da Baltazzar | Ott 18, 2013 | Biopolitica, Segni dei tempi
Lettera di Jean-Pierre Delaume-Myard al ministro della Famiglia Bertinotti: «È un diritto del bambino avere una mamma e un papà. E le donne non sono galline che fanno le uova»
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it
«Io sono omosessuale e sono contro le nozze fra persone dello stesso stesso, perché è un diritto fondamentale del bambino avere un padre e una madre come gli altri». Lo ha scritto Jean-Pierre Delaume-Myard, portavoce della Manif pour tous, al ministro della Famiglia francese Dominique Bertinotti. Sono mesi che la Manif chiede di incontrare il ministro per avere risposte «su una serie di temi come la liberalizzazione della tecnica della fecondazione assistita».
«NON SIAMO OMOFOBI». Dopo il matrimonio gay, infatti, il governo di François Hollande intende aprire la fecondazione assistita alle coppie gay. I deputati socialisti hanno già annunciato che proporranno un emendamento ad hoc al disegno di legge sulla famiglia, che sarà discusso a gennaio. «Ma la signora Bertinotti non si degna di riceverci», continua Delaume-Myard, che è anche portavoce del gruppo HomoVox: «Siamo uomini e donne omosessuali e ci siamo rimasti molto male per quello che lei ha detto al Journal du Dimanche nel dicembre 2012: “Tutti i contrari” [al matrimonio gay] sentono il bisogno di dire che non hanno nulla contro gli omosessuali, ma nello stesso tempo gli rifiutano i loro stessi diritti”. E ancora: “Quando non si danno gli stessi diritti agli omosessuali e agli eterosessuali, non si tratta di omofobia?”».
ORA TOCCA ALLA FECONDAZIONE. Delaume-Myard spiega di avere 50 anni e di convivere con un uomo dall’età di 24, ma di essere contrario al «matrimonio fra persone dello stesso sesso per via del diritto fondamentale del bambino ad avere un padre e una madre come gli altri. Signor ministro, pensa per questo che io sia un omosessuale omofobo?». Il portavoce della Manif ricorda poi quando Hollande promise che la legge Taubira avrebbe resa legale l’adozione gay, ma non si sarebbe spinta oltre: «Sulla maternità surrogata il presidente si è detto chiaramente contrario. E lei ministro vorrebbe sconfessarlo? Sa bene che ora che il matrimonio gay è stato approvato una coppia di lesbiche potrà rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e chiedere di accedere alla fecondazione assistita, ponendo fine alla discriminazione tra coppie eterosessuali e coppie gay. Ciò avrà l’effetto di istituzionalizzare la perdita del padre per i figli». Per di più, visto che anche gli omosessuali potranno richiedere la fecondazione e la maternità surrogata, «oltre alla mercificazione delle donne, trattate come galline che fanno le uova, sarà istituzionalizzata anche la privazione della madre per i figli».
«MINISTRO, CI RICEVA». Per questo motivo, a nome di centinaia di migliaia di francesi, il portavoce della Manif ha chiesto che il ministro «ci riceva» per darci precisazioni sul nuovo disegno di legge sulla famiglia. Lo scorso maggio Delaume-Myard aveva già scritto così al presidente Hollande: «Mi batto perché dopo questi mesi tutti abbiamo capito che la legge Taubira non è che l’inizio della strada che porta alla fecondazione assistita e alla maternità surrogata e perché questa legge in realtà non ha nulla a che vedere con gli omosessuali. Se fossi stato eterosessuale, mi sarei battuto comunque al fianco [della Manif], cioè dalla parte della ragione».
da Baltazzar | Ott 17, 2013 | Chiesa sofferente, Cultura e Società, Segni dei tempi
Lorenzo Fontana, deputato al Parlamento Europeo, spiega come la risouluzione contro l’obiezione di coscienza e per l’educazione Lgbti può diventare vincolante
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it
Il 10 ottobre scorso il Parlamento europeo ha condannato la persecuzione dei cristiani in Siria, Pakistan e Iran, approvando una risoluzione votata durante la seduta plenaria in corso a Strasburgo. Solo un mese prima, la commissione parlamentare dei Diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere aveva approvato un’altra risoluzione che spingeva gli Stati a limitare l’obiezione di coscienza per garantire il diritto all’aborto. Una contraddizione evidente: da una parte si condannano i cristiani perseguitati per le loro idee e, dall’altra, si chiede di limitare un diritto fondamentale che li riguarda.
