Tv&minori.  Un argine (fragile) ai programmi nocivi

Tv&minori. Un argine (fragile) ai programmi nocivi

Si alzano gli argini per proteggere i ragazzi di fronte alla tv «gravemente nociva». Programmi violenti, non rispettosi dell’intelligenza e persino pornografici che rischiavano di essere liberalizzati finiscono adesso dentro compartimenti stagni (almeno sulla carta) che ospiteranno non soltanto la televisione brutale e a luci rosse, ma anche quella che legittima l’abuso di alcol e droghe o spinge al gioco d’azzardo.
Il giro di vite sulla peggiore tv arriva dal nuovo regolamento varato dall’Agcom che punta a «escludere i minori» dalla visione dei programmi che possono nuocere al «loro sviluppo». Palinsesti dietro ai quali si muove un business con cifre da primato, anche se chi fa affari con questi prodotti (da Sky e Mediaset a fornitori meno noti) nulla rivela sugli introiti in questo ambito.

Il provvedimento ha in gran parte recepito i suggerimenti del Consiglio nazionale degli utenti e, seppur con alcune lacune, non si è piegato al pressing dei grandi network impegnati intorno al tavolo dell’Authority a convincere l’Agcom ad allargare le maglie delle norme. A fianco dei rappresentanti degli spettatori è scesa la Rai che ha appoggiato l’idea di avere una tv meno vergognosa. In campo anche il Garante per l’infanzia. Certo, non mancano le carenze: dal dilemma sulla sicurezza dei decoder già entrati nelle famiglie italiane alla difficoltà di far valere le nuove tutele sulla tv via web.

Il regolamento entrerà in vigore ad agosto. Due sono i punti chiave: gli «argini» tecnologici per impedire agli under 18 di sintonizzarsi sui canali a rischio e la classificazione delle trasmissioni che devono essere inibite. Sul primo versante si è combattuta la battaglia più accesa. Il punto di partenza era che i programmi nocivi potessero essere visti solo su esplicita richiesta (e in generale a pagamento). Ma restava da definire come proteggere i ragazzi. La soluzione tecnica è quella del codice segreto che si inserisce sul decoder e che abilita alla visione. Le emittenti sono tornate più volte alla carica per consentire all’adulto di «disattivare stabilmente» il filtro elettronico che il testo chiama parental control. Un’eventualità che di fatto avrebbe lasciato i ragazzi esposti alla tv più pericolosa, pur di evitare ai maggiorenni l’onere di inserire ogni volta la password. Ed era proprio a questa «deriva» che guardavano le stazioni: l’intento era facilitare la visione abbattendo il paletto più solido.
L’ipotesi sostenuta dalle televisioni è stata inserita nella bozza dello scorso dicembre nonostante il parete contrario del Consiglio nazionale degli utenti. Poi a gennaio è stata accantonata. Ma il 27 marzo gli operatori tv sono tornati all’attacco. Alla fine il patto fra le associazioni degli spettatori e la televisione di Stato ha evitato che il parental control potesse essere disattivato, come ora prescrive il regolamento.

Altro tema è stato l’insieme dei programmi da inserire fra quelli «gravemente nocivi». Assodato che fanno parte della categoria le trasmissioni pornografiche vietate ai minori di 18 anni e quelle con «violenza gratuita, insistita o efferata», il dibattito al tavolo dell’Agcom ha permesso di ampliare la forbice. Sono considerate dannose le trasmissioni che intaccano i «diritti fondamentali» e l’«incolumità della persona». Qui rientrano sia gli incitamenti all’odio, sia le scene che «esaltano», «legittimano», «invitano» o offrono una «palese approvazione» del ricorso a pratiche che creano dipendenza. Non solo alcol e stupefacenti, ma anche il gioco d’azzardo che, nota l’Authority, è «una delle nuove e pericolose dipendenze alle quali i minori sono esposti».
Il regolamento ha, però, alcune ombre. Le norme valgono per chi fornisce «servizi di media audiovisivi», quindi anche per Internet. E il provvedimento stabilisce che il filtro elettronico sia previsto persino nei «siti web» che mandano in onda video. Una previsione difficilmente realizzabile nel pianeta «selvaggio» dell’online.
Altro nodo scoperto è l’effettivo stop ai programmi nocivi con i ricevitori già istallati che non includono il parental control con l’obbligo del pin e che quindi aggirano il richiamo del regolamento alla password. Ecco perché l’Agcom ha imposto alle tv di promuovere «adeguate campagne informative» che facciano conoscere «la necessità di impostare un codice segreto» per salvare i ragazzi dai palinsesti a rischio. Accadrà davvero? Sarà la soluzione?

E, comunque, resta aperto un altro fronte: quello scaturito dalla cancellazione del divieto di trasmettere programmi inadatti ai minori di 14 anni durante la giornata, invece di relegarli soltanto fra le 22.30 e le 7. Una riserva a difesa dei più piccoli che dalla scorsa estate può essere abbattuta se i televisori possiedono gli «accorgimenti tecnici» che bloccano la visione di film e rubriche inadatti. E oggi gli schermi digitali li hanno, seppur nella versione del parental control che, secondo la riforma voluta dal precedente Governo e Parlamento, diventa un’alternativa alle fasce protette

Giacomo Gambassi da www.avvenire.it
Egitto, le paure dei cristiani

Egitto, le paure dei cristiani

Nella convulsa fase di transizione hanno pagato un prezzo in vite umane. E adesso temono che la Costituzione provvisoria li emargini ancor di più

GIORGIO BERNARDELLI
da Vatican Insider

Digiunano anche i copti in queste ore in Egitto. Come i musulmani entrati oggi nel mese di Ramadan, anche loro si astengono dal cibo: è il digiuno in preparazione alla festa del martirio dei santi Pietro e Paolo, che questa chiesa d’Oriente celebra il 12 luglio. Preghiere e gesti che si intrecciano tra moschee e chiese in un momento così delicato per il futuro del Paese.

