da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Bioetica, Biopolitica, Segni dei tempi
Chiara Lalli è una figura emergente nel dibattito sui problemi della bioetica in Italia. Il suo blog è uno dei più consultati dai giornalisti. I suoi libri, che in genere pretendono di presentare tesi “controverse”, vengono recensiti con entusiasmo dai principali quotidiani nazionali (è il caso del Corriere della Sera con “La verità, vi prego, sull’aborto.” dove, con molta approssimazione scientifica si sostiene l’innocuità dell’aborto volontario per la psiche della donna); viene invitata da radio e televisioni quando si deve dibattere qualche punto alla frontiera della bioetica.
Così è successo ad esempio durante la trasmissione radiofonica “Tutta la città ne parla” andata in onda su Radio Rai Tre il 31 gennaio 2013 (a questo indirizzo il podcast). La puntata era dedicata alla giornata internazionale per la Sindrome di Down. Tanta attenzione verso un tema di solito trascurato dai mezzi di comunicazione di massa, era causata da uno spiacevole episodio che si era guadagnato la ribalta dei notiziari proprio in quei giorni: il caso di un ragazzo affetto dalla sindrome, figlio di immigrati, ai quali era stata negata la cittadinanza italiana perché, nonostante tutti i requisiti previsti dalla legge fossero ottemperati, il giudice non aveva ritenuto presente la capacità di intendere e di volere.
Seguendo uno schema consolidato la trasmissione, dopo avere proposto alcuni contributi di persone che si occupano di persone affette dalla sindrome per professione o per esperienza personale (un avvocato di una associazione che si occupa dei diritti dei disabili, la mamma di un ragazzo con la sindrome di Down) ha sottoposto il tema ai rappresentanti di due concezioni della bioetica contrapposte tra loro: il direttore di Avvenire Marco Tarquinio e appunto Chiara Lalli, presentata come “filosofa della scienza”.
Bisogna riconoscere al conduttore di essere stato buon giornalista, lanciando ai suoi ospiti una domanda alquanto spinosa. Il tema è stato introdotto, infatti, ricordando che in tempi di diagnosi prenatale e didiritto di aborto molti bambini affetti dalla sindrome non nascono più, proprio come temeva Jerome Lejeune, lo scopritore delle sue cause genetiche. In Italia si può stimare che ogni anno vengano abortitipiù di mille bambini ogni anno per il semplice fatto di avere un cromosoma in più (i dati possono essere consultati qui). Tanto che nel 2004 è stato lanciato dal governo danese un piano che prevede l’accesso gratuito ai test prenatali per l’individuazione della sindrome e che in 25 anni dovrebbe rendere la Danimarca un paese “Down Free” (i primi effetti sono stati valutati da questo articolo pubblicato dalBritish Medical Journal). Un’iniziativa che ha fatto scalpore per la sua scoperta impostazione eugenetica: selezionare sistematicamente quali bambini “meritino” di venire al mondo e quali no.
Non è stato difficile per Marco Tarquinio porre a confronto il governo danese degli anni 2000 con ilgoverno tedesco degli anni ’30 del ventesimo secolo. Quando è arrivato il suo turno, Chiara Lalli si è trovata in una situazione difficile: da un lato non poteva non sostenere con forza i diritti delle persone affette dalla sindrome di Down già nate; dall’altro, però, voleva difendere il diritto di sopprimere quellenon ancora nate. Non si è però persa d’animo, imbarcandosi in una argomentazione un po’ arzigogolata per mostrare la coerenza della sua posizione. Per chi non avesse voglia di risentire il file audio originale trascrivo qui sotto i principali passaggi del suo intervento prima di commentarli. Parlando della agghiacciante prospettiva di una Danimarca “Down Free” la “filosofa della scienza” ha sostenuto che “…bisognerebbe distinguere l’obbligo dal condizionamento culturale, da un invito, da un’idea. Insomma, ci sono molti livelli che si possono intravedere in una posizione del genere. Il punto fondamentale è che credo le singole scelte debbano sempre rimanere degli individui, individui già esistenti e quindi persone a tutti gli effetti su eventuali, possibili, potenziali, possiamo scegliere gli aggettivi che vogliamo, persone. Però ripeto, il nodo fondamentale è che se io come potenziale genitore decido di interrompere una gravidanza non implica questa mia scelta la mancanza di rispetto per determinate persone ma sto compiendo una scelta perché magari non sono in grado, non mi ritengo in grado di affrontare una situazione del genere. Quindi, in qualche modo, non è una lesione della dignità di altre persone, questo è un nodo fondamentale, è anche un po’ complicato da capire, però insomma … altrimenti è estremamente difficile non connotare una scelta di questo tipo come una scelta nazista, per usare un termine chiaro”.
Si può senz’altro concordare che sia “estremamente difficile non connotare come nazista” il piano del governo danese. Purtroppo le spiegazioni che, con un po’ di didattica degnazione (“è un po’ complicato da capire”) Chiara Lalli ha proposto ai radioascoltatori, non fanno superare affatto tale difficoltà. Vediamole in dettaglio.
Alla domanda se la Danimarca sia paragonabile con la Germania del Terzo Reich Chiara Lalli risponde di no proponendo due argomenti: a) il piano danese non è coercitivo (“distinguere l’obbligo dal condizionamento culturale da un invito, da un’idea”) mentre quello nazista lo era; b) i bambini non ancora nati sono solo persone “potenziali” mentre gli adulti che decidono della loro vita sono persone “a tutti gli effetti”. Si tratta di due tesi francamente deboli, che possono valere per tenere il punto in un dibattito radiofonico che si risolve in una decina di minuti ma che non reggono assolutamente ad una riflessione rigorosa.
