Famiglia Cristiana, seconda puntata

Famiglia Cristiana, seconda puntata

di Riccardo Cascioli da www.lanuovabq.it

La pubblicita incriminata

 Prima l’annuncio di una querela, poi gli insulti sul giornale. E’ lo «stile Famiglia Cristiana» con chi osa criticare una sua iniziativa o articolo.  E così anche La Nuova Bussola Quotidiana è finita nel mirino del settimanale dei Paolini. La colpa? Quell’editoriale di Mario Palmaro in cui si criticava la pubblicazione in terza di copertina di Famiglia Cristiana di una pubblicità partorita dal Dipartimento per le Pari opportunità e dal Ministero del Lavoro, per la lotta all’omofobia: «Una pubblicità nella quale si vedono le foto di tre sconosciuti, accompagnate dalla seguente didascalia: “alto”, sotto il primo personaggio; “lesbica” sotto la seconda; “rosso” sotto al terzo, che ha effettivamente i capelli rossi. Segue slogan perentorio: “E non c’è niente da dire”. Segue spiegazione per i più duri di comprendonio: “Sì alle differenze. No all’omofobia”»; così la spiegava Palmaro nel citato articolo.


Tale pubblicità, come chiunque può constatare, ha lo scopo principale di affermare non tanto il necessario rispetto per le persone omosessuali – che è doveroso come lo è per qualsiasi persona -, quanto l’assoluta normalità dell’omosessualità, paragonata al colore dei capelli o all’altezza. In pratica l’omosessualità viene parificata all’eterosessualità, una cosa vale l’altra; e come ci si tinge i capelli si può decidere di passare da un orientamento sessuale all’altro. Questa è l’ideologia omosessualista, o anche ideologia del gender, quella che Benedetto XVI prima di Natale definiva la più grave sfida che la Chiesa ha oggi di fronte, perché nega il dato della Creazione, quel “maschio e femmina lo creò”. “La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente – diceva il Papa -. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela”. E poi concludeva: “Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo”.

La profonda erroneità di questa teoria è evidente, dice il Papa, ma non per Famiglia Cristiana che non trova nulla di strano invece nel pubblicare questo messaggio.

Ma è qui che scatta l’ira di don Antonio Sciortino, direttore del settimanale dei Paolini. Dapprima ci fa mandare una mail in cui ci viene preannunciato l’arrivo di una querela per diffamazione, perché abbiamo danneggiato il buon nome della rivista. Poi nel numero di Famiglia Cristiana ora in edicola, rispondendo alle lettere di alcuni lettori scandalizzati, don Sciortino si scatena perché, a suo dire, abbiamo innescato “una polemica falsa e pretestuosa” non avendo tenuto conto che alle pagine 36 e 37 di quello stesso numero diFamiglia Cristiana, c’era un articolo del teologo don Luigi Lorenzetti – “uno dei più noti esperti di teologia morale a livello internazionale” – che spiegava tutto. E siccome non abbiamo letto Lorenzetti, in noi c’è tanta “arroganza, condita di falsità” di cui ovviamente ci assumeremo la responsabilità: “non si può infangare impunemente la verità e il buon nome della rivista”. E poi ancora sulla polemica “velenosa” innescata da noi che siamo “come i farisei” e talmente bassi nella scala della dignità umana da non essere neanche degni di essere chiamati per nome. Così che l’ignaro lettore di Famiglia Cristiana non sa neanche bene con chi prendersela.

Ora, ammesso anche che don Lorenzetti in quelle poche righe messe al piede di due pagine spieghi tutto, Don Sciortino non appena rientrerà in sé dalla rabbia potrà convenire che è una teoria un po’ bizzarra quella per cui si può pubblicare qualsiasi cosa moralmente riprovevole in copertina tanto poi c’è un articolino di spiega a 115 pagine di distanza. Perché se questo fosse vero potremmo aspettarci di vedere prossimamente sulla copertina di Famiglia Cristiana anche quella pubblicità choc in cui un prete bacia in bocca una suora oppure qualche provocante nudo femminile, o anche la pubblicità dei preservativi tanto poi pagina 36 ci saranno quelle 20 righe di don Lorenzetti che ci spiegherà che l’utilità del preservativo è tutta da verificare.