DIRITTI UMANI ALL’ABORTO E ALLA FECONDAZIONE LGBT. Com’è possibile? «La prima risoluzione è passata perché cadrà nel vuoto, la seconda invece sarà approvata dal Parlamento e poi tradotta in un’azione concreta dalla Commissione Europea. Sanno bene che accade sempre così». Lorenzo Fontana (foto), deputato del gruppo Europa della Libertà e della Democrazia al Parlamento Europeo, spiega che a prendere le decisioni vincolanti per gli Stati dell’Unione Europea non è il Parlamento ma la Commissione, che ha il compito di stabilire quali risoluzioni trasformare in leggi. «Tutte le condanne ai cristiani perseguitati sono state snobbate dai commissari. Mentre le risoluzioni relative a temi legati alla vita, alla salute e all’educazione sono sempre ben accette».
Fontana pensa a quando una minoranza di parlamentari chiese alla Commissione di indire una giornata contro la cristianofobia: «Ci fu risposto che la materia non era di competenza della Commissione». Anche la salute, la vita e l’educazione non lo sono. «Per questo, come si legge nella bozza contro l’obiezione di coscienza, si parla di diritto umano all’aborto, per far rientrare la questione in un ambito in cui l’Europa possa legiferare. Questo è lo stratagemma che viene utilizzato».
Significa che l’invito a «regolare e monitorare l’obiezione di coscienza» potrà diventare legge, che «l’accesso all’aborto sicuro» non sarà più ostacolato «dall’abuso dell’obiezione di coscienza» o che sarà garantito «l’accesso ai trattamenti per la fertilità e alla procreazione medicalmente assistita anche per le donne senza un partner e le lesbiche»? «Sì – risponde Fontana – se la risoluzione sarà oggetto dell’azione legislativa della Commissione Europea». Non solo, perché nel testo si parla anche di assicurare «un’educazione obbligatoria, sensibile al tema delle relazioni e della sessualità di genere», che deve «includere la lotta contro gli stereotipi, i pregiudizi, far luce sull’orientamento “gender” e sulle barriere per rendere sostanziale l’uguaglianza».
DUE PESI E DUE MISURE. Il deputato ride ricordando l’ipersensibilità del Parlamento Europeo verso le minoranze: «Ogni volta che si parla di un gruppo, in Europa il sentimento prevale sul giudizio giuridico-filosofico. Ogni istanza, presentata come la difesa di una minoranza, deve essere votata per forza a prescindere dal merito». Anche in difesa dei cristiani quindi: «Ecco, questo è l’unico caso in cui avviene il contrario. Chi difende il credo di un cristiano e la sua libertà è un oscurantista da combattere. Prevale anche in questo caso il sentimento, ma al contrario. Così tutti possono essere liberi, tranne i cristiani. Questo avviene in Europa».
«Sono i paradossi dell’emotività irrazionale – prosegue Fontana. Per difendere la campagna contro il tabacco, ad esempio, i Verdi stanno facendo di tutto. Hanno parlato persino del diritto del bambino in grembo a non respirare il fumo. Quando sentii quella frase, chiesi come mai, visto che prevaleva la sua vita al volere della madre, lei poteva scegliere di ucciderlo. Mi hanno risposto dicendomi che sono retrogrado».
Rischiano anche i minorenni a cui si vuole imporre l’educazione sessuale: «In nome dell’uguaglianza degli omosessuali ogni aspetto della vita dei bambini viene sessualizzato con corsi e lezioni apposite». E chi si oppone? «È un reazionario, appunto».
da Baltazzar | Ott 16, 2013 | Cultura e Società, Segni dei tempi, Testimonianze
Ha 16 anni, parla inglese e spagnolo alla perfezione ma se la cava anche col francese e il latino. E’ un adolescente con un’incredibile capacità di suonare bene il violino e si è già esibito in concerti con orchestre sinfoniche. Tiene anche conferenze per gli Stati Uniti e nel resto del mondo.
Si chiama Emmaunel Joseph Bishop e guardando alla sua storia si può dire senza esagerare che è alcune spanne al di sopra degli adolescenti della sua età. Questo giovanotto talentuoso ha la sindrome di Down; in alcuni paesi la legge permette di abortirlo prima della nascita, solo perché Down.
La sua storia è così impressionante che sta girando il mondo attraverso i social network.
