da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Segni dei tempi
di Andrea Lavelli da www.lanuovabq.it

Nello scorso fine settimana centinaia di persone hanno riempito le piazze di varie città d’Italia per ribadire il loro no al disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia. Lo hanno fatto in modo pacifico e silenzioso: seduti per terra con un bavaglio sulla bocca o semplicemente restando in piedi come sentinelle, intenti nella lettura di un libro.
“La manif pour tous – Italia” e “Le sentinelle in piedi”, due realtà differenti per stile e impostazione, ma unite dal comune obiettivo di contrastare l’avanzare dell’ideologia di genere nel nostro Paese, hanno centrato l’obiettivo di dare vita alla prima grande mobilitazione nazionale contro il disegno di legge sull’omofobia che dopo il via libera della Camera passerà ora all’esame del Senato.
Venerdì sera a Roma erano in più di mille a riempire Piazza della Rotonda, all’ombra del Pantheon, chiamati in piazza da “La Manif pour tous – Italia”, associazione nata sulla scia dell’omonima realtà francese che in primavera ha portato per le strade di Parigi milioni di persone contro al legge Taubira sul matrimonio omosessuale.
«Il nostro modo di operare è quello di una vera e propria veglia. I partecipanti si sono disposti seduti per terra con un bavaglio sulla bocca, mentre venivano declamati alcuni brani di grandi scrittori sulla libertà di pensiero – spiega Gianfranco Pillepich, portavoce de “La Manif” – È stato anche letto e analizzato il testo della legge, insieme ai pareri di vari giuristi e psicologi. La manifestazione romana ha avuto un ottimo risultato: tutti hanno partecipato con grande silenzio e attenzione». Al termine della Manif di Roma sono stati distribuiti pacchi di pasta Barilla a ricordare il fatto che Guido Barilla è stato la prima vittima della legge Scalfarotto.
In contemporanea, centinaia di persone scendevano in piazza per vegliare anche a Pisa, Bolzano, Bologna, Bisceglie, mentre sabato sera è stata la volta di Venezia.
«Abbiamo registrato in media 200 persone a piazza e la realtà è in crescita – spiegano dalla “Manif” – La nostra battaglia non si fermerà qui e anzi continuerà più forte di prima a dimostrazione che la società civile italiana è vigile e non si arrende di fronte all’arroganza di chi vuole impedire la difesa della famiglia fondata tra uomo e donna».
Sempre in campo contro la legge Scalfarotto e contro le limitazioni che comporterebbe alla libertà di pensiero, sono scese in piazza a Milano le “Sentinelle in piedi”. Erano in tutto 500 provenienti soprattutto dai coordinamenti di Milano, Bergamo e Brescia che si sono dati appuntamento nella centralissima piazza Cordusio per vegliare secondo il modello dei “Veilleurs debout” francesi. Il colpo d’occhio per i tanti passanti del sabato sera milanese è impressionante: una piazza piena di persone in piedi, immobili, in silenzio, immerse nella lettura di un libro e assiepati ovunque anche lungo le pensiline dei tram.
«Siamo un gruppo di amici, che ha deciso di vegliare in questo modo per lanciare un forte segnale: vogliamo e speriamo in un futuro in cui ci sia ancora la libertà di espressione – spiega Pietro Invernizzi, portavoce delle Sentinelle in Piedi di Milano – Con questa legge anche solo affermare pubblicamente che una coppia omosessuale non ha il diritto di adottare un bambino, potrebbe essere considerato reato punibile con il carcere. Vogliamo trasmettere a tutti la nostra preoccupazione: quando in una società si inizia a limitare la libertà d’espressione si deve cominciare ad aver paura».
Anche le “Sentinelle in piedi” sono una realtà in espansione: da qualche tempo in alcune città d’Italia si è cominciato a vegliare in questo modo ed è in aumento il numero dei coordinamenti cittadini. Il prossimo gruppo a scendere in piazza sarà Trento, con una manifestazione organizzata per sabato prossimo 19 ottobre.
da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Chiesa, Cultura e Società, Famiglia
«Se la famiglia è più debole la società è più fragile e si domina meglio sul piano politico, economico e ideologico». E sulla Bossi-Fini: «Accoglienza ordinata»
da www.Tempi.it
Per il presidente della Cei Angelo Bagnasco «c’è un’aggressione alla famiglia strategica e non casuale. Se la famiglia è più debole la società è più fragile e si domina meglio sul piano politico, economico e ideologico. La storia lo insegna. Perché qualcuno più forte e furbo c’è sempre e per qualcuno non intendo solo le persone, ma lobby o istituzioni».
NON CASUALE. Bagnasco ne ha parlato al seminario sulla famiglia organizzato a Genova dal Forum delle associazioni familiari. «Secondo me – ha detto il cardinale – l’aggressione alla famiglia non è assolutamente casuale, ma è strategica perché si è capito che essendo la famiglia il grembo della vita e prima e fondamentale palestra di umanità e di fede, indebolirla o dissolverla nella sua responsabilità educativa. Significa distruggere la persona. Viene a mancare quella maturità interiore che è sinonimo di capacità critica, di fortezza, quindi un punto solido per cui la società da popolo di relazioni e di solidarietà diventa una moltitudine di punti individuali, una folla non un popolo».
