Dov’è finito lo Stato di diritto?

Dov’è finito lo Stato di diritto?

di Gianfranco Amato da www.lanuovabq.it

Qualunque cosa si pensi di Silvio Berlusconi, alcune tappe del calvario processuale che lo ha portato all’ultima sentenza definitiva della Corte di Cassazione – quella che gli farà perdere il laticlavio senatoriale – meritano di essere ricostruite cronologicamente.

2003/2004: sono questi gli anni in cui Silvio Berlusconi avrebbe commesso il reato di frode fiscale per i diritti Mediaset.

18 maggio 2012: La Corte di Cassazione, seconda sezione penale, conferma, rendendola irrevocabile, la sentenza di proscioglimento di Silvio Berlusconi da parte del Gup di Milano, relativa ai diritti Mediaset, che ha ritenuto Berlusconi innocente e gli elementi raccolti contro di lui insufficienti anche per il rinvio a giudizio.

6 marzo 2013: La Corte di Cassazione, terza sezione penale, conferma, rendendola irrevocabile, la sentenza di proscioglimento di Silvio Berlusconi da parte del Gip di Roma, relativa ai diritti Mediaset, che ha ritenuto Silvio Berlusconi innocente e gli elementi raccolti contro di lui insufficienti anche per il rinvio a giudizio.

30 luglio 2013: La sezione feriale penale della Corte di Cassazione, quindi non il giudice naturale precostituito per legge, condanna con sentenza irrevocabile Silvio Berlusconi per frode fiscale nella vicenda dei diritti Mediaset.

Impariamo così – come ha rilevato il senatore Carlo Giovanardi – che entra in vigore un nuovo principio nel nostro ordinamento: «un cittadino può essere processato per lo stesso fatto tante volte finché non trova un giudice che lo condanni», principio che sostituisce l’evidentemente abrogato art. 649 del C.P.P: «l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale diventati irrevocabili non può essere nuovamente sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado e le circostanze». Provate a spiegarlo ad un giurista anglosassone di common law, per il quale il principio del «double jeopardy» è considerato sacro. Una volta accertato che non state scherzando, vi guarderebbe inorridito.

In realtà le maglie larghe del nostro attuale dissestato sistema giudiziario già da tempo consentono, grazie ad un reiterato uso del distorto principio bis in idem, di giudicare più volte un fatto fino a quando non si ottenga una pronuncia politicamente conveniente o politicamente corretta. Ne è un esempio clamoroso il caso che ha portato alla morte della povera Eluana Englaro. Pochi sanno, infatti, che il primo tentativo di un’azione legale da parte del sig. Englaro per ottenere la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione della propria figlia, fu dichiarato inammissibile dal Tribunale di Lecco con decreto 2 marzo 1999 perché «ritenuto incompatibile con l’art. 2 della Costituzione, letto ed inteso come norma implicante una tutela assoluta e inderogabile del diritto alla vita». Tale provvedimento fu poi confermato in sede di reclamo dalla Sezione Persone Minori e Famiglia della Corte d’Appello di Milano con decreto del 31 dicembre 1999, reputando la Corte – a differenza del Tribunale – che sussistesse «una situazione d’incertezza normativa tale da non consentire l’adozione di una precisa decisione in merito all’istanza d’interruzione del trattamento di alimentazione/idratazione forzata». In un secondo tentativo, instaurato con ricorso depositato il 26 febbraio 2002, un’ulteriore identica domanda del sig. Englaro fu ancora respinta dallo stesso Tribunale di Lecco con decreto depositato il 20 luglio 2002 in cui si ribadiva «il principio di necessaria e inderogabile prevalenza della vita umana anche innanzi a qualunque condizione patologica e a qualunque contraria espressione di volontà del malato».

Ancora una volta tale decisione fu confermata dalla Corte d’Appello di Milano, in sede di reclamo,
con decreto del 17 ottobre 2003, in cui si reputava comunque «inopportuna un’interpretazione integrativa volta ad attuare il principio di autodeterminazione della persona umana in caso di paziente in stato vegetativo persistente». Quest’ultimo provvedimento fu successivamente impugnato dal sig. Englaro con ricorso straordinario per cassazione, ricorso dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte con ordinanza n. 8291 del 20 aprile 2005.

