da Baltazzar | Ago 23, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Post-it
Ancora due giorni per raccogliere le firme allo stand del Movimento per la vita (Meeting di Rimini A1). Yahya Pallavicini, imam e vicepresidente della CO.RE.IS., chiede ai musulmani italiani di firmare l’iniziativa
da www.zenit.org
“Firmare e sostenere l’iniziativa dei cittadini europei Uno di Noi in cui si chiede il riconoscimento della vita fin dal concepimento, il non finanziamento delle associazioni abortiste e degli esperimenti sui feti, è una battaglia di democrazia e di civiltà”. E’ quanto sostiene Pino Morandini, vicepresidente del Movimento per la Vita e Vicepresidente della Commissione per i rapporti internazionali e con l’Unione europea della Provincia di Trento.
Intervistato da ZENIT allo Stand del Movimento per la Vita al Meeting di Rimini (padiglione A1), Morandini ha spiegato che “Uno di Noi” è la primissima occasione giuridicamente fondata che permette ai cittadini europei di farsi ascoltare e incidere direttamente sull’Unione Europea. Si tratta di una iniziativa straordinaria, presente in tutti e 29 paesi dell’Unione e che sta affratellando i popoli intorno a valori fondanti come la difesa della vita a partire dal concepimento.
“L’Europa – ha precisato – non è solo spread, utilitarismo, tasse e accordi finanziari, ma primariamente unione di popoli sui valori fondanti della civiltà di cui l’Europa è stata per millenni il punto di riferimento”. Secondo il vicepresidente del MpV: “L’Europa è fatta dalla filosofia greca, dal diritto romano e dalla tradizione religiosa giudaico cristiana. Una combinazione che può tenere in piedi il mondo”.
Alle osservazioni di quanti sostengono che la battaglia per la difesa della vita sia “di retroguardia”, Morandini ha risposto che piuttosto quella di “Uno di noi” è “una battaglia di prospettiva”. A questo proposito ha ricordato le parole pronunciate il 10 gennaio del 2005 dal beato Giovanni Paolo II.
Parlando agli ambasciatori, il Papa polacco disse che sono quattro le sfide del terzo millennio: “La sfida per la Vita, per la pace, per la povertà e per la libertà religiosa”, ma – sottolineò – “la prima sfida è quella della difesa della vita”.
“Una battaglia di prospettiva – ha aggiunto Morandini – perchè non c’è nazione e popolo che non possa riconoscersi nei valori di difesa della vita, sostegno alla famiglia naturale e libertà di educazione”. “La democrazia senza valori rischia sempre di cadere nel totalitarismo, e come dice Papa Francesco, la civiltà si misura su come vengono trattati i più deboli”.
“Uno di noi” è dunque un’iniziativa di prospettiva perché potrebbe attirare l’attenzione dei politici europei nei confronti dell’emergenza demografica che sta opprimendo il nostro continente. Secondo Morandini, “la mobilitazione europea per raccogliere le firme per ‘Uno di Noi’ potrebbe inoltre dar vita ad una federazione Europea dei movimenti per la vita, il cui primo presidente potrebbe essere Carlo Casini”.
“Così come quando nasce un bambino, la famiglia cresce in impegno e amore, l’Europa potrebbe rinascere se si dedicasse di più a promuovere una difesa e promozione delle famiglie per un ritorno alla crescita demografica” ha affermato. Un’altra battaglia di civiltà è, secondo Morandini, quella della difesa dell’obiezione di coscienza, dì coloro cioè che per coscienza non vogliono partecipare ad azioni che sopprimono la vita.
In Europa l’Iniziativa “Uno di noi” ha già superato la soglia di 900.000 firme. Qui allo stand ne sono state raccolte 2400 in tre giorni. “Credo – ha sostenuto il vicepresidente del Mpv – che per il 1° novembre saremo ben oltre il milione di firme”.
Allo stand del Movimento per la vita ha firmato per “Uno di noi” anche Yahya Pallavicini, imam e vicepresidente della Comunità Religiosa Islamica CO.RE.IS., il quale ha invitato i musulmani italiani a firmare sostenere l’iniziativa che vuole difendere il “fratello embrione”.
