Aborto. «Se una madre non vuole il suo bambino, lo dia a me, perché io lo amo» così diceva Madre Teresa di Calcutta

Aborto. «Se una madre non vuole il suo bambino, lo dia a me, perché io lo amo» così diceva Madre Teresa di Calcutta

di Giovanni Fighera da Tempi.it 

L’aborto «è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. […] Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisca a me di uccidere te e a te di uccidere me. Noi combattiamo l’aborto con l’adozione. Se una madre non vuole il suo bambino, lo dia a me, perché io lo amo». Così si esprimeva Madre Teresa di Calcutta indicando nell’aborto il più grave pericolo per la pace del mondo, perché è un attentato al mondo intero, il più grave rischio per la sopravvivenza dell’intero pianeta.

L’uomo rinnega la carne della propria carne, ma non osa dirselo, non osa riconoscerlo. Chi non considererebbe madre degenere quella Medea che nell’omonima tragedia ha ucciso i due figli avuti da Giasone per vendicarsi di lui che l’ha sedotta e abbandonata? Eppure, non ci sono atrocità compiute nel passato che possano essere comparate ad alcune forme di aborto utilizzate anche nei paesi occidentali. Addurrò il caso dell’aborto tardivo (proibito negli Stati Uniti solo dal novembre 2003 e praticato ancora oggi in molti stati, come Cina e India) in cui «il medico mette il feto in posizione podalica, afferra i piedi con una pinza, porta le gambe fuori dall’utero e provoca il parto, estraendo la totalità del corpo del feto, tranne la testa. Si esegue quindi un’incisione alla base del cranio del feto, attraverso cui si fa passare la punta di un paio di forbici. Nel foro praticato si fa passare un catetere, attraverso il quale viene aspirato il cervello e il contenuto della scatola cranica del feto» (A. Socci, Il genocidio censurato). Se qualcuno avesse ucciso un bimbo già completamente fuori dall’utero materno in questo modo, i giornali e le televisioni avrebbero gridato all’omicida, al mostro capace di crimini efferati e barbari.

Oggi, l’omicidio non è più chiamato per nome, ma è mistificato con l’avvallo di medici e di giuristi. Nel XX secolo le persone uccise in «atti di violenza di massa» sarebbero oltre cento milioni, forse centocinquanta o duecento milioni. La Seconda guerra mondiale avrebbe da sola mietuto cinquanta milioni di vittime. Ebbene, secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità resi del 2012 nel 2008 sono stati praticati 44 milioni di aborti, numero che fa accostare il numero annuale di morti innocenti all’ecatombe della Seconda guerra mondiale. Stime per difetto parlano di oltre un miliardo di aborti negli ultimi decenni. L’aborto è stato introdotto dapprima nei regimi totalitari, la Germania nazista e l’Unione sovietica (dal 1965 al 1982 sarebbero lì più di 150 milioni le vittime), solo più tardi nei paesi democratici. L’aborto così tanto osannato come conquista  della modernità sarebbe quindi il frutto avvelenato delle ideologie totalitarie.

Leggiamo e facciamo conoscere a tutti il dramma teatrale di Giovanni Testori (1923-1993) Factum est rappresenta con una concretezza straordinaria e, ad un tempo, straziante l’abominio perpetrato con l’aborto. Lo scrittore lombardo scrive un monologo teatrale, strutturato in quattordici parti come se fosse una via crucis. Nell’opera parla solo il feto, colui che nella realtà non ha diritto di parola, di espressione, di comunicazione della propria volontà. È lui che viene messo in croce, è lui il nuovo Cristo crocefisso, rifiutato, reso totalmente silente ancor prima che esca dal ventre della madre.

Se nel vangelo di Giovanni «verbum caro factum est» («il verbo si fece carne»), nell’opera di Testori la carne del feto (cui viene impedito di farsi carne al di fuori del ventre materno) si fa di volta in volta parola, profezia, maledizione.

