliamo amare o no.
da Baltazzar | Nov 6, 2013 | Chiesa, Famiglia, Papa Francesco
“Rispetto per i gay, la Chiesa non esclude nessuno” dice monsignor Forte. Il aboratorio della Chiesa del dialogo di Francesco che consulta i laici sulle grandi sfide
GIACOMO GALEAZZI
da Vatican Insider
Unioni gay, sacramenti ai divorziati risposati, contraccezione, coppie di fatto, adozioni omosex. Una consultazione di base a tutto campo e senza precedenti per fotograre la Chiesa mondiale e affrontare le sfide del terzo millennio globalizzato.
Il Papa vuole rendere “permanente” il lavoro del sinodo, rafforzando così la funzione di questo strumento creato al Concilio Vaticano II, afferma il segretario del sinodo, monsignor Lorenzo Baldisseri, nominato di recente da Francesco, che, presentando il sinodo straordinario sulla famiglia voluto da Bergoglio nel 2014 (al quale seguirà un’assemblea ordinaria nel 2015) ha spiegato, in risposta ad una domanda dei giornalisti sull’ipotesi che anche delle famiglie partecipino: “Qui si tratta del sinodo dei vescovi, non del sinodo dei laici.
E’ stato costituito così da Paolo VI appena tre mesi prima la chiusura del Concilio vaticano II per una partecipazione maggiore dei vescovi del mondo al governo della Chiesa”. In questo senso, ci sono “discussioni che possiamo anche fare”, ma “non è previsto che ci sia una ristrutturazione che possa includere anche una formulazione diversa istituzionalmente da quella esistente”. Invece, “il Santo Padre ha parlato di metodologia e di forma permanente di consultazione. Per avere una collaborazione più stretta c’è bisogno di un organo permanente, il sinodo, ma notiamo, a distanza di 50 anni, che c’è bisogno di una forumlazione più dinamica, ma sempre nella strutturazione come nata”. All’assise parteciperanno uditori laici (“le donne saranno in gran numero”, assicura Baldisseri) e si discuterà di una pluralità di temi (“incluso l’incesto”, osserva Monsignor Bruno Forte).
Ma sulle modalità di consultazione della base ci sono diversità di approccio nelle conferenze episcopali nazionali: quella inglese ha subito messo “On line” il questionario con possibilità di risposte anonime alle 39 domande, mentre quella statunitense assegna ai parroci il compito di fare la sintesi della sensibilità nel “popolo di Dio”. Insomma, il Sinodo diventa un cantiere aperto, un laboratorio per la Chiesa di domani. «La dottrina del magistero dev’essere la base del Sinodo, senza questo non si può lavorare».
Il relatore generale, cardinale Peter Erdo, arcivescovo di Budapest, ribadisce che dalla sessione non si dovranno attendere cambiamenti nella dottrina cattolica sulla famiglia, quanto piuttosto l’avvio di atteggiamenti pastorali diversi.«Non abbiamo voglia di riaprire tutto il discorso sulla dottrina cattolica – ha detto oggi in una conferenza stampa -, ma in base all’approccio pastorale vogliamo guardare a tutte le situazioni». Anche da qui nasce l’idea di inviare a tutte le Chiese locali il questionario in cui si chiedono ai fedeli opinioni anche sulle coppie di fatto, sulle unioni gay, sul comportamento da tenere verso i divorziati e risposati.
«Non è sono una questione di opinione pubblica – ha aggiunto il cardinale Erdo -. Già Gesù Cristo, quando parlava del matrimonio diceva cose provocatorie, i discepoli erano sorpresi di quello che diceva il maestro, e noi siamo discepoli di Gesù». La proposta cristiana sulla famiglia non è mai contro qualcuno, ma “sempre ed esclusivamente a favore della dignità e della bellezza della vita di ogni uomo e per il bene dell’intera società”, evidenzia l’arcivescovo Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo spiegando che nell’occasione «non si tratta di dibattere questioni dottrinali ma, da parte della Chiesa, di mettersi in ascolto dei problemi e delle attese che vivono oggi tante famiglie», agendo «con taglio pastorale» secondo la richiesta da parte del Papa di mostrare «attenzione, accoglienza e misericordia».