Il punto a) è il più semplice da contestare. Il programma eugenetico nazista, dall’eliminazione dei disabili allo sterminio degli ebrei (perché sempre di eugenetica si trattava per i nazisti, basta leggere i testi della loro propaganda) è stato possibile perché nella società tedesca esisteva un sufficiente consenso su di esso. Per dimostrarlo qualche anno fa uno storico di Harvard, Daniel Goldhagen, ha pubblicato un saggio che è diventato un best seller mondiale intitolato “I volenterosi carnefici di Hitler”. Dunque il “condizionamento culturale” degli esecutori del programma era all’opera anche allora: le personecollaboravano spontaneamente, proprio come spontanea dovrebbe essere la scelta delle donne che decidessero di ascoltare l’”invito” lanciato dal governo danese ad eliminare tutti i bambini concepiti affetti dalla sindrome di Down. Dov’è dunque la differenza? Si potrebbe forse dire che in realtà la presenza di un regime totalitario rendeva molto più “costringente” la capacità di persuasione dei nazisti. Ma la filosofa della scienza Chiara Lalli saprà certamente che è stato John Stuart Mill (che certo non era un sostenitore del totalitarismo) a spiegare nel suo saggio “Sulla libertà” che il condizionamento culturale della maggioranza può essere tanto oppressivo quanto quello di un regime autoritario. In realtà, tutte le volte che viene riproposta questa distinzione tra eugenetica “coercitiva” (che sarebbe cattiva) e eugenetica “volontaria” (che invece sarebbe buona) per sdoganare nuovamente tale pseudo-scienza (succede sempre più spesso, non solo sul blog di Chiara Lalli ma anche su paludate riviste di filosofia), bisognerebbe ricordare che in entrambi i casi la vittima non viene ascoltata: per la persona eliminata l’eugenetica è sempre “coercitiva”.
E qui si comprende perché Chiara Lalli deve aggiungere il punto b) alla sua argomentazione affermando che i bambini con la sindrome di Down non ancora nati in realtà non sono “persone a tutti gli effetti” ma solo “persone potenziali”. Proprio per questo motivo non sarebbe necessario chiedere il loro parere per eliminarli. In questo caso l’eugenetica sarebbe buona perché le uniche “persone a tutti gli effetti” coinvolte, cioè gli adulti che dovrebbero decidere la loro eliminazione, prenderebbero tale decisione volontariamente. Per quanto l’argomentazione suoni decisamente capziosa è importante discutere esplicitamente la distinzione tra persone “potenziali” e persone “ a tutti gli effetti”. Chiara Lalli la enuncia come se fosse un fatto assodato, sul quale non c’è alcuna discussione, aderendo a una sorta di mantra che sempre più spesso si affaccia nel dibattito sui temi bioetici più scottanti (aborto, eutanasia, fecondazione artificiale). In realtà si tratta di un’affermazione di tipo filosofico e come tale può e deve essere sottoposta ad un vaglio critico, soprattutto quando viene utilizzata per giustificare le decisioni sulla vita o sulla morte di esseri umani.
Poichè dal punto di vista biologico il processo di sviluppo di un essere umano non conosce alcuna soluzione di continuità dal momento del concepimento fino alla morte, l’idea di “potenzialità” della persona deve necessariamente trovare un altro fondamento. Questo fondamento è l’autocoscienza. Sarebbe l’autocoscienza a rendere un essere umano “persona a tutti gli effetti”. In ultima analisi, quindi, sarebbe un particolare “funzionamento” del soggetto, la sua autocoscienza, che ne renderebbe l’esistenza “personale” e quindi di valore. Si tratta della versione moderna di un argomento filosofico con una lunga tradizione, i cui ascendenti nobili possono essere fatti risalire a Cartesio e Locke, basato sul dualismo corpo-anima, per quanto espresso nella sua moderna versione mente-corpo.
Nel nostro caso l’argomento si applica così: il bambino non ancora nato ha la potenzialità di diventare cosciente ma non lo è ancora, dunque è in qualche misura sottoposto alle scelte degli adulti che invece hanno già raggiunto lo stadio di autocoscienza (notate la particella usata da Chiara Lalli, che implica una subordinazione dei bambini rispetto agli adulti: le … scelte [delle] persone a tutti gli effetti su … potenziali … persone). L’argomento è piuttosto debole: in base ad esso infatti si potrebbe giustificare unasubordinazione dei diritti di una persona incosciente a causa di una anestesia o di uno svenimento, rispetto a quelli delle persone che la soccorrono. Anch’esse infatti sono in quel momento coscienti solo “in potenza”, proprio come il bambino non nato: eppure, come è ovvio, non ci sogneremmo affatto di non considerarle persone “a tutti gli effetti”. Anzi, è proprio il possibile risveglio della loro coscienza che normalmente viene invocato come ragione delle cure da prestare loro: tanto che viene viceversa suggerita l’eutanasia per le persone in “stato vegetativo permanente”, una espressione medica non corretta (l’esperienza clinica insegna che non si può dimostrare ex ante come definitivo alcuno stato vegetativo, tanto è vero che oggi si preferisce l’aggettivo persistente) usata per esprimere la convinzione che di quella persona ormai funzioni solo il corpo, mentre la mente sarebbe invece “morta”.
