Sayeeda Warsi, il ministro inglese che difende (da musulmana) i cristiani: «Rischiano l’estinzione»

Sayeeda Warsi, il ministro inglese che difende (da musulmana) i cristiani: «Rischiano l’estinzione»

di Emmanuele Michela da www.tempi.it

Originaria del Pakistan, si occupa delle comunità religiose per il governo Cameron. E denuncia le persecuzioni nel mondo islamico, dove spesso «essere cristiani vuol dire rischiare la vita» 

warsi_sayeedaSayeeda Warsi non ha paura di difendere i cristiani, sebbene lei, ministro per le Fedi e le Comunità del governo Cameron, sia di origine pakistana e di credo musulmano, e negli scorsi anni diverse volte abbia dovuto fare i conti con l’ostilità degli islamici più tradizionalisti. Più di un lettore si è stupito nel vedere l’allarme lanciato dalla ministra e ospitato venerdì dal Daily Telegraph, una precisa analisi della situazione penosa dei cristiani nel Medio Oriente: «Rischiano di essere estinti, questa religione rischia di essere cacciata fuori da alcune sue terre storiche d’origine».

A RISCHIO DELLA VITA. L’articolo propone il messaggio che Warsi ha tenuto a Washington, in una lezione organizzata dal Council on Foreign Relations alla Georgetown University. Con tono diretto e chiaro, la ministra ammette che «ci sono alcune zone del mondo in cui essere cristiani significa mettere a rischio la tua vita. I cristiani stanno affrontando discriminazione, ostracismo, torture, persino omicidi, semplicemente per la fede che seguono». A supporto del suo allarme, la Warsi (che è pure baronessa) offre alcuni numeri, a cominciare dall’Iraq, dove dal 1990 ad oggi i cristiani sono passati da 1,2 milioni a 200 mila. E i fatti di sangue di cui sempre più spesso giunge notizia da quelle terre le danno ragione: in Inghilterra, in particolare, hanno ancora negli occhi le bombe che esplosero a fine settembre nella chiesa anglicana di Ognissanti in Pakistan, e che provocarono la morte di 85 persone, indicate come veri e propri «martiri» dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby.

egitto-cristiani-islam-delga-1GLI ATTACCHI DEGLI ISLAMISTI. Sayeeda, come detto, è considerata in Gran Bretagna un’esponente di spicco del dell’islam moderato, e per questo ha ricevuto anche vari attacchi: nel 2009, ad esempio, a Luton alcuni musulmani le hanno lanciato le uova addosso, per il suo modo «non corretto» di vivere la fede. Ancor prima, nel 2006, il capo dell’organizzazione musulmana Al Ghuraba, Anjem Choudary, la attaccava durante una trasmissione della Bbc in prima serata: «Tu non puoi parlare perché porti il velo» (benché lei difenda le donne che decidono di indossarlo in pubblico: è una scelta che spetta ad ognuno, dice). Sulla fede cristiana poi, si ricordano anche alcune dichiarazioni in cui Warsi metteva in guardia dalla secolarizzazione della società europea: «L’Europa dovrebbe essere più sicura e tranquilla nel vivere la sua cristianità».

SEGNALI DI UNITÀ. Stavolta invece il suo allarme si è spostato verso le minoranze cristiane del Medio Oriente, dove «punizioni collettive diventano sempre più comuni, con gente attaccata per crimini presunti, connessi ai loro confratelli, spesso in risposta ad avvenimenti successi a migliaia di chilometri di distanza». Tuttavia, scrive la ministra, di segnali di unità ce ne sono: «La compassione dei musulmani che hanno donato sangue per aiutare quei cristiani feriti alla chiesa di Ognissanti; la solidarietà dei cristiani che si sono stretti attorno ai musulmani in preghiera in Egitto, in piazza Tahrir; nel cameratismo interreligioso in Nigeria e Indonesia, dove i credenti regolarmente difendono i luoghi di preghiera gli uni degli altri». Il dialogo religioso è la base del benessere per la società di adesso: «Permette alle persone di prendere parte a pieno ritmo alla vita della società, che spinge così l’economia». Non è un caso se fra i 30 paesi più in salute al mondo ce ne siano 26 che garantiscono la libertà religiosa: «Fa da guardiano contro la violenza, l’estremismo e i conflitti sociali, tutti fattori che bloccano lo sviluppo della società».