Tra le tante iniziative che si svolgono allo stand del MpV, Morandini ha segnalato il concerto di giovani affetti da sindrome di Down che si svolgerà domani pomeriggio alle ore 17. Si tratta della prima e unica realtà in Europa dove giovani affetti da sindrome di Down suonano la tastiera elettronica. L’associazione di Trento che svolge questa attività si chiama Cantare suonando ed è nata a Trento nel 1997 con sedi staccate a Schio, a Treviso e Rovereto. Cantare suonando” si dedica all’insegnamento della musica a ragazzi/e con disabilità attraverso l’apprendimento individuale della notazione musicale e l’esecuzione della musica in pubblici concerti. Ideatore del progetto e responsabile didattico è il prof. Marco Porcelli.
da Morpheus | Ago 22, 2013 | Biopolitica, Post-it, Segni dei tempi
di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Vedere come funzionano le leggi sull’omofobia all’estero è di grande interesse per prepararci alla battaglia che ci attende il mese prossimo in Italia. L’onorevole filosofa Michela Marzano ha messo in ridicolo in Parlamento chi teme che dalla legge sull’omofobia derivino limitazioni per la libertà di espressione dei credenti, affermando che sarebbe in corso una «campagna terroristica» ed esprimendosi in termini davvero pittoreschi, che non possono essere riportati su un quotidiano per famiglie. Anziché rispondere sullo stesso tono, dopo avere tanto parlato della Francia, vediamo come funziona per esempio la legge sull’omofobia in Canada.
Come ci spiegano i giuristi locali, i parametri sono ora definiti da una sentenza della Corte Suprema, Saskatchewan (Human Rights Commission) v. Whatcott, del 27 febbraio 2013, che fissa i limiti entro i quali si può invocare la libertà religiosa quando si è perseguiti in base alle leggi contro l’omofobia. Il caso riguardava un’organizzazione cristiana che protestava contro l’insegnamento obbligatorio della teoria del gender nelle scuole canadesi. La sentenza, fra l’altro, afferma che l’espressione «sodomiti» è omofoba, che è omofobo sostenere che ci sono molti più casi di pedofilia fra gli omosessuali che fra gli eterosessuali, e che la citazione del brano del Vangelo di Matteo secondo cui «chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli […], gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare» è gravemente omofoba se ristampata in una pagina di un opuscolo illustrata con annunci economici di un quotidiano dove uomini omosessuali cercano ragazzi «giovani e giovanissimi» per simpatiche e ben retribuite avventure sessuali.
Come spesso avviene, i giudici perseguono piccoli gruppi che si rendono poco gradevoli all’opinione pubblica per stabilire principi generali che sono poi applicati contro chiunque. Il gruppo cristiano in questione, Christian Truth Activists, sostiene anche la tesi – non provata, diciamolo subito – secondo cui l’ideologia del gender nasce ed è diffusa a causa di un «complotto ebraico», il che ha portato l’influente Canadian Jewish Congress a costituirsi parte civile di fronte alla Corte Suprema. Tuttavia altro è l’eventuale antisemitismo degli opuscoli di questo gruppo, altro è l’omofobia. E il risultato finale è che la Corte Suprema canadese ha stabilito – esattamente come temevano i vescovi cattolici del Paese in una lettera pastorale dell’aprile 2012 sulla libertà religiosa – che in caso di conflitto fra libertà di religione e leggi sull’omofobia sono le seconde a prevalere.