Non appena concepito, il feto grida di esultante gratitudine: «Grazie te, Cristo re!/ Parlo qui! Sento qui!/ Cuore qui, carne qui,/ batte qui, grida qui!/ Vita Cristo vive qui!/ Casa, carne,/ ventre, te. […]/ Grazie, Dio,/ grazie, Luce,/ grazie, Te». La sua gratitudine è rivolta anche al padre e alla madre, cui si sente di appartenere: «Son di Lui,/ son di voi,/ madre, padre,/ sono io!/ Sono Lui/ e lei e te!/ Siamo tre! […]/ Grido lieto:/ sono cuore,/ sono vita,/ forma sono,/ sono feto!». Il padre, però, non riconosce un senso, una causa e un fine a quel grumo di cellule: «caso, bacio/ questo è stato». Il feto allora reagisce rivolgendosi alla madre: «Madre,/ mamma,/ a te m’aggrappo! […]/ Chi ti parla/ era pur come son io!».

Il feto chiede di venire alla luce. Nelle sue parole c’è un richiamo alla responsabilità del padre, quell’uomo che, anche se lo rifiuta, già è padre, perché il figlio è ormai concepito: «So, papà:/ io sono peso,/ peso vero;/ son fatica,/ son legame;/ da portare/ son legname;/ son catena;/ sono pena,/ ma,/ domani?/ Tu la vita,/ padre,/ ami?/ Forse un giorno/ Mi vedrai/ e dirai:/ «lasciar lui?/ Averlo mai?/ Mio bambino,/ vitellino,/ mio gattino…». Una commozione ci riempie il cuore nel sentir parlare un essere così piccolo, innocente, che dapprima sembra insistere sull’affettività dei genitori, poi sul buon senso e sulla ragionevolezza, poi sembra implorare pietà, proprio come un condannato a morte.

Infine, la sua voce si tramuta in maledizione e profezia di distruzione per chi osa perpetrare un tale abominio. Il feto demistifica tutte le moderne giustificazioni dell’aborto, presentato come manifesto del diritto e della libertà della donna, quando esclama: «È per vivere/ – ti dici –/ Per avere libertà»./Libertà/ di spegner vita?/ Libertà/ di violar Dio?/ Libertà per te/ è finita./ Che comincia/ è l’urlo eterno,/ primavera uccisa,/ inverno,/ sempre gelo,/ sempre brina./ Mai sarete/ come prima». Un destino di rovina attende quell’uomo e quella società che non riconosce la vita, che non l’abbraccia, dimentica del nulla che anche noi siamo stati e di quel Tutto che ci ha voluti e ci ha chiamato alla vita: «Cadrai tu,/ rovinerai/ terra che/ rifiuti vita,/ vita spegni/ dentro ventre;/ vino in sangue,/ pane in carne/ trasformato/ uccidendo/ chi non nato/ esser vita/ pur doveva/ hai calpestato,/ vomitato,/ assassinato».

Per questo, a ragione, Madre Teresa vedeva nell’aborto, nel non riconoscimento del senso della nascita e della vita, il rischio più grande per la distruzione del mondo.

Anticoncezionali. Testimonianze dalla rete sugli effetti nocivi delle “pillole amiche”

di Benedetta Frigerio da www.tempi.it

Dai blog e dai forum emergono le inquietanti storie di donne che hanno fatto uso di pillole anticoncezionali. «Fate attenzione, non sono l’unico caso»

«Io “grazie” a Yasminelle ho avuto sei mesi fa un’embolia polmonare bilaterale con infarto polmonare… mi son fatta una settimana di ricovero ospedaliero e attualmente sono ancora in terapia con anticoagulanti!.. i miei valori e il mio screening trombofilico fatti prima e durante l’assunzione di yasminelle erano perfetti, quindi non sono e non ero geneticamente predisposta a ciò. Informatevi prima su tutte le controindicazioni di yaz e yasminelle (contengono due principi attivi che le rendono 10 volte più pericolose delle altre piccole, quelle definite di “seconda generazione”). Fate attenzione, non sono l’unico caso (mi sono informata e di casi simili ce ne sono a migliaia), fatevi un giro sul sito americano Yasminsurvivors se non ci credete!». È la denuncia di Flavia B. postata su Facebook. Ma di casi simili, di cui avevamo già parlato, ce ne sono a centinaia. Blog appositi sono stati aperti in cui storie analoghe, se non peggiori, vengono raccontate. Non solo, gli anticoncezionali hanno causato anche la morte di alcune donne. Per questo motivo la casafarmaceutica Bayer era stata denunciata. La Bayer aveva scelto di pagare i risarcimenti. Alle cause giudiziarie però non era seguito il ritiro del farmaco dal mercato, ma solo un nuovo bugiardino sugli effetti collaterali della pillola.