E’ difficile trovare un talento come quello di Emmanuel in giro per il mondo magari perché non li hanno lasciati nascere per il solo fatto di essere affetti dalla sindrome di Down; questo per il fatto di non avere i requisiti che la società occidentale afferma che si debbano avere, per essere degni di questa vita. E tutto questo protetti dalla legge.
Tuttavia, la storia di Emmanuel appare come una tempesta che distrugge tutti questi sofismi per giustificare l’aborto di decine di migliaia di bambini che non sono considerati adatti. Questo adolescente statunitense ha smontato tutti gli argomenti a favore dell’aborto dei Down, mostrando al mondo di cosa sia capace.
Un cattolico devoto.
Emmanuel è anche un cattolico molto devoto, lo afferma orgoglioso, facendo le sue preghiere anche in latino, dirigendo la preghiera del Rosario e altre preghiere comunitarie in molte occasioni.
In questo senso, questo ragazzo, intende usare il dono che Dio gli ha fatto, per un fine più grande. I suoi sforzi sono per mostrare che i disabili sono uguali agli altri, che hanno i propri doni e abilità da mostrare al mondo. I definitiva, convincere il mondo che sono utili, proprio il contrario che quotidianamente il mondo insegna.
Un talento precoce.
Emmanuel è nato il 21 Dicembre del 1996 nella città statunitense di Grafton. Coominciò subito a sorprendere tutti: a due anni già cominciava a leggere e a tre era capace di leggere parole in francese.
A soli sei anni lesse il discorso di benvenuto dell’Associazione Nazionale Sindrome di Down, e lo fece in tre lingue per una platea di più di seicento persone. A questa età cominciò ad apprendere a suonare il violino, uno dei suoi maggiori interessi.
La vita di Emmanuel prosegue a questa velocità vertiginosa. A otto anni andava in bicicletta e vinceva medaglie alle paralimpiadi degli USA, gareggiando anche nel golf e nel nuoto in cui vinse medaglie nei 200 e 400 metri in stile libero.
Il violino, la sua arma, il suo scudo.
Un anno dopo faceva il chierichetto in parrocchia e l’anno successivo riceveva il sacramento della Cresima. Nel 2010 corona un altro suo sogno, suonando alla Giornata Mondiale per la Sindrome di Down in Turchia, insieme a un’orchestra sinfonica. A 12 anni suona il violino inun recital inIrlanda in occasione del Decimo Congresso Mondiale della Sindrome di Down.

Il suo obbiettivo: aiutare altri bambini.
Emmanuel è stato educato da genitori che non hanno mai dubitato delle sue capacità. Con sforzo e perseveranza questo ragazzo ha potuto superare la sua disabilità.
Nelle sue presentazioni parla della sua vita di adolescente con Sindrome di Down, che ha interesi, che ama gli sport, la musica, che nuota, che va in bicicletta.
I suoi obbiettivi si riassumono in quattro punti:
- Evidenziare le competenze, talenti, doni e le potenzialità dei bambini con questa disabilità.
- Contrastare le basse aspettative nella sindrome di Down.
- Dimostrare che la gioia di vivere non si oppone a queste persone.
- Attenuare la prevalenza di tutto ciò detto o scritto sulla sindrome di Down proviene principalmente da persone senza questa disabilità.
Un esempio per tutti.
A Dicembre 2012, a Houston, in occasione della riunione annuale della trisomia 21, Emmanuel sorprende tutti raccontando le sue avventure e viaggi intorno al mondo, i loro studi e anche del suo violino. Parla anche un po’ in francese e delle opere d’arte che aveva visitato durante il suo soggiorno a Parigi. Risponde alle domande sulla sua vita e di dubbi che altre persone possono avere.
La sua formazione in casa ha dimostrato l’importanza dell’alfabetizzazione precoce.
La sua testimonianza, più per la sua capacità di superamento che per le sue abilità concrete, è uno stimolo e un impulso per molti bambini con Sindrome di Down e le loro famiglie. Non sono sole e sono utili molto più di quanto possano immaginare.