Al fine di renderlo più difendibile l’argomento della personalità “potenziale” viene spesso sviluppato introducendo una seconda condizione per l’esistenza della persona: l’esistenza di una capacità di giudizio e di un vissuto. Lo hanno fatto ad esempio Giubilini e Minerva, due bioeticisti italiani che su una delle più importanti riviste internazionali di etica medica hanno sostenuto la liceità morale dell’infanticidio, suscitando come è ovvio grande scalpore. Ho già mostrato in un articolo sulla stessa rivista alcune debolezze del loro ragionamento e i rischi sociali di una tale posizione bioetica. Vorrei però qui discutere la loro definizione di persona potenziale, in base alla quale arrivano a giudicare “sopprimibile” un neonato. Giubilini e Minerva affermano in sostanza che lo stato di incoscienza di un bambino non ancora nato o appena nato è diverso da quello che potrebbe temporaneamente vivere un adulto. Quest’ultimo infatti, avendo già un vissuto di cui ha memoria, al momento del risveglio sarà in grado di dare giudizi, e disporre del suo potenziale futuro e soffrire delle minacce alla sua esistenza. In realtà non è difficile mostrare che quella che sembra essere una condizione diversa è in realtà la stessa. Ammesso e non concesso che il bambino non ancora nato non abbia alcuna forma di coscienza (la scienza medica continua infatti a retrodatare tutta una serie di funzionamenti neurologici e di rapporti intensi di scambio con la madre fino a fasi sempre più precoci della gravidanza) è comunque tutta una questione di tempo: anche il bambino non ancora nato, se sarà lasciato vivere sufficientemente a lungo ad un certo punto potrà dare giudizi, disporre del suo futuro e soffrire delle minacce alla sua esistenza. Se accettassimo questa versione dell’argomento della coscienza, allora dovremmo postulare una gradualità dell’essere persona (e quindi dei diritti che ne derivano) via via che gli individui accumulano conoscenza e capacità di giudizio: è evidente infatti che un bambino di tre anni non ha la stessa capacità di un adulto di decidere del suo futuro o di valutare ciò che minaccia la sua vita; e lo stesso si potrebbe dire per distinguere tra adulti con differente grado di istruzione.
La verità è che l’argomento usato dai sostenitori dell’aborto o dell’infanticidio eugenetico andrebbe totalmente rovesciato. Infatti, almeno in un certo senso, siamo tutti persone potenziali. Come un bambino è un potenziale adulto, un adulto è un potenziale vecchio. Un adolescente che non ha ancora completato i suoi studi è un potenziale scienziato e allo stesso tempo un potenziale artista. Nessuno in realtà può realmente disporre del suo futuro ma solo accoglierlo con ciò che porta e richiede alla sua esistenza. Lo sviluppo dell’organismo neonato in organismo adulto è un processo altrettanto irresistibile e fuori dal controllo del soggetto di quello che porta un organismo adulto alla dissoluzione per una malattia degenerativa. Per non parlare dei legami che ci legano con il mondo che ci circonda: probabilmente a tutti, nel corso dell’esistenza, capiterà almeno una volta di esclamare ‘se avessi saputo prima!’; oppure di scoprire che quello che aveva ritenuto uno sbaglio si era rivelato come una preziosa opportunità verso qualcosa di imprevisto e positivo.
Ciò che connota l’essere persona è proprio il mettere continuamente in atto una potenzialità: un articolo un po’ difficile ma che illumina in modo affascinante questo punto è stato pubblicato on line da Damiano Bondi sul sito di mondodomani.org. Il vivere è un tendere verso qualcosa in ogni momento: è un processo in cui una inesauribile potenzialità continuamente si realizza. A partire dalla magnifica e misteriosa potenzialità contenuta nella prima cellula con identità biologica del tutto nuova che viene all’esistenza al momento del concepimento.
Se dunque siamo tutti persone potenziali allora più semplicemente siamo tutti persone (altri argomenti su questo punto possono essere trovati qui). La condizione esistenziale di un bambino affetto dalla sindrome di Down non è diversa da quella degli adulti che rivendicano un diritto di vita e di morte su di lui: semplicemente egli subisce la loro maggiore forza. Per questo Chiara Lalli si sbaglia. Per questo non esiste un’eugenetica “buona”. Per questo il programma eugenetico danese non differisce da quello nazista.
di Benedetto Rocchi*
*Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze
da :http://www.uccronline.it/2013/10/13/e-buona-leugenetica-contro-i-bambini-down/
da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Chiesa, Liturgia
Dal Vangelo secondo Luca 11,29-32
In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».
Il commento di don Antonello Iapicca
Come le folle anche noi ci “accalchiamo” per carpire da Gesù un «segno» che ci dia “il successo personale e un aiuto per affermare l’assoluto dell’io” (J. Ratzinger). Ci illudiamo di chiedere a Dio un “segno” per orientare verso di Lui le scelte ma, quando non sono soddisfatte le nostre passioni, si svela la “malvagità” che coviamo nel cuore. Il volto scuro come Caino, e gelosie, invidie, ira e rancori capaci di uccidere il fratello per vendicarsi di Dio. Stentiamo a convertirci, nonostante nella Chiesa «Uno più grande di Giona» bussi ogni giorno alla nostra vita; è Cristo vivo nel suo Corpo che, con pazienza e misericordia, ci ammaestra con la predicazione e ci nutre con i sacramenti. Grazie al “segno di Giona”, all’annuncio del Vangelo in quel momento difficile della nostra vita, siamo stati salvati, e siamo salvi ora: il matrimonio è rinato, ed è nato il piccolo che neanche un pazzo avrebbe potuto immaginare. «Meritevoli d’ira» come questa «generazione malvagia», per Grazia siamo stati raggiunti dal suo amore e scelti come una primizia per divenire il «segno del Figlio dell’uomo» per ogni uomo.