LA FRANCIA. Ieri la notizia della decisione del governo francese di ritirare dal mercato la pillola anticoncezionale Diane 35 insieme ai suoi generici. Lo stop è giunto dopo la battaglia del giornale Le Figaro, che aveva parlato dei nuovi farmaci contraccettivi a base di progestinici come il gestodene o i desogestrel. Anche se le pillole che hanno sollevato dei dubbi sono molte di più. Nella lista nera del giornale ne appaiono circa una quarantina sul mercato dagli anni Novanta. A far più discutere la Francia era stata la vicenda di Marion Larat, che dopo aver utilizzato la pillola Meliane per un certo periodo di tempo era stata colpita da un ictus che l’ha resa disabile. A seguire la notizia che a prendere la Meliane erano state altre 155 donne poi morte probabilmente a causa della stessa.

L’ITALIA. Ma le discussioni riguardano anche l’Italia. Il 3 marzo scorso sulla Stampa la storia di Giulia, la quindicenne in coma da un anno per embolia polmonare a causa dell’assunzione di una pillola di nuova generazione. Debora P. racconta su Facebook: «Io lavoro da un medico che sta seguendo la causa di una ragazzina di 16 anni che ha preso lo Yasmin e ora è in uno stato vegetativo permanente per una tromboembolia massiva». Di casi analoghi in rete se ne trovano sempre di più. E ora riguardano anche le pillole anticoncezionali cosiddette naturali, come la Klaira o la Zoely. Si legge sul sito disinformazione.it: «Largamente decantata dai media, in Zoely ritroviamo un po’ le stesse caratteristiche presentate per Klaira e cioè riduzione del flusso abbondante». Zoely (conosciuta anche come Nomac/E2), secondo i produttori sarebbe la soluzione per chi chiede un prodotto “più naturale” perché a base di un ormone già presente nel corpo. Ma ci si chiede: «Naturale è sempre sinonimo di benefico? (…) Zoely, infatti, è presentata come la “pillola amica” o “alleata del benessere della donna” dai molteplici benefici, ma gli effetti collaterali vengono assolutamente ignorati». Sul foglio illustrativo si legge infatti che gli effetti epidemiologici della pillola sono ancora sconosciuti.

LA PRESCRIZIONE CONTINUA. Di fronte a ciò rimane la contraddizione di un sistema sanitario che ha prescritto milioni di pillole contraccettive. In Francia se ne contano circa due milioni, nonostante le controindicazioni emergenti negli anni e insieme l’incremento di aborti, per la cui riduzione si giustifica ancora la prescrizione massiccia degli anticoncezionali. Mentre a New York, sebbene in America siano 13 mila le cause aperte contro gli anticoncezionali, il dipartimento della Salute ha deciso di sponsorizzare nelle scuole un programma, detto “Catch” per «connettere gli adolescenti ad un’idea onnicomprensiva si sanità» e distribuire nelle scuole superiori della Grande Mela non più solo profilattici ma contraccettivi ormonali.

Non siamo fatti per il nomadismo affettivo, ma per la stabilità

Le coppie piu’ soddisfatte? Sono quelle che si sono astenute dall’avere rapporti prima del matrimonio (ecco il video di Crystalina Evert che lo spiega ai giovani)
di Giuliano Guzzo