da http://fermenticattolicivivi.wordpress.com/2013/10/14/a-16-anni-parla-quattro-lingue-suona-il-violino-tiene-conferenze-va-a-messa-doveva-essere-abortito-perche-down/
[Tradotto da: http://www.religionenlibertad.com/articulo.asp?idarticulo=31458%5D
da Baltazzar | Ott 16, 2013 | Biopolitica, Famiglia, Segni dei tempi
L’assurda legge firmata dal governatore Brown allarga la podestà sui figli oltre i due genitori. È stata voluta per ammodernare il diritto ai cambiamenti della società, «ma chi paga sono i bambini»
da www.tempi.it
Genitore 1 e 2? Il dibattito in Italia è già vecchio. La podestà su un figlio riconosciuta a tre o più genitori: è la nuova legge che da venerdì lo stato della California può vantare, ennesimo passo avanti verso una società che riconosce sempre meno valore alla famiglia tradizionale a favore delle nuove unioni omosessuali. La firma è stata apposta dal governatore Jerry Brown, a termine di una vicenda giudiziaria cominciata nel 2011: all’epoca finì davanti alla corte suprema il caso due donne conviventi, madri di una bambina avuta da una di loro con il precedente marito. Un litigio violento aveva spaccato la coppia, mandando una delle due donne in ospedale e l’altra in prigione, con la bambina affidata ad una nuova famiglia nonostante il padre biologico chiedesse di poterla riavere in casa.
«RICONOSCERE I CAMBIAMENTI». Così dopo la sentenza della Corte si è arrivati alla legge, pensata apposta per evitare competizioni in tema di figli tra coppie omosessuali e genitori biologici e per “modernizzare” il diritto alla società che cambia, anche sul fronte familiare: «Alla corte serve la capacità di riconoscere questi cambiamenti, affinché i bambini possano essere supportati da quegli adulti che giocano un ruolo centrale nell’amare e prendersi cura di loro», è stato il commento di Mark Leno, senatore democratico omosessuale. «È importante che i giudici abbiano la capacità di apprezzare il ruolo di tutti i genitori, cosicché un figlio non debba sopportare la separazione da uno degli adulti che ha sempre conosciuto come genitore».
«A PAGARE SONO I BAMBINI». Intento della legge è tutelare i figli, spiegano le voci politiche di stampo progressista. Ma non a tutti piacciono le famiglie “a tre genitori”. «Chi pagherà il prezzo non sono gli attivisti, bensì i bambini, che si troveranno davanti a più grandi conflitti e indecisioni su questioni che coinvolgono il loro benessere», ha spiegato Brad Dacus, presidente del Pacific Justice Istitute.
«IL FIGLIO DIVENTA UN POSSESSO». «Il riconoscimento dei tre genitori può ammantarsi quanto vuole di realismo o di attenzione per i diritti dei figli, ma è evidente che li calpesta, insieme con la logica», scrive oggi Il Foglio. «Il bambino con tre genitori legali, chiamati a condividere responsabilità, spese di mantenimento, decisioni educative, non è affatto un bambino più ricco, né la pseudo famiglia così raffazzonata sarà più serena e pacificata. In attesa che la platea genitoriale si allarghi ulteriormente, attorno al feticcio dell’uguaglianza di ciò che uguale non può essere – il matrimonio gay, la finzione assoluta di due genitori dello stesso sesso – cresce l’arbitrio travestito da legge. Sempre a spese dei più deboli».
da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Segni dei tempi
di Andrea Lavelli da www.lanuovabq.it

Nello scorso fine settimana centinaia di persone hanno riempito le piazze di varie città d’Italia per ribadire il loro no al disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia. Lo hanno fatto in modo pacifico e silenzioso: seduti per terra con un bavaglio sulla bocca o semplicemente restando in piedi come sentinelle, intenti nella lettura di un libro.
“La manif pour tous – Italia” e “Le sentinelle in piedi”, due realtà differenti per stile e impostazione, ma unite dal comune obiettivo di contrastare l’avanzare dell’ideologia di genere nel nostro Paese, hanno centrato l’obiettivo di dare vita alla prima grande mobilitazione nazionale contro il disegno di legge sull’omofobia che dopo il via libera della Camera passerà ora all’esame del Senato.
Venerdì sera a Roma erano in più di mille a riempire Piazza della Rotonda, all’ombra del Pantheon, chiamati in piazza da “La Manif pour tous – Italia”, associazione nata sulla scia dell’omonima realtà francese che in primavera ha portato per le strade di Parigi milioni di persone contro al legge Taubira sul matrimonio omosessuale.
«Il nostro modo di operare è quello di una vera e propria veglia. I partecipanti si sono disposti seduti per terra con un bavaglio sulla bocca, mentre venivano declamati alcuni brani di grandi scrittori sulla libertà di pensiero – spiega Gianfranco Pillepich, portavoce de “La Manif” – È stato anche letto e analizzato il testo della legge, insieme ai pareri di vari giuristi e psicologi. La manifestazione romana ha avuto un ottimo risultato: tutti hanno partecipato con grande silenzio e attenzione». Al termine della Manif di Roma sono stati distribuiti pacchi di pasta Barilla a ricordare il fatto che Guido Barilla è stato la prima vittima della legge Scalfarotto.