Ma che ne abbiamo fatto della nostra primogenitura? Forse l’abbiamo truccata per adattarla ai nostri desideri, e siamo scivolati in un’ipocrisia insopportabile. Per questo i pagani ci giudicheranno, come tutti coloro che hanno disprezzato le grazie ricevute per accogliere il Messia e convertirsi. I pagani subentreranno ai primogeniti che hanno rigettato la primogenitura per un piatto di lenticchie, duemila anni fa come oggi. Attenzione quindi, perché esiste il «giorno del giudizio», la vita non è un gioco e poi “tana libera tutti”…. Ci sarà un giorno nel quale gli uomini saranno giudicati, e i cristiani ancor più
approfonditamente… Il giorno in cui i pagani si «alzeranno» e ci «giudicheranno» per non esserci convertiti; a loro sarebbero bastate le «briciole cadute dalla nostra tavola»… Ma il «giorno del giudizio» è anticipato nella storia, è anche «oggi»: al lavoro, a scuola, al bar, tra i parenti, la sofferenza di chi non ha conosciuto Cristo ci «giudica» in attesa del segno della nostra conversione, la fede adulta che si fa amore. Il collega di ufficio, lontano dalla Chiesa e nemico dei preti, con una situazione familiare fallimentare eppure incapace di accettarlo, che a sentirlo sembra vivere la migliore delle vite possibili; ebbene, proprio lui “si alzerà” dal suo tavolo di lavoro e ti chiederà aiuto. A te, che ha sempre disprezzato, insultato ed emarginato, a te chiederà luce e consolazione per non impazzire di fronte all’incidente che si è portato via il figlio sedicenne. Se non ti sarai convertito oggi non potrai dargli nulla, e dovrai rimandarlo a mani vuote; e la tua vita, alla quale Dio ha voluto legare la sua, precipiterà all’inferno, nella solitudine dove sono condannati a vivere quanti non hanno accolto l’amore e non hanno potuto diffonderlo. Proprio tu, Che ai suoi occhi appari come un cristiano… E così con tua moglie, i tuoi figli, che ti giudicheranno vuoto come una zucca…
Ma c’è speranza, proprio oggi: basta non difenderci, lasciarci giudicare e convertirci, ascoltare e accogliere la predicazione. Questo significa smetterla di crederci a posto, o almeno non poi così male, e ricordare la “cenere” dalla quale siamo stati tratti. Accettare di essere andati per la vita come i niniviti, senza distinguere la destra dalla sinistra, sbattendo sui muri della discomunione mentre credevamo di aver imboccato la strada giusta dell’amore. Purtroppo dietro a quella scelta non vi era lo Spirito Santo ma l’inganno del demonio: accettiamolo, convertiamoci una volta per tutte, riconosciamo che quella presa di posizione ha ucciso nostra moglie; che quel criterio ha ferito e umiliato nostro figlio; che quel progetto che abbiamo idolatrato ha escluso e allontanato il fratello. Umiliamoci allora, e “vestiamoci di sacco” anche noi come gli abitanti di Ninive; digiuniamo di parole e cibi, umiliamo il corpo con il quale abbiamo ucciso e scandalizzato. E, con il cuore contrito come quello di Davide, riconosciamo di aver peccato e accettiamo le conseguenze, come uomini adulti, finalmente. Solo così potremo, come la Regina di Saba, muoverci dagli “estremi confini della terra” dove siamo scappati ingannati dal demonio, e tornare a Cristo, alla Sapienza fatta carne. E da Lui implorare con sincerità il discernimento che plasma in noi occhi nuovi per guardare gli eventi con fede adulta, che sa identificare nella storia i segni di Cristo. Convertirsi oggi è smettere di chiedere capricciosamente e infantilmente che persone e fatti siano piegati ai rantoli della nostra concupiscenza; e chiedere la Sapienza della Croce, l’unica capace di svelare i segreti della storia e delle vicende della nostra vita, di quella dei figli e di ogni uomo. Per ottenerla occorre però accettare la nostra debolezza, anche la nostra carne capricciosa, e consegnarla alla misericordia di Cristo, insieme con tutto noi stessi, così come siamo. Gettiamoci tra le sue braccia, lasciamoci crocifiggere e nascondere nelle sue piaghe: le sue carni ferite, i “segni” dei chiodi sono le “uscite di sicurezza” che possiamo attraversare senza paura, per passare dalla carne allo Spirito, e “convertire” i peccati in Grazia. Lasciamoci immergere nella fonte della sua misericordia dove cresceremo sino alla fede adulta capace di discernere. Attingiamo ai sacramenti, ascoltiamo, scrutiamo e meditiamo la Parola, mettiamoci all’ultimo posto. Lasciamo che Gesù, in ogni istante, ci faccia una sola cosa con Lui, perché nell’ultimo giorno, il dolore di chi ha atteso di vedere in noi un segno di speranza, possa giungere in Cielo dicendo a tutti di averlo visto Cristo, di averlo incontrato nella nostra predicazione e testimonianza. E così potremo entrare insieme e con loro, e con loro godere eternamente delle delizie del nostro Sposo.

