Benedetto XVI scrive a Odifreddi: «La teologia è scienza, l’ateismo è fantascienza»

Benedetto XVI scrive a Odifreddi: «La teologia è scienza, l’ateismo è fantascienza»

di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Papa scrive

A ciascuno la sua lettera. Se Eugenio Scalfari ha ricevuto posta da Papa Francesco, il matematico e propagandista dell’ateismo Piergiorgio Odifreddi, dopo avere pubblicato un libro intitolato «Caro Papa ti scrivo», si è visto arrivare una risposta dal Papa Emerito Benedetto XVI. Le undici pagine saranno pubblicate in integro da Mondadori in una nuova edizione del libro di Odifreddi: le leggeremo con interesse, non senza rilevare che il matematico diventerà il primo ateo che farà un po’ di soldi vendendo la lettera di un Papa. Ma intanto Odifreddi ha pubblicato un corposo estratto – non un riassunto, tutte le frasi sono di Papa Ratzinger –  sulla casa madre di tutti gli atei che si rispettino, Repubblica, che di questi tempi ogni tanto assomiglia all’Osservatore Romano.

Al di là del dato curioso, la lettera è una piccola lezione di apologetica. Benedetto XVI ringrazia Odifreddi per avere letto «fin nel dettaglio» i suoi libri su Gesù di Nazaret – non è poco, considerando quanti criticano senza leggere -, comunica al matematico che anche lui, Ratzinger, ha letto il suo testo, e gli confessa che  «il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell’avventatezza dell’argomentazione». Di questa sorta di recensione critica di Benedetto XVI al libro di Odifreddi, «Repubblica» pubblica quattro parti.

La prima attiene alla teologia, che per Odifreddi non sarebbe scienza ma fantascienza. Dopo un bonario commento ironico su perché mai, se si tratta di mera fantascienza, Odifreddi passa tanto tempo a occuparsene, il Papa emerito sviluppa la sua replica su due piani. Anzitutto, osserva che se pure
«è corretto affermare che “scienza” nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l’aritmetica e la geometria»,  in senso ampio parliamo di scienza per qualunque disciplina che «applichi un metodo verificabile, escluda l’arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità». La teologia corrisponde a questi criteri, e dunque è scienza. Inoltre, ha contribuito in modo notevole alla cultura occidentale, e ha mantenuto vivo il dialogo fra fede e ragione. Questo dialogo è essenziale anche per i non credenti: «esistono patologie della religione e – non meno pericolose – patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l’una dell’altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia».

In secondo luogo, Papa Ratzinger osserva che «la fantascienza esiste, d’altronde, nell’ambito di molte scienze». Esiste «nel senso buono»: Benedetto XVI cita scienziati come Werner Heisenberg (1901-1976) e  Erwin Schrödinger (1887-1961) che hanno proposto «visioni ed anticipazioni», «immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà», una fantascienza che però è stata utile alla scienza. Ma gli scienziati, afferma il Papa emerito, producono talora «fantascienza in grande stile» in senso meno buono, per esempio «all’interno della teoria dell’evoluzione» usata per cercare di fornire un’impossibile prova scientifica dell’ateismo.

Con un po’ di malizia Papa Ratzinger cita le teorie del biologo e divulgatore scientifico Richard Dawkins, infaticabile propagandista dell’ateismo e amico di Odifreddi, come «un esempio classico di fantascienza» spacciata per scienza. Uno dei padri dell’evoluzionismo, Jacques Monod (1910-1976), nota ancora non senza umorismo Benedetto XVI, nel suo fin troppo famoso «Il caso e la necessità», «ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza». Papa Ratzinger ne cita una: «La comparsa dei Vertebrati tetrapodi… trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo “scelse” di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell’evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari…». Non potendo dimostrare questa storiella, Monod, come tanti evoluzionisti, ha prodotto tecnicamente fantascienza, e neppure della migliore qualità.