In contemporanea, centinaia di persone scendevano in piazza per vegliare anche a Pisa, Bolzano, Bologna, Bisceglie, mentre sabato sera è stata la volta di Venezia.
«Abbiamo registrato in media 200 persone a piazza e la realtà è in crescita – spiegano dalla “Manif” – La nostra battaglia non si fermerà qui e anzi continuerà più forte di prima a dimostrazione che la società civile italiana è vigile e non si arrende di fronte all’arroganza di chi vuole impedire la difesa della famiglia fondata tra uomo e donna».
Sempre in campo contro la legge Scalfarotto e contro le limitazioni che comporterebbe alla libertà di pensiero, sono scese in piazza a Milano le “Sentinelle in piedi”. Erano in tutto 500 provenienti soprattutto dai coordinamenti di Milano, Bergamo e Brescia che si sono dati appuntamento nella centralissima piazza Cordusio per vegliare secondo il modello dei “Veilleurs debout” francesi. Il colpo d’occhio per i tanti passanti del sabato sera milanese è impressionante: una piazza piena di persone in piedi, immobili, in silenzio, immerse nella lettura di un libro e assiepati ovunque anche lungo le pensiline dei tram.
«Siamo un gruppo di amici, che ha deciso di vegliare in questo modo per lanciare un forte segnale: vogliamo e speriamo in un futuro in cui ci sia ancora la libertà di espressione – spiega Pietro Invernizzi, portavoce delle Sentinelle in Piedi di Milano – Con questa legge anche solo affermare pubblicamente che una coppia omosessuale non ha il diritto di adottare un bambino, potrebbe essere considerato reato punibile con il carcere. Vogliamo trasmettere a tutti la nostra preoccupazione: quando in una società si inizia a limitare la libertà d’espressione si deve cominciare ad aver paura».
Anche le “Sentinelle in piedi” sono una realtà in espansione: da qualche tempo in alcune città d’Italia si è cominciato a vegliare in questo modo ed è in aumento il numero dei coordinamenti cittadini. Il prossimo gruppo a scendere in piazza sarà Trento, con una manifestazione organizzata per sabato prossimo 19 ottobre.
da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Bioetica, Biopolitica, Segni dei tempi
Chiara Lalli è una figura emergente nel dibattito sui problemi della bioetica in Italia. Il suo blog è uno dei più consultati dai giornalisti. I suoi libri, che in genere pretendono di presentare tesi “controverse”, vengono recensiti con entusiasmo dai principali quotidiani nazionali (è il caso del Corriere della Sera con “La verità, vi prego, sull’aborto.” dove, con molta approssimazione scientifica si sostiene l’innocuità dell’aborto volontario per la psiche della donna); viene invitata da radio e televisioni quando si deve dibattere qualche punto alla frontiera della bioetica.
Così è successo ad esempio durante la trasmissione radiofonica “Tutta la città ne parla” andata in onda su Radio Rai Tre il 31 gennaio 2013 (a questo indirizzo il podcast). La puntata era dedicata alla giornata internazionale per la Sindrome di Down. Tanta attenzione verso un tema di solito trascurato dai mezzi di comunicazione di massa, era causata da uno spiacevole episodio che si era guadagnato la ribalta dei notiziari proprio in quei giorni: il caso di un ragazzo affetto dalla sindrome, figlio di immigrati, ai quali era stata negata la cittadinanza italiana perché, nonostante tutti i requisiti previsti dalla legge fossero ottemperati, il giudice non aveva ritenuto presente la capacità di intendere e di volere.
Seguendo uno schema consolidato la trasmissione, dopo avere proposto alcuni contributi di persone che si occupano di persone affette dalla sindrome per professione o per esperienza personale (un avvocato di una associazione che si occupa dei diritti dei disabili, la mamma di un ragazzo con la sindrome di Down) ha sottoposto il tema ai rappresentanti di due concezioni della bioetica contrapposte tra loro: il direttore di Avvenire Marco Tarquinio e appunto Chiara Lalli, presentata come “filosofa della scienza”.
