Atei, abortisti, militanti Lgbt: in Inghilterra tutti possono farsi pubblicità. Tranne chi si oppone all’agenda gay

Atei, abortisti, militanti Lgbt: in Inghilterra tutti possono farsi pubblicità. Tranne chi si oppone all’agenda gay

L’azienda dei trasporti di Londra rifiuta la “Bus Campaign” di una associazione cristiana che offre supporto per uscire dall’omosessualità
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it 

richard dawkins ateoLe prime pubblicità contro i credenti apparvero sulle fiancate dei bus inglesi nel 2008. «There’s probably no God. Now stop worrying and enjoy your life», recitavano i cartelloni che giravano per le strade del paese. Senza ottenere risultati, diverse comunità cristiane e parrocchie contestarono la “Atheist Bus Campaign” sostenendo che quelle scritte erano discriminatorie e irrispettose. Non ottennero alcun risultato.

L’ABORTO IN TV. Da allora ne è stata fatta di strada. Nel 2010 comparve la prima pubblicità tv a favore dell’aborto: «Sei in ritardo?», diceva la voce che invitava le donne incinte a rivolgersi alle cliniche abortive Marie Stopes. I cristiani protestarono ancora. Specialmente la Conferenza episcopale della chiesa cattolica inglese, che denunciò: «L’aborto non è un servizio di consumo. Presentarlo così corrode il rispetto per la vita ed è altamente fuorviante e dannoso per le donne». Anche in questo caso, nessuna conseguenza. La campagna fu giustificata come un’azione di volontariato per «affrontare il tabù dell’aborto».

PERCHÉ NOI NO? L’ultimo caso è stato quello dell’affissione lanciata sei mesi fa da Stonewall, una “lesbian, gay and bisexual charity”. Un’altra “Bus Campaign” per pubblicizzare l’accettazione degli omosessuali: «Some people are gay. Get over it!» («Alcune persone sono gay. Fattene una ragione»). A parte una finta tolleranza, non si leggeva nulla di offensivo. A ottobre, però, è partita una denuncia per discriminazione, quando il Core Issues Trust, un’associazione cristiana di supporto agli omosessuali, si è vista rifiutare dall’azienda dei trasporti pubblici londinese, la Transport for London (Tfl), la richiesta di pubblicizzare sugli autobus della capitale la propria attività. «Il punto è come mai loro possono esprimere la propria opinione mentre noi no?», ha dichiarato il direttore dell’associazione Mike Davidson. Per questo il direttore chiederà la sospensione della pubblicità della Stonewall finché non sarà pronunciata la sentenza d’appello.

TERAPEUTI ALLA SBARRA. Davison, ex militante gay che oggi cerca di aiutare quanti vogliano provare a uscire dall’omosessualità, era già stato accusato di omofobia. Per le sue idee Davidson è stato espulso dall’albo degli psicoterapeuti, nonostante nessuno lo avesse querelato. La stessa sorte a cui rischia di andare incontro anche la dottoressa Leslie Pilkington, finita sotto procedimento da parte dell’associazione inglese degli psicoterapeuti dopo essere stata ”incastrata” da un giornalista che fingendosi cristiano e gay le ha chiesto aiuto per uscire dall’omosessualità e ha registrato il colloquio con lei. Sempre in questi giorni alla Healing on the Streets (Host), organizzazione inglese che propone la preghiera come terapia, è stato chiesto di togliere dai muri i cartelloni che reclamizzavano la propria attività.

Atei, abortisti, militanti Lgbt: in Inghilterra tutti possono farsi pubblicità. Tranne chi si oppone all’agenda gay

È dittatura gay, fermarla prima che sia tardi

di Riccardo Cascioli da www.lanuovabq.it

Giancarlo Cerrelli

Il pomeriggio di mercoledì 30 ottobre l’avvocato Giancarlo Cerrelli riceve una telefonata dalla redazione di Domenica In per un invito a partecipare alla puntata di domenica 3 novembre, in uno spazio dedicato a un dibattito sul recente suicidio del giovane gay  di Roma. Cerrelli è il vicepresidente dell’Unione dei Giuristi Cattolici Italiani, già protagonista di una puntata di Unomattina estate, lo scorso agosto, in cui aveva argomentato contro la legge sull’omofobia e per questo aveva dovuto subire durissimi attacchi da parte delle organizzazioni gay.