Il bilancio di questi giorni è stato pesantissimo per i copti, contro cui soprattutto fuori dal Cairo si è scatenata la rabbia degli islamisti. Non c’è stata solo l’uccisione a sangue freddo di padre Mina  Aboud Sharubim, avvenuta sabato scorso a El Arish nel Sinai: altri quattro cristiani erano già stati uccisi venerdì nel villaggio di  Al Dabaya, alla periferia di Luxor. Un musulmano era stato trovato ucciso e subito gli islamisti reagito additando come responsabile un cristiano locale, reo di essersi schierato a favore dei Tamarod, i «ribelli» che hanno raccolto le firme per la destituzione del presidente Mohammed Morsi. È stato assalito lui e altri tre cristiani copti presso i quali aveva cercato rifugio. Nella zona del Sinai e a Luxor non si contano ormai più gli atti intimidatori nei confronti delle chiese: l’ultimo è stato ieri mattina, quando uomini armati e mascherati hanno esploso dei colpi di arma da fuoco contro una chiesa a Port Said; fortunatamente non ci sono state vittime, ma la paura è stata comunque tanta. È il prezzo che i cristiani pagano per il sostegno esplicito dato all’intervento dell’esercito che – sull’onda delle manifestazioni del 30 giugno – ha tolto di mezzo Morsi, imponendo una fase di transizione verso nuove elezioni. «Questa road map – aveva assicurato papa Tawadros in diretta tv una settimana fa, subito dopo l’annuncio del generale al-Sissi – è stata messa a punto tenendo conto di tutti i fattori che possono garantire un futuro pacifico all’Egitto. Ha di mira esclusivamente il bene del Paese, senza l’intenzione di escludere o emarginare nessuno». Adesso – però – anche nel nuovo contesto sancito dalla nomina dell’economista Hazem el-Beblawi a capo del governo cominciano a emergere tutte le ambiguità della situazione al Cairo. Pur continuando a guardare all’esercito come propria garanzia di protezione c’è perplessità in queste ore tra i cristiani per il testo della Dichiarazione costituzionale provvisoria varata dal presidente ad interim Adly Mansour. Proprio lo scontro sulla Costituzione imposta dagli islamisti era stato il principale terreno di scontro tra i copti e i Fratelli Musulmani: si guardava con grande preoccupazione al ruolo più forte riconosciuto alla Sharia, la legge islamica.

Da parte cristiana ci si attendeva che il presidente ad interim andasse a modificare subito quei punti. Invece sul tema del rapporto tra Stato e religioni anche nella Costituzione provvisoria resta confermato l’impianto voluto dai Fratelli Musulmani. Dietro a questa scelta di Mansur c’è la volontà di non perdere il sostegno alla fase di transizione da parte dei salafiti – gli islamisti ancora più radicali -. Ed è vero che il ruolino di marcia per i prossimi mesi prevede una commissione in cui si ridiscutano tutti i punti controversi della Costituzione. Ma i dubbi tra i cristiani restano, vista anche la prontezza con cui l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo (i grandi sponsor dei salafiti) sono saliti sul carro del nuovo corso al Cairo: «Ci prendono in giro – ha dichiarato oggi in maniera molto netta all’Agenzia Fides, il vescovo copto cattolico di Minya Botros Fahim Awad Hanna -. Le disposizioni che nella vecchia Costituzione apparivano pessime agli occhi dei cristiani vengono messe addirittura in risalto nel nuovo testo. Se non parliamo adesso, poi non potremo dire più niente».

Io, nella stanza dell’aborto. L’ipocrita routine della 194 e i medici che non volevano far nascere Benedetta

Io, nella stanza dell’aborto. L’ipocrita routine della 194 e i medici che non volevano far nascere Benedetta

Concetta Mallitti da www.tempi.it

La scelta dell’intervento, poi il rifiuto «perché sono un essere umano». La sciatteria dei medici, la compagnia degli amici. Fino al funerale con centinaia di persone. Lettera di una giovane mamma 

Titti, Michele e Sonia«…perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena», (Gv15). Credo di aver sentito questo passo centinaia di volte, ma mai mi sono soffermata ad ascoltarlo con il cuore e così Dio ha visitato la nostra casa proprio per sigillare questa certezza nella nostra vita, la certezza della Gioia Piena.
La nostra storia è una storia ordinaria, che trova la sua straordinarietà in questa certezza. È la storia di una famiglia normale, ancora in cammino, verso la conversione nella certezza della vita eterna.

 * * *

Appena un anno dopo la prima gravidanza ecco che si affaccia alla vita la nostra seconda figlia, io e Michele eravamo felicissimi. Lei era già lì con noi: erano in programma i biscottini a forma di cuore da regalare alla sua nascita, il lenzuolino ricamato dalla nonna, le coccole di tutti noi, per lei avevamo fatto mille progetti.
Ma tutta questa gioia si trasformò in tristezza, dolore e solitudine. Alla 22esima settimana di gravidanza arrivò la diagnosi: displasia tanatofora incompatibile con la vita. Per i medici era già morta: «Signora, è necessario l’aborto terapeutico», questo mi disse il ginecologo che fece l’ecografia. Nessuna parola in merito alla “comfort care”, alla depressione post-aborto, alla possibilità di portare avanti la gravidanza. Niente, solo il bigliettino con su scritto Dott.ssa x, Policlinico x, edificio 9, ore 8.00: «Le dica pure che l’ho mandata io».