O’Malley: «La Chiesa non è una democrazia ma la volontà di Dio»

O’Malley: «La Chiesa non è una democrazia ma la volontà di Dio»

Il cardinale di Boston: «Bisogna raggiungere chi è devastato dal peccato e aiutarlo a trovare la via della riconciliazione, a sperimentare la misericordia di Dio»

da www.tempi.it 

sean o'malleyRiportiamo ampi stralci dell’intervista rilasciata al National Catholic Register dal cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, chiamato da papa Francesco a far parte del consiglio degli otto cardinali che lo affiancano come consiglieri nella guida della Chiesa. Traduzione nostra.

Lei è l’unico americano chiamato a consigliare il Papa sulla riforma del governo della Chiesa. Cosa può dirci a riguardo della sua missione di consigliere?
Come annunciato, c’è un desiderio di riformare la curia perché sia maggiormente al servizio del Santo Padre e delle Chiese locali. Lo scopo è di renderla più efficiente e quindi di permettere al Santo Padre di governare con più incisività. È importante esaminare le funzioni dei dicasteri e del consiglio pontificio, per capire come possono lavorare meglio. Il Santo Padre si preoccupa anche, ha un desiderio di cura pastorale per le persone che lavorano in curia. Molti al suo interno hanno dato la vita per servire la Chiesa. Non ci deve essere però un approccio carrieristico ma missionario. Il Santo Padre vuole essere sicuro che questo sia lo spirito (…). Inoltre, la Chiesa è cresciuta molto ed è più internazionale. Perciò c’è un desiderio di internazionalizzare in parte la curia (…). Il consiglio non serve solo per la riforma della curia ma anche per consigliare il Santo Padre sul governo della Chiesa.

Di recente si è parlato di ampliare le consultazioni in seno alla Chiesa. Questo consiglio è un modello di governo per la Chiesa anche ad altri livelli?
La Chiesa non è una democrazia, ma può procedere solo se si cerca di discernere la volontà di Dio e questo non lo facciamo solo come individui, lo facciamo in un’atmosfera di dialogo e preghiera. In ultima istanza, poi, sarà il Santo Padre a prendere le decisioni a cui noi ubbidiremo.

Papa Francesco ci ha chiesto di essere una “Chiesa per i poveri”. Significa condurre una vita più semplice?
La Chiesa ha sempre incoraggiato le persone a tenere uno stile di vita semplice. (…) Il punto è che dobbiamo essere più coscienti dei bisogni della gente e voler rinunciare alle ricchezze e ai comfort superflui. I Cavalieri di Malta per tradizione vedono i poveri e i malati come «il nostro Signore Sovrano». Madre Teresa disse che i poveri sono Cristo «sotto sembianze dolorose». Dobbiamo imparare a vedere il valore delle persone che potrebbero apparire invisibili alla cultura, inclusi i bambini non nati, i pazienti affetti da Alzheimer, i drogati. Alcune di queste persone vivono situazioni difficilissime, non sono le persone belle e produttive, non solo celebrità. Dobbiamo imparare a riconoscere il loro valore con gli occhi di Dio. Socrate diceva: «Le persone mi credono perché sono povero». La testimonianza di una vita semplice è importante nella Chiesa. Non significa che le persone non devono vivere secondo quanto richiesto dalla loro condizione di vita – non tutti devo fare un voto di povertà. Quando leggiamo la vita dei primi cristiani e vediamo come condividevano tutto fra loro, si vede un senso di responsabilità per i poveri, gli orfani e gli stranieri. Dobbiamo fare di più.

Nella sua intervista al magazine America, papa Francesco ha parlato della sua profonda esperienza di paternità spirituale, ma ha anche chiarito che tutti i dirigenti della Chiesa e i pastori devono andare verso gli altri, come padri spirituali.
Per tutti i sacerdoti è importante vedere noi stessi come padri spirituali del nostro popolo. Il Santo Padre, nel corso dell’omelia della Messa crismale, ha detto: «Il pastore deve avere l’odore delle pecore». Come il padre di famiglia fa molti sacrifici per i suoi figli, un sacerdote deve fare molti sacrifici per il suo popolo. Quando il padre fa quei sacrifici non è dispiaciuto per se stesso, la vede come la sua missione. Questo è il modo con cui un buon sacerdote deve agire. Temo, però, che la crisi nel clero legata agli abusi abbia portato alcuni sacerdoti a tenersi in disparte dalle persone così che non si possa sospettare delle loro intenzioni.