Nel terzo tentativo, avviato con ricorso depositato in data 30 settembre 2005 ancora avanti il Tribunale di Lecco, il sig. Englaro chiese la previa nomina di un curatore speciale, che fu in effetti
individuato nella persona dell’avv. Franca Alessio, la quale prestò adesione all’istanza dello stesso
padre di Eluana. Tale ricorso fu non dimeno dichiarato inammissibile dall’adito Tribunale di Lecco con decreto depositato il 2 febbraio 2006, questa volta reputandosi che il padre di Eluana «non fosse legittimato, neppure con l’assenso della curatrice speciale, a esprimere scelte al posto o nell’interesse dell’incapace in materia di diritti e “atti personalissimi”».

Il decreto fu però riformato dalla Corte d’Appello di Milano, in sede di reclamo, con provvedimento in data 15 novembre/16 dicembre 2006. In tal caso, infatti, la Corte, contrariamente al Tribunale, reputò ammissibile il ricorso in ragione del generale potere di cura della persona da riconoscersi in capo al rappresentante legale dell’incapace. Tuttavia, esaminando e giudicando nel merito l’istanza del sig. Englaro, la Corte la giudicò «insuscettibile di accoglimento, sul rilievo secondo cui l’attività istruttoria espletata non consentisse di attribuire alle idee espresse da Eluana all’epoca in cui era ancora pienamente cosciente un’efficacia tale da renderle idonee anche nell’attualità a valere come volontà sicura della stessa contraria alla prosecuzione delle cure e dei trattamenti che attualmente la tengono in vita».

Solo con il quarto ed ultimo tentativo il sig. Englaro è riuscito a trovare a Milano una corte “illuminata” pronta a dargli ragione. E’ un diverso collegio della stessa Corte d’Appello meneghina, infatti, che con il decreto 9 luglio 2008 ha disposto l’«accompagnamento accuditorio» di Eluana Englaro verso la morte.

Nei tre precedenti tentativi, comunque, si sono più volte pronunciati il Tribunale di Lecco, la Corte
d’Appello di Milano e persino la Suprema Corte di Cassazione dando sempre torto al padre di Eluana. E pensare che c’è ancora qualche ingenuo disposto a credere che in Italia oggi viga il principio della certezza del diritto!

Barilla «rieducato», squallore Italia

Barilla «rieducato», squallore Italia

di Riccardo Cascioli da www.lanuovabq.it

Guardate con molta attenzione questo video, perché è la testimonianza più drammatica della catastrofe sociale, culturale e giuridica che stiamo vivendo. E’ un documento che dovrebbe far ribollire le nostre coscienze.

Guido Barilla – presidente della omonima multinazionale alimentare, uno dei marchi italiani più conosciuti al mondo – volto teso, voce nervosa, è costretto a umilianti scuse, sul modello dei dissidenti cinesi. E’ una vecchia pratica maoista, ma torna sempre buona. Nella versione originale ci sono prima i lavori forzati e le sessioni di rieducazione, poi la pubblica autocritica. Nel caso specifico la rieducazione è stata veloce: un bombardamento mediatico scatenato dalla lobby gay e amplificato da tutti i maggiori quotidiani: in poche ore un brillante capitano d’industria trasformato sui notiziari di tutto il mondo in uno dei peggiori criminali in circolazione, inviti al boicottaggio dei suoi prodotti. E l’autocritica scatta immediata, anche per le forti pressioni in azienda e in famiglia per evitare un presunto disastro economico. Lo ha spiegato bene suo fratello Luca, vice-presidente del gruppo, parlando ai ragazzi delle scuole di Fidenza: «Mio fratello ha sbagliato – ha detto -, ma ha chiesto scusa perché noi in azienda rispondiamo alla regola che ci diede nostro padre: ‘Che nessun dipendente abbia mai a vergognarsi di ciò che fa la Barilla’».

E di cosa dovrebbe vergognarsi la Barilla? Del fatto che Guido, intervenendo a un programma radiofonico e rispondendo alle domande pressanti dei suoi interlocutori che gli chiedevano perché non fa uno spot pubblicitario sulle famiglie gay, ha dapprima detto che i suoi soldi li investe come vuole, poi ha spiegato che non farà mai spot per famiglie gay perché lui crede che la famiglia sia solo quella naturale, marito, moglie e figli.