* * *

Non riesco a spiegare la morte che era in me, non ci sono parole per spiegare il dolore, ricordo solo me, piegata in due, che urlavo: «Dio, consolami, voglio essere consolata». Ma Dio mi sembrava lontano. Il giorno dopo, io e Michele andammo ad aprire la pratica per l’aborto terapeutico. Seguì un iter di tre giorni, in cui mi trovai immersa in un mondo totalmente estraneo a me e che di umano non ha nulla: pareva un “mercato” di donne che andavano a uccidere i propri figli. Quante mamme, quante in una sola mattina! Contai più di 10 bambini che non sarebbero mai nati.
Le scritte sui muri di chi vi era passato erano terribili. Una diceva: «Dio qui è morto». Pensai ad Auschwitz…
Non c’era niente di umano nei discorsi che, allegramente, quelle donne si scambiavano tra di loro; senza vergogna raccontavano perché erano lì. C’era la quarantenne esperta già al suo secondo aborto e la ragazzina (credo minorenne) impaurita che chiedeva consigli. L’esperta le diceva di non preoccuparsi e di prendere la Ru468. Una trentenne con già due figli diceva: «Questo sarebbe il terzo, ma da poco ho ripreso la palestra e riconquistato un po’ la mia vita». E poi c’era una donna, con la mia stessa panciona. Mi feci forza e le chiesi: «E tu?». Mi rispose: «Ha la sindrome di Down». Li capii e pensai: «Ma perché se il mio è un aborto terapeutico inevitabile, viene considerato come quello di chi un figlio Down? Non si fa solo per i bimbi incompatibili con la vita?».
La prima luce si accese. Toccava a me, era il mio turno. Ecco la Dott.ssa X, alta, bionda, occhi azzurri, pensai che fosse la donna più bella che avessi mai visto. Mi invitò a sedermi. Mi spiegò che lei avrebbe effettuato l’aborto: «Ti indurrò un parto con le prostaglandine». Ora i sui occhi erano vicini, li osservai, erano azzurri ma vuoti. «Partorirai il feto vivo o morto!», mi disse. Le chiesi: «Vivo?». E lei: «Sì e se capita purtroppo la legge ci impone di rianimarlo». Guardai mio marito e gli dissi: «Io non lo farò mai, e non perché sono cristiana, ma perché sono un essere umano». La Dott.ssa X mi invitò a terminare la pratica e a fare la visita dallo psichiatra, ci andai pensando di tranquillizzare me e mio marito, ma avevo già deciso.

* * *

Invece lì conobbi l’ipocrisia più grande. Eccolo lo psichiatra, la superbia in persona, a suo seguito una laureanda inesperta, trattata come un cane. C’era anche la donna con il bimbo Down. Lui aveva le gambe accavallate, disteso come se stesse in poltrona: «Secondo la legge 194 l’aborto terapeutico è permesso per salvaguardare la salute fisica e psichica della donna, inoltre anche la Chiesa non si espone su questi tipi di aborto. Siete d’accordo? Firmate?». «Tutto qui?», pensai. Poi la laureanda ci passò il foglio, l’altra donna firmò e lo passò a me in silenzio.
«Mi scusi – dissi sobbalzando sulla poltrona – io voglio una visita». E lui esterrefatto: «Cosa?». Risposi che ero venuta a fare una visita psichiatrica. Poi continuai: «Lei ha detto che per la legge 194 l’aborto è permesso per la salvaguardia della salute psichica della donna, ma siamo sicuri che non la peggiori? Secondo lei non è più traumatizzante per una donna uccidere il proprio figlio?».
A questo punto fece uscire dalla stanza la laureanda e mi disse: «Ma lei lo vuole fare o no questo aborto?». «No!» risposi, mi alzai e lo salutai. Mi lasciò di ghiaccio quando, con un sorriso cinico e sarcastico, mi rispose: «Tanto fra due giorni tornerà qui e firmerà».
Credo che mi pensi spesso, perché era davvero certo che sarei tornata.

* * * 

Invece il giorno dopo ero felice. Andai in ospedale e spiegai all’infermiera che ero andata lì a ritirare la pratica. Lei era incredula. Alzò la mia cartella clinica e chiamò le altre infermiere «Mallitti è venuta a ritirare la pratica! Avete capito, Mallitti ritira la pratica», poi a me: «Brava fai fare alla natura!». Non osò nominare Dio… come parlare di Dio in quel posto? Ma io ero davvero felice, lasciandomi il reparto alle spalle. Mi voltai solo un momento e vidi la madre del bimbo Down che mi disse: «Ti ammiro, io non avrei avuto la tua stessa forza». La salutai. Avrei voluto dirle: «Vieni via con me». Ma mi mancò la voce e il coraggio che lei mi attribuiva. Ora penso a lei tutti i giorni, penso spesso che per lei non ho fatto niente. Vorrei sapere come sta e che cosa mi direbbe se le chiedessi se sta meglio ora che ha ucciso suo figlio.
Come desiderava mio marito, decidemmo che nostra figlia si sarebbe chiamata Benedetta, perché per la nostra famiglia era una benedizione. I mesi successivi non furono facili, ricevemmo critiche da familiari e medici. Mi sentii dire di tutto: «Come fai a tenere in pancia una bimba che morirà?»; «devi abortire per il bene della tua famiglia»; «il problema te lo devi togliere adesso»; «è un sacrificio inutile, tanto deve comunque morire»; «metti al mondo un essere per farlo soffrire».
Queste sono solo alcune delle parole che mi sentii dire, come se uccidere un figlio avrebbe fatto stare meglio me e lui. Ma insieme arrivarono anche mille fratelli in aiuto, e molte grazie: la prima fu mio marito, uno sposo fedele che mi ha sempre sostenuta, poi l’amicizia di don Antonio e i miei fratelli della comunità Neocatecumenale di Pomigliano d’Arco. Anche mia Madre, mia sorella, mia cugina Teresa e il mio ginecologo di fiducia mi appoggiarono. E come la vedova molesta chiesi preghiere a tutti: «O la guarigione o la grazia di portare una croce insopportabile».