Dunque la redazione di Domenica In aveva ritenuto di invitarlo sapendo benissimo le sue posizioni, anzi proprio per quello. Infatti gli era anche stato detto che degli ospiti previsti (quattro in tutto) sarebbe stato solo su certe posizioni. E’ il solito gioco che si fa in certe trasmissioni: si vuol far passare una tesi, ma per non sembrare di parte si invita anche un ospite contrario che, però, viene messo in mezzo a diversi ospiti impedendogli di esprimere compiutamente le proprie posizioni.

In questo caso è interessante notare anche chi sono i tre ospiti che la pensano all’opposto di Cerrelli: sono due giornalisti – Pierluigi Diaco e Tommaso Cerno – e don Antonio Mazzi. E qui vedremo domenica in che senso un sacerdote di Santa Romana Chiesa in materia di omosessualità sostiene tesi opposte a quelle di Cerrelli, visto che quest’ultimo non si discosta dal Catechismo.

Per Cerrelli comunque neanche questo basta: non è sufficiente il ruolo sacrificato, bisogna accertarsi che non faccia affermazioni sgradite; così i redattori di Domenica In gli fanno molte domande per accertarsi su tutte le cose che intende dire.

Si arriva così a ieri pomeriggio, 1 novembre: intorno alle 15 Cerrelli riceve un’altra telefonata dalla redazione di Domenica In, che gli annuncia che il suo intervento è stato annullato. Sono stati mantenuti gli altri ospiti ma Cerrelli verrà sostituito da una mamma che ha accettato l’omosessualità del figlio. In fondo, gli dice il redattore, ci sarebbe stato troppo poco tempo per lui per esprimere le sue posizioni, quindi terranno conto della sua disponibilità per la prossima occasione in cui si parlerà di omofobia.

Scusa patetica, in realtà cade ormai anche qualsiasi parvenza di obiettività: sul tema omosessualità non sono più ammesse opinioni che non siano quelle imposte dalla lobby gay. E come non ricordare che dopo la già citata trasmissione di Uno Mattina, era stato chiesto da alcuni deputati l’intervento della Commissione di Vigilanza Rai per evitare che fossero invitati alle varie trasmissioni «ospiti ultracattolici e omofobi»?

La situazione è ormai oltre ogni limite, come dimostra anche il caso della scuola Faà di Bruno di Torino, che riportiamo in altro articolo. Non c’è ancora una legge sull’omofobia, ma già la dittatura gay è una realtà. Sarebbe il caso che anche la politica intervenisse per garantire la libera espressione di opinioni che non sono diffamatorie né discriminanti né irrispettose. Non solo, sono anche opinioni che ricalcano quanto previsto dalla Costituzione e dalla legge italiana, che riconoscono soltanto la famiglia naturale.

Chissà se quei parlamentari cattolici che alla Camera hanno votato a favore della legge sull’omofobia, soddisfatti dell’introduzione di un emendamento che garantisce libertà religiosa, si stanno rendendo conto di come sia davvero la realtà.

Atei, abortisti, militanti Lgbt: in Inghilterra tutti possono farsi pubblicità. Tranne chi si oppone all’agenda gay

Sopraffazione gay, si è superato qualsiasi limite

di Riccardo Cascioli da www.lanuovabq.it

Sfilata gay

E’ agghiacciante ciò che accade alla scuola media Gramsci di Torino, come racconta Massimo Introvigne nell’articolo in Primo Piano, ma purtroppo non è un caso isolato. Sempre a Torino c’è stata la pesante intimidazione dei gruppi gay, di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi, che hanno costretto la scuola cattolica Faà di Bruno a sospendere un ciclo di incontri riservati ai genitori su famiglia e ideologia di genere. A Venezia invece, apprendiamo che esiste il progetto “A proposito di genere…” dedicato alle scuole materne e primarie, dove gli insegnanti – dopo sei lezioni di “rieducazione” sull’argomento – saranno affiancati in aula da un tutor che li assisterà nel proporre ai bambini il superamento degli stereotipi di genere.