Come le folle anche noi ci “accalchiamo” per carpire da Gesù un «segno» che ci dia “il successo personale e un aiuto per affermare l’assoluto dell’io” (J. Ratzinger). Quante volte chiediamo un segno per orientare le nostre vite e restiamo delusi, interdetti dinanzi al silenzio di Dio. “Chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni. Gente infedele! Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. O forse pensate che invano la Scrittura dichiari: «Fino alla gelosia ci ama lo Spirito, che egli ha fatto abitare in noi»?” (Giac. 4,3-5). Infedeli, adulteri e con il cuore perverso chiediamo male, anche quando ci inginocchiamo per chiedere luce sul nostro cammino: il nostro cuore è amico del mondo e cerca di pervertire la voce di Dio. Chiediamo per soddisfare le nostre passioni, fossero anche rivestite di religiosità. Il nostro cuore è così spesso impuro perché è schiavo! “Alla radice di tale richiesta sviata di un segno, c’è l’egoismo, la mancanza di purezza di un cuore che non aspetta nulla di Dio se non il successo personale e un aiuto per affermare l’assoluto dell’io. Tale forma di religiosità è rifiuto fondamentale di conversione. Eppure, quante volte anche noi dipendiamo dal segno del successo! Quante volte chiediamo il segno e rifiutiamo la conversione!” (J. Ratzinger, Ritiro predicato in Vaticano, 1983). Il volto scuro come Caino, e gelosie, invidie, ira e rancori capaci di uccidere il fratello per vendicarsi di Dio. Stentiamo a convertirci, nonostante nella Chiesa «Uno più grande di Giona» bussi ogni giorno alla nostra vita; è Cristo vivo nel suo Corpo che, con pazienza e misericordia ,ci ammaestra con la predicazione e ci nutre con i sacramenti; che ci chiama a conversione facendosi carne nei fratelli, nell’annuncio del Vangelo, negli eventi della storia. La Chiesa ci ha annunciato e testimoniato vero e credibile il “segno di Giona”: per noi è morto Cristo, per noi è risorto ascendendo vivo dalle fauci della morte, segno del perdono definitivo di ogni nostro peccato. Per questo segno siamo stati salvati, siamo salvi ora, e il matrimonio è rinato, ed è nato il piccolo che neanche un pazzo avrebbe potuto immaginare. «Meritevoli d’ira» come questa «generazione malvagia», per Grazia siamo stati raggiunti dal suo amore e scelti come una primizia per divenire il «segno del Figlio dell’uomo» per ogni uomo.
Ma che ne abbiamo fatto della nostra primogenitura? Forse l’abbiamo truccata per adattarla ai nostri desideri. L’abbiamo “pervertita”, come Gesù definisce questa generazione nel parallelo al brano odierno del Vangelo di Matteo. “Pervertire” significa, secondo l’etimologia latina,
volgere il bene in male. Chiedere un segno è volgere il bene della storia che Dio prepara in un male che Egli ci provoca. E’ l’inganno satanico che ha ferito l’anima dei progenitori. E’ la fonte del peccato che chiude la strada all’opera di Dio. Nonostante i segni compiuti nella storia di Israele, la generazione che si accalcava attorno a Gesù, cercava in Lui lo strumento per piegare gli eventi al proprio favore carnale.
Una generazione perversa diviene sempre, di conseguenza, adultera: chi cambia il bene in male tradirà l’Autore del bene per “giacere” con l’autore del male. Ogni giorno ne facciamo esperienza, in famiglia, la lavoro, ovunque. Non ci convertiamo, essendo schiavi dei nostri ideali, progetti, criteri. E chiediamo segni che ci diano ragione e certezze, e scivoliamo in un’ipocrisia insopportabile. Per questo i pagani giudicheranno coloro che hanno disprezzato le grazie ricevute per accogliere il Messia e convertirsi. I pagani, subentreranno ai primogeniti che hanno rigettato la primogenitura per un piatto di lenticchie, duemila anni fa come oggi.
Attenzione però, perché esiste il «giorno del giudizio», quando i pagani si «alzeranno» e ci «giudicheranno» per non esserci convertiti; a loro sarebbero bastate le «briciole cadute dalla nostra tavola»… Il collega di ufficio, lontano dalla Chiesa e nemico dei preti, con una situazione familiare fallimentare eppure incapace di accettarlo, che a sentirlo sembra vivere la migliore delle vite possibili; ebbene, proprio lui “si alzerà” dal suo tavolo di lavoro e ti chiederà aiuto. A te, che ha sempre disprezzato, insultato ed emarginato, a te chiederà luce e consolazione per non impazzire di fronte all’incidente che si è portato via il figlio sedicenne. Se non ti sarai convertito oggi non potrai dargli nulla, e dovrai rimandarlo a mani vuote; e la tua vita, alla quale Dio ha voluto legare la sua, precipiterà all’inferno, nella solitudine dove sono condannati a vivere quanti non hanno accolto l’amore e non hanno potuto diffonderlo. Proprio tu, Che ai suoi occhi appari come un cristiano… E così con tua moglie, i tuoi figli, che ti giudicheranno vuoto come una zucca… Quel «giorno» è anche «oggi»: al lavoro, a scuola, al bar, tra i parenti, la sofferenza di chi non ha conosciuto Cristo ci «giudica» in attesa delle «briciole», il segno della nostra conversione, la fede adulta che si fa amore. Ma c’è speranza, proprio oggi: basta non difenderci, lasciarci giudicare e convertirci. Questo significa smetterla di crederci a posto, o almeno non poi così male, e ricordare la “cenere” dalla quale siamo stati tratti. Accettare di essere andati per la vita come i niniviti, senza distinguere la destra dalla sinistra, sbattendo sui muri della discomunione mentre credevamo di aver imboccato la strada giusta dell’amore. Purtroppo dietro a quella scelta non vi era lo Spirito Santo ma l’inganno del demonio: accettiamolo, convertiamoci una volta per tutte, riconosciamo che quella presa di posizione ha ucciso nostra moglie; che quel criterio ha ferito e umiliato nostro figlio; che quel progetto che abbiamo idolatrato ha escluso e allontanato il fratello.