* * *

Così il 26 ottobre del 2012 alle 11.08 nacque Benedetta. Mi fecero un cesareo che fu molto doloroso, ma solo fisicamente. Conosco la mia debolezza, per questo in quei mesi di gravidanza cercai di fortificarmi più che potevo con la preghiere. Sentii che mentre entravo nella sala operatoria con me c’erano anche le preghiere delle suore e dei carmelitani e dei loro 150 conventi di clausura, che ad uno ad uno avevo chiamato chiedendo di pregare. Entrò con me l’Eucarestia presa tutti i giorni, le preghiere dei fratelli della mia comunità, di mia madre, dei Servi di Cristo Vivo, di quell’estraneo che mi regalò la sua medaglia miracolosa dicendomi: «Questa me l’hanno regalata per la mia guarigione, io rinuncio alla mia guarigione per tua figlia!!!».
C’era anche la preghiera di quel funzionario del Comune, che pianse con me dopo che mi avevano comunicato che per Benedetta avevano preparato un loculo e che non c’era una culla ad aspettarla. Entrai in sala operatoria più ricca che mai. Alla nascita Benedetta piangeva e respirava da sola. Fu una sorpresa per i medici che dicevano che sarebbe potuta morire subito. Benedetta poi era bella, non un mostro come mi avevano detto i dottori. «Quando ti ho operata e ho preso il viso di tua figlia tra le mani, ho pensato che non avevo mai visto una bimba così bella», queste furono le parole piene di commozione del mio ginecologo.
Nel pomeriggio Benedetta ricevette il Battesimo. Don Antonio fu felicissimo di battezzarla e con lei c’erano la sua madrina, il suo papà e tutti i medici e gli infermieri del reparto.

* * *

Michele per due giorni le ha cantato instancabilmente i salmi tenendola per mano. E il 28 ottobre, alle ore 20.30, Benedetta è nata in cielo, l’abbiamo accompagnata con i salmi. Non so perché, ma l’unico che usciva dalla mia bocca era: «Esultate giusti nel Signore, ai retti si addice la lode». Alle ore 20.00 i medici mi dissero che Benedetta sarebbe vissuta ancora per 12 ore. In quel momento mia figlia era fra le mie braccia e le sussurrai: «Benedetta, amore di mamma, se vuoi andare vai. Noi non ti tratteniamo, vai da Gesù e digli che siamo felici di aver messo al mondo una bimba speciale come te, che ci ha insegnato cos’è l’Amore».
Appena le ho detto questo, lei è spirata tra le mia braccia. Ho la certezza della vita eterna ed ho la certezza che l’anima è matura già quando una vita nasce in noi mamme. E che l’anima di Benedetta era pronta, pregustava già la Gioia Piena verso cui non ha esitato un attimo ad andare. Aspettava solo che fossi pronta io: voleva andarsene, ma voleva che la salutassi amandola veramente.

* * *

Porto in me il dolore di aver perso una figlia che con i seni pieni di latte non potevo allattare, ma questa non è paragonabile alla felicità piena. Così quando penso a mia figlia mi assale una gioia immensa e so che non viene da me, è una una Gioia Donata. Ringrazio Dio che, come ha combattuto con noi la “buona battaglia”, restandomi fedele nonostante le mie infedeltà. Spesso ci dicono: «Siete stati coraggiosi», ma non è così, noi non siamo gli eroi di una tragedia. Io sono un’indecisa, una debole. Per questo di fronte a una Croce troppo pensante ci siamo aggrappati con tutte le forze a Dio.
Il 30 ottobre, poi, fu celebrato il funerale. La chiesa era stracolma di persone. Erano a centinaia e sembrava tutto fuorché un funerale. Fu una festa con canti, cembali, bonghi, chitarre, perché quando una persona cara muore si è umanamente tristi ma nella Gioia cristiana. Per questo quando la piccola bara bianca entrò in chiesa cantammo un passo del Cantico de Cantici: «Cercai l’amore dell’anima mia, lo cercai senza trovarlo, trovai l’amore dell’anima mia l’ho abbracciato e non lo lascerò mai». Benedetta aveva abbracciato il suo Sposo.
Ciò che mi fece più felice fu vedere alla fine della celebrazione le persone presenti dirci «grazie». Al funerale di mia figlia nessuno mi aveva fatto le condoglianze. Un collega di mio marito pianse dicendo che noi eravamo fortunati, perché avevamo una cosa bellissima che lui non aveva.

