La madre Gabrielam ha deciso di chiedere il cambio di sesso sui documenti del figlio dopo aver visto un programma tv. Ora festeggia, ma un caso simile finì in tragedia
Il piccolo Manuel è diventato Lulu a soli 6 anni. È la storia di un bambino argentino per il quale la madre, Gabrielam, ha ottenuto il cambiamento di sesso nei documenti, solo perché «gli piacciono le mie gonne e i capelli lunghi». Inizialmente, ha raccontato la donna, quegli atteggiamenti le apparivano «solo un gioco». Ma poi Gabrielam, mamma di due gemelli, divorziata e costretta a crescere i suoi figli sola, ha raccontato di quando «ho visto su National Geographic un programma sulle femmine transessuali americane. Fu in quel momento che capii che lui era una femmina trans». Fu così che decise di scrivere al governatore della provincia di Buenos Aires e alla presidente dell’Argentina Cristina Kirchner. Lo scorso dicembre la richiesta è stata negata per via dell’età del piccolo. Ma ora il ministero nazionale dell’Infanzia ha risposto, con riferimenti generici ai trattati internazionali sui diritti dei bambini, dicendo che Manuel ha «la progressiva capacità» di dare il suo consenso. Così il governatore ha deciso di concedere i nuovi documenti al piccolo. Per la prima volta, è stato ottenuto il cambiamento di identità di un minorenne, facilmente e senza ingaggiare alcuna battaglia legale. César Cigliutii, leader della Comunità omosessuale argentina (Ahc) che ha supportato la madre, ha parlato di centinaia di persone come Lulu a cui da piccoli non è stato riservato lo stesso trattamento e che ora avrebbero «una vita terribile».
PRECEDENTE DRAMMATICO. La vicenda di Manuel somiglia molto a quella di Bruce, anche lui gemello di una altro bambino, che fu trasformato in Brenda perché ferito ai genitali. I suoi genitori scelsero di prendere la stessa strada di Gabrielam, sempre dopo aver visto un programma tv in cui il cambiamento di sesso era presentato come un passo indolore. Purtroppo Bruce ha condotto un’esistenza infelice fino adichiarareprima di uccidersi: «Dicono alle persone che sarà un successo, io sono la prova vivente che non è vero. Se non prendete la mia parola come vangelo chi ascolterete? Volete che qualcuno si spari un colpo in testa?».
Parole forti pronunciate dal card. Dziwisz alla Conferenza Internazionale sul contributo della Chiesa Cattolica all’integrazione europea
GIUSEPPE BRIENZA da Vatican Insider
Pochi giorni prima che Papa Francesco decidesse la canonizzazione del beato Giovanni Paolo II (che, insieme a Giovanni XXIII, sarà elevato all’onore degli altari il 27 aprile 2014, cfr. Wojtyła e Roncalli santi il 27 aprile. L’annuncio durante il Concistoro, in L’Osservatore Romano, 30 settembre-1° ottobre 2013, p. 8), uno dei più fedeli successori nell’attuale collegio apostolico di Karol Wojtyła (1920-2005), cioè l’arcivescovo di Cracovia card. Stanisław Dziwisz, ha fatto sentire la sua voce in difesa della famiglia in un deciso intervento alla “Conferenza Internazionale sul contributo della Chiesa Cattolica all’integrazione europea”. All’incontro, dedicato al tema “La famiglia nell’Europa contemporanea”, che si è tenuto il 13-14 settembre scorso a Tomaszowice, vicino Cracovia, hanno partecipato esponenti del governo polacco, cardinali, vescovi e rappresentanti del Parlamento Europeo.
Secondo quanto affermato dal cardinale Dziwisz, già segretario personale di Giovanni Paolo II, nel suo intervento alla conferenza, «la crisi in Europa è direttamente legata alla crisi della famiglia. E non è esagerato dire che la famiglia in Europa è minacciata nelle sue fondamenta» (cit. in Don Mariusz Frukacz, “La famiglia deve essere protetta dalla società e dallo Stato”. Appello a sostenere la famiglia naturale da parte dei partecipanti alla“Conferenza Internazionale sul contributo della Chiesa Cattolica all’integrazione europea”, svoltasi in Polonia, in “Zenit”, 15 settembre 2013). «Oggi in Europa si osservano processi e cambiamenti che non vanno nella direzione del rafforzamento della famiglia ma verso la sua disintegrazione confondendo la sua identità», ha quindi aggiunto l’arcivescovo di Cracovia.