Secondo capitolo della risposta di Benedetto XVI. Odifreddi insiste sui preti pedofili. È una tragedia che da Pontefice Ratzinger, dice, ha affrontato «con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall’altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano». Per quanto questo non consoli né le vittime né il Papa emerito, questo fa però osservare a Odifreddi che «secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili».

Dunque «non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo». E, se «non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli» e continua a lasciare oggi. Basti pensare alle «grandi e nobili figure della Torino dell’Ottocento» che, insegnando a Torino, Odifreddi dovrebbe conoscere.

Terzo estratto: Papa Ratzinger bacchetta Odifreddi per «quanto dice sulla figura di Gesù [che] non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po’ più competente da un punto di vista storico». Benedetto XVI fornisce al matematico un po’ di bibliografia accademica, neppure cattolica, da cui Odifreddi potrà facilmente ricavare che «ciò che dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere».

Forse lo studioso ateo si è fatto fuorviare, insinua il Papa emerito, dalle «molte cose di scarsa serietà» pubblicate da esegeti progressisti, i quali – il Pontefice emerito cita un commento di Albert Schweitzer (1875-1965), che non fu solo un missionario protestante della carità ma anche un celebre teologo – confermano solo che spesso «il cosiddetto “Gesù storico” è per lo più lo specchio delle idee degli autori». Ma «tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l’importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l’annuncio e la figura di Gesù». E Odifreddi ha capito male Benedetto XVI se pensa che egli proponga un rifiuto del metodo storico-critico: al contrario, per il Papa emerito «l’esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico».

Il quarto estratto va al cuore della visone del mondo atea. Per Odifreddi, come per Dawkins, non c’è bisogno di Dio perché tutto si spiega con la Natura. La risposta di Benedetto XVI è antica, ma sempre persuasiva: «Se Lei, però, vuole sostituire Dio con “La Natura”, resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla». Ma soprattutto nella religione atea di Odifreddi «tre temi fondamentali dell’esistenza umana restano non considerati: la libertà, l’amore e il male». Dell’amore e del male Odifreddi non parla, e la libertà è liquidata come un’illusione che sarebbe smascherata come tale dalla neurobiologia. Ma «qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione». E un religione che rifiuta la libertà e non dà risposte sull’amore e sul male «resta vuota».

Interessa anche a pochi: le statistiche sociologiche confermano che Odifreddi potrà anche vendere tanti libri, ma queste vendite e tutto il foklore dei vari autobus atei non fanno aumentare il numero degli atei. A Odifreddi interessano solo i fatti misurabili. È un fatto misurabile che Papa Francesco, e anche Papa Benedetto, persuadono molte più persone degli atei militanti.

Il mondo non morirà di caldo. Anche i catastrofisti correggono le previsioni sul riscaldamento globale

Il mondo non morirà di caldo. Anche i catastrofisti correggono le previsioni sul riscaldamento globale

Gli scienziati Onu ridimensionano l’aumento delle temperatura terrestre nei prossimi anni. Probabilmente non supererà i 2 gradi. Per il Met Office britannico, la temperatura del pianeta non aumenta dal 1997 

da www.tempi.it

«L’annuncio che il mondo sta per morire di caldo è stato probabilmente esagerato», scrive oggi il Corriere della Sera. I fatti dicono che i ghiacci dell’Artico non stanno scomparendo e che «in questo secolo la temperatura media globale non è aumentata».
Gli allarmismi degli anni passati oggi vengono ridimensionati dagli stessi istituti che li hanno lanciati, prosegue il Corriere, e ciò «potrebbe portare a una revisione delle politiche globali sulle emissioni di gas a effetto serra».