* * *

Se mi pento di aver anche solo pensato di aprire la procedura per l’aborto, ora capisco che dovevo passare dal vedere quella realtà. Per dire a tutti che non esiste aborto che sia terapeutico e che Benedetta poteva non nascere. Il nostro è stato un “NO” all’aborto, scandaloso per coloro che dicevano che mia figlia doveva morire, perché non conforme alla “normalità”. Ma è proprio attraverso la “stoltezza della Croce”, quella più assurda, che l’uomo può vedere la resurrezione e dire «grazie» a Dio.
Benedetta ha fatto della sua vita una lode a Dio ed io come madre non posso che provare gioia, perché un figlio si fa per ricondurlo a Colui che lo ha creato. Al funerale abbiamo regalato centinaia di segnalibri.
Dicevano così: «Mettere alla luce un bimbo, pur sapendo che deve morire ha un senso, abortire, anche quando ci sono tutti i presupposti medici e legali per farlo, non impedisce al feto di morire come un “rifiuto”, senza nome e buttato chissà dove. Partorirlo significa donargli la dignità di essere umano, con un nome e un’identità, anche se per poche ore, significa battezzarlo e donargli la dignità di cristiano, significa farlo morire nell’amore dei genitori, dei nonni, degli zii e dei familiari, tra le coccole, le cure e le attenzioni di tutti, con un funerale e tutto quello che ogni essere umano dovrebbe ricevere per diritto. Questo è il senso per chi non l’avesse capito! Ciao Benedetta, la tua famiglia è fiera di Te».
Benedetta ora giace e adagiato su di lei c’è un lenzuolino ricamato dalla nonna su cui c’è scritto: «Benedetta Dono di Dio».

Concetta Mallitti, 30 anni, di Napoli

Bertinotti, la tecnocrazia e il rapporto uomo-donna: «Ci salveranno i barbari senza barbarie»

Bertinotti, la tecnocrazia e il rapporto uomo-donna: «Ci salveranno i barbari senza barbarie»

Luigi Amicone – Fabio Cavallari da www.tempi.it

Intervista a Fausto Bertinotti: «Contro la tecnocrazia serve una rivolta». «La crisi della comunità come riconoscimento del valore di un popolo, è iniziata con la crisi del rapporto uomo-donna» 

Trasmissione ''L'ultima parola''C’erano una volta destra e sinistra che proclamavano una visione del mondo alternativa l’una all’altra. E fieramente si davano pubblica e privata battaglia per contendersi l’egemonia sulla società. «Adesso non esiste più né destra, né sinistra. E, almeno in Italia, non esiste più nemmeno la politica. Dunque la domanda è: riuscirà l’uomo, riusciranno i popoli, ad affrancarsi da tecnocrazia e capitalismo finanziario, forme e sostanze dell’economia, della politica, dell’antropologia che governano la globalizzazione?». Interrogativo di Fausto Bertinotti, una vita dedicata prima al sindacalismo e a una irregolare militanza a sinistra, tra Psi, Psiup e Pci. Poi, caduto il Muro, all’antagonismo non violento e alla rifondazione di un comunismo movimentista e altromondista. Adesso che Nichi Vendola ha preso strade che il patriarca della “rifondazione” permanente si guarda bene anche solo dal commentare, succede che a Roma, in un ufficio di Piazza del Parlamento, l’ex presidente della Camera dei Deputati, oggi direttore del bimestrale Alternative per il socialismo e animatore della Fondazione “Cercare ancora”, è pronto per un incontro che romperà gli argini della rappresentazione delle parti e sfocerà in discussione aperta, condivisione empatica e – «perché no? Certo che come Fondazioni possiamo e dobbiamo incontrarci» (il riferimento è alla costituenda Fondazione Tempi, ndr) – possibile strada insieme. Il libro portato da Milano come dono, e maldestramente perso durante il viaggio, diventa il viatico per l’avvio della conversazione.

Václav Havel, scrittore, drammaturgo e politico, nonché ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo della Repubblica Ceca, nel suo testo Il potere dei senza potere del 1978, sosteneva l’idea di una “polis parallela”. Cioè di una società fondata sulle intenzioni della vita e del «vivere fuori dalla menzogna», costituita da persone e forme di auto-organizzazione sociale alternative al potere impersonale e post-totalitario che, profetizzava il leader di Charta 77, «non caratterizza soltanto il socialismo reale ma è la prefigurazione di quello che sarà anche l’Occidente». Lei ritiene che sia una idea ancora valida per un’azione di trasformazione politica e culturale del mondo attuale?
Una certa diffidenza nei confronti dello Stato e la necessità della rivolta. Sono queste le suggestioni attuali che ritengo più interessanti. Anche perché esse provengono da personalità di mondi culturali molto differenti. Penso ad esempio alla convergenza tra la riflessione di Toni Negri sulle moltitudini, ossia quella molteplicità singolare che cresce all’interno dell’Impero e ne può diventare l’alternativa vivente; e le posizioni espresse da un uomo appartenente alla tradizione cattolica come il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, il quale afferma che società civile e politica sono destinati a una decadenza progressiva del loro rapporto, e a un distacco dei loro rispettivi destini. Insomma, esiste una consonanza obiettiva tra queste valutazioni e le culture critiche del Novecento, sia cattoliche sia marxiste, che diffidavano dello Stato. Un elemento di “sospetto” che in Italia è stato spezzato grazie alla Costituzione. I comunisti con Togliatti e i cattolici con Dossetti, compirono due importanti revisioni storiche. I Costituenti superarono l’orizzonte delle pur grandi costituzioni liberali, sconfissero quell’alone di diffidenza nei confronti dello Stato affidando alla Repubblica stessa il compito di promuovere il pieno sviluppo della persona umana (Articolo 3).