«Il processo di disintegrazione è accelerato con l’introduzione di leggi contro la naturale e cristiana concezione del matrimonio e della famiglia», ha quindi concluso il card. Dziwisztrovando concordi tutti i partecipanti alla conferenza circa la minaccia costituita dall’equiparazione delle “unioni civili” alla comunità familiare e dall’introduzione nelle leggi e programmi scolastici europei dell’ideologia di genere.
Il 30 settembre scorso Dziwisz era naturalmente presente al Concistoro ordinario pubblico nel quale il Santo Padre ha definito la data della canonizzazione di Papa Wojtyła, assieme agli altri 67 cardinali convocati da Papa Francesco nel Palazzo Apostolico e, in Italia, la sua persona gode di molta devozione e rispetto come testimonia, da ultimo, la decisione del Comune di Tesero, in provincia di Trento, di conferire al cardinale di Cracovia la cittadinanza onoraria (“Dziwisz cittadino onorario Tesero. In ricordo di visita papa Wojtyla dopo la tragedia di Stava”, in Agenzia “Ansa”, 19 settembre 2013).
Il terribile racconto di Nancy (in seguito Nathan) Verhelst che dopo l’operazione era «disgustata di me stessa». I medici hanno ritenuto la sua sofferenza «insopportabile» e l’hanno uccisa con l’eutanasia
Cambiare sesso a 42 anni le aveva procurato una «sofferenza psicologica insopportabile». Così i medici belgi hanno accettato la richiesta di Nancy Verhelst, diventata Nathan, di ricorrere all’eutanasia a pochi mesi dall’operazione chirurgica di costruzione del pene.
IL CAMBIO DI SESSO. «Ero la ragazza che nessuno voleva», ha spiegato Verhelst al giornale fiammingo Het Laatste Nieuws prima della sua morte. Quando era piccola «i miei fratelli erano coccolati, io invece ho ottenuto come camera da letto un ripostiglio sopra il garage. “Se solo tu fossi stata un ragazzo”, si lamentava mia madre». Questo avrebbe spinto Nancy a fare una terapia ormonale a 42 anni, seguita da una mastectomia e da un’operazione di chirurgia per la “costruzione di un pene”.
NON VOGLIO ESSERE UN MOSTRO. «Nessuna di queste operazioni è andata come volevo», ha insistito Verhelst. «Ero pronta a festeggiare la mia nuova nascita», «ma quando ho guardato allo specchio, ero disgustata. Il mio petto non corrispondeva alle mie aspettative e il mio nuovo pene ha avuto sintomi di rigetto. Non voglio essere un mostro», ha concluso.
SOFFERENZA INSOPPORTABILE. Il supervisore dell’eutanasia della donna belga, il medico Wim Distelmans, ha dichiarato che «la scelta di Nathan Verhelst non ha nulla a che fare con la fatica della vita. Ci sono altri fattori che indicavano che era in una situazione incurabile, con sofferenze insopportabili». Una sofferenza insopportabile che porta all’eutanasia, sostiene il medico, «può essere sia fisica che psicologica. Si trattava di un caso che soddisfa perfettamente le condizioni richieste dalla legge». Prima che la sua eutanasia fosse approvata, Verhelst ha avuto sei mesi di consulenza psicologica, ha raccontato il medico.
ABUSI DELLA LEGGE. Quello di Verhelst è solo l’ennesimo caso di eutanasia a far discutere il Belgio e a dimostrare che la legge è stata allargata in modo tale che tutti possono accedervi, non solo chi è affetto da malattie incurabili. Il concetto di “sofferenza insopportabile”, infatti, è stato ritenuto soggettivo. Ora il Parlamento sta valutando di estendere la “dolce morte” anche ai bambini, nonostante sia stato dimostrato che la legge viene abusata in continuazione. Inoltre, nel 2012 il paese ha registrato un numero record di casi: 1.432, in crescita del 25 per cento rispetto all’anno precedente.