E già, perché poi in quel famoso articolo che non avremmo letto non è che don Lorenzetti sia così chiaro, anzi alla gravità di quella pubblicità si somma l’ambiguità del teologo. Il quale, nella prima metà dell’articolo ci spiega quanto sia grave oggi in Italia l’emergenza omofobia, tale che è necessario non solo riformare il codice penale, ma soprattutto “occorre una conversione culturale di tipo etico”. Ora ci perdonerà don Lorenzetti, ma noi questa grave emergenza omofobia non riusciamo proprio a vederla. Purtroppo la cronaca non ci risparmia anche alcuni odiosi casi di violenze e sopraffazioni nei confronti degli omosessuali, ma così come violenze e sopraffazioni avvengono per tante altre persone. Casi da condannare fermamente, è chiaro, nessuna attenuante; così come va affermato con chiarezza che ogni persona – qualunque sia la sua condizione sociale, economica, morale – va sempre accolta. Detto questo è però chiaramente demagogico parlare di discriminazioni nella società: risulta a don Lorenzetti e don Sciortino che ci siano luoghi dove gli omosessuali non sono ammessi? O che nel lavoro venga penalizzato chi si professa gay? O che agli omosessuali dichiarati venga fatta scattare una tassa particolare? Se proprio dobbiamo parlare di una categoria di persone oggi discriminata in Italia, anche dal punto di vista fiscale, crediamo siano invece le famiglie: marito, moglie e figli. La verità è che l’omofobia è una bella invenzione del marketing per far passare il concetto di normalità della condizione omosessuale.

Bene, ma andiamo avanti. Finalmente, passata la metà dell’articolo, don Lorenzetti afferma: “L’inconfondibile dignità che spetta a ogni persona, non conduce a sostenere che l’omosessualità non è altro che una modalità sessuale tra le altre; che il matrimonio tra uomo e donna non è che una tra altre forme di matrimonio; che l’unione omosessuale ha il diritto all’adozione”. Certo, si potrebbe far notare che lo dice in un modo così involuto e soft che passa quasi inosservato, ma soprattutto è il seguito che lascia sconcertati: “Sono questioni di libera discussione pubblica senza indulgere alla sterile contrapposizione tra laici e cattolici”. Questioni di libera discussione pubblica? E questa, secondo don Sciortino, sarebbe la spiegazione che “ripara” la pubblicazione della pubblicità in terza di copertina? Noi crediamo che renda ancora più grave quella decisione, perché è chiaro che non si tratta di una svista o di una leggerezza: è stata una scelta convinta.

Metta a confronto, don Sciortino, la sua decisione e le parole di don Lorenzetti con le gravi affermazioni di Benedetto XVI, e vedrà che le sue non sono “più che ortodosse posizioni”, come ha scritto questa settimana. Non c’è bisogno di tanti discorsi e circonlocuzioni: fatto salvo il rispetto e l’accoglienza per chi vive la condizione di omosessuale, don Sciortino e don Lorenzetti si sentono di sottoscrivere l’affermazione secondo cui “l’inclinazione omosessuale è oggettivamente disordinata” come dice il Catechismo della Chiesa cattolica? E che l’ideologia del gender è la vera sfida che sta davanti alla Chiesa, prima di tutto al suo interno?
Finché non vedremo scritte queste affermazioni, noi avremo tutte le ragioni per sostenere che Famiglia Cristiana mantiene sul tema posizioni volutamente ambigue quando non omosessualiste.

L’indecente astrattezza dell’Europa che snobba la realtà per occuparsi di finanza e unioni gay

L’indecente astrattezza dell’Europa che snobba la realtà per occuparsi di finanza e unioni gay

di Alfredo Mantovano da Tempi.it

A due passi da noi il mondo arabo in fiamme, eppure qui si discute di finanza (anziché di economia reale) e di nozze fra persone dello stesso sesso (anziché di famiglie)

Immagini dell’Europa di oggi. A pochi chilometri da casa nostra – Lampedusa si trova più a sud di Sidi Bou Said – la Tunisia riprende a infiammarsi, la Libia diventa territorio impraticabile, dal quale fuggono perfino i diplomatici, l’Egitto è attraversato da manifestazioni con decine di vittime. Per tacere su quanto accade nel Mali o in Siria. Se non valesse alcuna considerazione sul rispetto dei diritti – ma perché non deve valere, perché deve funzionare a intermittenza? –, il Vecchio Continente avrebbe comunque ragioni per preoccuparsi: per le ricadute delle primavere arabe nel proprio territorio in termini di sicurezza interna, e per i riflessi sull’economia e sull’approvvigionamento energetico di una situazione che è appena all’inizio.
Eppure, scorriamo i titoli dei tg di Parigi, di Roma, di Londra; troneggiano due notizie: la difesa dell’euro operata dalla Bce e dall’asse degli Stati del Nord Europa, a svantaggio di quelli del Sud dell’Unione, e i dibattiti nei vari parlamenti, o nelle campagne elettorali in corso, sul matrimonio gay.