Per guarire il cuore “malvagio” di noi ancora figli di questa generazione, vi è un solo segno: quello di Giona. In Cristo, infatti, possiamo essere strappati a questa generazione per divenire figli di Dio, con un cuore libero e abbandonato alla volontà di Dio. Un figlio non chiede un segno, non ne ha bisogno; chiede quanto suggerito dal Figlio nella preghiera che ci ha insegnato: chiamando Dio Papà – Abbà, un figlio chiede, come Salomone, la
Sapienza per discernere i segni che
già sono dati nel tessuto della storia. E discernere presuppone un cuore aperto alla conversione, a lasciare i propri schemi, a cambiare opinione, a far posto al pensiero di Dio. Umiliamoci allora, e “vestiamoci di sacco” anche noi; digiuniamo di parole e cibi, umiliamo il corpo con il quale abbiamo ucciso e scandalizzato. E, con il cuore contrito come quello di Davide, riconosciamo di aver peccato e accettiamo le conseguenze, come uomini adulti, finalmente. Solo così potremo implorare con sincerità il discernimento che plasma in noi occhi nuovi per guardare gli eventi con fede adulta, che sa identificare nella storia i segni di Cristo.
E’ Lui il segno, qui, nella nostra vita concreta, come lo fu Giona per i niniviti, come quel giorno dinanzi alla folla che si accalcava, vi è Gesù Cristo. La sua vita, la Parola di Dio sulle sue labbra, e la chiamata a
conversione.
In quell’Uomo vivo di fronte a loro vi era il segno capace di guarire e ridonare fedeltà e rettitudine di intenzione. Il segno capace di destare il desiderio di convertirci, di accogliere la sapienza che dia il discernimento. Per questo Lui
ci attira ogni giorno nel deserto della nostra storia, ad “impattare” con la sua persona; nell’incontro con Lui affiorano i dubbi, i timori, le debolezze e i limiti della nostra carne. La sua presenza che si fa prossima smaschera l’adulterio e la perversione che si fa mormorazione ed esigenza. Gesù è oggi il segno, la misericordia che guarisce e ci ricrea vergini e casti per sposarci con Lui nella fedeltà e nell’amore; è Gesù il segno che ci dischiude gli occhi perché possiamo discernere in Lui il Messia che attendiamo. Lui, il segno incarnato nella nostra vita che ci svela ogni istante come una meraviglia del suo amore, dove trovare la vera pace.
Convertirsi oggi è smettere di chiedere capricciosamente e infantilmente che persone e fatti siano piegati ai rantoli della nostra concupiscenza; e abbandonare la nostra debolezza, anche la nostra carne capricciosa, consegnandola alla misericordia di Cristo. Gettiamoci tra le sue braccia, lasciamoci crocifiggere e nascondere nelle sue piaghe: le sue carni ferite, i “segni” dei chiodi sono le “uscite di sicurezza” che possiamo attraversare senza paura, per passare dalla carne allo Spirito, e “convertire” i peccati in Grazia. Lasciamoci immergere nella fonte della sua misericordia dove cresceremo sino alla fede adulta capace di discernere. Attingiamo ai sacramenti, ascoltiamo, scrutiamo e meditiamo la Parola, mettiamoci all’ultimo posto. Lasciamo che Gesù, in ogni istante, ci faccia una sola cosa con Lui, perché nell’ultimo giorno, il dolore di chi ha atteso di vedere in noi un segno di speranza, possa incontrare Lui, speranza delle genti, e non ci chiuda le porte del Paradiso.
da Baltazzar | Ott 10, 2013 | Cultura e Società
Dietrofront dopo il flop di moltissime privatizzazioni: i municipi si riprendono la gestione di acqua, energia, trasporti e altre attività strategiche
di Roberto Lessio da www.ioacquaesapone.it
Acqua, gas, energia, mense scolastiche, comunicazioni, trasporti e smaltimento rifiuti sono voci di spesa importanti per il nostro bilancio familiare. Sono tutti servizi pubblici che negli ultimi anni sono stati privatizzati anche nel nostro Paese, in nome della concorrenza e della maggiore efficienza dei soggetti privati.
Servizi di cui siamo ormai abituati, se non rassegnati, a veder aumentare spesso le relative bollette. Eppure nel resto d’Europa, dove da decenni le privatizzazioni si sono imposte, sta accadendo l’esatto contrario. Non è ancora una situazione generalizzata, perché in alcuni casi (pochi per la verità) il ricorso ai privati nella gestione dei servizi ha avuto successo, tipo nella telefonia mobile, ma i segnali di una inversione di tendenza sono sempre più numerosi e importanti, soprattutto a livello comunale. Il fenomeno si chiama insourcing (internalizzazione), vale a dire affidare determinati compiti a soggetti al proprio interno, ed è il contrario di outsourcing (esternalizzazione). Sta ad indicare che i famosi mercati non sono sempre la migliore soluzione ad ogni problema, mentre l’attività svolta da parte del settore pubblico è stata raffigurata come un fardello inefficiente sull’economia nel suo complesso.