Non c’è solo la Corte Suprema. È venuto alla luce in questi giorni un caso molto interessante. Un’università protestante canadese, riconosciuta, la Trinity West University, si trova alla periferia di Vancouver. Questa università fa sottoscrivere agli studenti un codice di comportamento, che vieta – tra l’altro – l’accesso a siti pornografici usando la rete WiFi dell’ateneo, il consumo di alcool all’interno del campus universitario, e nei dormitori «l’astensione da forme di intimità sessuale che violino la sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna». Questo codice è analogo a molti che sono in uso da anni negli Stati Uniti. Per esempio un impegno analogo contro l’attività sessuale nei dormitori universitari – molto frequente nelle università, tanto che altrove il vero problema è decidere se certe scorribande notturne di ragazzi nelle camere delle ragazze, magari dopo abbondanti bevute, portano a rapporti consensuali o a forme più o meno mascherate di violenza carnale – si trova nel «codice d’onore» della Brigham Young University, l’ateneo di Provo (Utah) che appartiene alla Chiesa Mormone ma che è frequentato anche da non mormoni ed è molto apprezzato per la qualità dei corsi e dei professori.
La Trinity West University è ora sottoposta a procedimento da parte di un organo amministrativo, la Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Legge canadesi, il quale ha deciso d’intervenire chiedendo con una lettera– originariamente segreta, ma come tutti i documenti segreti che si rispettano, ora comparsa su Internet – in cui chiede agli Ordini degli Avvocati di non ammettere alla pratica forense i laureati in legge della Trinity West University, perché – se quando erano studenti hanno sottoscritto il codice di comportamento – sono fortemente sospetti di omofobia.
Che c’entra l’omofobia, si chiederà a questo punto il lettore. C’entra, rispondono gli esimi presidi, perché impegnandosi ad astenersi da rapporti prematrimoniali nei dormitori, gli studenti di legge della Trinity West University dichiarano di voler così onorare «la sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna». Dal momento che in Canada c’è il matrimonio omosessuale, la frase sarebbe omofoba perché implicherebbe che solo il matrimonio «tra un uomo e una donna» sia sacro. Forse l’università potrebbe cavarsela – ed evitare di dover chiudere la sua facoltà di Giurisprudenza, perché nessuno s’iscrive a Legge sapendo che poi non potrà fare l’avvocato – chiedendo agli studenti di astenersi dall’attività sessuale nei dormitori per non violare «la sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna, o tra un uomo o un uomo, o tra una donna e una donna».
Ma anche no. Perché la decisione dei presidi implica che la castità in genere crei un clima ostile a «gay, lesbiche e bisessuali» che, almeno nella loro grande maggioranza, della castità non sono grandi fan. E che chi chiede di astenersi dai rapporti sessuali prima e fuori del matrimonio sia già almeno sospetto di omofobia. Vede dunque come va a finire, egregia onorevole Marzano? O forse è proprio lì che vuole andare a parare? Del resto, non ha forse scritto Lei su Repubblica che è bene non celebrare più la Festa del papà, anche quella sospetta di omofobia perché discrimina i bambini che non hanno un papà e una mamma ma due mamme lesbiche?
da Morpheus | Ago 22, 2013 | Biopolitica, Media, Post-it
di Riccardo Cascioli da www.lanuovabq.it
Con la raccolta di firme contro la legge sull’omofobia, Comunione e Liberazione e Il Meeting di Rimini non c’entrano proprio nulla. E’ questa una cosa da mettere subito in chiaro. Come i lettori de La Nuova BQ ben sanno si tratta di una iniziativa lanciata proprio dal nostro quotidiano, insieme ai Giuristi per la Vita, a cui si sono subito associati Cultura Cattolica e Pro Life News e a seguire altre decine di siti e blog. Ha aderito anche il settimanaleTempi, che ha offerto il proprio stand al Meeting di Rimini per promuovere la raccolta di firme.
Perché diciamo questo? Perché ieri il quotidiano Repubblica ha pubblicato un articolo a firma di Giulia Foschi in cui, dando notizia della raccolta di firme allo stand di Tempi, ne attribuisce la responsabilità a Cl, un modo per poi scatenare l’ira dell’Arcigay sul movimento ecclesiale e sul Meeting di Rimini, ovviamente tacciati di omofobia e violenza.
L’operazione non è innocente, come è facile intuire, è solo un modo per lanciare un altro po’ di fango e disinformazione su Cl e il Meeting – esercizio che in questi giorni vede comunemente impegnati diversi organi d’informazione – evitando così di confrontarsi con i veri contenuti dell’appuntamento riminese. Del resto la giornalista di Repubblica ha potuto ben vedere che non si trattava di una iniziativa del Meeting (che ha invece lanciato una raccolta di firme contro la persecuzione dei cristiani) dato che le firme in calce al documento sono ben chiare e raccolte all’interno di uno stand.