Lei è stato eletto nel 2012 presidente del Comitato per la vita della Conferenza episcopale americana. Quali sono i suoi obiettivi?
Nell’ultimo anno ho provato a richiamare all’importanza di cambiare la mentalità del paese sull’adozione. (…) Nel 1998 lessi un articolo di Paul Swope in First Things: «Aborto: un fallimento nella comunicazione». Swope scelse le ricerche che mostravano le donne in gravidanze difficili che finivano per scegliere l’aborto. Queste hanno tre opzioni a loro disposizione: mantenere il bambino, abortire o dare il bambino in adozione. Mantenere il bambino è spesso interpretato come una morte personale. Dare il bambino in adozione è percepita come una opzione terribile – sono una cattiva madre, che sta mettendo il bambino in una situazione di abbandono (…). In qualche modo dobbiamo sfondare questa visione sull’adozione, e aiutare le donne a vedere che ci sono molte coppie senza figli meravigliose e pronte per essere genitori amorevoli. Dobbiamo fare di più per sostenere i genitori adottivi (…). Promuoviamo anche l’assistenza post-aborto… sono così tante le donne che hanno abortito. Queste credono di aver commesso un crimine di cui non si può parlare, imperdonabile, e convivono con quella colpa. Dobbiamo aiutarle a trovare la via della riconciliazione, a sperimentare la misericordia di Dio. Questa è una delle cose più belle di papa Francesco. Egli sta mostrando come la Chiesa deve essere un “ospedale da campo “, andando fuori a raggiungere coloro che sono stati devastati dal peccato.

Un membro del Congresso, Chris Smith, ha recentemente introdotto il Abortion Full Disclosure Act, una proposta di legge che richiederebbe ai piani sanitari offerti dallo Stato, autorizzati dall’Obamacare, di rendere trasparente il finanziamento all’aborto. È importante questo disegno di legge?
Il primo novembre ho scritto una lettera di sostegno alla proposta di legge. Il disegno di legge può essere lanciato come uno sforzo per tutelare i contribuenti: le persone hanno il diritto di sapere se un piano sanitario prevede la copertura dell’aborto prima di pagare piani assicurativi statali.

Il Massachusetts è stato il primo stato a legalizzare il matrimonio omosessuale. Che cosa hanno sperimentato la Chiesa, i pastori, le famiglie?
A Boston abbiamo istituito una commissione incaricata di studiare l’impatto del matrimonio omosessuale e il tema dell’omosessualità. Stiamo monitorando ciò che viene insegnato nelle scuole pubbliche. Sappiamo che è una antropologia del tutto diversa da quella della Chiesa. C’è poi un atteggiamento così aggressivo verso chiunque difende il matrimonio tradizionale che molte persone sono intimidite. E c’è un movimento ora che sta cercando di impedire l’adozione a persone religiose. La sfida che abbiamo di fronte oggi è di aiutare le persone a capire che il matrimonio implica la famiglie. Come l’arcivescovo [Salvatore] Cordileone [di San Francisco] ha spiegato nella sua relazione in una conferenza di questa settimana: «Ogni bambino viene da un uomo e una donna. Il matrimonio riconosce questa realtà e unisce i bambini ai loro genitori». Tutti gli studi dimostrano che la circostanza ottimale perché un bambino cresca è con i suoi genitori biologici in un matrimonio d’amore impegnato. Ma nello stesso tempo abbiamo bisogno di far capire – e questo è difficile – che le persone omosessuali non sono sgradite alla Chiesa. La grande minaccia che il matrimonio deve affrontare è la convivenza (…).

Sayeeda Warsi, il ministro inglese che difende (da musulmana) i cristiani: «Rischiano l’estinzione»

Arcivescovo di Granada: Attaccano il libro della Miriano? Noi pubblicheremo il sequel

Francisco Javier Martínez Fernández da www.tempi.it

«Chi fomenta le polemiche non è interessato alla donna e alla sua dignità. Vuole solo attaccare il popolo cristiano che non si sottomette alla cultura dominante. A breve “Sposala e muori per lei”» 

CostanzaMirianoDopo le difese di Camillo Langone, riceviamo e pubblichiamo il comunicato con cui l’arcivescovo di Granada, Francisco Javier Martínez Fernández, ha voluto rispondere alle critiche che tre partiti iberici e alcuni media hanno rivolto contro la decisione della casa editrice Editorial Nuevo Inicio di tradurre e pubblicare il libro Sposati e sii sottomessa di Costanza Miriano.