CALCOLI RIDIMENSIONATI. A fine settembre sarà reso noto il report dell’Ipcc, la commissione incaricata dall’Onu di investigare sui cambiamenti climatici, spiega il Corriere. «Dalle indiscrezioni trapelate, l’allarme sollevato dal documento dell’Ipcc precedente verrà significativamente attenuato». Anche se lo studio del 2013, come quello di sei anni fa, continua a sostenere che l’azione dell’uomo stia riscaldando il pianeta (0,89 gradi centigradi, negli ultimi 50 anni) gli scienziati sono stati costretti a ridimensionarla, in modo «non enorme ma sufficiente a cambiare sostanzialmente le conseguenze a cui si arriva». Mentre infatti negli studi precedenti del 2007 si affermava con sicurezza che in 50 anni il mondo si sarebbe riscaldato di oltre 2 gradi, «la bozza del documento che si discuterà a Stoccolma sostiene invece che è “estremamente probabile” un aumento di oltre un grado» e meno probabile oltre i 2.

LA SOGLIA DI 2 GRADI. «Il ridimensionamento dell’aumento atteso è evidente e solo apparentemente non enorme», spiega il Corriere. «Stando alla media delle aspettative attuali, la temperatura globale dovrebbe aumentare meno di due gradi entro i prossimi anni Ottanta: ma i due gradi sono proprio la soglia limite, stabilita dall’Onu, oltre la quale si è finora sostenuto che il mondo non deve andare per evitare catastrofi». Un aumento  che non superasse la soglia dei 2 gradi, afferma il Corriere, non sarebbe per forza negativo, «nel senso che nel complesso i vantaggi in alcune aree» del mondo, «per esempio in termini di maggiori rese agricole e maggiore forestazione», «sarebbero maggiori degli svantaggi in altre».

DA 17 ANNI NESSUN RISCALDAMENTO. Non c’è solo il ridimensionamento delle previsioni sul futuro, ma anche una correzione sui dati del passato, spiega il Corriere: «il Met Office britannico ha sottolineato che la temperatura media globale del pianeta non aumenta dal 1997». «Lo stesso Rajendra Pachauri», presidente dell’Ipcc, «ha ammesso che sulla superficie della terra la temperatura media non cresce da 17 anni e probabilmente non crescerà per altri quattro, anche se ha aggiunto che per dichiarare che si tratta di una svolta occorrono 30 o 40 anni di non aumento»

«È giusto che una donna abortisca solo perché il nascituro è femmina. Ogni scelta va accettata»

«È giusto che una donna abortisca solo perché il nascituro è femmina. Ogni scelta va accettata»

di Benedetta Frigerio da www.tempi.it

Lo ha detto Ann Furedi, direttrice della più grande clinica abortiva della Gran Bretagna, a sostegno della decisione dei giudici che non hanno voluto perseguire due medici che hanno fatto aborti selettivi 

«Se le donne non sono felici del sesso dei figli possono abortire (…). O accettiamo fino in fondo ogni scelta della madre, oppure no». È il ragionamento di Ann Furedi (nella foto), la direttrice della più grande clinica abortiva della Gran Bretagna, la British Pregnancy Advisory (Bpas), a margine della decisione del Procuratore generale inglese di non perseguire i due medici che hanno acconsentito alla richiesta di abortire di due donne che non volevano una figlia femmina.

IL POTERE DELLA SCELTA. Il discorso della nota pro choice non fa una grinza: «Non puoi essere pro choice, salvo quando la scelta non ti piace». Ed è la logica della legge che permette l’aborto dei bambini malati, ma anche sani nel caso in cui la loro nascita leda la psiche della madre e della famiglia. Furedi ha continuato spiegando che la legge permette l’aborto nel caso in cui «il sesso del figlio danneggia la salute mentale della donna che non lo accetta», così come lo autorizza se «una donna non vuole il bambino perché povera, abbandonata o ancora non se la sente». Qual è la differenza? Nessuna, in entrambi i casi il figlio è un peso per la madre o la sua famiglia e questo basta ad abortirlo.

200 MILA ABORTI L’ANNO. In Inghilterra si verificano 200 mila aborti all’anno e il colosso Bpas, che ne pratica circa 55 mila (più di un quarto del totale), riceve 26 milioni di sterline dallo Stato, in gran parte pagate dai contribuenti. Il fenomeno dell’interruzione di gravidanza in base al sesso sembra sia in crescita con l’immigrazione asiatica. Non a caso Furedi ha concluso: «È giusto che una donna incinta di una femmina non possa abortire se la sua famiglia la disonorerà, se lei perderà la casa, suo marito e chi ama?». La domanda è retorica, e a ragion veduta, dal momento che la legge prevede che una difficoltà della donna sia sufficiente per giustificare l’eliminazione di una vita.