E’ un classico esempio di quel giornalismo-menzogna che ha in Repubblica una grande scuola. Ci fosse un Ordine dei Giornalisti ci sarebbe di che intervenire, ma si sa che l’Ordine dall’occhio sinistro ci vede poco o niente.
Ancora più significativa, però, è la reazione del presidente dell’Arcigay Flavio Romani che, di fronte alle ragioni dell’opposizione alla legge sull’omofobia, ha sfoggiato la solita violenza verbale parlando di “lupi feroci travestiti da agnelli”, di “segnali allarmanti” e del fatto che “a Rimini si coltiva l’odio, si getta benzina sul fuoco e si lavora per mantenere viva quella cultura della discriminazione che quotidianamente sfocia in violenza”.
Insomma, basta la semplice opposizione a questa proposta di legge per essere accusati di essere violenti, istigatori alla violenza e generatori di discriminazione. Guarda caso sono proprio i capi di imputazione previsti dalla Legge Reale-Mancino che si vorrebbe estendere ai casi di omofobia.
Non basta: il presidente di Gaynet, Franco Grillini, rincara la dose parlando di “raduno di fanatici” e di “clericofascismo” che “da sempre si abbatte senza pietà sulle persone omosessuali e i loro diritti”. E chiede quindi alla Lega Coop di “interrompere il finanziamento alla kermesse clericale”. Nel mirino di Gaynet c’è poi l’intervento del 20 agosto su UnoMattina (Rai Uno) del vice presidente dei Giuristi cattolici Giancarlo Cerrelli che, a proposito di omosessualità, ha parlato di “disordine” e “disagio esistenziale” (cose peraltro perfettamente in linea con quanto affermato dal Catechismo della Chiesa cattolica). In questo caso si è addirittura chiesto l’intervento della Commissione di vigilanza della Rai per impedire che vengano invitati “ultra cattolici e omofobi” alla tv di stato.
Secondo Grillini, la difesa della libertà di opinione che noi facciamo, è soltanto un modo per “poter continuare sulla strada degli insulti, del dileggio e della diffamazione verso la comunità Lgbt italiana”.
La domanda è: quale insulti, quale dileggio e quale diffamazione?
Mai questo sito o gli altri che partecipano a questa campagna hanno insultato o dileggiato o diffamato nessuno. Né abbiamo mai incitato – malgrado la durezza del confronto sulla proposta di legge sull’omofobia – alla mancanza di rispetto verso le persone omosessuali.
Ma il rispetto alla persona – che è sempre dovuto qualsiasi sia la sua condizione – non può impedire di dare un giudizio chiaro sul fenomeno dell’omosessualità e soprattutto sulle battaglie che solo una piccola parte del mondo omosessuale – gli attivisti gay – sostiene.
Invece Arcigay e Gaynet mostrano il vero volto, violento e totalitario, dell’attivismo gay; con buona pace di quei parlamentari cattolici che pensano che basti una clausola di salvaguardia per garantire la libertà di poter esprimere la propria opinione. Non c’è ancora la legge e già si vuole tappare la bocca a tutti coloro che non si omologano al pensiero unico omosessualista. Figurarsi cosa accadrebbe se questa proposta diventasse legge.
Quello che ancora a molti non è chiaro – parlamentari inclusi – è che con questa legge, che equiparerebbe i reati di omofobia a quelli di razzismo, non è in gioco la protezione di persone vulnerabili da atti di violenza – per questo ci sono già le leggi ordinarie che valgono anche per gli omosessuali – ma il riconoscimento dell’omosessualità come natura. Ovvero la negazione della Creazione: “Dio creò l’uomo, maschio e femmina lo creò”. Questo è anche il senso della cultura di genere, da cui discende anche quell’invenzione giuridica che è l’omofobia.