La prima illumina sul grado di astrazione dei governi e delle istituzioni finanziarie dalla vita quotidiana e dalla economia vera; l’insistenza, in termini di priorità, sulle nozze fra persone dello stesso sesso illumina la lontananza dalla realtà delle famiglie e dei loro problemi. Poche bracciate di nuoto, e si passa dal sangue che scorre per contrastare l’imposizione della sharia all’indifferenza per le sofferenze di popoli vicini e amici, e alla proiezione verso un futuro di suicidio demografico anche formalizzato: che cos’è il matrimonio gay se non la rivendicazione di una unione di persone che escludono i figli (per lo meno quelli che vengono al mondo secondo natura)?

Chiudere gli occhi sui diritti violati risponde alla medesima logica di chiudere gli occhi sul proprio futuro di popolo, anche fisico.

Da 120 anni il Comune fa un dono alla parrocchia per il Patrono. Corte dei conti: «Improprio»

Da 120 anni il Comune fa un dono alla parrocchia per il Patrono. Corte dei conti: «Improprio»

di Massimo Giardina da Tempi.it

Il sindaco di Seregno, Giacinto Mariani, spiega a tempi.it che il suo comune è strozzato dal patto di stabilità, nonostante sia in attivo di 6-7 milioni. «Ora provo vergogna a fare il sindaco».

«Quando ho vinto la prima volta le elezioni nel 2005, per me era un onore fare il sindaco. Ora provo vergona perché contribuisco alle difficoltà e alla chiusura delle nostre aziende» chiosa a tempi.it Giacinto Mariani (nella foto), primo cittadino di Seregno, la seconda città più importante della ricca Brianza dopo Monza.

Mariani, perché ha cambiato idea?
Nel 2005 e nei seguenti anni avevamo le risorse e potevamo disporne negli interessi della città. Potevano asfaltare le strade, comprare i giochi per i parchi e soprattutto pagare i fornitori rispetto alla capienza del nostro conto corrente. Ora abbiamo le mani legate e da tre anni a questa parte continuiamo ad avere un avanzo di bilancio tra i 6 e i 7 milioni su un bilancio di 58 milioni.

Un’azienda privata la riterrebbe un buon manager.
Il problema è che siamo nel pubblico e il principio è ribaltato: i cittadini ci pagano le tasse secondo criteri non stabiliti da noi e noi non possiamo restituire un servizio proporzionato. È un danno alla città. In relazione al patto di stabilità continuiamo a incassare soldi e non eroghiamo servizi: non costruiamo più immobili pubblici, non possiamo fare nulla per la manutenzione delle strade e così via. Però continuiamo a mandare a Roma una marea di soldi.

E voi non avete margini d’intervento.
Non solo, ma abbiamo sempre delle norme che ci impediscono di rispettare altre norme. Una norma europea prevede il pagamento entro 60 giorni ai fornitori, ma il patto di stabilità ci impedisce di rispettarla. È una bufala. Noi, che abbiamo i soldi per pagarli, se solo potessimo disporre del nostro conto corrente, paghiamo i creditori sempre dopo un anno, mediamente dopo 18 mesi. Ma non finisce qui.

Vada avanti.
Oltre ai vincoli cui accennavo, si aggiungono i controlli. Le racconto un piccolo aneddoto esemplare: i comuni, al contrario del Monte dei Paschi di Siena, sono eccessivamente controllati e nel nostro caso la Corte dei conti ci ha contestato 800 euro che ogni anno diamo alla Parrocchia per la festa patronale della Polizia urbana.