Bisogna riconoscere al conduttore di essere stato buon giornalista, lanciando ai suoi ospiti una domanda alquanto spinosa. Il tema è stato introdotto, infatti, ricordando che in tempi di diagnosi prenatale e didiritto di aborto molti bambini affetti dalla sindrome non nascono più, proprio come temeva Jerome Lejeune, lo scopritore delle sue cause genetiche. In Italia si può stimare che ogni anno vengano abortitipiù di mille bambini ogni anno per il semplice fatto di avere un cromosoma in più (i dati possono essere consultati qui). Tanto che nel 2004 è stato lanciato dal governo danese un piano che prevede l’accesso gratuito ai test prenatali per l’individuazione della sindrome e che in 25 anni dovrebbe rendere la Danimarca un paese “Down Free” (i primi effetti sono stati valutati da questo articolo pubblicato dalBritish Medical Journal). Un’iniziativa che ha fatto scalpore per la sua scoperta impostazione eugenetica: selezionare sistematicamente quali bambini “meritino” di venire al mondo e quali no.
Non è stato difficile per Marco Tarquinio porre a confronto il governo danese degli anni 2000 con ilgoverno tedesco degli anni ’30 del ventesimo secolo. Quando è arrivato il suo turno, Chiara Lalli si è trovata in una situazione difficile: da un lato non poteva non sostenere con forza i diritti delle persone affette dalla sindrome di Down già nate; dall’altro, però, voleva difendere il diritto di sopprimere quellenon ancora nate. Non si è però persa d’animo, imbarcandosi in una argomentazione un po’ arzigogolata per mostrare la coerenza della sua posizione. Per chi non avesse voglia di risentire il file audio originale trascrivo qui sotto i principali passaggi del suo intervento prima di commentarli. Parlando della agghiacciante prospettiva di una Danimarca “Down Free” la “filosofa della scienza” ha sostenuto che “…bisognerebbe distinguere l’obbligo dal condizionamento culturale, da un invito, da un’idea. Insomma, ci sono molti livelli che si possono intravedere in una posizione del genere. Il punto fondamentale è che credo le singole scelte debbano sempre rimanere degli individui, individui già esistenti e quindi persone a tutti gli effetti su eventuali, possibili, potenziali, possiamo scegliere gli aggettivi che vogliamo, persone. Però ripeto, il nodo fondamentale è che se io come potenziale genitore decido di interrompere una gravidanza non implica questa mia scelta la mancanza di rispetto per determinate persone ma sto compiendo una scelta perché magari non sono in grado, non mi ritengo in grado di affrontare una situazione del genere. Quindi, in qualche modo, non è una lesione della dignità di altre persone, questo è un nodo fondamentale, è anche un po’ complicato da capire, però insomma … altrimenti è estremamente difficile non connotare una scelta di questo tipo come una scelta nazista, per usare un termine chiaro”.
Si può senz’altro concordare che sia “estremamente difficile non connotare come nazista” il piano del governo danese. Purtroppo le spiegazioni che, con un po’ di didattica degnazione (“è un po’ complicato da capire”) Chiara Lalli ha proposto ai radioascoltatori, non fanno superare affatto tale difficoltà. Vediamole in dettaglio.
Alla domanda se la Danimarca sia paragonabile con la Germania del Terzo Reich Chiara Lalli risponde di no proponendo due argomenti: a) il piano danese non è coercitivo (“distinguere l’obbligo dal condizionamento culturale da un invito, da un’idea”) mentre quello nazista lo era; b) i bambini non ancora nati sono solo persone “potenziali” mentre gli adulti che decidono della loro vita sono persone “a tutti gli effetti”. Si tratta di due tesi francamente deboli, che possono valere per tenere il punto in un dibattito radiofonico che si risolve in una decina di minuti ma che non reggono assolutamente ad una riflessione rigorosa.