E’ contro questa pretesa che noi ci battiamo, e per la possibilità di poter affermare le nostre ragioni. Che Grillini, Romani e co. vorrebbero impedire con la violenza.
da Morpheus | Ago 22, 2013 | Cultura e Società, Post-it, Segni dei tempi
Londra, 3 giorni di lavoro senza riposo
La morte per superlavoro di uno stagista 21enne impiegato alla Merryll Linch-Bank of America ha aperto un drammatico squarcio sui modelli organizzativi delle banche d’affari e delle finanziarie nella City londinese. In realtà, però, suggerisce pure una riflessione più ampia rispetto alla semplice chiave economico-sociale, chiamando in causa il significato profondo che ognuno di noi attribuisce alla sua attività.
Le testimonianze sul caso di Moritz Erhardt sembrano concordi: dopo tre giorni di attività quasi ininterrotta – andando avanti a caffè e con appena 3 ore di sonno a notte – il suo cuore, forse già “indebolito” da una preesistente epilessia, non avrebbe retto. Ma, a chi si stupisce di un simile comportamento, ecco i colleghi del ragazzo tedesco raccontare come nella City la pratica delle extreme hours, cioè “fare notte” in ufficio, sia prassi normale. Anzi, lo si teorizza come modello culturale. Più tempo si passa al lavoro sacrificandovi vita personale e familiare, più si viene ritenuti fedeli, impegnati e concentrati nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, al di là di quanto poi effettivamente queste pratiche paghino in termini di produttività e risultati. E per coloro che sono all’inizio o devono conquistarsi un “posto fisso”, come gli stagisti, restare fino a notte incollati alla scrivania è una sorta di «rito di passaggio, che mostra fino a che punto un contrattista sia disposto a spingersi oltre ogni limite ragionevole nel lavoro», ha spiegato Andre Spicer, docente di finanza della Cass Business School di Londra.
Si potrebbe discutere allora di sfruttamento dei giovani più o meno precari: oggi estenuati e stroncati nella ricerca di un lavoro, come nel ballo i protagonisti di “Non si uccidono così anche i cavalli?” Oppure si potrebbe puntare il dito sul cinismo tipico delle banche d’affari, di un mondo capace di spostare miliardi in pochi secondi da un derivato sul grano a uno sul petrolio – e pazienza se questo provocherà un crollo dei prezzi e una carestia da qualche altra parte del pianeta. Questioni reali, ma in fondo “facili” da trattare, perché sempre “esterne” rispetto a noi stessi.
E invece, forse, varrebbe la pena che la morte di Moritz – moderno Stakanov sacrificatosi sull’altare delle magnifiche sorti e progressive del libero mercato – ci interrogasse su ciò che cerchiamo veramente con e nel lavoro. In una parola, qualedesiderio profondo ci muove nella vita e cosa siamo disposti a sacrificarvi per esaudirlo. Paradossalmente è stato assai più semplice, nell’Occidente del secolo scorso, combattere contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di quanto non lo sia oggi, in molti casi, contrastare la nostra stessa ambizione. Siamo passati, quasi senza accorgercene, dal manifestare nelle piazze per avere “Otto ore per lavorare, otto ore per dormire e otto ore per vivere”, a consegnarci a una moderna forma di schiavitù, più subdola di quella imposta un tempo con catene e rapporti di forza, perché “liberamente scelta”. Spesso a muoverci è la ricerca del denaro o del potere. Altre volte una sete inesauribile di successo, alla ricerca di una continua affermazione di sé, senza la quale ci si percepirebbe inadeguati.
Si dice – e a ragione – che il lavoro crei identità. Che ognuno di noi, con la propria attività, partecipi in qualche modo alla creazione divina o, per chi non è credente, comunque alla trasformazione di questo mondo. E che perciò stesso siamo portati a impegnarci tanto nel nostro lavoro, assai più di quanto non sia “necessario” per vivere. L’uomo “artigiano” attraverso il lavoro imprime la propria piccola impronta su questa Terra e come un artista si identifica con la sua opera. Ma triste l’uomo che pensa di dover essere solo operaio, avvocato o manager della finanza, senza essere più – anche o soprattutto – padre, madre, coniuge, figlio, amico, volontario, cittadino, persona… Con tutto il tempo necessario per esserlo davvero.