Il Sinodo straordinario sulla famiglia dovrà tradursi in «un ascolto ampio e profondo della vita della Chiesa e delle sfide più vive che ad essa si pongono», per «maturare proposte affidabili da offrire al discernimento del Papa» cui spetta «la decisione ultima, per il bene della Chiesa e della famiglia umana, al cui servizio essa si pone». In tal senso, «l’attezione prioritaria va rivolta alla evangelizzazione», ribadisce monsignor Forte, visto che «la Chiesa non esiste per se stessa, ma per la gloria di Dio e per la salvezza degli uomini, cui è chiamata a portare la gioia del Vangelo».
L’impostazione è all’insegna della massima apertura e disponibiltà al confronto. «Non si possono rifiutare i fidanzati cattolici che vogliono celebrare il vero matrimonio davanti alla Chiesa per il solo motivo della loro scarsa religiosità o per la scarsità o mancanza della loro fede religiosa», sottoline ail cardinale Erdo- .Come insegna Giovanni Paolo II, voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi».
Un punto fermo che Francesco ha ribadito è “il rispetto per ogni persona umana e dunque anche per i gay- precisa mosnignor Forte- Naturalmente l’atteggiamento pastorale nei confronti di tutto questo mondo deve essere approfondito rispetto alle nuove sfide. Non abbiamo la risposta già pronta”. Per questo il Pontefice chiede “ai vescovi di tutto il mondo un aiuto e discernere possibilita’ di accoglienza e comprensione nella fedelta’ alla visione della famiglia dove un uomo e una donna si uniscono e procreano dei figl”.
Questo è “il messaggio fondamentale che la Chiesa da’ sulla famiglia” ma ”questo non vuol dire in nessun modo discrimanare altri. vuol dire annunciare un Vangelo e cercare di capire tutte le situazioni alla luce di quello che e’ il cuore del Vangelo che e’ il rispetto della coscienza della persona”.
da Baltazzar | Nov 6, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Famiglia, Libri, Segni dei tempi
Avevo deciso di non trattare l’argomento per evitare di incorrere in possibili inconvenienti, ma poi ho pensato, da che cosa devo guardarmi, alla fine sono soltanto un“ripetitore”, come quegli strumenti che negli anni 70 si mettevano in un punto più alto del paese per poi far arrivare il segnale sui tetti delle varie case provvisti di televisore.
Quindi mi appresto a ripetere, cominciando dall’ottimo convegno organizzato da Alleanza Cattolica, il 5 ottobre scorso a Milano su “Ideologia del gender e unioni civili omosessuali. Un itinerario contro la famiglia”. Sono intervenuti di fronte a una sala gremita di quasi quattrocento persone, il reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica Massimo Introvigne, Assuntina Morresi, Domenico Airoma, Alfredo Mantovano e Tugdual Derville, portavoce de La Manif Pour Tous. Subito dopo il convegno è proseguito con la tavola rotonda con la partecipazione di alcuni rappresentanti politici, dal senatore Maurizio Sacconi agli onorevoli Eugenia Roccella, Alessandro Pagano e Gregorio Gitti, moderatore il giornalista Andrea Morigi. Il convegno oltre a discutere della proposta di legge sull’omofobia, presentata come necessaria per proteggere gli omosessuali da violenze e aggressioni, che vanno certamente condannate senza riserve e punite severamente. Intendeva prendere in esame la nuova ideologia del “Gender”, apparsa negli ultimi anni, una vera “rivoluzione antropologica”.
A questo proposito papa Benedetto XVI in un discorso alla Curia Romana, del 21 dicembre 2012, ricorda le parole famose della teorica del femminismo francese, Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne nait pas femme, con le devient”)In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma ‘gender’, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è un dato originario della natura e che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi”.
In pratica questa è una nuova rivoluzione che può essere vista come una delle più grandi sfide a cui la Chiesa deve affrontare nella sua storia. Naturalmente non solo la Chiesa, ma l’ideologia del gender minaccia tutta la società e la persona umana stessa.