Non sperimentare subito il piacere sessuale non penalizza, ma rafforza la coppia. La rende più solida, appagata, comunicativa e quindi in grado di superare meglio le difficoltà di tutti i giorni. Ad affermarlo non è qualche attempato moralista ma l’esito di una recente ricerca pubblicata sul «Journal of Sex Research», condotta su un campione di 10.932 persone e ripresa anche da diversi portali italiani, che ha messo in luce come le coppie che si sono astenute dall’avere rapporti (alcune anche dopo un anno) si siano rivelate più soddisfatte di quelle i cui partner, al contrario, si sono concessi subito o comunque nel corso dei primi appuntamenti.
Ricerca bizzarra o poco attendibile? Non si direbbe. Anche perché risulta suffragata, nei suoi contenuti, da altri studi pubblicati sempre quest’anno. Pensiamo ad un lavoro effettuato monitorando ben 600 coppie dal quale è emerso come la precocità dei rapporti sessuali sia associata negativamente alla qualità di vita coniugale (Cfr. «Journal of Marriage and Family» 2012; 74(4): 708-725); oppure ad una ricerca, pubblicata su una rivista decisamente quotata, che – considerando un campione di 1.659 di fratelli dello stesso sesso seguiti dall’adolescenza all’età adulta – ha rilevato come le coppie che hanno atteso a fare sesso abbiano evidenziato minore insoddisfazione nella vita relazionale (Cfr. «Psychological Science» 2012; 23(11):1324-36).
In aggiunta a quanto sin qui esposto, possiamo ricordare le risultanze di un altro studio, curato dai ricercatori della Brigham Young University’s School of Family Life, i quali, esaminando un campione di 2.035 soggetti sposati, hanno riscontrato come la castità prematrimoniale renda la coppia più stabile, favorendo un miglioramento della qualità della vita dei partner (Cfr. «Journal of Family Psychology» 2010; 24(6):766-74). Questo grazie ad un elemento fondamentale, la comunicazione all’interno della coppia, che è risultata positivamente correlata all’astinenza sessuale. Le coppie che hanno atteso il matrimonio per esplorare il piacere, infatti, sono risultate più concentrate delle altre nella dimensione del dialogo.
A questo punto potremmo procedere ulteriormente con la rassegna di letteratura e di ricerche se una domanda, a ben vedere, non sorgesse già spontanea: come mai tutto questo? Come si spiega? Com’è possibile che fior di ricerche internazionali, fra l’altro molto recenti, vadano in questa direzione, che non è solo imprevista ma esattamente opposta rispetto a quella della mentalità dominante che, com’è noto, vede nella raggiunta intesa sessuale la premessa alla costruzione di qualsivoglia rapporto che aspiri a dirsi appagante? Si tratta di domande che vale francamente la pena di porsi perché interessano da vicino la prospettiva educativa, dunque i giovani e i modelli che meritano di essere loro offerti in alternativa a quelli – oggettivamente deludenti – propagandati dai mass media.
Un’ipotesi che spieghi la sorprendente convergenza degli studi citati poc’anzi può derivare da considerazioni circa la natura dell’uomo e, in definitiva, di ciascuno di noi: non siamo fatti per il nomadismo affettivo, ma per la stabilità; la collezione di esperienze sentimentali non ci aiuta dal momento che è di una soltanto, in fondo, che abbisogniamo per realizzare le nostre comuni aspirazioni di paternità e maternità. E in tutto questo la castità prematrimoniale – così irrisa nel corso degli ultimi decenni – oltre che un valore ed un principio rappresenta una straordinaria opportunità per conoscere il proprio compagno o la propria compagnia. Nel rimandare l’esperienza del piacere sessuale non c’è quindi alcuna paura ma, al contrario, una precisa volontà di costruire dalle fondamenta un rapporto; di vivere il fidanzamento come conoscenza lucida, reale ed approfondita.
Certo, questo può essere la causa di critiche e comporta inevitabili sacrifici. Ma se sono finalizzati alla costruzione di qualcosa di grande, di una vita matrimoniale appagante e matura, sono senz’altro sforzi che vale la pena di affrontare. Senza dimenticare come la castità, oggi più che mai, rappresenti la più alta trasgressione perché ci mette nelle condizioni di testimoniare il pudore, che – come si spiega negli Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia ad opera della Commissione Episcopale per la famiglia e per la vita – non è una prigione ma un mezzo, una via che «custodisce e tutela i valori intimi e profondi della persona; non limita la sessualità, ma la protegge e l’accompagna verso un amore integrale e autenticamente umano» (p. 8).

Consigliamo infine il video qui sotto con la testimonianza di Crystalina Evert sull’importanza della castità prematrimoniale

http://www.youtube.com/watch?v=AfSnj79KAg8

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana, 19/12/2012
Volevano lasciar morire Paulina senza curarla. I parenti le hanno dato da bere. Tra poco partirà per una crociera

Volevano lasciar morire Paulina senza curarla. I parenti le hanno dato da bere. Tra poco partirà per una crociera

di Elisabetta Longo da Tempi.it

Un’altra storia di sopravvissuta al Liverpool Care Pathway. La nonnina 82enne era data per spacciata e solo la caparbietà dei familiari l’ha sottratta alla morte.