DISTRUGGERE LA RADICE. «Una società più fragile si domina meglio», ha spiegato Bagnasco. Di fronte a questo, «capite che il fronte della famiglia – ha aggiunto – è un fronte sul quale la Chiesa, la comunità cristiana, gli uomini e le persone di buona volontà non possono essere assenti perché la famiglia è l’ultima e la prima frontiera dell’umano e quindi – ha concluso – distruggendo quella in realtà si va alla radice».
ACCOGLIERE IMMIGRATI IN MANIERA ORDINATA. Bagnasco ha parlato anche dei recenti drammi accaduti a Lampedusa. L’accoglienza degli immigrati «non si può negare, ma va coniugata con la situazione concreta» e va «ordinata». Interpellato sulla cancellazione della legge Bossi-Fini, il cardinale ha così risposto: «La posizione della Chiesa sull’immigrazione è sempre stata molto chiara e trasparente, nel segno del Vangelo, accoglienza di chi, essendo disperato, cerca una via di salvezza, di speranza, cerca un futuro migliore. Naturalmente la speranza va sempre coniugata con la situazione concreta, nel senso dell’ordine pubblico, di una accoglienza ordinata».
Per Bagnasco «fa pensare» la contraddizione che porta a celebrare i funerali di Stato per degli immigrati che se fossero riusciti ad arrivare in Italia vivi sarebbero stati considerati dei clandestini: «Questo doppio registro in un certo senso esprime una difficoltà anche oggettiva. Allora ancora una volta si chiama in causa l’Europa, perché l’Italia è la porta d’Europa, non può essere lasciata sola».
da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Cultura e Società, Libri
Nel precedente intervento, auspicavo, dopo il giusto dolore per la strage di eritrei e somali a Lampedusa, un’azione attenta di conoscenza della questione immigrazione per evitare reazioni emotive. Pertanto la prima cosa da fare è studiare bene il problema. Il professore Massimo Introvigne è un esperto sociologo che oltre a studiare le Religioni si occupa anche di queste questioni. Avvalendomi del suo testo “Islam. Che cosa sta succedendo?” , della Sugarcoedizioni, Introvigne raccomanda di saper leggere bene i numeri dell’immigrazione, per non sbagliare previsioni. E cita Michele Tribalat, una che li ha letti bene, e che ha scritto un ottimo testo, “Les Yeux grands fermes. L’immigration en France”,(“A occhi ben chiusi. L’immigrazione in Francia”, Denoel, Parigi 2010)Un libro che purtroppo rischia di non essere letto da nessuno secondo Introvigne.
Tribolat avendo lavorato per molti anni negli uffici statistici francesi, presenta ricerche originali, ma con un gergo specialistico. “E’ un peccato, perché i dati che la Tribolat presenta sono tali da indurre a ripensare l’intera questione dell’immigrazione”. In pratica l’esperta francese sostiene che “da almeno quindici anni molti dati offerti al pubblico francese sull’immigrazione sono falsi”. La Tribolat, incalza: “La falsificazione non è il risultato di errori: è deliberata – talora perfino imposta per legge – e ha lo scopo di evitare che l’opinione pubblica francese si allarmi per il numero troppo alto degli immigrati e diventi ‘razzista’”.
Esiste un’ossessione anti-razzista, che ha permesso a qualcuno di mentire ai francesi, una specie di “menzogna sedicente pedagogica, che dovrebbe appunto evitare il diffondersi di tesi razziste e imporre ‘il dogma di una visione necessariamente positiva dell’immigrazione’”.Si arriva al punto che l’immigrazione viene sacralizzata e a nessuno è permesso di dissentire, e neanche fare dibattiti ragionevoli. L’esperta francese ha iniziata a porre una domanda semplice: “quanti immigrati arrivano ogni anno in Francia?” E qui in pratica le statistiche sono state manipolate.
Intanto la Tribolat smonta qualche luogo comune come il fatto che l’immigrato non viene più in Francia per cercare lavoro, il 63% a partire del 2006 entra per ricongiungimento familiare. Altro luogo comune smontato è che “l’immigrazione è necessaria all’economia europea”, che, “gli immigrati risolvono i problemi pensionistici causati dalla denatalità e ‘fanno lavori che nessun europeo vuole fare’”.
Comunque sia esistono ricerche che mostrano che in economia non esistono regole o teoremi validi riguardo all’immigrazione europea. Un dato è certo, la mano d’opera poco qualificata è nociva all’economia: gli immigrati spesso fanno lavori a prezzi stracciati, alterando il mercato del lavoro, in particolare, a danno dei cittadini non immigrati più poveri, e poi tra l’altro pagano contributi pensionistici modesti. Certo può capitare anche mano d’opera qualificata tra gli immigrati, ma dal punto di vista morale, bisogna ammettere però che questo è devastante per i Paesi d’origine.