Questo principio oggi però è in crisi.
Proprio così. Il conflitto che oggi viviamo in Italia sembra originato dalla diaspora interna alla tripartizione dei poteri, tipica delle costituzioni liberali. Il potere legislativo è stato praticamente oggetto di eutanasia, tanto che il Parlamento potrebbe chiudere. Sono rimasti gli altri due poteri, l’esecutivo e il giudiziario. E tra i due si è prodotta la contesa. Cosicché tutte le tesi analitiche tornano al luogo d’origine, cioè a quella diffidenza che non riguarda più lo Stato in quanto tale, bensì l’organizzazione neo oligarchica che ne permea la sostanza.

tribunale_toghe_magistraturaLa presa onnisciente della Magistratura sulla politica – pensi all’ormai ventennale caso di “caccia giudiziaria” a Silvio Berlusconi – non rischia di assolutizzare il concetto di legalità e delegittimare la legge stessa?
Per una sorta di igiene politica, dovremmo cercare di superare la dimensione nazionale che rischia di non farci vedere la svolta epocale che stiamo vivendo. Le nostre sono contese provinciali che traggono linfa, tra l’altro, da una costruzione politica anomala come il berlusconismo, che sopperisce a una borghesia inesistente, e l’antiberlusconismo che ha sostituito una sinistra incapace di essere tale. In verità, al netto di queste turbolenze, l’elemento portante è la costruzione di un governo tecnocratico europeo. Noi stiamo vivendo il passaggio da quel capitalismo che gli economisti hanno chiamato fordista-taylorista-keynesiano a un capitalismo finanziario globale. Si tratta di una mutazione nell’assetto generale della società nella quale si compie la demolizione dei portatori sociali politici e istituzionali della democrazia. Stiamo parlando della mutazione del rapporto tra capitale finanziario e capitale produttivo e tra accumulazione privata e pubblica. Ebbene, questo “mostro” sta investendo e cambiando l’Europa intera. La centralità attribuita al debito pubblico e al pareggio di bilancio, ha sostituito il principio democratico. Il finanzcapitalismo, come lo chiama Luciano Gallino, ha trovato nel crollo dell’Urss e dei regimi dell’Est il suo miglior alleato. Quelle sconfitte, sacrosante e giunte anche in ritardo, hanno permesso al capitalismo di manifestarsi come l’ultima tappa dell’umanità. Non a caso, all’indomani della caduta del Muro, Francis Fukuyama ha scritto La fine della Storia e l’ultimo uomo.

La Costituzione Europea è stata approvata durante il vertice di Bruxelles del 18 giugno 2004 dai 25 capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea. Anche questa è democrazia, non crede?
È democrazia solo formalmente. Tant’è che a Bruxelles il Principe non è la Costituzione, è il diritto commerciale. Non a caso si fanno i trattati. Chi decide e impone è il Governo delle Commissioni attraverso i rapporti intergovernamentali. Non esiste alcuna legittimazione popolare alla base delle direttive Ue. A questa rappresentazione tecnocratica, dobbiamo poi aggiungere il vero soggetto dominante: la Banca Centrale Europea, un potere sovrano non democratico, che svolge il ruolo di gendarme della moneta, in assoluta autonomia. Diversamente dalla Federal Reserve, che risponde al Parlamento e per statuto oltre alla stabilità monetaria ha il compito di promuovere l’occupazione, la Bce si occupa solo di moneta.

E infatti la famosa lettera del 2011 della Bce al governo Berlusconi più che raccomandazioni conteneva un vero e proprio programma di governo, dettagliato e circostanziato fin nei minimi particolari.
È così. Ma già nel 2007 quando esplose la crisi economica, questo processo neo oligarchico era già in atto. Fondo monetario internazionale, Commissione europea e Banca mondiale hanno assunto il comando e gli Stati diventarono delle semplici articolazioni di questo assetto di governo tecno-burocratico. Berlusconi è stato abbattuto dalle élite europee, non dai magistrati. Cosa che è accaduta anche al presidente socialista del Consiglio greco, quando si è permesso di pronunciare la parola “Referendum”. Un sorta di lesa maestà che gli è costata la sostituzione, al suo posto un banchiere.

Il Governo Monti è stato presentato all’opinione pubblica come l’unica possibilità che aveva l’Italia per salvarsi dalla crisi. Erano eterodirette anche quelle scelte?
È evidente. L’ineluttabilità è diventata la nuova formula della politica tecnocratica. La cronologia storica di quanto è avvenuto è molto semplice. In quel momento dall’Europa giunge un input preciso che fa sponda sul grado di popolarità di colui che deve gestire l’operazione: il presidente Napolitano. Il capo dello Stato, in virtù di questo riconoscimento, risponde in presa diretta all’incipit e svolge il compito con totale indifferenza rispetto alle regole. Nomina senatore a vita Monti, senza preoccuparsi di motivarne la scelta, anticipando semplicemente la sua ascesa alla presidenza del Consiglio. Sempre Napolitano, forma il Governo, la maggioranza e l’alleanza politica, sotto l’egida dell’ineluttabilità. Il Governo Monti produce, egli stesso, i prodromi per la sua successione. Le elezioni di febbraio, infatti, si dimostrano ininfluenti, seppur producano un terremoto e una sostanziale ferita mortale alla governabilità. Mentre va in scena lo psicodramma italiano, Mario Draghi, che è il vero pivot della costruzione europea, il 7 marzo a Berlino dichiara: «L’Italia prosegue sulla strada delle riforme, indipendentemente dall’esito elettorale. Le riforme continueranno come se fosse inserito il pilota automatico». In pratica la democrazia è sospesa. La direttiva è precisa: si deve formare il governo delle grandi intese. Il diktat è perentorio. Il presidente della Repubblica, per dimostrare l’ineluttabilità del momento, viene “richiamato alle armi” e nasce il Governo Letta che “coerentemente” non va a cercare il consenso in Parlamento, bensì a Bruxelles.