La prima banca degli ovuli inglese offre “ricompense” alle “donatrici”. «Giochi di parole per sfruttare le donne povere»

La prima banca degli ovuli inglese offre “ricompense” alle “donatrici”. «Giochi di parole per sfruttare le donne povere»

Benedetta Frigerio da www.tempi.it

Intervista a Josephine Quintavalle, laica e pro life: «È un autentico business, mercificazione dei figli sulla pelle di ragazze ingenue in cerca di soldi» 

quintavalle_josephine_0«Le donne senza soldi e con poche speranze saranno sfruttate. I figli ci rimetteranno quando scopriranno come sono stati concepiti e anche le “compratrici” pagheranno per la propria infelicità». Sono queste le conseguenze a cui porterà l’apertura della prima banca di ovuli inglese per Josephine Quintavalle (nella foto), la più nota esponente laica del movimento pro life britannico. Le cosiddette “donatrici” potranno donare ovuli, poi usati da altre donne con la fecondazione assistita, e per questo saranno “ricompensate” con 750 sterline, «un gioco di parole per mascherare la mercificazione dei figli», commenta a tempi.it la fondatrice e direttrice del Comment on Reproductive Ethics, osservatorio sulle tecniche riproduttive umane.

Ma in Gran Bretagna il commercio di ovuli non era vietato?
Si gioca con le parole, si dice che non si possono vendere ovuli, ma solo donarli gratis. Nell’aprile 2012 l’Human Fertilisation and Embryology Authority aveva raggirato l’ostacolo della vendita parlando di «risarcimento» di 750 sterline per la perdita di tempo, per i fastidi e il coinvolgimento sia fisico sia emotivo.

Quali sono le altre conseguenze dell’apertura di questa nuova banca?
Prima si trattavano le donne che avevano problemi di sterilità, con conseguenze psicologiche e fisiche dovute allo stress di sottoporsi all’iper-stimolazione ovarica e poi alla fecondazione. Ora sarà anche peggio. Accadrà qualcosa di ancor più grave dal punto di vista etico: si daranno droghe per iper-stimolare le ovaie delle “donatrici”, che non ne hanno bisogno in quanto donne perfettamente sane, non sterili ma che in questo modo rischiano di diventarlo.

La sterilità è l’unica conseguenza?
No, in America sono uscite diverse interviste di “donatrici” che hanno avuto malattie terribili. Alcune sono anche morte. Per non parlare delle depressioni dovute alla stimolazione innaturale: normalmente una donna genera al massimo due ovuli a ciclo, mentre qui si mira a “produrne”, come si dice, di più con bombardamenti di farmaci nocivi. Inoltre il compenso di 750 sterline, che è nulla se si pensa a cosa può succedere alla donna, porterà tante ragazze inglesi a pensare che non c’è niente di male nel vendere i propri ovuli. E, se hanno dei dubbi, la crisi economica le condurrà più facilmente a cadere nel tranello. A rimetterci saranno ancora una volta le più povere, quelle che arrivano a stento alla fine mese, quelle sole o diseducate.

Dal punto di vista etico quali sono gli altri dubbi che nutre?
Si sfruttano donne senza soldi e con poche speranze, ma ci rimettono anche i figli. La legge dice che il figlio a 18 anni deve essere informato di come è venuto al mondo per poter conoscere sua madre. Come si fa a pensare che una notizia così non avrà conseguenze su un figlio, per altro già concepito come oggetto dei desideri e come proprietà dei suoi genitori? Non è possibile. E infatti in Gran Bretagna esistono già degli studi dai quali emerge la confusione presente nei figli della fecondazione.