Francesco Riccardi da Avvenire.it
da Morpheus | Ago 22, 2013 | Chiesa sofferente, Islam, Post-it
di Riccardo Cascioli da www.la nuovabq.it

Grazie anche alle discutibili scelte politiche dei paesi europei la situazione dei cristiani in Medio Oriente e nel Nord Africa è rapidamente peggiorata. E’ quanto emerge dai vari rapporti sulla Libertà religiosa mentre al Meeting per l’amicizia fra i popoli in svolgimento a Rimini parte un appello per i cristiani perseguitati che si può firmare sia nei locali della Fiera di Rimini, dove si svolge il Meeting, sia online sul sito del Meeting di Rimini.
L’appello ricorda giustamente che «ogni anno nel mondo, oltre 100mila cristiani vengono uccisi e molti altri sono costretti a subire ogni forma di violenza: stupri, torture, rapimenti, distruzione dei luoghi di culto». E ricorda anche che «esistono anche forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i loro simboli religiosi», con chiaro riferimento a ciò che accade in Europa.
Ma guardando alla mappa delle persecuzioni emerge con chiarezzache – accanto a situazioni ormai purtroppo consolidate come i paesi islamici e l’India del fanatismo nazionalista indù – negli ultimi anni c’è una realtà in cui la situazione è peggiorata nettamente: ovvero quella dei paesi interessati dalla cosiddetta “primavera araba”. Come nota l’ultimo Rapporto sulla Libertà religiosa (2012), pubblicato dall’Aiuto alla Chiesa che soffre, la situazione è diventata preoccupante in paesi che, sotto il profilo della libertà religiosa, prima delle rivolte arabe godevano di una relativa calma, come Tunisia, Egitto, Libia e Siria.
L’Egitto è cronaca di questi giorni, con decine di chiese assaltate e distrutte su preciso ordine dei Fratelli musulmani (ma anche villaggi e attività commerciali dei cristiani sono state prese di mira). E anche sulla Siria abbiamo più volte dato conto della difficile situazione in cui si trovano i cristiani a causa della guerra civile. Nella Libia del post-Gheddafi la situazione si è fatta difficile soprattutto nella Cirenaica dove più volte sono state denunciate violenze nei confronti dei cristiani ad opera di gruppi salafiti che agiscono indisturbati contando anche sul fatto che la situazione nel paese è caotica. E anche in Tunisia l’ascesa al potere degli islamisti ha notevolmente peggiorato al situazione.
Ed è qui che entra in gioco la responsabilità di Europa e Stati Uniti: sia per l’appoggio acritico alle rivolte che hanno portato gli islamisti al potere (vedi Egitto e Tunisia) sia per la guerra voluta in Libia per spodestare Gheddafi, sia per la guerra civile alimentata in Siria illudendosi di poter facilmente togliere di mezzo Assad e sostituirlo con un governo non più amico dell’Iran.
Tutto ciò ha prodotto come era facilmente prevedibile la penetrazione dei gruppi fondamentalisti in tutta questa regione sia attraverso le elezioni (Egitto e Tunisia) sia attraverso il controllo delle milizie.
Non c’è dubbio che l’aver provocato e favorito situazioni di conflitto che ora sono fuori controllo – come in Libia e Siria – non fa altro che rafforzare il fondamentalismo e il terrorismo che vede nelle comunità cristiane le prime vittime.