Guardate con molta attenzione questo video, perché è la testimonianza più drammatica della catastrofe sociale, culturale e giuridica che stiamo vivendo. E’ un documento che dovrebbe far ribollire le nostre coscienze.
Guido Barilla – presidente della omonima multinazionale alimentare, uno dei marchi italiani più conosciuti al mondo – volto teso, voce nervosa, è costretto a umilianti scuse, sul modello dei dissidenti cinesi. E’ una vecchia pratica maoista, ma torna sempre buona. Nella versione originale ci sono prima i lavori forzati e le sessioni di rieducazione, poi la pubblica autocritica. Nel caso specifico la rieducazione è stata veloce: un bombardamento mediatico scatenato dalla lobby gay e amplificato da tutti i maggiori quotidiani: in poche ore un brillante capitano d’industria trasformato sui notiziari di tutto il mondo in uno dei peggiori criminali in circolazione, inviti al boicottaggio dei suoi prodotti. E l’autocritica scatta immediata, anche per le forti pressioni in azienda e in famiglia per evitare un presunto disastro economico. Lo ha spiegato bene suo fratello Luca, vice-presidente del gruppo, parlando ai ragazzi delle scuole di Fidenza: «Mio fratello ha sbagliato – ha detto -, ma ha chiesto scusa perché noi in azienda rispondiamo alla regola che ci diede nostro padre: ‘Che nessun dipendente abbia mai a vergognarsi di ciò che fa la Barilla’».
E di cosa dovrebbe vergognarsi la Barilla? Del fatto che Guido, intervenendo a un programma radiofonico e rispondendo alle domande pressanti dei suoi interlocutori che gli chiedevano perché non fa uno spot pubblicitario sulle famiglie gay, ha dapprima detto che i suoi soldi li investe come vuole, poi ha spiegato che non farà mai spot per famiglie gay perché lui crede che la famiglia sia solo quella naturale, marito, moglie e figli.
Cioè la Barilla dovrebbe vergognarsi di aver affermato ciò che è sancito dalla nostra Costituzione, per la quale la famiglia gay semplicemente non esiste. C’è una sola famiglia, che è «una società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29), finalizzata a «mantenere, istruire, educare i figli» (art. 30). Guido Barilla ha detto soltanto ciò che la Costituzione sancisce e rivendicato la facoltà di scegliere un pubblico di riferimento per vendere i suoi prodotti. Nessuna discriminazione, nessun atteggiamento anti-gay, nessun incitamento all’odio e alla violenza.
Eppure si dovrebbe vergognare perché, come dice nel video di scuse, «mi hanno fatto capire che sul dibattito riguardante l’evoluzione della famiglia ho molto da imparare».
Così eccolo che si deve umiliare impegnandosi a incontrare nelle prossime settimane «gli esponenti delle associazioni che meglio rappresentano l’evoluzione della famiglia», cioè le associazioni gay. Affiora la possibilità, evocata dall’onnipresente Dario Fo in una lettera aperta a Guido Barilla, di uno spot Barilla pro-gay. Ed ecco allora che le terribili accuse dei giorni precedenti diventano magnanimità nei confronti del peccatore disposto a riconoscere i suoi peccati. Vedi il linguaggio clericale di Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay e consigliere regionale in Emilia-Romagna: «Capita a tutti di sbagliare nella vita – ha detto dopo aver visto il video -, l’importante è accorgersi dell’errore, ammetterlo sinceramente e fare di tutto perché ci sia un atteggiamento e una azione riparatrice». Da vomito.
Così adesso Grillini è disposto a ricevere il “pentito” Barilla nel suo ufficio in Regione. Hanno piegato il nemico, adesso lo vogliono vedere strisciare ai loro piedi e farsi pagare un bellissimo spot che magari farà perdere quote di mercato alla Barilla (le famiglie vere contano più dei gay al supermercato) ma che sarà il trionfo dell’ideologia gay, il trionfo della violenza e dell’arroganza.