Quindi avremo figli scontenti e “donatrici” sfruttate? E le “compratrici”?
Che pena usare termini economici e di consumo nell’ambito della vita. Comunque le cosiddette “compratrici” spenderanno 3 mila sterline per l’ovocita e circa 5 mila per un solo tentativo di fecondazione. E se l’operazione non riesce al primo colpo il prezzo sale. Si paga per la propria infelicità e per quella degli altri. A crescere è invece il business delle cliniche e del mercato.

Perché parla di infelicità anche delle madri che ottengono il figlio che vogliono?
L’imprevisto, la sorpresa sono l’unica speranza. Abituarsi a non attendere nulla, a manipolare per ottenere in fretta tutto ciò che si vuole significa non lasciare spazio all’imprevedibile che si dona a noi, sorprendendoci come d’improvviso e superando ogni migliore aspettativa. E così perdiamo la speranza. La libertà usata in questo modo diventa la nostra tomba, limitata e angusta: anziché accogliere doni produciamo cose su misura. Per questo non ci stupiamo più, ad esempio, di quanto avviene nell’università di Newcastle, dove si fanno esperimenti sugli embrioni, l’ultimo volto a creare esseri umani con più di due genitori. Perché tanto la vita non vale se non rientra più nel nostro piccolo schema: il bambino conta se mi serve, altrimenti può anche morire, anzi posso ucciderlo. E così si passa dalle donne che si accaniscono contro la natura e fanno di tutto per avere figli tramite la fecondazione, costi quel che costi, agli aborti ripetuti con leggerezza, più volte e a ogni età. Ma questo modo di ragionare riguarda tutto. Si pretende il fidanzato, l’amico, la carriera, li si usa e poi li si butta via. Passiamo il tempo a costruirci un mondo dall’orizzonte limitato in cui non c’e spazio per altro. Così otteniamo quello che vogliamo ma poi ci stanca. E siamo tristi, frustrati.

Segnali di speranza?
In Inghilterra ho visto tutto il male possibile, purtroppo. Ibridi, embrioni usati, selezionati alla nascita, distrutti. Non solo penso alla notizia di qualche giorno fa su quell’uomo single che ha voluto un figlio da una madre surrogata perché era un suo diritto. Credo che prima o poi sarà l’uomo stesso a toccare il fondo. Soffrendo per quello che sta facendo a se stesso avrà bisogno di trovare un’altra strada. Proprio l’altro giorno la stessa scienziata che all’università di Newcastle sta facendo gli esperimenti di cui parlavo se ne è uscita dicendo che comunque la donna, anche se tende a dimenticarlo, dopo i 35 anni comincia a diventare non fertile. Lei stessa ha riconosciuto che per quanto disobbediamo, non tutto si riesce a fare. E mi ha rincuorata, ricordandomi che la natura è testarda e che per realizzarci abbiamo bisogno di seguirla.

Fecondazione: come ti aggiro la Legge 40

Fecondazione: come ti aggiro la Legge 40

di Renzo Puccetti e Stefano Alice da www.lanuovabq.it

eugenetica

Dopo le nostre sulla Nuova Bussola Quotidiana altre prese di posizione hanno espresso severe critiche a numerosi aspetti della bozza per il nuovo codice deontologico dei medici. Già è stato detto dell’idea di cancellare la parola “paziente” dal vocabolario dei medici e della paralisi alla libertà di coscienza del medico imposta dalla nuova formulazione dell’articolo 22. Sebbene la creatività degli estensori offra una quantità di materiale prossima all’inesauribile, merita particolare attenzione un’altra “perla” innovativa: la condotta relativa alla fecondazione artificiale eterologa.