Il punto a) è il più semplice da contestare. Il programma eugenetico nazista, dall’eliminazione dei disabili allo sterminio degli ebrei (perché sempre di eugenetica si trattava per i nazisti, basta leggere i testi della loro propaganda) è stato possibile perché nella società tedesca esisteva un sufficiente consenso su di esso. Per dimostrarlo qualche anno fa uno storico di Harvard, Daniel Goldhagen, ha pubblicato un saggio che è diventato un best seller mondiale intitolato “I volenterosi carnefici di Hitler”. Dunque il “condizionamento culturale” degli esecutori del programma era all’opera anche allora: le personecollaboravano spontaneamente, proprio come spontanea dovrebbe essere la scelta delle donne che decidessero di ascoltare l’”invito” lanciato dal governo danese ad eliminare tutti i bambini concepiti affetti dalla sindrome di Down. Dov’è dunque la differenza? Si potrebbe forse dire che in realtà la presenza di un regime totalitario rendeva molto più “costringente” la capacità di persuasione dei nazisti. Ma la filosofa della scienza Chiara Lalli saprà certamente che è stato John Stuart Mill (che certo non era un sostenitore del totalitarismo) a spiegare nel suo saggio “Sulla libertà” che il condizionamento culturale della maggioranza può essere tanto oppressivo quanto quello di un regime autoritario. In realtà, tutte le volte che viene riproposta questa distinzione tra eugenetica “coercitiva” (che sarebbe cattiva) e eugenetica “volontaria” (che invece sarebbe buona) per sdoganare nuovamente tale pseudo-scienza (succede sempre più spesso, non solo sul blog di Chiara Lalli ma anche su paludate riviste di filosofia), bisognerebbe ricordare che in entrambi i casi la vittima non viene ascoltata: per la persona eliminata l’eugenetica è sempre “coercitiva”.
E qui si comprende perché Chiara Lalli deve aggiungere il punto b) alla sua argomentazione affermando che i bambini con la sindrome di Down non ancora nati in realtà non sono “persone a tutti gli effetti” ma solo “persone potenziali”. Proprio per questo motivo non sarebbe necessario chiedere il loro parere per eliminarli. In questo caso l’eugenetica sarebbe buona perché le uniche “persone a tutti gli effetti” coinvolte, cioè gli adulti che dovrebbero decidere la loro eliminazione, prenderebbero tale decisione volontariamente. Per quanto l’argomentazione suoni decisamente capziosa è importante discutere esplicitamente la distinzione tra persone “potenziali” e persone “ a tutti gli effetti”. Chiara Lalli la enuncia come se fosse un fatto assodato, sul quale non c’è alcuna discussione, aderendo a una sorta di mantra che sempre più spesso si affaccia nel dibattito sui temi bioetici più scottanti (aborto, eutanasia, fecondazione artificiale). In realtà si tratta di un’affermazione di tipo filosofico e come tale può e deve essere sottoposta ad un vaglio critico, soprattutto quando viene utilizzata per giustificare le decisioni sulla vita o sulla morte di esseri umani.
Poichè dal punto di vista biologico il processo di sviluppo di un essere umano non conosce alcuna soluzione di continuità dal momento del concepimento fino alla morte, l’idea di “potenzialità” della persona deve necessariamente trovare un altro fondamento. Questo fondamento è l’autocoscienza. Sarebbe l’autocoscienza a rendere un essere umano “persona a tutti gli effetti”. In ultima analisi, quindi, sarebbe un particolare “funzionamento” del soggetto, la sua autocoscienza, che ne renderebbe l’esistenza “personale” e quindi di valore. Si tratta della versione moderna di un argomento filosofico con una lunga tradizione, i cui ascendenti nobili possono essere fatti risalire a Cartesio e Locke, basato sul dualismo corpo-anima, per quanto espresso nella sua moderna versione mente-corpo.
Nel nostro caso l’argomento si applica così: il bambino non ancora nato ha la potenzialità di diventare cosciente ma non lo è ancora, dunque è in qualche misura sottoposto alle scelte degli adulti che invece hanno già raggiunto lo stadio di autocoscienza (notate la particella usata da Chiara Lalli, che implica una subordinazione dei bambini rispetto agli adulti: le … scelte [delle] persone a tutti gli effetti su … potenziali … persone). L’argomento è piuttosto debole: in base ad esso infatti si potrebbe giustificare unasubordinazione dei diritti di una persona incosciente a causa di una anestesia o di uno svenimento, rispetto a quelli delle persone che la soccorrono. Anch’esse infatti sono in quel momento coscienti solo “in potenza”, proprio come il bambino non nato: eppure, come è ovvio, non ci sogneremmo affatto di non considerarle persone “a tutti gli effetti”. Anzi, è proprio il possibile risveglio della loro coscienza che normalmente viene invocato come ragione delle cure da prestare loro: tanto che viene viceversa suggerita l’eutanasia per le persone in “stato vegetativo permanente”, una espressione medica non corretta (l’esperienza clinica insegna che non si può dimostrare ex ante come definitivo alcuno stato vegetativo, tanto è vero che oggi si preferisce l’aggettivo persistente) usata per esprimere la convinzione che di quella persona ormai funzioni solo il corpo, mentre la mente sarebbe invece “morta”.