Ma iniziative del genere volte a superare i cosiddetti “stereotipi di genere” ve ne sono ormai in tutta Italia. “Stereotipi di genere”, ovviamente, indica l’antica credenza secondo cui in natura esistono soltanto due sessi e non un numero imprecisato di generi che poi ognuno “indossa” a suo piacimento, anche passando da uno all’altro se ne ha voglia.

C’è insomma una voglia di “Corea del Nord”, di campi di rieducazione sul modello della Cina maoista, che sta invadendo l’Italia, grazie anche ai nostri governanti che – come dimostra l’articolo di Gianfranco Amato nel Focus odierno – hanno pensato bene di pagare tutto ciò con i soldi delle nostre tasse.
Per i lettori più attenti della Nuova BQ non si tratta di una sorpresa: già nel maggio scorso avevamo dato notizia di una “Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale”, a forte orientamento omosessualista, spiegando che la scuola sarebbe stato il terreno principale per imporre questa nuova ideologia. Avevamo anche spiegato che esiste già da anni una rete degli enti locali, chiamata Ready, che funge da coordinamento per promuovere a livello locale quei cambiamenti che poi – si calcola – imporrà ai parlamentari di adeguare la legislazione nazionale.

E’ brutto dire “l’avevamo detto” ma in questo caso è più che giustificato, visto che siamo stati praticamente gli unici a indicare subito il pericolo e la deriva che questa “Strategia” avrebbe significato. Ora però sta arrivando l’ondata di piena, con tanto di aggressione e minacce a chi vuole continuare a sostenere che  in natura esistono solo maschio e femmina e che l’unica famiglia possibile è quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Non è questo un pensiero omofobo, ma una legittima convinzione che trova riscontro peraltro anche nella nostra Costituzione.

Lo abbiamo detto pochi giorni fa, ma lo ripetiamo: si sta instaurando un clima di intolleranza e sopraffazione da parte dei movimenti gay contro chi rifiuta l’indottrinamento, che non può lasciare indifferenti le autorità. Non è possibile chiudere gli occhi davanti a quel che accade e avallare la legge del più forte, saltando a piè pari anche ciò che dice la nostra Costituzione, tanto adulata quando fa comodo quanto bellamente ignorata se la si invoca a tutela della famiglia naturale.

Né si può accettare che l’educazione dei figli venga espropriata ai genitori per favorire l’indottrinamento di stato. E’ una grave violazione della nostra Costituzione e uno scivolamento verso una dittatura gay che in realtà è già iniziata, e senza neanche il bisogno di una legge sull’omofobia. Anche i genitori devono farsi sentire, rifiutare che ai propri bambini fin dalle elementari venga imposta una ideologia contraria ai valori con cui crescono in famiglia.

Libertà di opinione, libertà religiosa, libertà di educazione: tutto viene calpestato pur di affermare una ideologia propugnata da una piccola minoranza, cui si accoda volentieri tutto il bel mondo del politicamente corretto. Cos’altro si deve aspettare prima di intervenire a tutela di cittadini e associazioni che non vogliono fare altro che testimoniare la bellezza della famiglia naturale ed esprimere pubblicamente le proprie convinzioni?

Scuole come campi di rieducazione al gender

Scuole come campi di rieducazione al gender

di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Identità

Nei giorni scorsi per prima «La nuova Bussola quotidiana» e a seguire buona parte della stampa nazionale hanno dato conto di che cosa è vietato nelle scuole torinesi: promuovere incontri per i genitori, anche privati, sui temi dell’ideologia di genere e dell’omofobia, cui un istituto cattolico, il Faà di Bruno, ha dovuto rinunciare dopo aggressioni e minacce della lobby gay. Non è meno istruttivo vedere che cosa è permesso, anzi è obbligatorio.