Possibile che nessuno si svegli davanti a queste cose?I gravi fatti di Casale Monferrato, con lo squadrismo gay che impedisce un normalissimo convegno (fatti ignorati ovviamente dalla stampa, inclusa quella cattolica) e ora la squallida vicenda Barilla: non è ancora chiaro che c’è una minoranza violenta e arrogante che detta legge e di cui siamo tutti ostaggio? Affermare che la famiglia è fondata sul matrimonio tra uomo e donna è diventato un crimine, «un’uscita infelice» nella migliore delle ipotesi (vedi Corriere della Sera). Non è ancora chiaro che la legge sull’omofobia non c’entra niente con le presunte violenze contro gli omosessuali, ma è soltanto un tassello nel consolidamento di una dittatura gay?
Come si fa ancora a sostenere che i gay sono discriminati? Imperversano nei giornali e nelle tv, comandano al cinema, dettano legge in politica, sono forti perfino nella Chiesa. Le donne con figli sono discriminate, non i gay. Nessun datore di lavoro ti chiede se sei gay, ma la stragrande maggioranza chiede alle donne giovani se hanno intenzione di sposarsi e fare figli (inteso che al “sì” si straccia la domanda di assunzione) o più semplicemente vengono scartate subito. E nessuno che si scandalizzi di ciò, nessuno che intervenga.
Ma dove sono i custodi della Costituzione, quelli della sacralità dei princìpi repubblicani? Dov’è il presidente della Repubblica, che in questi anni ci ha sfracassato in tutti i modi con la Sacra Costituzione? Troppo impegnato a salvare Letta per accorgersi della deriva totalitaria che sta travolgendo l’Italia. Oppure no, è che – più semplicemente – lui ha già imparato e condivide l’evoluzione della famiglia, così come la deriva totalitaria, in fondo è un ricordo di gioventù. Così come questo governo che ha ampiamente sostenuto il disegno di legge sull’omofobia, nel silenzio di chi avrebbe potuto e dovuto dire che questa è la strada per la rovina del paese.
E dove sono quei deputati di Scelta Civica che, giocando al Piccolo Stratega, hanno approvato il disegno di legge alla Camera perché Scalfarotto li ha accontentati con un emendamento che dovrebbe garantire la libertà di espressione? Patetici, Scalfarotto è ancora lì che ride. Guardate cosa sta accadendo, aprite gli occhi, con quell’emendamento ci potrete fare un sacco di cose, escluso salvare la libertà di chicchessia. La libertà è già stata perduta, e voi ne siete complici.
L’autocritica di Guido Barilla è un documento agghiacciante. Che almeno serva a risvegliare qualche coscienza.
Intervista al deputato Alessandro Pagano (Pdl) che spiega il senso del provvedimento approvato alla Camera. «Al Senato non bisogna puntare al ribasso»
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it
L’Arcigay l’ha definito “emendamento salva-vescovi” dopo la sua approvazione da parte del Pd, che in cambio ha ottenuto il sì di Scelta Civica all’intero impianto normativo del disegno di legge “Per la repressione delle discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”. «Definire così l’emendamento di Gregorio Gitti è truce e fa capire l’intenzione reale di chi vuole istituire un reato di opinione per la cosiddetta “omofobia” o “transfobia”, iscrivendolo all’interno di una norma molto controversa come la Mancino-reale». A parlare con tempi.it è il deputato del Pdl, Alessandro Pagano, leader insieme a Eugenia Roccella del fronte di opposizione al ddl. Pagano ha spiegato in aula, con le parole dello stesso Ivan Scalfarotto, perché l’emendamento presentato da Gitti (Scelta Civica) «non è assolutamente sufficiente a tutelare la libertà di pensiero di tutti i cittadini».