Al fine di renderlo più difendibile l’argomento della personalità “potenziale” viene spesso sviluppato introducendo una seconda condizione per l’esistenza della persona: l’esistenza di una capacità di giudizio e di un vissuto. Lo hanno fatto ad esempio Giubilini e Minerva, due bioeticisti italiani che su una delle più importanti riviste internazionali di etica medica hanno sostenuto la liceità morale dell’infanticidio, suscitando come è ovvio grande scalpore. Ho già mostrato in un articolo sulla stessa rivista alcune debolezze del loro ragionamento e i rischi sociali di una tale posizione bioetica. Vorrei però qui discutere la loro definizione di persona potenziale, in base alla quale arrivano a giudicare “sopprimibile” un neonato. Giubilini e Minerva affermano in sostanza che lo stato di incoscienza di un bambino non ancora nato o appena nato è diverso da quello che potrebbe temporaneamente vivere un adulto. Quest’ultimo infatti, avendo già un vissuto di cui ha memoria, al momento del risveglio sarà in grado di dare giudizi, e disporre del suo potenziale futuro e soffrire delle minacce alla sua esistenza. In realtà non è difficile mostrare che quella che sembra essere una condizione diversa è in realtà la stessa. Ammesso e non concesso che il bambino non ancora nato non abbia alcuna forma di coscienza (la scienza medica continua infatti a retrodatare tutta una serie di funzionamenti neurologici e di rapporti intensi di scambio con la madre fino a fasi sempre più precoci della gravidanza) è comunque tutta una questione di tempo: anche il bambino non ancora nato, se sarà lasciato vivere sufficientemente a lungo ad un certo punto potrà dare giudizi, disporre del suo futuro e soffrire delle minacce alla sua esistenza. Se accettassimo questa versione dell’argomento della coscienza, allora dovremmo postulare una gradualità dell’essere persona (e quindi dei diritti che ne derivano) via via che gli individui accumulano conoscenza e capacità di giudizio: è evidente infatti che un bambino di tre anni non ha la stessa capacità di un adulto di decidere del suo futuro o di valutare ciò che minaccia la sua vita; e lo stesso si potrebbe dire per distinguere tra adulti con differente grado di istruzione.
La verità è che l’argomento usato dai sostenitori dell’aborto o dell’infanticidio eugenetico andrebbe totalmente rovesciato. Infatti, almeno in un certo senso, siamo tutti persone potenziali. Come un bambino è un potenziale adulto, un adulto è un potenziale vecchio. Un adolescente che non ha ancora completato i suoi studi è un potenziale scienziato e allo stesso tempo un potenziale artista. Nessuno in realtà può realmente disporre del suo futuro ma solo accoglierlo con ciò che porta e richiede alla sua esistenza. Lo sviluppo dell’organismo neonato in organismo adulto è un processo altrettanto irresistibile e fuori dal controllo del soggetto di quello che porta un organismo adulto alla dissoluzione per una malattia degenerativa. Per non parlare dei legami che ci legano con il mondo che ci circonda: probabilmente a tutti, nel corso dell’esistenza, capiterà almeno una volta di esclamare ‘se avessi saputo prima!’; oppure di scoprire che quello che aveva ritenuto uno sbaglio si era rivelato come una preziosa opportunità verso qualcosa di imprevisto e positivo.
Ciò che connota l’essere persona è proprio il mettere continuamente in atto una potenzialità: un articolo un po’ difficile ma che illumina in modo affascinante questo punto è stato pubblicato on line da Damiano Bondi sul sito di mondodomani.org. Il vivere è un tendere verso qualcosa in ogni momento: è un processo in cui una inesauribile potenzialità continuamente si realizza. A partire dalla magnifica e misteriosa potenzialità contenuta nella prima cellula con identità biologica del tutto nuova che viene all’esistenza al momento del concepimento.
Se dunque siamo tutti persone potenziali allora più semplicemente siamo tutti persone (altri argomenti su questo punto possono essere trovati qui). La condizione esistenziale di un bambino affetto dalla sindrome di Down non è diversa da quella degli adulti che rivendicano un diritto di vita e di morte su di lui: semplicemente egli subisce la loro maggiore forza. Per questo Chiara Lalli si sbaglia. Per questo non esiste un’eugenetica “buona”. Per questo il programma eugenetico danese non differisce da quello nazista.
di Benedetto Rocchi*
*Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze
da :http://www.uccronline.it/2013/10/13/e-buona-leugenetica-contro-i-bambini-down/