Impegni legati alla mia missione mi hanno finora impedito di seguire l’artificiosa polemica a riguardo dalla pubblicazione del libro Sposati e sii sottomessa. Pratica estrema per donne senza paura, scritto dalla giornalista italiana Costanza Miriano, edito in Spagna da Editorial Nuevo Inicio. Non è mia intenzione difendere il libro, che si difende da solo, né tantomeno giustificare il suo titolo o quello del suo sequel (che sarà pubblicato a breve), che forma un dittico con il primo e che si intitolaSposala e muori per lei. Uomini veri per donne senza paura. È questo, infatti, un compito che spetta alla loro autrice, che peraltro, lo ha già fatto più volte, all’interno e al di fuori del libro. C’è forse bisogno, del resto, di ricordare che entrambi i titoli si ispirano quasi letteralmente a un passaggio della Lettera agli Efesini di San Paolo (Ef. 5, 21), e che la sottomissione e la donazione – l’amore – di cui si parla in quel passaggio non hanno nulla a che vedere con le relazioni di potere che avvelenano le relazioni tra l’uomo e la donna (e non solo quelle tra l’uomo e la donna) nel contesto del nichilismo contemporaneo? Nemmeno ho la pretesa di giustificare la posizione della casa editrice, che ha una propria voce e che sta svolgendo il suo compito diffondendo un’opera che – ne sono al corrente – sta aiutando molte persone.

Dal campo pastorale ed ecclesiale, che è quello che a me compete, desidero soltanto segnalare che l’opera è stata positivamente accolta dall’Osservatore Romano come “evangelizzatrice” e che la sua autrice Costanza Miriano è stata recentemente invitata a partecipare al seminario sulla dignità della donna, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici in occasione del XXV anniversario della pubblicazione della Lettera Apostolica del Beato Giovanni Paolo II Mulieris Dignitatem. La lettura dei due libri, inoltre, è stata raccomandata dal Pontificio Consiglio per i Laici e dal Pontificio Consiglio per la Famiglia.

Questi termini di paragone nella vicenda indicano, con maggior chiarezza di certi commenti della stampa, che la posizione della casa editrice su questi due libri è in accordo con l’insegnamento della Chiesa, e che altre raccolte della stessa, dove sono pubblicati anche libri di autori non cattolici, intendono essere un “areopago” della nuova evangelizzazione, uno spazio di dialogo e di riflessione sulla fede cristiana nel contesto del mondo contemporaneo. Per questo motivo la casa editrice rappresenta un umile ma prezioso strumento pastorale al servizio della Nuova Evangelizzazione. Le sue pubblicazioni, infatti, sono contraddistinte dall’amore all’uomo, all’umano, la cui pienezza si rivela e si comunica in Cristo, oltre che da una grande libertà rispetto al dogmatismo della cultura dominante. In questo contesto, pertanto, la polemica generata da questo libro – il cui contenuto è in accordo con gli insegnamenti sull’amore sponsale di Giovanni Paolo II, ma che non pretende essere nulla di più se non la preziosa testimonianza di amore e libertà di una donna cristiana di oggi – risulta tanto ridicola quanto ipocrita. Ogni persona moderatamente informata sa perfettamente, a questo punto, che il libro, e anche la mia povera persona, non siamo altro che un pretesto. Coloro i quali fomentano e agitano questa polemica sono mossi da altri interessi e altri motivi, che non sono precisamente la difesa della donna o la preoccupazione per la sua dignità. Si tratta, piuttosto, di attaccare l’unica istituzione – l’unico settore della società, l’unico segmento di popolo vivo – che resiste ad ogni tentativo di addomesticazione da parte di quel rullo che è la cultura dominante: il popolo cristiano. Questo è il vero ostacolo, tutto il resto sono scuse. Persino il momento scelto per sollevare tutto il rumore che si è fatto è stato scelto in funzione di questo fine.