Il 24 ottobre 2013 è stata pubblicata sul sitowww.direfarenondiscriminare.com, gestito dalla Compagnia 3001, lacronaca di uno dei tanti simpatici eventi allestiti da questa organizzazione nelle scuole piemontesi, questa volta per gli alunni della II B della Scuola Media Antonio Gramsci, Plesso Gobetti di Settimo Torinese, cintura di Torino. Seconda media: cioè, dodicenni. Certo, uno potrebbe pensare che tra Gramsci e Gobetti sia difficile immaginare qualche cosa che assomigli vagamente a un’educazione rispettosa offerta agli alunni cattolici. Ma qui si va molto oltre.

Il sito ci informa – e ci documenta – che «la classe ha voluto allestire una riflessione teatrale come restituzione al tema trattato nel primo incontro relativo alla discriminazione in base all’orientamento sessuale». Le chiamano proprio così: «restituzioni».

Vediamo dunque che cosa «restituiscono» i bambini dopo avere ascoltato una lezione di indottrinamento sul gender. Una bambina attacca: «Amava indossare i pantaloni rosa… era un ragazzo di 15 anni… si è suicidato». Gli altri dodicenni elencano varie discriminazioni, fino a che due bambini esclamano: «Mi chiamano frocio» – «Mi dicono che sono lesbica». E tutti i dodicenni gridano insieme: «basta».

Scena seconda: il Parlamento della Repubblica Italiana. Un bambino interpreta il parlamentare che propone: «Dichiaro aperta la seduta. “In base all’articolo 3 della nostra Costituzione io propongo di riconoscere giuridicamente le unioni civili tra persone dello stesso sesso”. Seguiamo l’esempio dei nostri vicini europei (Francia, Spagna, Regno Unito)…». Applausi. Un’altra piccola parlamentare interviene a favore: «Sono d’accordo! Dobbiamo combattere ogni forma di discriminazione… Tutti devono sentirsi tutelati dalla nostra Costituzione, nessuno può venire escluso perché sceglie di amare una persona del suo stesso sesso». E c’è anche la bambina che fa la parte della parlamentare cattiva: «Io, invece, non sono d’accordo! L’unico matrimonio possibile è quello eterosessuale e l’unica famiglia degna di tale nome è formata da mamma e papà, non da papà e papà o mamma e mamma… e poi cari colleghi pensiamo alle cose serie… l’economia per esempio. Stiamo solo perdendo tempo…».

Un’altra parlamentare buona: «Non è accettabile che, in un paese che si dichiara moderno, le coppie gay non vedano riconosciuti pienamente i loro diritti… il loro amore è forse di serie B? Chi siamo noi per decidere cosa è giusto e cosa non lo è ?». Per fortuna ci è risparmiata la consueta citazione manipolatrice di Papa Francesco, ma forse è implicita. Segue un parlamentare maschio cattivo, sempre interpretato da uno dei dodicenni: «E già, magari, ora approviamo anche una legge che permetta ai gay di adottare dei figli… È un’unione contro natura… ma cosa state dicendo?!! Non sono d’accordo!».

Alla fine si vota. I parlamentari contrari si chiamano – che bei nomi – Paura, Disprezzo, Pregiudizio, Disparità, Diversità ed Esclusione. Ma perdono: almeno in una scuola media è giusto fare interpretare dai ragazzini spettacoli dove vincono i buoni. Interviene il Presidente della Repubblica – beninteso, una bambina – la quale proclama: «Sono orgogliosa di essere il Presidente di un Paese come l’Italia che ha dimostrato di essere uno Stato civile, rispettoso e garante dei diritti di tutti, senza nessuna distinzione. Oggi l’Italia ha mantenuto una promessa: quella dell’eguaglianza… Dichiaro valida la legge che riconosce giuridicamente le unioni civili tra le persone dello stesso sesso!».