A che titolo li date?
Ogni 20 gennaio facciamo un momento commemorativo per il patrono della Polizia municipale, San Sebastiano. Storicamente viene celebrata una Messa nella basilica cittadina dove viene bruciato un pallone e l’amministrazione comunale da 120 anni dona la cera al Prevosto per chiedere la protezione del santo. Per questa Messa il comune ha sempre dato una mancia alla Chiesa che negli ultimi periodi si aggirava intorno agli 800 euro. Morale: la Corte dei Conti l’ha classificata spesa impropria. Io penso sia giusto controllare i comuni, giusto mettere dei vincoli ma sarebbe anche giusto che chi amministra bene e vanta disponibilità di denaro potesse investirli per i propri cittadini.

Un uomo mai stato così grande

Un uomo mai stato così grande

don Antonello Iapicca 

Poche battute di un’agenzia e tutto diventa, di colpo, infinitamente piccolo: gli schiamazzi della politica-cabaret, il dito medio di un allenatore, Sanremo e lo spread. Tutto ciò per cui il mondo si dimena cercando spazio da invadere e occupare è divenuto, in un attimo, impercettibile, al cospetto di un uomo che mai è stato così grande. L’amore autentico, infatti, quando arde nel cuore, brucia tutto quello che ne è sprovvisto.

L’amore rende giustizia alla verità e smaschera la menzogna,con la forza dirompente che oggi si è abbattuta sul mondo esplodendo fulminea da poche, semplici, parole: “Per il bene della chiesa”. Oggi un uomo ha consegnato se stesso per amore dell’umanità. Oggi i nostri occhi hanno contemplato il Getsemani e il Golgota nel bel mezzo del Vaticano, e il Signore offrirsi di nuovo per ogni uomo di questa perduta generazione. Oggi Pietro, il dolce Cristo in terra, ci ha presi per mano, uno ad uno, e, pur lasciandoci sgomenti, ci ha detto la parola più forte, la più profondamente umana perché limpidamente divina: la parola della Croce, stoltezza e scandalo per l’orgoglio mondano, sapienza potente per l’umiltà di chi cerca e spera la salvezza.

Nelle sue dimissioni, infatti, sono registrate le dimissioni da padre e da madre, da figli e da figlie, da uomini e da donne, da persone uniche e irripetibili, di tutti coloro che la menzogna del demonio sta inghiottendo senza pietà in ogni angolo del mondo. Le nostre dimissioni dinanzi alle urgenti responsabilità dell’amore, quelle che nascondiamo e, orgogliosamente, non riusciamo a rassegnare, sono tutte li, sulla soglia del paradiso. Le ha consegnate il nostro Papa, nelle sue «dimissioni vicarie», con le quali di nuovo Cristo ha bussato oggi alla porta del Padre per consegnargli i limiti della forze umane, e, con essi, le debolezze, le cadute, il groviglio di dolore e morte di questa generazione, perché tutti possano essere di nuovo «assunti» alla dignità e alla santità per le quali sono stati creati. Amore per la chiesa, infatti, significa amore per ogni uomo, l’unico autentico, gratuito, disinteressato. Amore per il bene di ciascuno, senza distinzione. E non vi è che un bene, assoluto, definitivo, eterno: Cristo. È Lui il bene della Chiesa, per il quale il Papa si è dimesso. Altro non sappiamo, altro non ci interessa. Per Cristo, e perché Egli possa essere annunziato e così giungere ad ogni uomo, Benedetto XVI ha deciso di lasciare il pontificato.

“Che cos’è un uomo perché te ne curi, un figlio dell’uomo perché te ne dia pensiero?” recita il salmo 8. Che poi soggiunge: “eppure lo hai fatto poco meno degli angeli, di onore e di gloria lo hai coronato, tutto hai messo sotto ai suoi piedi”. Che cos’è un Papa? Che cosa siamo ciascuno di noi, che cerchiamo disperatamente di divenire i papi delle nostre famiglie, dei nostri uffici, dei nostri bar? Nulla, siamo “nulla più il peccato” diceva Santa Teresa d’Avila. E nessuno, neanche un Papa, sfugge a questa verità.