L’articolo 44 del codice attualmente in vigore stabilisce il divieto deontologico all’attuazione di: “forme di maternità surrogata, forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili, pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce, forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner”. In altri termini il codice vieta che soggetti deboli come i bambini siano concepiti e crescano in modo pianificato senza “tracciabilità” biologica, senza un papà e una mamma, con mamme-nonne, o con mamme-già-vedove. Come per magia di tutto questo il nuovo codice non fa menzione e poiché vige la regola generale che ciò che non è proibito è consentito, si deve dedurre che tra i trenta che secondo i resoconti giornalistici avrebbero deliberato “all’unanimità” la nuova bozza deontologica, tutti siano stati favorevoli ad eliminare dai comportamenti deontologicamente scorretti questo genere di esiti.

Per facilitare la comprensione del cambiamento sarà d’aiuto ricorrere alla simulazione di un caso. Si presenta nello studio del dr. X la signora Y che, seppure non abbia un marito o un partner di sesso maschile stabile, desidera avere un figlio. Per questo la donna si è recata in una delle nazioni dove la fecondazione eterologa, cioè con donatore di gameti esterni alla coppia, è legale. Nella clinica estera le hanno scritto la lista di farmaci da assumere per l’induzione dell’ovulazione, ma essendosi recata in una nazione non appartenente all’Unione Europea come la Svizzera, l’Albania, o un paese della ex Iugoslavia la ricetta della clinica non è valida sul nostro territorio nazionale e così ha bisogno che il dr. X le faccia la ricetta. Il dr. X, avendo dichiarato obiezione di coscienza ai sensi della legge 40 (art. 16), pensa di potere non adempiere alla richiesta, ma non sa che, così facendo, potrebbe mettersi nei guai. Non è infatti da tutti pacificamente accettato che la prescrizione di farmaci come prima tappa della fecondazione artificiale rientri tra le attività coperte dall’obiezione di coscienza. Sul Corriere si legge infatti che per il vicepresidente della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici che commentava una tale fattispecie “Non esiste l’obiezione di coscienza per la procreazione assistita”, preannunciando nel 2008 l’intervento dell’Ordine dei Medici “con delle direttive serie”, cosa a cui stiamo puntualmente assistendo con questo nuovo codice.

Un altro esempio è offerto dalla causa che ha visto la regione Puglia soccombere in giudizio di fronte al tentativo di discriminare i medici obiettori nelle assunzioni nei consultori. Nella memoria della regione si biasimava il rifiuto dei medici obiettori di rilasciare il documento per accedere all’IVG. Mutatis mutandis, se si contesta all’obiettore il rifiuto del documento necessario per abortire, non c’è da stupirsi che prima o poi si contesterà anche il diritto di rifiutare i farmaci e gli accertamenti per la fecondazione artificiale. Al povero dottor X rimane ad oggi la difesa del codice deontologico, ma con le modifiche apportate, il codice farà da scudo alla sua libertà di coscienza più o meno come la carta velina alla magnum 44 dell’ispettore Callaghan. Affermare che lo schema farmacologico prescritto dal centro all’estero è scientificamente appropriato e che il mancato accesso ad esso viola la salute della donna, cioè il suo stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, sarà uno scherzetto da ragazzi.

Come una sponda da fare invidia al tacco di Socrates, giunge la dichiarazione del presidente dei ginecologi italiani che raccomanda l’apertura all’eterologa nei casi di menopausa precoce e sterilità iatrogena per evitare così insicuri e dispendiosi viaggi della speranza alla ricerca di gameti. Se la ratio degli interventi non è più la cura, ma la soddisfazione del cliente, anche sacrificando l’equilibrio psicologico del figlio (biologico per il padre e adottivo per la madre), non si capisce perché solo in questi casi e non, appunto delle mamme-con-mamme, delle mamme-nonne e delle mamme-già-vedove, assecondando le richieste del mercato tecno-riproduttivo. Sull’eterologa la legge 40 parla chiaro, non si può fare; i tentativi di abbattere anche questo limite sono stati fino ad ora infruttuosi. I giudici della Grande Camera dei Diritti dell’Uomo, ribaltando la sentenza della sezione semplice del 2010, hanno stabilito che l’ordinamento austriaco che impedisce, come quello italiano, la fecondazione eterologa è perfettamente legittimo e non viola la Convenzione. Da parte loro i giudici della Corte Costituzionale hanno rinviato le remissioni di costituzionalità loro pervenute ai tribunali di merito perché le istanze fossero riconsiderate alla luce della sentenza europea. Attualmente, nonostante i tribunali di Milano, Catania e Firenze abbiano nuovamente richiesto ai giudici costituzionali di esprimersi, la fecondazione eterologa è proibita da una legge dello Stato.