Cioè la Barilla dovrebbe vergognarsi di aver affermato ciò che è sancito dalla nostra Costituzione, per la quale la famiglia gay semplicemente non esiste. C’è una sola famiglia, che è «una società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29), finalizzata a «mantenere, istruire, educare i figli» (art. 30). Guido Barilla ha detto soltanto ciò che la Costituzione sancisce e rivendicato la facoltà di scegliere un pubblico di riferimento per vendere i suoi prodotti. Nessuna discriminazione, nessun atteggiamento anti-gay, nessun incitamento all’odio e alla violenza.

Eppure si dovrebbe vergognare perché, come dice nel video di scuse, «mi hanno fatto capire che sul dibattito riguardante l’evoluzione della famiglia ho molto da imparare».

Così eccolo che si deve umiliare impegnandosi a incontrare nelle prossime settimane «gli esponenti delle associazioni che meglio rappresentano l’evoluzione della famiglia», cioè le associazioni gay. Affiora la possibilità, evocata dall’onnipresente Dario Fo in una lettera aperta a Guido Barilla, di uno spot Barilla pro-gay. Ed ecco allora che le terribili accuse dei giorni precedenti diventano magnanimità nei confronti del peccatore disposto a riconoscere i suoi peccati. Vedi il linguaggio clericale di Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay e consigliere regionale in Emilia-Romagna: «Capita a tutti di sbagliare nella vita – ha detto dopo aver visto il video -, l’importante è accorgersi dell’errore, ammetterlo sinceramente e fare di tutto perché ci sia un atteggiamento e una azione riparatrice». Da vomito.

Così adesso Grillini è disposto a ricevere il “pentito” Barilla nel suo ufficio in Regione. Hanno piegato il nemico, adesso lo vogliono vedere strisciare ai loro piedi e farsi pagare un bellissimo spot che magari farà perdere quote di mercato alla Barilla (le famiglie vere contano più dei gay al supermercato) ma che sarà il trionfo dell’ideologia gay, il trionfo della violenza e dell’arroganza.

Possibile che nessuno si svegli davanti a queste cose? I gravi fatti di Casale Monferrato, con lo squadrismo gay che impedisce un normalissimo convegno (fatti ignorati ovviamente dalla stampa, inclusa quella cattolica) e ora la squallida vicenda Barilla: non è ancora chiaro che c’è una minoranza violenta e arrogante che detta legge e di cui siamo tutti ostaggio? Affermare che la famiglia è fondata sul matrimonio tra uomo e donna è diventato un crimine, «un’uscita infelice» nella migliore delle ipotesi (vedi Corriere della Sera). Non è ancora chiaro che la legge sull’omofobia non c’entra niente con le presunte violenze contro gli omosessuali, ma è soltanto un tassello nel consolidamento di una dittatura gay?

Come si fa ancora a sostenere che i gay sono discriminati? Imperversano nei giornali e nelle tv, comandano al cinema, dettano legge in politica, sono forti perfino nella Chiesa. Le donne con figli sono discriminate, non i gay. Nessun datore di lavoro ti chiede se sei gay, ma la stragrande maggioranza chiede alle donne giovani se hanno intenzione di sposarsi e fare figli (inteso che al “sì” si straccia la domanda di assunzione) o più semplicemente vengono scartate subito. E nessuno che si scandalizzi di ciò, nessuno che intervenga.

Ma dove sono i custodi della Costituzione, quelli della sacralità dei princìpi repubblicani? Dov’è il presidente della Repubblica, che in questi anni ci ha sfracassato in tutti i modi con la Sacra Costituzione? Troppo impegnato a salvare Letta per accorgersi della deriva totalitaria che sta travolgendo l’Italia. Oppure no, è che – più semplicemente – lui ha già imparato e condivide l’evoluzione della famiglia, così come la deriva totalitaria, in fondo è un ricordo di gioventù. Così come questo governo che ha ampiamente sostenuto il disegno di legge sull’omofobia, nel silenzio di chi avrebbe potuto e dovuto dire che questa è la strada per la rovina del paese.

E dove sono quei deputati di Scelta Civica che, giocando al Piccolo Stratega, hanno approvato il disegno di legge alla Camera perché Scalfarotto li ha accontentati con un emendamento che dovrebbe garantire la libertà di espressione? Patetici, Scalfarotto è ancora lì che ride. Guardate cosa sta accadendo, aprite gli occhi, con quell’emendamento ci potrete fare un sacco di cose, escluso salvare la libertà di chicchessia. La libertà è già stata perduta, e voi ne siete complici.