“La profonda erroneità – afferma Benedetto XVI – di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela”. Peraltro per Benedetto XVI si tratta di una rivolta contro Dio e così “non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: ‘Maschio e femmina Egli li creò’ (Gen I,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschi e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà”. E’ una scelta faustiana dove l’uomo concreto muore: “Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale”. Ognuno con la sua libertà si fa da solo e così si giunge “a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio”.
Per avere un quadro più completo della questione propongo un testo che ho letto in questi giorni, si tratta di Paper Genders, il mito del cambiamento di sesso, di Walt Heyer, pubblicato quest’anno dalla casa editrice milanese, Sugarcoedizioni (pp. 169, e 16,80)
L’autore nell’introduzione ci tiene a scrivere che il libro non è stato patrocinato da nessuna organizzazione o movimento politico o aggregazione ecclesiale, ma è stato imposto dalla sua esperienza personale,“vissuta in netto contrasto con l’imperversante esaltazione del successo del cambiamento di genere da parte dei media e dei gruppi attivisti”. Continua Heyer, “ciò che mi ha spinto a scrivere questo libro è stato il mio desiderio personale di aiutare le persone trasngender, facendo luce sul lato oscuro del cambiamento di genere”.
Per i lettori del libro Heyer ricorda che “I disturbi dell’identità di genere (Gender Identity Disorders – GID) sono complessi e non ancora del tutto compresi”. Infatti il libro, proprio per l’argomento, ha una valenza abbastanza scientifica e specialistica, che riguarda le più disparate problematiche mediche e psicologiche.
Sempre nell’introduzione, Heyer sostiene che chi“cambia genere non dovrebbe essere disprezzato o vessato solo perché noi non siamo in grado di comprendere le sue sofferenze (…)Per evitare il suicidio e il rimpianto ha bisogno di sostegno, compreso quello dei medici e psicologi che lo sorreggono nell’estenuante conflitto, che evolve verso una crisi dell’identità di genere”.
Pertanto secondo Heyer “il tasso di suicidi tra i trans gender risulta essere di quasi il dieci volte superiore a quello della popolazione generale”. Heyer nel testo mette in discussione la procedura di “chirurgia del cambiamento di sesso”, “un termine fuorviante, perché è impossibile cambiare, attraverso la chirurgia estetica e gli ormoni, il genere di nascita di chiunque. Sulla carta, però, il cambiamento si può eseguire facilmente e, in effetti, è solo qui che si registra il cambiamento di sesso: sui certificati di nascita e sulle patenti di guida”. Ecco perché Heyer li chiama paper genders (generi sulla carta), perché l’unico cambiamento avviene sulla carta.
Il libro ripercorre tutto il programma di chirurgia del cambiamento di sesso a partire da chi ha iniziato l’esperimento, il dott. Alfred Kinsey, proseguito da Harry Benjamin e poi da John Money, tutti legati da un filo comune, la pedofilia. Il testimone successivamente passò al dott. Paul Walker. Ad oggi scrive Heyer negli Stati Uniti si trovano circa venti chirurghi che eseguono interventi sui genitali per cambiare sesso.
Heyer desidera che la pubblicazione del libro favorisca una nuova comprensione del fenomeno e serva come guida per la prevenzione dei suicidi delle persone trans gender. Il libro smaschera il facile ottimismo che è stato ad arte veicolato dai mass media intorno al cambiamento di genere, ma che molti si pentono, non lo diranno mai.
di DOMENICO BONVEGNA
da Baltazzar | Nov 6, 2013 | Cultura e Società, Testimonianze
di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it
Qualche volta basta la parola. È stato sufficiente leggere il nome di Chiara Atzori tra i relatori di un ciclo d’incontri privati per i genitori della scuola cattolica Faà di Bruno di Torino per scatenare la violenta aggressione degli attivisti Lgbt, che ha indotto l’istituto a sospendere l’incontro e l’Arcidiocesi di Torino a protestare energicamente per il tentativo d’imporre su queste materie un pensiero unico, censurando in modo preventivo chiunque proponga idee diverse da quelle della lobby gay. La dottoressa Atzori è di professione infettivologa: è stata subito accusata di considerare l’omosessualità una malattia infettiva, ridicolizzata e insultata. A differenza degli attivisti gay, abbiamo chiesto notizie sulla sua posizione non a qualche sito Internet Lgbt, ma direttamente alla dottoressa Atzori.