Continuano le storie dei sopravvissuti al Liverpool Care Pathway, il protocollo adottato in alcuni ospedali inglesi, che permette ai medici di interrompere alimentazione, cure e idratazioni ai pazienti ritenuti in fin di vita. Anche all’insaputa dei familiari.

PRONTA PER LA CROCIERA. Dopo Margareth e Arthur, ecco Patricia Greenwood, una nonnina 82enne che i figli e i nipoti non pensavano avrebbero più rivisto. Patricia era infatti ricoverata per un problema a una valvola cardiaca, quando i familiari si sono accorti che c’era qualcosa di strano nel modo in cui il team medico stava operando: alla nonnina non veniva più data acqua e questo le provocava sofferenza. Andando contro i dettami medici, i familiari le hanno dato da bere, salvandole la vita. Ora Patricia, fuori dall’ospedale, progetta di farsi una crociera e di stare accanto ai suoi nipoti, nonostante i medici le avessero diagnosticato poche ore di vita.

PARENTI ALL’OSCURO. «Non avevo intenzione di morire, eppure i medici si sono sostituiti al mio volere. Ho i miei nipoti e pronipoti, e un altro pronipote da veder nascere. Non è giusto dover morire per volere di altri. Avrei potuto perdere tutto questo, senza che nemmeno un mio familiare fosse stato consultato», ha spiegato l’arzilla Patricia al Daily Mail. Per questa storia, il Dipartimento della salute si è dovuto scusare, dicendo che «i malati, nei loro ultimi giorni di vita, meritano rispetto e dignità, e tutti i parenti devono essere coinvolti nei percorsi di cura».

ERA LUCIDA. Il figlio Terry ha dichiarato che i medici a cui hanno chiesto spiegazioni gli avevano risposto che sua madre avrebbe avuto forse due giorni di vita. «Ma quando sono andato al capezzale di mia madre l’ho trovata lucida, che mi chiedeva acqua, che le ho dato con una cannuccia. Dopo un paio di giorni così, con gli infermieri che mi chiedevano cosa stessi facendo quando le davo del cibo, sono riuscito a riottenere che mia madre disponesse di una flebo».

Gesù cambia la vita…anche in spiaggia! (II parte)

Le Sentinelle del Mattino ripropongono le loro missioni estive

di Luca Marcolivio

ROMA, giovedì, 5 luglio 2012 (ZENIT.org) – Proseguendo nel suo servizio speciale sulle missioni estive in spiaggia, Zenit ha incontrato don Andrea Brugnoli, ideatore delle Sentinelle del Mattino. Assieme alla coordinatrice laica delle Sentinelle, Chiara Facci (intervistata ieri da Zenit), don Brugnoli è attualmente impegnato nell’organizzazione del Summer Event, in programma a Castiglione di Ravenna dall’11 al 14 agosto prossimi.

L’associazionismo cattolico giovanile, a partire dagli Scout, ha sempre privilegiato la montagna al mare, anche per la sua carica simbolica (l’ascesa verso Dio, ecc.). Il mare e la spiaggia, invece, cosa rappresentano per un cristiano?

Don Andrea Brugnoli: La spiaggia è il luogo per eccellenza dove Gesù ha predicato, ha chiamato i suoi primi discepoli, ha raccontato le parabole ed ha compiuto miracoli eclatanti. Io sono stato anche assistente nazionale degli scout e ho sperimentato come la salita su un monte, l’accendere un fuoco e rimanere in silenzio sotto le stelle, donino delle esperienze di Dio creatore indimenticabili. Oggi, invece, la spiaggia e il mare sono diventati un grande mercato di bugie e di divertimenti passeggeri. Difficilmente qualcuno può fermarsi a contemplare la natura mentre gli altoparlanti diffondono réclame tra uno stabilimento e l’altro! Riuscire a fermarsi a pensare alla propria vita sotto la luna che si specchia nel mare o davanti alla potenza delle onde è un’esperienza altrettanto forte come quelle che si vivono sulle montagne. Alcune volte siamo riusciti a creare questo ambiente e questo silenzio montando una grande chiesa sulla sabbia, davanti al mare, aperta di notte alla luce delle stelle. I media l’hanno battezzata “chiesa gonfiabile”, ma si trattò in realtà di uno spazio di silenzio e di vero ascolto.