I bambini si scatenano. C’è chi dice «Il mio cane può amarmi» e chi «Io posso amare il mio gatto». In attesa di nuovi spettacoli che esplorino queste ulteriori interessanti frontiere – perché fermarsi alle persone dello stesso sesso, chi siamo noi per giudicare chi preferisce i cani e i gatti? – al segnale della professoressa tutte le ragazzine gridano «Sonia può amarmi» e i ragazzini «Fabio può amarmi». E tutti i dodicenni finiscono cantando «A te povero egoista che vivi senza amore – Auguro che il nostro sentire arrivi fino al cuore».

Naturalmente, è prevista la possibilità che i ragazzi delle scuole non se la sentano subito di recitare. Niente paura, sono previsti spettacoli di «tecnologia filosofica» interpretati da adulti con tanto di baci omosessuali,postati in video sul sito tanto perché nessuno possa dire che non era stato avvertito.

Non è un racconto satirico. Succede davvero. A Torino, a bambini di dodici anni. Anche in altre scuole: per esempio alla statale Meucci, in tre classi di seconda media, sono stati proposti uno spettacolo e una discussione sul genere, spiegando che «se il vostro compagno [maschio] domani venisse a scuola vestito di fuxia e paiettes [sic]» nessuno dovrebbe particolarmente stupirsi. Qualche genitore ha protestato, ma è stato messo a tacere o in ridicolo.

Siamo chiari, visto che oggi si dà dell’«omofobo» molto facilmente e gratuitamente. È giusto combattere ogni forma di bullismo nelle scuole, spiegare ai bambini che è odioso insultare, prendere in giro, picchiare i compagni percepiti come «diversi», si tratti di maschietti che sembrano effeminati, di bambine che sembrano mascoline, d’immigrati, di rom. O magari – succede – di cattolici o di musulmani devoti – a Torino ormai in molte scuole i secondi sono più numerosi dei primi – in classi dove nessuno è religioso. Tutt’altra cosa è indottrinare all’ideologia di genere, far mettere in scena da bambini una seduta del Parlamento a proposito di una legge tuttora in discussione, servirsi dei dodicenni per insultare come incivili o vittime di pregiudizi i parlamentari che su quella legge hanno opinioni diverse dagli autori del copione.

E tutto questo succede in scuole pubbliche, a spese dei contribuenti. A Torino come in mezza Italia. Continuerà a succedere, se non fermiamo in tempo questo treno impazzito che corre verso un burrone. E continuerà anche a succedere che, se invece qualche cattolico vuole esporre, civilmente e privatamente, idee diverse, come si è visto nel caso Faà di Bruno, intervengono i Comuni minacciando sanzioni. Con l’applauso anche di cattolici impauriti o complici.

Scuole come campi di rieducazione al gender

La difficile battaglia dei cattolici contro l’ideologia gender

di Josip Horvaticek da www.lanuovabq.it

Bandiera croata

I vescovi croati non perdono occasione di denunciare il gravissimo pericolo per la famiglia, i giovani e la società intera rappresentato dall’ideologia del gender.

Nel corso dell’omelia della Santa Messa celebrata al santuario mariano nazionale di Marija Bistrica, nei pressi di Zagabria, in occasione del pellegrinaggio annuale delle Forze Armate croate di domenica 6 ottobre, l’Arcivescovo di Spalato, mons. Marin Barišic, ha affermato la necessità di «reagire, vivere e agire nello spirito della fede» ai problemi della vita quotidiana. C’è da domandarsi, ha aggiunto mons. Barišic, se«non siamo diventati fuggitivi, disertori, pensionati della fede?» Non è la nostra fede staccata dalla vita, o forse perfino fuggita dalla realtà, «non ci siamo ritirati, diventati invisibili e paurosi?» Ritirandoci dalla realtà «non abbiamo forse abbandonato i campi della cultura, dell’educazione, del matrimonio e della famiglia, alle idee che sono prive di una bussola che ci guidi verso il futuro e la verità?». Quale conseguenza di questa pusillanimità, «vi è il pericolo che non sapremo più né ci sarà più permesso dire se un bambino è maschio e femmina, se i genitori sono il padre e la madre, oppure le lettere A e B o i numeri 1 e 2».