UNA CLAUSOLA NULLA. Pagano ha definito “nulla” la clausola di salvaguardia secondo cui «non costituiscono discriminazione (…) le condotte conformi al diritto vigente». «Tale formulazione – continua il deputato – contiene una contraddizione in termini: ad oggi il diritto vigente permettere la salvaguardia del diritto di opinione. Il problema è che nel momento in cui passerà la legge in discussione questa modificherà il diritto vigente, smettendo di proteggere la libertà di espressione. L’emendamento Gitti, al di là delle buone intenzioni, è scritto in maniera confusa e pericolosa». Non solo. La clausola di salvaguardia si propone anche di proteggere «le organizzazioni di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione, ovvero di sanità o di culto». All’interno di questi ambiti si potrà esprimere il proprio credo, ma nelle piazze, a scuola, nei convegni pubblici, in famiglia? «Non solo è discutibile un compromesso che tutela solo la libertà di espressione di qualcuno e non di ogni cittadino, e valido in certi ambiti ma non in tutti, il problema è anche che in un impianto normativo del genere è facile che questa clausola sia messa in discussione e che anche queste organizzazioni perdano la tutela». Perché? «“Omofobia” e “transfobia” sono reati indefiniti e quindi saranno decisi tramite sentenze che potranno stabilire, come succede all’estero, che è reato dire che il matrimonio è solo fra uomo e donna o che l’adozione da parte delle coppie omosessuali è sbagliata. Se questi diventeranno reati come potranno essere tollerate delle zone franche? In una giurisprudenza come la nostra, dove il diritto scritto viene messo in secondo piano rispetto alle interpretazioni dei giudici, sarà facile che i magistrati sollevino dubbi su una clausola di salvaguardia ambigua che contrasta con tutto l’impianto della legge».
PRELUDIO DEL MATRIMONIO GAY. A confermare questa tesi è stato lo stesso Scalfarotto che ha tranquillizzato il mondo degli attivisti omosessuali così: «Il sub-emendamento Gitti in realtà è meno preoccupante di come sia stato descritto». Di Scalfarotto bisogna riconosce la sincerità. «Fu sempre lui ha dirmi apertamente in commissione Giustizia che il ddl aveva lo scopo di mettere il bavaglio a chi si opponesse al matrimonio gay». Il deputato del Pd l’ha poi dichiarato anche all’Espresso: alla domanda se questo dibattito non allontanasse quello sui matrimoni o sulle unioni gay Scalfarotto ha risposto: «Io direi che lo precede. Perché sono due cose diverse. E l’una viene logicamente prima dell’altra». Ora la legge si appresta ad essere votata dal Senato. Difficile fermarla? «Alla Camera il dibattito è stato strozzato. In commissione non volevano permettermi di presentare emendamenti né di discutere. Le sedute sono state notturne e i tempi che il Pdl aveva per parlare erano ridotti rispetto a quelli degli altri partiti. Per questo, mentre mi opponevo, c’era chi diceva che stavo sprecando tempo, che orami la deriva era interna a ogni partito, e che tutto sarebbe finito 628 voti a favore del ddl e 2 contro. Io e Roccella siamo partiti soli, abbiamo chiesto tempo presentato numerosi emendamenti, abbiamo cercato di informare i cittadini e il Parlamento dei contenuti liberticidi del ddl. In molti hanno compreso e così siamo arrivati a 110 voti in due mesi. Al Senato, visti in numeri, si può fare ancora di più. L’importante è non puntare al ribasso».
Due dottori denunciano le trappole del testo proposto dalla Fnomceo. Dall’abolizione del giuramento di Ippocrate alla scomparsa delle parole “paziente” e “eutanasia”. Fino alla fecondazione assistita senza limiti
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it
Si potrà essere medici senza giurare fedeltà ai princìpi della professione? Si dovrà chiamare “persona assistita” il paziente? La parola “sesso” sarà affiancata a “genere”? Il vocabolo “eutanasia” verrà sostituito da un eufemismo altrettanto fumoso, se non di più? L’obiezione di coscienza sarà abolita? Secondo Stefano Alice la risposta a questi interrogativi è «sì, se la bozza del nuovo codice deontologico dei medici passerà così com’è».