L’autocritica di Guido Barilla è un documento agghiacciante. Che almeno serva a risvegliare qualche coscienza.

 

1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux

1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux

dal Vangelo secondo Mt. 18, 1-4

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
 

Il commento di don Antonello Iapicca

L’ambizione è sempre figlia dell’insoddisfazione, dell’esigenza insopprimibile di colmare il vuoto che sperimentiamo. Tutto appare sfuggevole e precario, incapace di saziarci. Così si fa strada in noi l’illusione che in una certa grandezza vi sia la possibilità di dare consistenza e certezze alla nostra vita. Essere il più grande, la stessa tentazione che ha sedotto Adamo ed Eva, diventare come Dio, salire più in alto di tutti per decidere in tutta “libertà”, dirigere e proteggere la propria vita senza nessuno che la contesti e frustri i nostri desideri. Il più grande in un affetto, al lavoro, nello studio, tra fratelli e amici, nel matrimonio, nella Chiesa. Il più grande per non scomparire e avere spazio nel cuore degli altri. Grandi, per essere cercati, accolti, compresi, apprezzati, ricordati, amati… Anche chi si nasconde nella timidezza cerca la stessa grandezza; spesso ci si sottomette all’evidenza della realtà covando risentimento, e l’apparente umiltà è solo un soprabito indossato per vestire le frustrazioni.

Ma la felicità, la beatitudine, la pace sono regali preparati per i bambini; non importa se capricciosi o irritanti, perché un bambino è amato proprio per la sua piccolezza. Più è debole, goffo e insicuro, più è oggetto di tenerezze e attenzioni. Non si può non amarlo, anche quando sbaglia, cade, urla e strepita o si chiude nel silenzio dei sogni infranti. Santa Teresa di Lisieux lo aveva compreso: Dio cerca, predilige e ama la piccolezza, la nostra realtà senza ipocrisie. Per questo una porta “porta stretta” schiude il passo al Regno dei Cieli. Per entrarvi non sono necessari sforzi e fantasie, le dimensioni di quell’uscio coincidono esattamente con le nostre, quelle “originali” con le quali Dio ci ha creati. Convertirci è, semplicemente, ritornare a quelle misure, al pensiero di Dio su ciascuno di noi; quello che avanza non ci appartiene, è falso, fonte di sofferenza e frustrazione. Diventare come bambini, significa dunque aprire senza paura gli occhi su noi stessi e amare la nostra piccolezza, accogliere la storia che con la Croce pota il superfluo. Anche oggi infatti, Gesù ci “chiama a sé”, piccoli “in mezzo” ai tanti grandi secondo la carne, ma i “più grandi” nel suo cuore, il Regno dei cieli così vicino a noi.
Omofobia. Col “salvavescovi” non si salva nessuno. «L’obiettivo è imbavagliare chi si oppone alle nozze gay»

Omofobia. Col “salvavescovi” non si salva nessuno. «L’obiettivo è imbavagliare chi si oppone alle nozze gay»

Intervista al deputato Alessandro Pagano (Pdl) che spiega il senso del provvedimento approvato alla Camera. «Al Senato non bisogna puntare al ribasso»
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it 

legge-omofobia-manif-pour-tous-italia-5-agosto_1L’Arcigay l’ha definito “emendamento salva-vescovi” dopo la sua approvazione da parte del Pd, che in cambio ha ottenuto il sì di Scelta Civica all’intero impianto normativo del disegno di legge “Per la repressione delle discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”. «Definire così l’emendamento di Gregorio Gitti è truce e fa capire l’intenzione reale di chi vuole istituire un reato di opinione per la cosiddetta “omofobia” o “transfobia”, iscrivendolo all’interno di una norma molto controversa come la Mancino-reale». A parlare con tempi.it è il deputato del Pdl, Alessandro Pagano, leader insieme a Eugenia Roccella del fronte di opposizione al ddl. Pagano ha spiegato in aula, con le parole dello stesso Ivan Scalfarotto, perché l’emendamento presentato da Gitti (Scelta Civica) «non è assolutamente sufficiente a tutelare la libertà di pensiero di tutti i cittadini».