Miriano - Sposati e sii sottomessaTanto la storia della letteratura, quanto, in questo momento, gli scaffali delle librerie, sono pieni di libri che, talvolta in modo ironico, talaltra con la massima serietà – effettiva o presunta che sia –, insultano o si prendono gioco di sacre verità, dal matrimonio alla maternità, dalla libertà di educare a un significato profondo del vivere alla realtà della fede che professa gran parte del nostro popolo. Per di più, questi insulti e prese in giro godono della protezione della libertà di espressione. Libertà di espressione che – mi sia permesso ricordarlo – è un’invenzione cristiana. Solo in un terreno cristiano, infatti, avrebbero potuto fiorire tutte le grandi critiche alla religione del XIX secolo – Feuerbach, Nietzsche, Comte, Freud e Marx, solo per ricordare alcune di quelle più importanti –, alla Chiesa, che oltretutto è da sempre disposta a ricerverle con gratitudine nella misura in cui esse documentino un tentativo di ricerca del vero. Al di fuori del grande fiume della tradizione cristiana il futuro della libertà nel nostro mondo è ben più nero.

Il giudizio e l’opinione personale circa l’opera che ha destato le polemiche, così come è per qualsiasi altra opera letteraria di ogni tipo essa sia, o circa qualsiasi pronunciamento della persona, sono, ovviamente, liberi e legittimi, ma non l’offesa, l’insulto, la calunnia. Né quest’opera né alcuna mia dichiarazione hanno mai giustificato in alcun modo, scusato e ancor meno promosso un solo atto di violenza contro la donna. Mentre, invece, favoriscono e facilitano la violenza contro la donna una legislazione che liberalizza l’aborto e ugualmente tutti quegli interventi che indeboliscono o addirittura eliminano il matrimonio, nella misura in cui tendono a lasciar cadere tutta la responsabilità di un’eventuale gravidanza interamente sulla donna, lasciata a se stessa ed escludendo il maschio da ogni forma di responsabilità. So che l’autrice ha già chiesto a chiunque volesse rivolgere simili accuse al suo libro di farlo con precisione, specificando la pagina e il paragrafo dove dovesse essere contenuto un qualsiasi tipo di giustificazione o scusante di una pur minima forma di violenza nei confronti della donna, perché, al netto delle gratuite squalifiche che qualcuno può fare e delle grossolane manipolazioni, è consapevole che nessuno potrà trovarne. Come nemmeno potrà trovarne nelle mie parole. Semplicemente perché simili affermazioni che taluni gratuitamente mi attribuiscono non sono mai state da me pronunciate né da altri uomini di Chiesa a me vicini né tantomeno appartengono alla tradizione cristiana. Chi mi accusa può farlo soltanto fraintendendo le mie parole, il cui contenuto è noto e pubblico, anche perché la mia predicazione deve svolgersi sempre in pubblico, dalla cattedra episcopale che la Chiesa mi ha affidato.

Galles, centinaia di bambini abortiti per errore

Galles, centinaia di bambini abortiti per errore

di Gianfranco Amato da www.lanuovabq.it

Sono centinaia i bambini perfettamente sani che potrebbero essere stati abortiti per errore in un famoso ospedale di Cardiff, in Galles. Una storia che ha dell’incredibile e ancora più incredibili sono le reazioni di giudici e opinionisti, che hanno derubricato lo scandalo a semplice «errore» medico per quanto «sgradevole».

La vicenda ha cominciato a emergere lo scorso anno quando una donna di 31 anni, Emily Wheatley, incinta di nove settimane, con una gravidanza a rischio, si è recata all’University Hospital of Wales di Cardiff per un controllo. Dopo l’ecografia si è sentita dire che il suo bambino purtroppo era morto per cui si doveva procedere alla revisione della cavità uterina (raschiamento). Per questo intervento però la signora Wheatley decideva di andare in un altro ospedale, il Nevill Hall Hospital di Abergavenny, dove le hanno fatto un’ulteriore ecografia scoprendo che il bambino era ancora vivo e perfettamente sano.

Emily Wheatley è fortemente traumatizzata dalla situazione, ci pensa sua madre a sporgere immediatamente denuncia al Public Services Ombudsman for Wales, il difensore civico gallese per i disservizi pubblici. Segue un’approfondita inchiesta, i cui dati – riferiti nei giorni scorsi – si rilevano agghiaccianti. Si scopre, infatti, che presso l’University Hospital of Wales si applica fin dal 2006 un protocollo ormai superato dalle nuove linee guida emanate dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists per prevenire i margini di errori diagnostici degli aborti spontanei nel primo stadio della gravidanza. In pratica si usano ecografie addominali laddove è disponibile e consigliata l’ecografia transvaginale. In quell’ospedale nascono ogni anno seimila bambini, mentre si registrano tra i 600 e i 1200 aborti spontanei. Da qui la stima che le donne vittime di diagnosi sbagliate possano essere state centinaia.