Udienza generale di Papa FrancescoQuale risposta dunque all’ineluttabilità?
La rivolta. È impossibile una ricostruzione della democrazia dall’interno del sistema politico. La salvezza può giungere solo da ciò che sta fuori del recinto. La salvezza viene dai barbari capaci di essere senza barbarie. La salvezza viene da un “residuo” che non è marginalità, bensì ciò che non è sussunto e integrato nella macchina di un dato sistema economico e del passivo consenso ad esso. “Barbari” e “residuo” è ciò che sta fuori perché scartato o perché esterno alla dimensione dell’ineluttabile tecnocratico. Per fare due esempi differenti: chi sta fuori è Papa Francesco e sono i disoccupati che si organizzano in autogestione. Entrambi stanno riscoprendo un protagonismo della polis, della comunità, del rapporto tra io e l’altro, come elemento costitutivo. In Italia ci sono circa 160 aziende che oggi vivono grazie ai dipendenti che le hanno sottratte al fallimento dichiarato e formalizzato.

Dunque, se il Papa è istituzionalmente di “destra” e gli operai sono classicamente di “sinistra”, c’è qualcosa che non torna in questi “differenti” che si uniscono. O no?
Guardate, il discrimine tra destra e sinistra, che sino ieri è stato abbattuto da destra versus sinistra, oggi determina un terreno in cui si possono incontrare storie diverse, culture differenti. Appunto, i barbari senza barbarie.

Detto altrimenti, il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola invita a «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo al deserto, non è deserto, e farlo durare e dargli spazio».
Concordo totalmente. Per chi come il sottoscritto ha vissuto a sinistra, è molto più indicativo quello che è accaduto nella seconda parte dell’Ottocento che non nel Novecento. Non c’è nessuno che potrà ancora usare la parola “socialismo” connessa a un ordine statuale. Quell’ipotesi è morta con il ’17. Da questo punto di vista è molto più interessante quello che il Novecento ha definito con un certo disprezzo e saccenteria “socialismo utopico”. Quella formulazione conteneva il tessuto della costruzione della polis, sistemi di relazioni sociali autosufficienti. Il disfacimento della sinistra si materializza con la distruzione della comunità. Non c’è niente di meglio della canzone di Gaber “Qualcuno era comunista” per spiegare quel pezzo di storia italiana. La forza del Partito comunista non era il Comitato Centrale ma la festa dell’Unità. Quando si è rotto quel legame si è prodotto il disastro.

E si tratta di un disastro anche sul piano antropologico. Basti pensare alla crisi dell’alleanza uomo-donna.
In effetti, la crisi della comunità come riconoscimento del valore di un popolo, è iniziata con la crisi del rapporto uomo-donna, del perché due persone decidono di stare assieme. Detto cristianamente, la persona può anche peccare, ma non può mettere in discussione la struttura sacramentale. Introducendo il principio borghese per cui ogni sentimento deve essere soddisfatto, si giunge alla distruzione stessa della società. Io che sono fruitore di questa cultura, fortemente interessato ma sempre fruitore, ritengo che la consegna del cattolicesimo sia un dato affascinante. Ecco perché “Siamo tutti puttane” (riferito alla manifestazione del 25 giugno organizzata da Giuliano Ferrara a Roma, ndr) a me appare come una riduzione provocatoria, mentre ritrovo molto più efficace l’espressione:  “Siamo tutti peccatori”. Detto questo, nella società della comunicazione e dell’immagine “peccato” e “governo” sono spinti ai poli opposti.

Si spieghi, che c’entra “peccato” e “governo” con la società della comunicazione e dell’immagine?
C’entra con la forza e incidenza dell’immaginario rispetto alla realtà. Un peccatore anonimo non produce scandalo, ma quando il protagonista del peccato è una figura simbolica, perché leader politico e di governo, anche se esiste una spiegazione esistenziale, realista e razionale della cosa – il “siamo tutti peccatori” – tale spiegazione non regge l’urto dell’immagine.

Tornando al tema della giustizia, epurata la controversia berlusconiana, la sinistra sembra in ogni caso aver smarrito l’inclinazione garantista. Quali le ragioni?
In verità, bisogna prendere atto che il giustizialismo ha convissuto con tutto il Novecento della sinistra. La sinistra aveva due anime: una libertaria e una giustizialista. La seconda ha sempre pensato che in qualche modo servisse una sorta di vendicatore (la dittatura del proletariato, il partito, infine il giudice). Accanto a questa coabitava l’anima libertaria che diffidava dello Stato, del partito e dei giudici. Il compromesso del Dopoguerra ha maturato la convivenza di queste due anime dentro un processo educativo. Con il ’68 e il ’69 il processo si è evoluto ma non è mai stata acquisita una vera cultura democratica. L’idea della punizione è sempre stata molto forte. Tant’è, una delle colpe più gravi della sinistra ritengo sia stata quella di aver lasciato sostanzialmente soli Marco Pannella e i Radicali sulla questione dell’amnistia. Un errore imperdonabile.

Egitto. «Voglio dire solo una cosa ai cristiani: statevene per conto vostro: vi daremo fuoco»

Egitto. «Voglio dire solo una cosa ai cristiani: statevene per conto vostro: vi daremo fuoco»

di Leone Grotti da www.tempi.it

La tv araba Eretz Zen realizza interviste al Cairo tra i Fratelli Musulmani: «L’esercito ha appena creato dei kamikaze pronti al suicidio e al martirio» 

egitto-fratelli-musulmani-cristiani«Io sono un’egiziana religiosa musulmana e voglio dire solo una cosa ai cristiani: “Statevene per conto vostro: vi daremo fuoco, vi daremo fuoco”». Il sentimento espresso da una donna velata integralmente al Cairo, durante le proteste dei Fratelli Musulmani contro l’esercito che ha deposto Mohamed Morsi e il governo della Fratellanza, è condiviso dalle migliaia e migliaia di persone che sono scese in piazza per protestare in questi giorni.