UNA CLAUSOLA NULLA. Pagano ha definito “nulla” la clausola di salvaguardia secondo cui «non costituiscono discriminazione (…) le condotte conformi al diritto vigente». «Tale formulazione – continua il deputato – contiene una contraddizione in termini: ad oggi il diritto vigente permettere la salvaguardia del diritto di opinione. Il problema è che nel momento in cui passerà la legge in discussione questa modificherà il diritto vigente, smettendo di proteggere la libertà di espressione. L’emendamento Gitti, al di là delle buone intenzioni, è scritto in maniera confusa e pericolosa».
Non solo. La clausola di salvaguardia si propone anche di proteggere «le organizzazioni di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione, ovvero di sanità o di culto». All’interno di questi ambiti si potrà esprimere il proprio credo, ma nelle piazze, a scuola, nei convegni pubblici, in famiglia? «Non solo è discutibile un compromesso che tutela solo la libertà di espressione di qualcuno e non di ogni cittadino, e valido in certi ambiti ma non in tutti, il problema è anche che in un impianto normativo del genere è facile che questa clausola sia messa in discussione e che anche queste organizzazioni perdano la tutela». Perché? «“Omofobia” e “transfobia” sono reati indefiniti e quindi saranno decisi tramite sentenze che potranno stabilire, come succede all’estero, che è reato dire che il matrimonio è solo fra uomo e donna o che l’adozione da parte delle coppie omosessuali è sbagliata. Se questi diventeranno reati come potranno essere tollerate delle zone franche? In una giurisprudenza come la nostra, dove il diritto scritto viene messo in secondo piano rispetto alle interpretazioni dei giudici, sarà facile che i magistrati sollevino dubbi su una clausola di salvaguardia ambigua che contrasta con tutto l’impianto della legge».

PRELUDIO DEL MATRIMONIO GAY. A confermare questa tesi è stato lo stesso Scalfarotto che ha tranquillizzato il mondo degli attivisti omosessuali così: «Il sub-emendamento Gitti in realtà è meno preoccupante di come sia stato descritto». Di Scalfarotto bisogna riconosce la sincerità. «Fu sempre lui ha dirmi apertamente in commissione Giustizia che il ddl aveva lo scopo di mettere il bavaglio a chi si opponesse al matrimonio gay». Il deputato del Pd l’ha poi dichiarato anche all’Espresso: alla domanda se questo dibattito non allontanasse quello sui matrimoni o sulle unioni gay Scalfarotto ha risposto: «Io direi che lo precede. Perché sono due cose diverse. E l’una viene logicamente prima dell’altra».
Ora la legge si appresta ad essere votata dal Senato. Difficile fermarla? «Alla Camera il dibattito è stato strozzato. In commissione non volevano permettermi di presentare emendamenti né di discutere. Le sedute sono state notturne e i tempi che il Pdl aveva per parlare erano ridotti rispetto a quelli degli altri partiti. Per questo, mentre mi opponevo, c’era chi diceva che stavo sprecando tempo, che orami la deriva era interna a ogni partito, e che tutto sarebbe finito 628 voti a favore del ddl e 2 contro. Io e Roccella siamo partiti soli, abbiamo chiesto tempo presentato numerosi emendamenti, abbiamo cercato di informare i cittadini e il Parlamento dei contenuti liberticidi del ddl. In molti hanno compreso e così siamo arrivati a 110 voti in due mesi. Al Senato, visti in numeri, si può fare ancora di più. L’importante è non puntare al ribasso».

Perché il nuovo codice deontologico dei medici «minaccia obiezione di coscienza e pluralismo»

Perché il nuovo codice deontologico dei medici «minaccia obiezione di coscienza e pluralismo»

Due dottori denunciano le trappole del testo proposto dalla Fnomceo. Dall’abolizione del giuramento di Ippocrate alla scomparsa delle parole “paziente” e “eutanasia”. Fino alla fecondazione assistita senza limiti
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it 

codice deontologicoSi potrà essere medici senza giurare fedeltà ai princìpi della professione? Si dovrà chiamare “persona assistita” il paziente? La parola “sesso” sarà affiancata a “genere”? Il vocabolo “eutanasia” verrà sostituito da un eufemismo altrettanto fumoso, se non di più? L’obiezione di coscienza sarà abolita? Secondo Stefano Alice la risposta a questi interrogativi è «sì, se la bozza del nuovo codice deontologico dei medici passerà così com’è».