Le conseguenze di questa incredibile vicenda appaiono, però, più surreali degli antefatti che le hanno generate. L’ospedale, infatti, si è semplicemente scusato imputando tutto ad un semplice «errore medico»; dovrà solo provvedere a cambiare immediatamente il metodo di accertamento delle condizioni del feto. La Wheatley, la cui figlia scampata all’aborto ha ora 8 mesi, è stata risarcita con la risibile somma di 1.500 sterline, mentre l’Ombudsman, Peter Tyndall, nel rapporto ufficiale se ne è uscito con una sortita dal tipico aplomb anglosassone: «Le donne a cui è stato recentemente diagnosticato un aborto spontaneo all’University Hospital of Wales, e a cui è stata conseguentemente praticata un’evacuazione uterina, troveranno tutto ciò estremamente sgradevole (“extremely disturbing”)».

Insomma, è stata compiuta una vera e propria strage ma tutto si risolve con delle scuse. Del resto, anche da noi in Italia il fatto non ha trovato alcuna eco. Il che non dovrebbe neanche sorprendere più di tanto vista la concezione che ormai sta diventando comune. Ricordiamo come non più di un mese fa Filomena Gallo e Gianni Baldini, rispettivamente Segretario dell’Associazione Luca Coscioni e docente di Biodiritto Università di Firenze, abbiano dichiarato senza mezzi termini che «gli embrioni sono di proprietà della coppia» che li ha generati, e come tali nella loro piena e assoluta disponibilità, al punto da potersene disfare come meglio aggrada.

Di fronte a vicende come quella di Cardiff appare sempre più evidente come l’uomo moderno abbia perso il senso della ragione. Quando si giunge a teorizzare la reificazione dell’essere umano, considerandolo alla stessa stregua di un “prodotto”, di cui si può rivendicare la proprietà e persino distruggere con assoluta nonchalance – essendo semplice “cosa” –, allora tutto diventa possibile e accettabile. Anche la storia di ordinaria follia accaduta all’University Hospital of Wales.

Non può non venire alla mente, a questo proposito, il noto concetto di banalità del male di Hanna Arendt, un male che sembra trascendere ogni possibilità di comprensione e persino di attribuzione di responsabilità personale. La banalità del male in questo caso, oltre che nella tragedia dell’uccisione di centinaia di innocenti perpetrata presso il prestigioso ospedale gallese, sta anche nelle incredibili reazioni a quella strage: nessuna conseguenza concreta di carattere giuridico a livello di sanzioni, ma soprattutto l’assenza di qualunque sincero sentimento di umana compassione. A questo siamo ormai ridotti.

Nozze gay. Referendum in Croazia per definire in Costituzione il matrimonio «unione tra uomo e donna»

Nozze gay. Referendum in Croazia per definire in Costituzione il matrimonio «unione tra uomo e donna»

Nel paese ex jugoslavo i cattolici costituiscono il 90 per cento della popolazione. Per il referendum sono state raccolte in due settimane 700 mila firme 

Il primo dicembre in Croazia si terrà un referendum per la messa al bando dei matrimoni gay, attraverso una modifica della Costituzione: lo ha stabilito il Parlamento di Zagabria con 104 voti a favore e 13 soli contrari. Attualmente il Paese ex jugoslavo in cui i cattolici sono il 90% non permette le nozze tra omosessuali, ma il governo di centrosinistra aveva annunciato di voler permettere alle coppie gay e lesbiche di registrarsi come «partner a vita».

UOMO E DONNA. La consultazione è stata convocata dopo che l’organizzazione “Nel nome della famiglia” aveva raccolto in due settimane 700.000 firme. Il quesito propone una definizione del matrimonio, attualmente del tutto assente nella Costituzione, come «un’unione tra un uomo e una donna». Gli attivisti dei diritti per i gay hanno contestato il referendum mettendo in dubbio la sua costituzionalità, visto che si tratterebbe di legiferare sui diritti di una minoranza.

GAY PRIDE. Nel 2003 in Croazia sono stati estesi alle coppie gay e lesbiche che abbiano vissuto insieme per almeno tre anni gli stessi diritti riconosciuti alle coppie di fatto eterosessuali. L’omosessualità resta comunque un tema delicato e gli annuali Gay pride che si susseguono dal 2002 sono spesso accompagnati da polemiche.