L’arcivescovo di Spalato si è infine appellato ai soldati, alle forze dell’ordine e ai veterani della Guerra per la Patria (la guerra di indipendenza croata del 1991, ndr) affinché siano difensori della famiglia la quale rappresenta «il fondamento della vita e dell’ordine sociale».

L’appello di mons. Barišic è più che mai attuale nonostante le recenti vittorie del vasto fronte che si oppone all’attuazione dell’ideologia del gender nella scuola e nella società croate.

Infatti, la Corte Costituzionale ha bocciato la procedura di attuazione del corso di educazione sessuale di stampo gender nelle scuole croate, nel contempo accusando il governo di avere agito con metodi non democratici; la raccolta di firme per indire un referendum affinché nella Costituzione sia inserito un articolo che preveda che il matrimonio rappresenta solamente l’unione di vita di un uomo e una donna ha avuto un grandissimo successo – il numero finale di firme raccolte in sole due settimane è stato di circa 770.000.

Tuttavia il governo di sinistra non demorde: non è certo che il referendum si possa tenere, giacché in un Paese alle soglie del totalitarismo come la Croazia ogni garanzia democratica è sempre sub judice; è in fase di redazione una nuova legge sulla famiglia, secondo la quale le unioni omosessuali non si chiameranno ‘famiglia’, ma avranno i medesimi diritti delle famiglie naturali, ad eccezione del diritto di adozione – unica concessione fatta al movimento di opposizione, la quale tuttavia è esclusivamente di natura tattica ed è facilmente modificabile in un prossimo futuro; infine per il nuovo anno scolastico il ministro dell’istruzione, Jovanovic, ha imposto, pur con qualche modifica puramente cosmetica, lo stesso programma di educazione sessuale dello scorso anno, anche in questo caso senza consultare i genitori e non lasciando loro la libertà di scegliere per i loro figli programmi alternativi a quello fondato sull’ideologia gender.

La battaglia è ancora lunga e irta di difficoltà, soprattutto perché l’avversario, cosciente di trovarsi in minoranza nella società croata, sfrutterà il vantaggio di essere al potere utilizzando tutti i mezzi che tale posizione gli consente, ivi inclusa l’intimidazione poliziesca, della quale hanno già avuto un assaggio alcuni esponenti del movimento cattolico Hrast. Del resto, il maggiore partito al potere ha una notevole familiarità con i metodi totalitari dell’ideologia comunista, attuati in questo Paese per quasi mezzo secolo, e che gli attuali governanti croati hanno abbandonato solamente a parole.

Laicità francese, intollerante per sua natura

Laicità francese, intollerante per sua natura

di Stefano Fontana da www.lanuovabq.it

Laicismo alla francese

Gli eventi francesi di cui ha riferito ieri La Nuova BQ stanno mettendo in discussione la versione moderata della laicità proposta, per esempio, dal filosofo Charles Taylor. I sindaci non possono fare obiezione di coscienza davanti ai matrimoni tra persone omosessuali, né con riferimento a motivazioni religiose né con riferimento a scelte filosofiche: la legge non lo permette. Davanti a queste posizioni, che si prevedono sempre più diffuse, bisogna ripensare la libertà di coscienza e di religione ben oltre la versione moderata ed illuminata che Charles Taylor ha riproposto di recente nel libro “La scommessa del laico” (Laterza) scritto insieme a Jocelyn Maclure. 