VERONESI, I PAZIENTI, IPPOCRATE. Da qualche giorno, infatti, il Comitato centrale della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) ha proposta alle varie federazioni locali unnuovo codice deontologico. Si tratta per ora solo di una bozza, ma secondo Alice, medico di base a Genova, e Renzo Puccetti, specialista e membro della società medico-scientifica Promed Galileo, il testo contiene diversi punti quanto meno controversi. Innanzitutto è scomparsa la parola “paziente”, cosa che non è piaciuta nemmeno al celebre oncologo Umberto Veronesi. «Chiamare persone assistite tutti quelli che si ammalano dà l’idea che per la società curarli sia un peso più che un dovere», ha spigato il professore. «Ma nel documento ci sono revisioni ancora più gravi», commentano Alice e Puccetti che hanno letto il testo per intero. Se nel codice del 2006, ancora in vigore, si legge che «il medico deve prestare giuramento professionale», ora invece «l’iscrizione all’Albo vincola il medico ai princìpi del giuramento professionale e al rispetto delle norme del presente codice di deontologia medica». Del giuramento di Ippocrate non c’è più traccia.
L’ARTICOLO 22. Non è finita. All’articolo 44, dove si parla di fecondazione assistita, sono spariti i divieti previsti dalla legge riguardo a maternità surrogata, procreazione al di fuori di coppie eterosessuali stabili, pratiche su donne in menopausa non precoce e fecondazione dopo la morte del partner. All’articolo 3 viene invece introdotto il «rispetto della libertà e della dignità della persona» senza distinzioni «di sesso e di genere» (attualmente nel codice non compare la parola “genere”). Mentre l’eutanasia, menzionata nell’articolo 17, è sostituita dall’espressione «trattamenti finalizzati a provocare la morte». Ma quello che più preoccupa Alice e Puccetti è la modifica dell’articolo 22: se oggi il medico «può rifiutare la propria opera» nel caso in cui siano «richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico», domani, qualora il nuovo codice deontologico fosse approvato, il rifiuto potrebbe essere consentito solo per «contrasto con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici».
IMPOSIZIONI TRA LE RIGHE. Secondo Puccetti non si tratta di una modifica di poco conto: «Questa riformulazione ha un solo significato: la totale distruzione della libertà di coscienza del medico». Se infatti il rifiuto di una prestazione richiesta dovrà essere sostenuto da «convincimenti etici e tecnico-scientifici», spiega Puccetti, vuol dire che la cosiddetta “obiezione di coscienza” da sola potrebbe non essere più sufficiente a giustificare la scelta del medico, poiché nella nuova formulazione deontologica i non meglio precisati «convincimenti tecnico-scientifici» potrebbero rappresentare un condizionamento altrettanto determinante. Inoltre, continua Puccetti, nello stesso articolo 22, «il nuovo codice impone al medico di agire in ogni caso qualora la sua eventuale obiezione di coscienza “sia di nocumento per la salute della persona assistita”: togliere a questo rischio di nocumento le caratteristiche di gravità e imminenza, attualmente presenti, può di fatto eliminare ogni possibilità di rifiuto da parte de medico». Medico che per di più, in base al testo proposto dalla Fnomceo, in caso di obiezione avrà comunque «l’obbligo non di “fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento”, come nel codice in vigore, ma di informare il cittadino “per consentire la fruizione dei servizi esigibili”, cosa che per un obiettore può significare coinvolgersi in un’azione che si ritiene immorale».
LA REPLICA DELL’ORDINE. Alle perplessità dei due medici ha risposto in prima persona Amedeo Bianco, presidente della Federazione nazionale dell’ordine dei medici, che sul portale di informazione medica Doctor33 ha definito quelle di Alice e Puccetti «critiche ingenerose e infondate» dal momento che «se c’è qualcosa che non è in discussione è proprio il principio di autonomia di esercizio in scienza e coscienza». Ma nella lettera inviata agli Ordini regionali si dice inoltre che alle osservazioni sulla bozza del nuovo codice deontologico va anteposta l’urgenza dell’approvazione. «Bianco aveva ritrattato, ma successivamente, sempre su Doctor33, ha ribadito che il codice andrà approvato entro l’anno», accusa Alice. Puccetti ricorda che il punto non è imporre nulla ad alcuno: al contrario è il nuovo testo che rende possibile un’aggressione verso le pluralità delle posizioni sui cosiddetti temi sensibili. «Quindi il rimedio è solo uno: mantenere inalterato l’attuale codice».