“Eppure” Benedetto XVI, proprio oggi è apparso, nella sua esile figura e nelle poche parole pronunciate, coronato di gloria e di onore; tutto, finanche il pontificato, vediamo oggi messo sotto i suoi piedi. È caduto sotto il peso della Croce, come Gesù, e ci ha dischiuso il cammino della libertà. Un uomo, infatti, è tanto più grande quanto più accoglie con amore la propria piccolezza e la consegna a Cristo. Oggi il Papa lo ha fatto, per amore nostro, spingendoci a guardare più in alto di lui, e di ciascuno di noi. Lo abbiamo riscoperto oggi contemplando il grave e difficile passo compiuto da Benedetto XVI, e non ci è sembrato mai così chiaro: nulla è più originalmente cristiano che «lasciare» tutto a Dio nella certezza che Lui fa bene ogni cosa; ora lo sappiamo, la potenza dell’amore si manifesta pienamente nella debolezza, soprattutto in quella di chi, umilmente, rassegna le dimissioni consegnando se stesso, la Chiesa e ogni uomo, all’unico Maestro, il Buon Pastore che ha dato la sua vita per le sue pecore.

E’ la grande quaresima della Chiesa, e Cristo ci chiama a conversione con le parole e il gesto del suo Vicario. Entriamo tutti con Lui nel Conclave, chiudiamo la porta in faccia ai peccati, alle idolatrie, al mondo e alle sue seduzioni. E attendiamo, fiduciosi, il soffio dello Spirito Santo che ci indichi, in un volto e una storia, il cammino autentico della Vita che non muore. Rinnovamento è, innanzi tutto, conversione, lo ha detto molte volte Benedetto XVI: “Convertirsi a Cristo significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza, esigenza del suo perdono”. Offrendo se stesso nel martirio più arduo, quello dell’umiltà, il Papa ha fatto il primo passo nella sequela della Via, della Verità e della Vita, l’atto di governo più alto e responsabile, più santo e incorruttibile. Basta parole inutili, basta ipocrisie. E’ tempo di convertirci, tutti, e prendere la vita così com’è e consegnarla a Cristo, senza riserve. Lui la rivestirà dello splendore della sua vittoria sulla morte e il peccato, rinnovando nell’amore e nello zelo la sua Chiesa.

La bambina che avrà (per sentenza) tre genitori: due lesbiche e un gay

La bambina che avrà (per sentenza) tre genitori: due lesbiche e un gay

di Benedetta Frigerio da Tempi.it

Un donatore omosessuale rivendica il suo «desiderio di paternità». Così la piccola avrà un padre gay, una madre biologica lesbica e una seconda madre adottiva lesbica

«Avere tre genitori è addirittura meglio». Questa la convinzione che ha portato un uomo a chiedere di essere il terzo genitore di una bambina di 23 mesi figlia di due lesbiche residenti negli Stati Uniti.
La storia comincia quando due donne italo-americane, Maria Italiano, di 42 anni e Cher Filippazzo, di 37, sposate legalmente nello Stato americano del Connecticut si rivolgono a Massimiliano Gerina, trentacinquenne italiano gay residente a Miami, per chiedergli di diventare il donatore di seme e avere così un figlio tramite fecondazione assistita. La legge della Florida vieta ogni diritto di paternità al donatore, ma Gerina si è rivolto a una corte distrettuale di Miami per rivendicare il suo diritto di paternità. Sì perché, racconta l’uomo, «quando ho visto questa pargoletta correre è stata un’esplosione di emozioni». Questo grande trasporto emotivo, ha spiegato Gerina, si è amplificato nel pensare a suo padre che se ne era andato di casa quando lui aveva 9 anni: «Non voglio fare i suoi stessi errori», ha dichiarato. E non importa se la piccola avrà un padre omosessuale, una madre biologica lesbica (chiamata per legge “genitore 1”) e una seconda madre adottiva lesbica (chiamata per legge “genitore 2”).

DESIDERIO. A valere è «il mio desiderio di paternità», ha dichiarato. L’uomo vorrebbe avere altri figli, magari con un altro compagno se «troverò la persona giusta». Perché quello che conta, a stare a sentire Gerina, non è innanzitutto il bene del bambino, ma «quello che conta è se sono amati».

LA SENTENZA. Ad essere particolare è l’iter giudiziario della vicenda. La denuncia dell’uomo è partita nel 2011 subito dopo la nascita della piccola, nata il 10 marzo di quell’anno. Il processo avrebbe avuto inizio il 31 gennaio, ma stranamente le due donne hanno cambiato repentinamente idea. Hanno deciso di ritrattare, di non far decidere al giudice ma di accordarsi con Gerina, stipulando un contratto giuridico mai visto prima a cui il giudice ha dovuto solo apporre una firma. Così, per la prima volta, una bambina avrà tre genitori: le due “mamme” avranno la potestà sulla piccola, mentre l’uomo potrà visitarla due volte la settimana a casa loro. Ma perché la necessità di legalizzare questo status creando un precedente quando, come dichiara l’uomo, «la vedo già tutti i giorni e stiamo progettando le vacanze in Sardegna tutti insieme»?