Secondo Taylor, lo Stato deve essere neutro da quadri di riferimento religiosi o filosofici. Ma non può essere neutro rispetto all’impegno di garantire a tutti i cittadini uguaglianza di trattamento e rispetto per le loro scelte morali e religiose. Se non facesse così, non potrebbe garantire la convivenza. Lo Stato non deve, quindi, farsi paladino della secolarizzazione, combattendo la religione. Bisogna fuggire la tentazione di fare della laicità un equivalente secolare della religione, sostituendola con una filosofia morale laica, una specie di religione civile, come, secondo Taylor, sta avvenendo in Francia.

Bisogna, invece, battere la via degli accomodamenti ragionevoli. Se il calendario prevede che si faccia festa alla domenica e non al sabato o al venerdì, se a scuola non si mangia kosher come vorrebbe la tradizione religiosa ebraica, se non è ammesso insegnare con il burka oppure fare il poliziotto con il turbante, basta prevedere delle eccezioni, appunto degli accomodamenti ragionevoli, e tutto si sistema. Certo, bisognerà concedere questi accomodamenti non solo per rispetto dei quadri di riferimento religiosi, ma anche di quelli secolari. Una persona vegetariana ha diritto, a scuola o in carcere, ad un menù vegetariano così come una persona di religione ebraica ha diritto a rimanere a casa dal lavoro al sabato per ottemperare ai propri doveri religiosi.

Ora, le nuove disposizioni francesi in termini di obiezione di coscienza dei sindaci mettono in crisi questa versione moderata, per una serie di motivi.

Il primo è che, accettando la proposta di Taylor, ogni quadro di riferimento avrebbe diritto al rispetto e alla tutela dello Stato. Se il criterio, come dice Taylor, è solo quello dell’adesione in coscienza degli aderenti, anche una associazione di pedofili, o di pornografi, o di mafiosi, avrebbe diritto alla protezione statale. Si aprirebbe, cioè, una proliferazione di richieste di tutela dei propri quadri di riferimento pressoché infinita. La distinzione, infatti, tra preferenze individuali – gusti, desideri … – e quadri di riferimento morali ed esistenziali è molto sottile. Se uno è vedano, si tratta solo di un gusto soggettivo o di una visione di vita? Se uno pretende di fare il poliziotto con la barba e il turbante perché è un Sikh, perché un altro non potrebbe chiedere di farlo pettinato con la cresta colorata e il piercing nel naso?

Inoltre, gli accomodamenti ragionevoli si possono realizzare quando si tratta semplicemente di indossare un simbolo religioso in un ufficio pubblico, ma come sarebbe possibile farlo davanti, per esempio, all’aborto o al matrimonio gay? Anche qui si potrebbe fare appello ai quadri di riferimento che meritano il rispetto della protezione dello Stato. Quando si toccano i problemi della legge naturale, gli accomodamenti ragionevoli saltano, perché ammetterli non sarebbe più ragionevole. E se si ammettono diritti ad accomodamenti irragionevoli allora si deve per coerenza ammetterli tutti.

Questo è il punto: quand’è che un accomodamento è ragionevole e quando no? Se non si pensasse lo Stato come indifferente ai quadri di riferimento che nascono dalla legge naturale, il criterio sarebbe chiaro. Un poliziotto di religione Sikh che porta il turbante sì, un ebreo che sta a casa al sabato sì, una ragazza musulmana che va a scuola con il velo sì, ma un matrimonio tra due omosessuali no. Invece accade l’assurdo che lo Stato francese vieta di andare a scuola con il velo e permette il matrimonio omosessuale.

La soluzione moderata di Taylor non è in grado di mantenersi, ma scivola inevitabilmente verso la soluzione radicale alla francese. Senza un criterio, come potrebbe essere quello della legge naturale, non si capisce più quale sia l’accomodamento se non in termini di maggioranza e minoranza. Ed allora la maggioranza potrebbe anche arrogarsi il diritto di non concedere accomodamenti, come sta accadendo in Francia a proposito dell’obiezione di coscienza dei sindaci. Anche questo potrebbe essere un quadro di riferimento e una visione di vita e non solo un gusto o un desiderio.