Il vostro format è assolutamente originale o c’è qualche progetto precedente a cui vi siete ispirati?

Don Andrea Brugnoli: A dire il vero siamo partiti per la prima volta con 20 giovani nel 2002 e a Riccione vivemmo la nostra prima esperienza. Aprimmo una chiesa tutta la notte, fino al mattino e incontrammo centinaia di giovani. Molti si confessarono e io personalmente raccolsi moltissime lacrime di pentimento e di gioia per una nuova vita ritrovata. Da allora il nostro format è stato imitato da moltissime realtà molto più grandi di noi: movimenti o comunità religiose come Nuovi Orizzonti e Rinnovamento nello Spirito, si sono ispirati alle nostre idee. Ho calcolato che, al momento, sono state vissute in Europa più di 2500 edizioni di Una luce nella notte, utilizzando il nostro format.

Un po’ di numeri: quanti giovani partecipano ogni anno alle Missioni di spiaggia? In genere che età hanno?

Don Andrea Brugnoli: Come evangelizzatori, i giovani che vengono a dedicare le loro ferie per quest’opera di annuncio, sono circa un centinaio per missione. Di più non ne vogliamo, perché crediamo molto nella formazione: non tutti sono adatti a questo servizio… la strada non è un ambiente facile e occorre molta maturità umana e di fede, molta delicatezza e ascolto. La loro età varia dai 20 ai 35 anni. Non di più perché sono i giovani che devono evangelizzare i giovani.

Il successo della vostra iniziativa estiva è indiscutibile. Vi capita, tuttavia, di ricevere critiche in ambito cattolico? Come rispondete?

Don Andrea Brugnoli: Certo! Qualcuno è preoccupato che queste nostre iniziative possano essere solamente “emotive”. Altri temono che possano distogliere i fedeli dall’ordinarietà della pastorale parrocchiale. In realtà noi abbiamo constatato che un giovane che ha vissuto una di queste iniziative straordinarie, torna a casa sua, nella sua parrocchia o nel suo ambiente, rafforzato nella fede e con molto desiderio di darsi da fare per evangelizzare i propri simili. Certo, c’è tanto entusiasmo, ma a tutti dico che per andare in strada l’entusiasmo non sarebbe sufficiente. Non è facile fermare persone che non conosci per parlare loro di Gesù. Se questi ragazzi lo fanno con tanta semplicità, senza alcuna concitazione, ma, come avviene, nella calma e nello stile di Gesù, significa che dietro le loro emozioni c’è una fede solida, formata dalla catechesi e dalla vita ordinaria vissuta nelle rispettive realtà di appartenenza. Sappiamo che non tutti capiscono questo stile, ma alla fine, credo che valga la pena tentare qualche strada nuova. Non è la soluzione, ma un tentativo, un laboratorio. Di frutti ne vediamo tanti… Il tempo mostrerà quanto frutto rimarrà. Per ora noi vediamo giovani divenuti adulti, sposati con figli, ma con ancora il desiderio di evangelizzare i propri vicini. E oggigiorno non è poco vedere dei laici così.

Gesù cambia la vita … anche in spiaggia! (I parte)

Le Sentinelle del Mattino ripropongono le loro missioni estive

di Luca Marcolivio

ROMA, mercoledì, 4 luglio 2012 (ZENIT.org) – Dopo aver fatto conoscenza con padre Baldo Alagna e con il progetto Fastmission da lui ideato, proseguono le interviste di Zenit sulle Missioni di spiaggia, una realtà ormai consolidata della Nuova Evangelizzazione, in particolare in ambito giovanile.

In questo settore, l’esperienza probabilmente più nota e di maggior successo è quella delle Sentinelle del Mattino che, per iniziativa del loro ideatore e guida spirituale, il sacerdote veronese don Andrea Brugnoli, da una decina d’anni portano la parola di Dio negli ambienti balneari e vacanzieri.

Chiara Facci, coordinatrice nazionale degli apostolati delle Sentinelle assieme a don Brugnoli, ha raccontato a Zenit lo spirito dell’iniziativa, che ogni anno attrae centinaia di ragazzi, motivati a vivere un’esperienza di incontro con Cristo, in un contesto allegro ed originale ma tutt’altro che superficiale.

Normalmente come vengono “reclutate” le Sentinelle per le Missioni di spiaggia?