La bambina che avrà (per sentenza) tre genitori: due lesbiche e un gay

Le rivendicazioni del mondo gay si basano su una parola inventata: omoparentalità

di Leone Grotti da Tempi.it

Magistrale analisi della filosofa e femminista Sylviane Agacinski sull’invenzione da parte del mondo gay di un nuovo linguaggio per rivendicare nuovi diritti. 

Omoparentalità: tutto il problema del matrimonio omosessuale e dei diritti che devono essere accordati alle coppie gay o lesbiche è costruito attorno a questa parola. Un termine nuovo, inventato poco tempo fa per fondare la rivendicazione di nuovi diritti e che negli ultimi anni si è fatto strada nel vocabolario di tutti i giorni, se è vero che digitando la parola su Google escono ben 10 mila risultati solo in Italia.

OMOPARENTALITÀ. «Il termine “omoparentalità” non designa il fatto di avere dei bambini. Gli omosessuali infatti hanno già dei bambini con persone di un altro sesso senza bisogno di definirsi come “omoparenti”. La parola “omoparentalità” è stata forgiata per promuovere la possibilità giuridica di donare a un bambino “due parenti dello stesso sesso”». Scriveva così nel 2007 sul giornale progressista francese Le Monde la filosofa e femminista Sylviane Agacinski.

L’INVENZIONE DEGLI ETEROSESSUALI. La filosofa insiste per spiegare perché, di punto in bianco, è stata creata nel linguaggio moderno una nuova parola: «Bisogna ricordare che la rivendicazione del “matrimonio omosessuale” o della “omoparentalità” non può essere formulata che a partire dalla costruzione o dall’invenzione di soggetti di diritto che non sono mai esistiti: gli “eterosessuali”. Si tratta di una finzione, perché non è la sessualità degli individui che ha mai fondato il matrimonio, ma piuttosto il sesso, ovvero la distinzione antropologica tra uomini e donne».

FINZIONI LINGUISTICHE. In un altro articolo di Agacinski, pubblicato sempre dal Le Monde lo scorso 3 febbraio, la femminista afferma che se il termine inventato “omoparentalità” si è affermato nel linguaggio moderno è perché «alla radio si sente dire spesso: la tale celebre attrice “ha avuto dei figli con la sua compagna”. Si nasconde quasi che questa meravigliosa performance è merito delle tecniche biomediche e di un donatore di sperma anonimo chiamato a contribuire dal Belgio o dalla California». E ancora: «Il problema è differente per gli uomini – com’è ovvio, essendo un sesso diverso – perché la procreazione omoparentale in questo caso necessita un donatore di ovocite e l’uso di una madre surrogata».

NUOVA FILIAZIONE. Il termine omoparentalità, continua Agacinski, è stato creato anche per giustificare un nuovo tipo di filiazione: «La capacità di chiunque di essere un “buon genitore” non è in discussione: ci sono molti omosessuali sposati con persone dell’altro sesso che non pretendono di fondare la loro paternità sulla loro omosessualità. L’omoparentalità, al contrario, pretende che sia l’amore omosessuale a fondare la parentalità, rimpiazzando così l’eterogeneità dei sessi del padre e della madre».

SI PARTE DAL LINGUAGGIO. Ed è interessante, continua, notare come Dominique Bertinotti, ministro francese della Famiglia, «si interroghi sulle “nuove forme di filiazione eterosessuali e omosessuali”». Perché parlando così, è la tesi di Agacinski, lei sostituisce alla differenza dei sessi del padre e della madre, che fonda da sempre la genitorialità, l’orientamento sessuale delle persone che compongono la coppia. Dal sesso, dunque, all’orientamento sessuale: «E così crea un nuovo modello di filiazione». Un nuovo modello che per affermarsi nella società ha bisogno di un nuovo linguaggio che sostituisca all’asimmetria della eterogeneità dei sessi, la “omoparentalità”.