Dottoressa, Lei lavora come infettivologa e tiene conferenze sull’omosessualità. Significa che considera l’omosessualità una malattia infettiva?
L’accusa è talmente ridicola che non meriterebbe risposta. Sì, da vent’anni lavoro come infettivologa, e non sento il bisogno di scusarmene. Sono specialista di Aids e di altre malattie sessualmente trasmesse, che sono purtroppo tragicamente diffuse anche nella comunità omosessuale. Le ho studiate sul campo, anche negli Stati Uniti e in Africa, e ho partecipato a numerosi convegni internazionali. Ho molti pazienti omosessuali, che mi onorano della loro stima e spesso della loro amicizia. Non ho mai affermato che l’omosessualità sia una malattia.
Lei è stata dipinta come «la Nicolosi italiana», con riferimento allo psicoterapeuta statunitense dottor Joseph Nicolosi, sostenitore di una «terapia riparativa» per gli omosessuali che in Italia sarebbe «vietata» dall’Ordine degli Psicologi. È così?
Due precisazioni. Primo: non sono una psicoterapeuta. Secondo: il mio contatto con il dottor Nicolosi consiste nell’avere scritto dieci anni fa la prefazione all’edizione italiana di un suo libro. Nicolosi, però, non è un pazzo. Le sue teorie non sono certo condivise da tutti, ma è tuttora membro dell’American Psychiatric Association e invitato a parlare in convegni in tutto il mondo. L’Ordine degli Psicologi italiano, il cui presidente – candidato alle elezioni regionali pugliesi con la Lista di Vendola – è anch’egli non poco controverso per le sue posizioni militanti, non ha titolo a «vietare» alcunché e le sue raccomandazioni non hanno forza di legge.
Ma davvero questa «terapia riparativa» consiste nel «guarire» i gay dall’omosessualità intesa come malattia?
Altre sciocchezze. La terapia riparativa non è proposta ai gay, che per definizione sono gli omosessuali contenti e soddisfatti della loro condizione. È nata per un altro tipo di persone: coloro che sperimentano in sé un orientamento omosessuale indesiderato, che vivono con disagio e incertezza. Queste persone sono più numerose di quanto si creda, e gli psicologi che piacciono al presidente dell’Ordine italiano propongono loro la terapia Gat – «terapia affermativa gay» – la quale parte dalla premessa che il loro disagio nasca dall’interiorizzazione dell’omofobia presente nella società, e cerca di guidarli a superarlo vivendo positivamente la propria omosessualità. È certamente possibile che per qualcuno le cose stiano così, ma quella che non mi convince è l’affermazione dogmatica che dev’essere così per tutti, che tutte le persone incerte sulla loro identità sessuale sarebbero gioiosamente omosessuali se solo la società non fosse omofoba. L’alternativa alla Gat è la terapia riparativa, dove la parola «riparativa» non implica che in queste persone ci sia una qualche malattia da «riparare». La parola viene dal linguaggio psicanalitico, e ipotizza che l’omosessualità non desiderata sia un tentativo («sintomo riparativo» in psicanalisi) messo in atto dalla persona per ritrovare la propria identità sessuale dalla quale si è, per i motivi più variegati, inconsapevolmente distaccata. Può darsi che l’ipotesi non sia confermata. La terapia riparativa intende semplicemente esplorarla, su richiesta – lo ripeto ancora una volta – di queste persone che vivono una situazione d’incertezza.
Perché, allora, gli attivisti Lgbt ce l’hanno con Lei più che con altri?
Forse perché rompo un falso consenso secondo cui l’orientamento omosessuale è sempre per definizione bello, buono e felice, secondo cui esistono solo gay allegri e militanti e non anche persone incerte e a disagio. Questo falso consenso oggi cerca di esercitare un’egemonia su tutta la cultura. Mi sono sempre appassionata all’egemonia per una ragione di famiglia: Antonio Gramsci, il teorico comunista italiano dell’egemonia, era un mio pro-prozio. Ma mi consenta di dire che perfino Gramsci era più democratico e tollerante delle lobby Lgbt di oggi.