IL CASO ACQUA A PARIGI
La rimunicipalizzazione dell’acqua a Parigi è l’esempio più eclatante di questa tendenza. L’amministrazione comunale si era accorta da tempo che le due società francesi private, Suez e Veolia (le più grandi multinazionali mondiali nel settore, ben radicate anche qui in Italia, ad esempio in Acea di Roma), incaricate della gestione del servizio idrico, rispettivamente sulla riva sinistra e sulla riva destra della Senna, non avevano effettuato gran parte degli investimenti promessi all’inizio dell’affidamento. La concorrenza sulle tariffe non c’era affatto ed anzi i due colossi economici avevano creato una società comune, che si occupava della fatturazione e del recapito a domicilio delle bollette. Così il Sindaco Bertrand Delanoë, scaduto il contratto che durava da 25 anni, ha dato il benservito ai due gestori idrici, anche a seguito di scandali giudiziari. Già nel 2010, anno in cui la gestione è tornata in mano al Comune, sono stati risparmiati 35 milioni di euro poi reinvestiti per aumentare l’efficienza del servizio, mentre le bollette sono calate dell’8%. La stessa cosa sta accadendo a Budapest, in Ungheria.
GERMANIA: ENERGIA PUBBLICA E PULITA
Altro esempio è quello di Monaco di Baviera, in Germania, dove gli amministratori pubblici si sono ripresi gli impianti di produzione di energia elettrica ed hanno deciso che entro il 2025, cioè entro i prossimi dodici anni, il 100% del fabbisogno di energia elettrica di quella città dovrà provenire da fonti rinnovabili. Proprio in Germania è in corso la più grande espansione della fornitura municipale diretta dei servizi pubblici: circa due terzi dei Comuni tedeschi stanno programmando la riacquisizione degli impianti di produzione e distribuzione di elettricità, in vista della scadenza di quasi tutti i contratti con i privati entro il 2016. Ma la tendenza riguarda anche lo smaltimento dei rifiuti, gli alloggi popolari e i trasporti pubblici.
LONDRA VIAGGIA PUBLIC
E proprio nel settore dei trasporti pubblici in Inghilterra, per la precisione a Londra, c’è stata la rimunicipalizzazione più significativa degli ultimi anni, perché è da lì che è partita l’idea delle privatizzazioni dei servizi, con il suo impianto “filosofico” secondo cui le aziende private sono garanzia di maggiore efficienza, ordine, libera concorrenza e contenimento delle tariffe, meritocrazia ecc. ecc: un’idea che ha interessato il mondo intero. Attraverso la società Transport of London il Comune sta rinnovando i mezzi (autobus e metro) che i gestori precedenti non sostituivano una volta diventati obsoleti e pericolosi; anche in questo caso le tariffe sono previste in diminuzione entro i prossimi due anni. Uno specifico sondaggio, inoltre, ha riscontrato che tra 140 Comuni inglesi interpellati, ben 80 avevano già provveduto a riprendersi almeno una gestione dei servizi pubblici locali. Quasi sempre questo avviene alla scadenza dei precedenti contratti con i privati, che di solito durano 25-30 anni. Dunque, quando sentiamo dire in giro che il nostro Sindaco vuole privatizzare un servizio comunale, fatevi due conti ed alzate il livello di attenzione: sarebbe il caso di fargli presente che prima di prendere tale decisione è necessario valutare attentamente le esperienze fatte da chi quella strada l’aveva imboccata tanti anni fa, salvo poi tornare indietro.
Fermo restando che occorre superare anche l’attuale sistema, che serve solo a dare poltrone alla Casta, coi suoi carrozzoni clientelari e politico affaristici, mentre occorre ben altra visione dei beni pubblici.
IL CASO ALITALIA
Ultima in ordine di tempo, ma non certo per importanza, la privatizzazione dell’Alitalia (la nostra ex compagnia di bandiera): è un caso esemplare di come si sono fatte le privatizzazioni nel Bel Paese. Indebitata fino al collo da una dirigenza nominata dalla politica (ogni privatizzazione inizia in questo modo), è stata messa sul mercato dal secondo governo Prodi. L’unica offerta pervenuta, malgrado all’inizio 12 società manifestarono interesse all’operazione, fu quella di Air France. La proposta dei francesi di comprare al prezzo di 3 miliardi di euro, accollandosi tutti i debiti accumulati, fu ritenuta umiliante da Berlusconi. In nome della “italianità” della compagnia allestì una cordata di imprenditori, alcuni in palese conflitto di interessi, che costituirono la Compagnia Aerea Italiana (CAI), che rilevò solo la parte sana di Alitalia. Tutti i debiti rimasero accollati alla vecchia società. Risultato: il conto finale a carico delle tasche dei cittadini supera i 4 miliardi di euro. Invece dei 2.200 esuberi di personale previsti dal piano Air France (rifiutati sdegnosamente dai sindacati), alla fine i licenziamenti sono stati più del triplo. Nonostante tutto questo, anche la nuova Alitalia privatizzata si trova di nuovo con enormi difficoltà economiche. Nessun patriottismo, invece, in fatto di acqua: proprio ai francesi la Casta ha ceduto importanti e vasti pezzi del nostro sistema idrico.
da Baltazzar | Ott 10, 2013 | Cultura e Società, Segni dei tempi
Da quest’anno in tutte le scuole francesi è stata fatta affiggere l’antireligiosa Carta della laicità. Ma la proposta era stata fatta nel 2012 dall’ex Gran Maestro del Grande Oriente di Francia
di Leone Grotti da www.tempi.it
Vi abbiamo già parlato dell’iniziativa del ministro dell’Educazione francese Vincent Peillon, che a partire da quest’anno ha fatto affiggere in tutte le scuole la “Carta della laicità“. Sempre Peillon ha proposto di inserire nel programma scolastico l’insegnamento della morale laica. Ma da chi ha ripreso Peillon queste iniziative per promuovere una nuova «religione repubblicana»?