«PRONTI AL MARTIRIO». Un video realizzato il 4 luglio dal canale televisivo arabo Eretz Zen lo dimostra con le sue interviste realizzate in mezzo alla folla in protesta. Un uomo con la barba lunga tipica dei Fratelli Musulmani dichiara alla telecamera: «Voglio dire ad Al-Sisi [capo dell’esercito, ndr]: stai attento, sappi che hai creato un nuovo movimento di talebani e di al-Qaeda in Egitto, tutta questa folla è pronta al martirio, distruggeranno te e l’Egitto. Tu hai distrutto l’Egitto. Hai appena creato dei kamikaze pronti al suicidio e al martirio, se qui una persona su dieci un domani si farà esplodere tra la gente, la colpa è tua. Fai un passo indietro e riabilita Morsi o questa gente farà esplodere l’Egitto».

egitto-fratelli-musulmani«GUERRA CIVILE». Un altro uomo dichiara: «[Al-Sisi], tu sei l’unico responsabile della guerra civile che scoppierà tra musulmani e non musulmani, tra musulmani e laici, tra musulmani e sciiti. Sei l’unico responsabile della morte cui andrà incontro chi si oppone a Morsi e al risultato delle elezioni».

«BRUCEREMO I CRISTIANI». Ieri oltre trenta persone sono morte in scontri tra Fratelli Musulmani ed esercito. Ci sono stati scontri anche con i cristiani, con estremisti islamici che hanno dato fuoco a case dei cristiani, parrocchie e chiese.

Crisi e famiglia le priorità dimenticate

Crisi e famiglia le priorità dimenticate

Il Consiglio dei ministri dovrebbe assegnare entro un paio di settimane la delega per le politiche familiari, una casella rimasta ancora scoperta nell’organigramma del governo. La rassicurazione arriva da Palazzo Chigi, dopo che nei giorni scorsi era stata presentata in Senato un’interpellanza (promossa da Scelta Civica e firmata da esponenti di quasi tutte le forze politiche), proprio per sollecitare l’attribuzione, a oltre due mesi dal varo dell’esecutivo, di un incarico specifico. La necessità di una figura di riferimento per le politiche sulla famiglia è considerata dalle associazioni una condizione necessaria, sebbene certo non sufficiente, per riportare al centro dibattito pubblico un tema sin qui quasi assente.
Circa un anno fa il governo Monti aveva approvato un Piano nazionale per la Famiglia, con diverse indicazioni strategiche per rivisitare le politiche di settore – dal welfare al lavoro, dal fisco, alla scuola alla casa – in chiave pro-familiare in un Paese che soffre di una forte denatalità e dove la famiglia di fatto supporta le inefficienze pubbliche. A parte la controversa revisione dell’Isee, il “riccometro” per selezionare l’accesso ai servizi, le altre indicazioni del Piano sono rimaste sin qui lettera morta. Lunedì prossimo, 15 luglio, si riunirà per discuterne l’Osservatorio Nazionale sulla famiglia.
Intanto le famiglie in carne e ossa combattono sempre più duramente con la crisi economica. L’aumento della pressione fiscale, in assenza di correttivi legati alla dimensione del nucleo, ha finito per pesare ancor di più sulle coppie con più figli. I tagli alla spesa pubblica si sono tradotti in una riduzione dei servizi erogati da parte degli enti territoriali e sanitari. Tutti i fondi statali (politiche sociali, per la famiglia, infanzia, non autosufficienza) sono stati ridotti e talvolta azzerati. Mentre il balzo della disoccupazione giovanile ha moltiplicati i figli che restano a carico anche da adulti.
A dispetto delle ripetute promesse degli ultimi governi, è sempre rimasta inascoltata la richiesta delle associazioni familiari di rimodulare il prelievo fiscale sui redditi in base alla consistenza delle famiglia, come accade in altri Paesi. In Italia il modello di tassazione sul reddito resta individuale, penalizzando nuclei monoreddito e più numerosi. Un piccolo segnale è stato dato con l’ultima legge di stabilità che ha leggermente aumentato  le detrazioni per figli a carico (da 800 a 950 euro annui per ogni figlio) dopo che il Forum della associazioni familiari aveva denunciato l’iniquità del testo iniziale di abbassare le due aliquote Irpef più basse indipendentemente dai carichi familiari. E ora che si parla di ridurre il cuneo fiscale il Forum chiede al governo di dare un nuovo segnale. «La defiscalizzazione del lavoro stavolta dovrebbe essere graduata in base alla dimensione delle famiglie», chiede il vicepresidente Roberto Bolzonaro. Si tratterebbe di un primo passo verso il «Fattore Famiglia», la proposta di riforma fiscale che prevede una «no tax area» determinata in base ai componenti del nucleo per sostenere le famiglie più numerose e bisognose. Intanto alla Camera è ripreso il cammino della delega fiscale, che potrebbe rivedere anche il sistema delle detrazioni, e il governo è alle prese con la riduzione delle agevolazioni, l’aumento dell’Iva e la revisione dell’Imu, con una nuova tassa su immobili e servizi. Tutti passaggi ad alto impatto sulla condizione delle famiglie. E sui quali potrà far sentire la sua voce, si spera, il nuovo responsabile delle politiche familiari.

Nicola Pini da avvenire.it