Non basta dunque votare risoluzioni – come al Parlamento Europeo – per la difesa dei cristiani nel mondo, è necessario che Unione Europea e singoli governi (compresi gli Stati Uniti) cambino rapidamente rotta nelle politiche internazionali lavorando per la pacificazione e smettendo di aiutare direttamente o indirettamente le correnti più estreme dell’islam politico.
da Baltazzar | Ago 21, 2013 | Biopolitica, Post-it
di Benedetta Frigerio da ww.tempi.it
Secondo il network The Voice of Russia «la polemica è scoppiata solo un mese e mezzo dopo la sua approvazione». «La comunità Lgbt rappresenta un business abbastanza ramificato», con «un mercato potenziale in Russia»
Le polemiche sulle prossime olimpiadi invernali di Sochi, che all’inizio di agosto hanno fatto dire ad Obama che «se la Russia non avrà atleti gay o lesbiche, il suo team sarà più debole», sono sorte dopo che le associazioni per i diritti civili Lgbt hanno denunciato i Giochi. «Nessuno», aveva aggiunto il presidente, «è più offeso di me dalla legislazione anti-gay e anti-lesbiche che stiamo vedendo in Russia».
LA PUNIZIONE. Dmitry Babic, sul network internazionale The Voice of Russia, ha scritto che i media occidentali hanno cominciato a scagliarsi contro la legislazione russa che vieta la propaganda omosessuale tra i minorenni solo un mese e mezzo dopo la sua approvazione, attraversando «i confini del buon senso comune». Secondo Babic, gli oppositori della legge avrebbero usato le Olimpiadi come espediente, «trovando spazio sulle pagine dei giornali americani, parlando della Russia come di una “piaga”, accusandola di discriminazione etnica e razziale e chiedendo il boicottaggio dei Giochi. Ma il peggio potrebbe ancora venire».
Nell’articolo si parla infatti della proposta di Cyd Zeigler, fondatore di Outsports.com, l’agenzia sportiva pro gay con sede in California, secondo cui «gli atleti stranieri devono recarsi a Sochi, ma il Comitato olimpico internazionale deve essere costretto a proibire agli atleti russi di partecipare agli eventi olimpionici». Se così fosse, spiega Babic, «la Russia sarà punita per aver presumibilmente violato i diritti della cosiddetta comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali)».
UNA CRISI PROFONDA. Quello di Zeigler, però, è solo uno fra gli attacchi «di una campagna anti russa scatenata con forza dai media occidentali». Babic riporta il pensiero di Sergei Mikheyev, direttore generale del think tank “Center for political information”, che ha detto a The Voice of Russia: «A mio parere l’Occidente sta vivendo una profonda crisi ideologica. Ciò che è stato condannato per secoli come perversione è ormai una norma e, ancora peggio, questa norma è stata proclamata come segno di una società civile e di progresso».
UN MERCATO IN ESPANSIONE. In realtà, la legge di cui si parla è solo la modifica di quella già in vigore da tempo sulla protezione dei bambini da informazioni che causano danni alla salute e allo sviluppo. La modifica approvata ai primi di giugno inizialmente era stata criticata in Occidente, «ma non troppo gravemente. Un mese e mezzo più tardi, invece, a qualcuno è venuto in mente di collegare la questione alle Olimpiadi», ha fatto notare Babic. E così, «i Giochi di Sochi sono stati citati quasi esclusivamente nel contesto di una minaccia dei diritti e della sicurezza degli atleti gay (…)».
La rapidità con cui i media occidentali si riorientano dimostrerebbe «gli interessi commerciali nascosti». A dichiararlo è stato Alexei Mukhin, direttore del “Center for Political Conjuncture”, secondo cui «la comunità Lgbt rappresenta un business abbastanza ramificato», con «un mercato potenziale in Russia. Infatti, dopo che la Russia è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio, le aziende che fabbricano tali prodotti hanno cominciato a guardare ai mercati russi». In Occidente, i gay sono «un importante segmento del consumo», perciò «hanno la loro influenza politica», ha continuato Mukhin.
UNA LEGGE SEMPRE PIU’ DEBOLE. Infine, il direttore ha fatto notare che «la legge non prevede sanzioni penali, ma solo amministrative per chi propaganda il sesso omosessuale tra i minori». Il che sarebbe già «un cedimento grave». Perciò, conclude Babic «alla fine, si dovranno probabilmente tollerare le proteste gay durante le Olimpiadi». Mentre «i sostenitori della tolleranza “all-inclusive” si potranno permettere osservazioni sgradevoli e razziste, rispetto a cui le modifiche alla legge sulla protezione dei bambini diventano bazzecole».