VERONESI, I PAZIENTI, IPPOCRATE. Da qualche giorno, infatti, il Comitato centrale della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) ha proposta alle varie federazioni locali un nuovo codice deontologico. Si tratta per ora solo di una bozza, ma secondo Alice, medico di base a Genova, e Renzo Puccetti, specialista e membro della società medico-scientifica Promed Galileo, il testo contiene diversi punti quanto meno controversi. Innanzitutto è scomparsa la parola “paziente”, cosa che non è piaciuta nemmeno al celebre oncologo Umberto Veronesi. «Chiamare persone assistite tutti quelli che si ammalano dà l’idea che per la società curarli sia un peso più che un dovere», ha spigato il professore. «Ma nel documento ci sono revisioni ancora più gravi», commentano Alice e Puccetti che hanno letto il testo per intero. Se nel codice del 2006, ancora in vigore, si legge che «il medico deve prestare giuramento professionale», ora invece «l’iscrizione all’Albo vincola il medico ai princìpi del giuramento professionale e al rispetto delle norme del presente codice di deontologia medica». Del giuramento di Ippocrate non c’è più traccia.

L’ARTICOLO 22. Non è finita. All’articolo 44, dove si parla di fecondazione assistita, sono spariti i divieti previsti dalla legge riguardo a maternità surrogata, procreazione al di fuori di coppie eterosessuali stabili, pratiche su donne in menopausa non precoce e fecondazione dopo la morte del partner. All’articolo 3 viene invece introdotto il «rispetto della libertà e della dignità della persona» senza distinzioni «di sesso e di genere» (attualmente nel codice non compare la parola “genere”). Mentre l’eutanasia, menzionata nell’articolo 17, è sostituita dall’espressione «trattamenti finalizzati a provocare la morte». Ma quello che più preoccupa Alice e Puccetti è la modifica dell’articolo 22: se oggi il medico «può rifiutare la propria opera» nel caso in cui siano «richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico», domani, qualora il nuovo codice deontologico fosse approvato, il rifiuto potrebbe essere consentito solo per «contrasto con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici».

IMPOSIZIONI TRA LE RIGHE. Secondo Puccetti non si tratta di una modifica di poco conto: «Questa riformulazione ha un solo significato: la totale distruzione della libertà di coscienza del medico». Se infatti il rifiuto di una prestazione richiesta dovrà essere sostenuto da «convincimenti etici e tecnico-scientifici», spiega Puccetti, vuol dire che la cosiddetta “obiezione di coscienza” da sola potrebbe non essere più sufficiente a giustificare la scelta del medico, poiché nella nuova formulazione deontologica i non meglio precisati «convincimenti tecnico-scientifici» potrebbero rappresentare un condizionamento altrettanto determinante. Inoltre, continua Puccetti, nello stesso articolo 22, «il nuovo codice impone al medico di agire in ogni caso qualora la sua eventuale obiezione di coscienza “sia di nocumento per la salute della persona assistita”: togliere a questo rischio di nocumento le caratteristiche di gravità e imminenza, attualmente presenti, può di fatto eliminare ogni possibilità di rifiuto da parte de medico». Medico che per di più, in base al testo proposto dalla Fnomceo, in caso di obiezione avrà comunque «l’obbligo non di “fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento”, come nel codice in vigore, ma di informare il cittadino “per consentire la fruizione dei servizi esigibili”, cosa che per un obiettore può significare coinvolgersi in un’azione che si ritiene immorale».

LA REPLICA DELL’ORDINE. Alle perplessità dei due medici ha risposto in prima persona Amedeo Bianco, presidente della Federazione nazionale dell’ordine dei medici, che sul portale di informazione medica Doctor33 ha definito quelle di Alice e Puccetti «critiche ingenerose e infondate» dal momento che «se c’è qualcosa che non è in discussione è proprio il principio di autonomia di esercizio in scienza e coscienza». Ma nella lettera inviata agli Ordini regionali si dice inoltre che alle osservazioni sulla bozza del nuovo codice deontologico va anteposta l’urgenza dell’approvazione. «Bianco aveva ritrattato, ma successivamente, sempre su Doctor33, ha ribadito che il codice andrà approvato entro l’anno», accusa Alice. Puccetti ricorda che il punto non è imporre nulla ad alcuno: al contrario è il nuovo testo che rende possibile un’aggressione verso le pluralità delle posizioni sui cosiddetti temi sensibili. «Quindi il rimedio è solo uno: mantenere inalterato l’attuale codice».