L’IDEA È MASSONICA. Non è tutta farina del suo sacco. Con un articolo pubblicato sul suo blog personale il 5 settembre 2012, Jean-Michel Quillardet, ex Gran maestro del Grande Oriente di Francia, proponeva di «scrivere una Carta della laicità in seno alla scuola della Repubblica (…) da inserire nel regolamento interno degli istituti e da affiggere nei locali scolastici». La proposta prevedeva anche «la lettura e il commento [della Carta] con gli alunni all’inizio di ogni anno scolastico da parte dei professori».
CONTENUTO IDENTICO/1. Il leader massonico aveva anche proposto un testo, che è quasi identico a quello che Peillon ha fatto affiggere quest’anno nelle scuole. Se nella Carta di Peillon si legge che «il personale [scolastico] ha un dovere di stretta neutralità: non deve manifestare convinzioni politiche o religiose nell’esercizio delle proprie funzioni», in quella proposta un anno prima Quillardet scriveva che «nella scuola pubblica tutto il personale ha il dovere di rispettare una stretta neutralità e (…) manifestare le proprie convinzioni religiose durante l’esercizio delle proprie funzioni significa venir meno ai propri obblighi».
CONTENUTO IDENTICO/2. Non solo. La Carta del Gran Maestro prevedeva che «gli studenti non possano mostrare simboli della loro appartenenza religiosa e non possano rifiutare programmi scolastici in nome della loro cultura o delle loro credenze religiose». Nella Carta di Peillon oggi chiunque può leggere: «Nessuno potrà evidenziare la propria appartenenza religiosa per rifiutare di conformarsi alle regole applicabili nella Scuola della Repubblica, negli istituti scolastici pubblici è vietato esibire simboli o divise tramite i quali gli studenti ostentino palesemente un’appartenenza religiosa».
MORALE LAICA. Come se non bastasse, il leader massonico proponeva nello stesso articolo del 2012 di «inserire nei programmi l’insegnamento della laicità», «che si inscrive perfettamente nel quadro dell’insegnamento della morale laica». Oggi questa proposta è diventata realtà in Francia grazie all’iniziativa di Peillon, il cui mantra è che «non si potrà mai costruire un paese libero con la religione cattolica».
MASSONI SCRIVONO A HOLLANDE. Non è la prima volta che il governo socialista di Francois Hollande si rivela in contatto con la massoneria francese. Lo scorso luglio l’attuale Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, José Gulino, aveva scritto al presidente della Repubblica per denunciare la Manif pour tous e in particolare «le manifestazioni dei Printemps francais e dei Veilleurs Debout (…). Queste violenze rimettono in questione la laicità, che permette la libertà di coscienza e la concordia universale»
da Baltazzar | Ott 10, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Segni dei tempi
Un articolo apparso sul Guardian si chiede fino a che punto una scelta deve essere rispettata. «Dobbiamo stare attenti a non diventare feticisti della “scelta”». Una bella intuizione e tante contraddizioni
di Leone Grotti da www.tempi.it
«Dobbiamo stare attenti a non diventare dei feticisti della “scelta”. (…) Il diritto alla vita di una bambina deve essere la base di ogni posizione femminista e non può essere compromessa da una narrativa pro-choice assolutista». Queste parole, che si possono leggere in un articolo apparso l’8 ottobre sul Guardian, quotidiano inglese da sempre strenuo sostenitore di ogni liberalizzazione etica, aborto compreso, documentano il cortocircuito che l’aborto selettivo sta causando nel mondo femminista e pro choice inglese.
IL CASO INGLESE. Il polverone è stato sollevato dopo che il Daily Telegraph ha dimostrato che in Inghilterra l’aborto selettivo, cioè solo perché il nascituro è femmina, viene praticato senza problemi. La magistratura britannica ha però dichiarato che non interverrà perché perseguire l’aborto selettivo «non è nell’interesse pubblico». Ann Furedi infine, direttrice della più grande clinica abortiva britannica, ha rincarato la dose affermando: «Se le donne non sono felici del sesso dei figli possono abortire (…). O accettiamo fino in fondo ogni scelta della madre, oppure no».
ABORTO SELETTIVO IRRAZIONALE. Arrivati fino a questo punto le femministe inglesi, attraverso il Guardian, si fanno una domanda che non si erano mai poste prima: «Sembra irrazionale appoggiare un sistema che permette alle donne di abortire delle femmine per proteggersi dalla furia patriarcale». Tradotto: come fa un movimento che difende le donne a sostenere l’aborto di bambine solo perché femmine?
«LA SCELTA NON HA VALORE ASSOLUTO». Lo spunto è buono, quello che segue un po’ meno. Il Guardian, infatti, propone di «non rendere illegale l’aborto selettivo perché non funzionerebbe», per le donne sarebbe facile dare un’altra motivazione e perseguire ugualmente il loro obiettivo. «L’unico modo per prevenire la selezione del sesso del feto è proibire a ospedali e cliniche di dire ai genitori il sesso del nascituro». Certo, così si limita la libertà di scelta delle donne ma come ripete il quotidiano inglese «dobbiamo stare attenti a non fare della scelta un feticcio», perché non ha «un valore assoluto».
FEMMINICIDIO E MASCHICIDIO. Per quanto sia un passo avanti che un gigante del progressismo come il Guardian si chieda finalmente fino a che punto è lecito, in nome della libera scelta, uccidere una bambina, non è ancora chiaro perché i dubbi si limitino alle bambine. Perché bisogna impedire il «femminicidio» attraverso l’aborto e non il «maschicidio»? Perché bisogna difendere «il diritto delle bambine alla vita» e non quello dei bambini? Ma soprattutto, perché bisogna difenderlo solo nel caso dell’aborto selettivo e non sempre?