Paradossalmente la solfa della bioetica laicista per cui ciò che è legale è anche buono ed è un diritto, quando non può essere invocata perché la legge va contro i loro intenti, non vale più. In questi casi si invertono i termini: la legge è sbagliata e va cambiata, ciò che è un desiderio è anche un diritto e la legge deve riconoscerlo come tale; per farlo si agisce sui regolamenti in vista dei frutti legislativi o giurisprudenziali.

Trisomia 21,  correzione in corso

Trisomia 21, correzione in corso

In difesa della vita.

Il difetto genetico responsabile della Sindrome di Down può essere corretto. Queste le conclusioni di uno studio rivoluzionario pubblicato su Nature da un gruppo di ricercatori di tre diverse università nordamericane che definiscono il risultato «il primo passo importante verso lo sviluppo di una “terapia cromosomica”». Un progresso determinante in questo tipo di ricerche, perché dimostra che, per ora in una coltura cellulare in vitro, è possibile intervenire direttamente per silenziare il cromosoma “in più” responsabile della sindrome di Down. Nell’uomo, infatti, vi sono 23 coppie di cromosomi, tra cui due cromosomi sessuali, per un totale di 46 cromosomi. Le persone con la sindrome di Down, hanno invece 47 cromosomi: anziché due copie del cromosoma 21 ne hanno tre e questa “trisomia 21” causa disabilità cognitive, problemi cardiaci e del sistema immunitario. Questo cromosoma sovrannumerario è causa dell’elevata complessità genetica e variabilità genotipica associata alla sindrome di Down, rispetto alle malattie genetiche causate dal difetto di un singolo gene. Questo ha reso difficile la ricerca legata a questa specifica patologia e la correzione genetica sembrava impresa impossibile. I ricercatori hanno però trovato una via di ingresso sfruttando la funzione naturale di un gene chiamato Xist (da X-inactivation gene), che normalmente “spegne” uno dei due cromosomi X che definiscono il sesso femminile. Osservando i meccanismi con cui il gene agisce, gli studiosi hanno quindi pensato di servirsi di questa sua abilità, trasferendolo, tramite un enzima, in cellule staminali pluripotenti in coltura derivate da pazienti affetti da sindrome di Down. E il gene Xist ha svolto il lavoro che ci si aspettava da lui: ha rivestito la terza copia del cromosoma 21 silenziandolo, ossia modificando la sua struttura in modo tale che non possa più esprimere geni. Confrontando cellule con e senza il cromosoma supplementare silenziato, si è osservato che il gene Xist aiuta a correggere gli schemi insoliti di crescita e di differenziazione cellulare osservati nelle cellule derivate da persone con la sindrome di Down.
La notizia ha rapidamente fatto il giro della comunità scientifica e non solo, poiché, sulla lunga distanza, apre scenari inediti per una terapia in grado di intervenire su una patologia che, solo in Italia, si stima colpisca circa 38mila persone, di cui il 61% ha più di 25 anni.
Plaude l’Associazione Scienza & Vita, che ricorda come «la medicina ha il compito di curare e non di bypassare il problema attraverso la soppressione del concepito con difetti genetici. Per questo la scoperta pubblicata su Nature è un altro passo avanti verso il curare e non l’eliminare il malato». Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, presidente e copresidente nazionali, hanno sottolineato l’importanza della ricerca che «una volta superata la fase di sperimentazione, pone le basi per trovare i bersagli terapeutici e mettere a punto cure “ad hoc”. Si dimostra ancora una volta che esiste una scienza che lavora per l’uomo e non contro l’uomo».

Emanuela Vinai da www.avvenire.it