“Timeo Danaos et dona ferentes”, “temo i Danai anche quando portano doni”. Lo fa dire Virgilio al veggente Laooconte nel secondo libro dell’Eneide, dove si racconta del sacerdote di Apollo che cerca di convincere i concittadini troiani a non fare entrare nella città l’immenso cavallo di legno lasciato di fronte alle porte di Ilio dagli Achei, apparentemente fuggiti sulle loro navi ma in realtà ben nascosti nella pancia del cavallo, dalla quale usciranno per mettere Troia a ferro e a fuoco.
La frase ben si attaglia all’idea di “dono” applicata alle tecniche di fecondazione artificiale. Un dono pericoloso, menzognero. Un dono che non è affatto tale, a meno di non volerlo assimilare alla mela che la strega offre a Biancaneve. Non solo perché della liberalità a gratuità del dono vero e proprio, quando si tratta di gameti o di maternità surrogata (gestazione per conto terzi), non c’è davvero nulla. Oltre alla circostanza che tutte queste “donazioni” nascondono in realtà compravendite minuziosamente regolate, con tanto di tariffari, intermediari, contratti e sanzioni in caso di violazione delle clausole (nei paesi dove l’eterologa è consentita, esistono agenzie che di questo si occupano, incaricate di far incontrare nel modo migliore domanda e offerta), c’è un altro fatto impossibile da ignorare o minimizzare. Da quel genere di “dono” nasce un essere umano che non si trova a essere affatto il destinatario del dono stesso, il diretto interlocutore del donante – come accade nella donazione di organi e tessuti tra vivi o nella stessa donazione di sangue – ma che costituisce invece il “prodotto”, l’oggetto di una transazione. Come ha scritto la filosofa Maria Moneti Codignola  (“L’enigma della maternità”, Carocci), la procreazione medicalmente assistita in versione eterologa è il trionfo della logica del mercato nel campo della generazione: “L’aspirante genitore – scrive la studiosa – diventa un ‘cliente’ che acquista nel supermarket mondiale sia materiale riproduttivo, in base alla consultazione di cataloghi on line, sia il servizio dell’utero in affitto”.
Ma proviamo per un attimo a far finta che non sia così. Proviamo a immaginare che le indiane ingaggiate per portare avanti una gravidanza per conto di una donna tedesca o americana, o le giovani rumene o ucraine usate come produttrici di ovociti nelle cliniche spagnole della fertilità, terra promessa del “turismo riproduttivo”, siano delle semplici benefattrici, e non donne bisognose e comunque ricattabili e sfruttabili nel gran mercato della tecnoscienza. Anche in questo caso il cosiddetto “dono” smentirebbe se stesso, perché si tradurrebbe – si traduce, nei fatti – in una sottrazione, in un furto organizzato di verità. I figli nati da quelle donazioni – vale anche nel caso in cui sia l’uomo a fornire i gameti – porteranno per sempre su di sé il peso di una finzione, e “ciò che si condensa in un segreto di famiglia è condannato per definizione ad insistere, a ritornare, a pesare sulla vita dei bambini e delle generazioni future. A produrre effetti per il fatto stesso d’esser taciuto”. Lo ha scritto la psicanalista italo-americana Paola Mieli in un saggio contenuto nel libro “L’immacolata fecondazione” (a cura di Marisa Fiumanò, La Tartaruga), nel quale si esplicita con chiarezza una delle critiche che la psicanalisi porta all’eterologa. Non deve stupire che la pratica psicanalitica, che nasce e si sviluppa attorno al problema dell’origine, metta in guardia dall’illusione di poter cancellare quel problema, attraverso un segreto protetto per legge.
Un’ultima riflessione. I donatori di gameti sono a tutti gli effetti i genitori “biologici” di chi viene al mondo con fecondazione eterologa. Ma sono genitori ai quali si chiede – e insieme si garantisce – l’immediata cancellazione, già all’atto della “donazione”, di qualsiasi forma di responsabilità nei confronti di chi eventualmente verrà al mondo. L’idea di paternità e di maternità spoglia di ogni responsabilità è da sempre legata a un fallimento, a un’anomalia, a qualcosa di profondamente negativo e riprovevole. Nel codice della fecondazione eterologa quella negazione diventa non solo auspicabile ma addirittura necessaria.

Nicoletta Tiliacos da PiùVoce.net