Chiara Facci: “Reclutamento”, “sentinelle”, “missione”, sono termini militari… non lasciamoci trarre in inganno! Qui l’unica battaglia è quella contro il sonno… I giovani che partecipano ai nostri appuntamenti estivi, sono già impegnati in progetti di Nuova Evangelizzazione nelle loro diocesi, durante tutto l’anno. Oppure sono giovani che ci hanno conosciuto tramite il sito, amici comuni, esperienze dirette, e hanno il desiderio di far partire questo Progetto anche nella loro diocesi. Lo abbiamo chiamato “Progetto sentinelle” proprio perché il nostro intento è quello di risvegliare le diocesi al primo annuncio della fede. Concretamente lanciamo la pubblicità e le iscrizioni sul nostro sito www.sentinelledelmattino.org e poi… passa-parola!

Il vostro apostolato ha ormai una decina d’anni: i ragazzi che vi partecipano tendono a ripetere spesso l’esperienza?

Chiara Facci: In ogni diocesi dove parte questo servizio, ogni mese i giovani si impegnano ad organizzare delle esperienze di evangelizzazione di strada chiamate Una luce nella notte: sono esperienze che formano, ogni volta, nuovi evangelizzatori. Tre volte l’anno come Centro per la Formazione alla Nuova Evangelizzazione offriamo degli incontri per tutti, tra cui un evento chiamato Summer event. Siamo sempre molto colpiti e ammirati da questi giovani che d’estate impiegano parte delle loro ferie per incontrarsi con i ragazzi delle altre diocesi, per condividere, crescere nella visione della nuova evangelizzazione, formarsi, per tornare a casa con nuovo slancio e nuove idee per evangelizzare nel loro ordinario in modo efficace. Per questo ritornano: funziona!

Quali sono le reazioni più frequenti tra i bagnanti che incontrate (sorpresa, curiosità, ilarità, ammirazione, fastidio, ecc.)?

Chiara Facci: “Questa sera c’è la chiesa aperta, c’è Gesù che ti vuole incontrare”. Questo è l’invito esplicito che facciamo. Certo, ci sono varie reazioni, ma l’importante è proprio questo: che ci sia una reazione! Durante la formazione – che per noi è molto importante! – insegniamo a non entrare in polemica, a non difendersi, ma a porre una domanda, in base a come ognuno reagisce. Per esempio: perché sei sorpreso di questo invito? Perché ce l’hai con la chiesa? Ma ci credi in Dio? Questa domanda, questo interesse, suscita un dialogo che permette di dare la propria testimonianza di incontro con Gesù, che cambia la vita… anche in spiaggia!

Gli incontri più incredibili vissuti in questi dieci anni di Missioni di spiaggia? Qualche conversione degna di essere raccontata?

Chiara Facci: La conversione più bella e tangibile da parte nostra è in chi si mette in gioco per evangelizzare. Chi partecipa a Una luce nella notte, torna a casa trasformato: da più di 15 anni vediamo che un giovane che la vive anche solo una sera, sperimenta che Gesù è vivo e va fatto conoscere a tutti! Comincia una nuova vita, da cristiano che sa che il suo compito è evangelizzare. E di questi esempi ne abbiamo molti, ed è grazie a loro che il Progetto va avanti in molte diocesi. Il Signore ci dona anche di godere di qualche frutto… in diretta! A me sta particolarmente a cuore Andrea, un ragazzo di Mantova, che sette anni fa abbiamo “pescato” un sabato notte a Desenzano del Garda. Era in un periodo critico della sua vita, deluso e abbandonato dalla fidanzata, dal mondo delle discoteche, dai falsi amici. Ha accettato l’invito ed è entrato in chiesa: “Se avete conosciuto il fallimento, venite a Me”, questa la frase del canto che ha ascoltato, si è sentito letto, accolto, capito… dopo un lungo percorso e accompagnamento, ora è il nostro mixerista e una sentinella in prima linea!

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La prossima iniziativa delle Sentinelle del Mattino è il Summer event, in programma a Castiglione di Ravenna dall’11 al 14 agosto prossimi. Per informazioni e iscrizioni:ravenna@sentinelledelmattino.org.

Link dell’evento: http://www.sentinelledelmattino.org/blog/2012/05/summer-event-2012/