La Tribolat, è stata accusata di “fanatismo demografico”, e di essere “malata”, quando ha proposto di misurare la popolazione complessiva che origina direttamente o indirettamente da fenomeni d’immigrazione. Certo se fosse vero che certe città francesi, un terzo della popolazione è composta da immigrati, l’impatto sull’opinione pubblica sarebbe devastante.
Gli studi dell’esperta francese, che non cita quasi mai l’Italia, potrebbero essere utili anche per il nostro Paese, “ce n’è abbastanza per importare anche da noi un sano realismo che induca a diffidare di statistiche, quando si tratta d’immigrazione, troppo spesso riviste al ribasso o edulcorate”.
C’è una corrente di pensiero diffusa nella cultura europea, alimentata dai media di ogni specie, che ha permesso di sottovalutare il fenomeno, mi riferisco all’immigrazionismo, una subdola ideologia. Il professore Introvigne della propaganda immigrazionista, individua cinque tesi che analizza e confuta. La 1° tesi è quella di carattere quantitativo: gli immigrati sono ancora una minoranza, è inutile allarmarsi, c’è posto per tutti. Sono ragionamenti che emergono negli ambienti della Caritas/Migrantes, che producono utili rapporti annuali, ma spesso con commenti immigrazionisti. Secondo Introvigne questi ragionano come se sono di fronte a una fotografia, invece l’”immigrazione è un processo – scrive Introvigne – e dunque è necessario guardare non alla fotografia o al singolo fotogramma ma la film”. Ogni anno gli immigrati aumentano a un ritmo vertiginoso, vogliamo arrivare come in Olanda? Su tredici milioni di residenti, oltre tre sono immigrati extra-comunitari. O in Svezia su nove milioni, quasi due sono immigrati.
Sono dati che conoscono anche gli immigrazionisti, ma ci invitano a fare un duplice atto di fede: in futuro ci saranno meno immigrati e che quelli presenti o in arrivo nel nostro continente faranno sempre meno figli. Mi sembra un ottimismo fuori luogo.
La 2° tesi è che accogliere grandi quantità d’immigrati è un imperativo morale. Lo sostengono politici di sinistra, ma a volte anche di destra, che intendono in questo modo, risolvere i problemi della fame del mondo e del sottosviluppo. Per l’Europa è una specie di contributo morale obbligatorio, una “penitenza per i peccati del colonialismo”. “Ma, a prescindere dal fatto che presentare il colonialismo come soltanto dannoso e malvagio è piuttosto unilaterale e storicamente discutibile, non c’è nessuna prova convincente che sia meno costoso per l’Europa e più proficuo per il Terzo Mondo trasferire da noi milioni d’immigrati extra-comunitari piuttosto che destinare le stesse risorse ad aiutarli nei loro Paesi d’origine”.
Un argomento etico usato molto in Italia, è quello dell’asilo politico, così chiunque non si trovi bene in un Paese non democratico, o vittima di gravi sperequazioni economiche, avrebbe diritto all’asilo politico, praticamente, scrive Introvigne, “la stragrande maggioranza degli abitanti del Terzo Mondo avrebbe questo diritto”. Invece c’è un argomento etico contrario per opporsi all’immigrazionismo: “fondato sul rispetto dei diritti delle maggioranze, non meno importanti di quelli delle minoranze”. Peraltro la maggior parte dei cittadini dell’Unione Europea nei sondaggi e anche nelle elezioni si dichiara contraria ai progetti immigrazionisti. Recentemente in Norvegia, il partito conservatore della signora Erna Solberg ha stravinto le elezioni. Pertanto bisogna tenere conto della volontà popolare oppure no?
Il 3° argomento degli immigrazionisti è di tipo economico. Si dice che l’Europa, a causa della denatalità, ha bisogno d’immigrati, non importa da dove, e in ogni caso ci sono “lavori che nessun europeo vuole fare”, che possono essere svolti dagli immigrati. E’ vero l’Europa ha un drammatico problema demografico, ormai siamo una civiltà moribonda. Ma non c’è la certezza che l’aumento indiscriminato degli immigrati sia la soluzione.
Il 4° argomento è quello sociale. Il welfare europeo è in profonda crisi, perché ci sono troppi vecchi pensionati e pochi giovani che pagano i loro contributi agli enti previdenziali. Così i teorici immigrazionisti pensano che gli immigrati extra-comunitari possono risolvere il problema. Ma sono pie illusioni perché solitamente gli immigrati hanno lavori poco remunerati, quindi pagano contributi relativamente bassi.
Il 5° argomento sostenuto dagli immigrazionisti è la tesi che la religione degli immigrati sia indifferente. Chiunque sa che la religione ha delle conseguenze sociali, un conto sono i peruviani che portano per le strade in processione la statua della Madonna e un conto sono i musulmani che magari mescolano alle loro preghiere invettive contro gli USA e l’Occidente.
Mi fermo so benissimo che il tema ha bisogno di ulteriori approfondimenti, sarà per un’altra occasione.
di DOMENICO BONVEGNA
da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Cultura e Società
A giudicare dai comportamenti e dai discorsi della politica tutto questo sta diventando inspiegabile, fitta nebbia nel n/s vivere quotidiano .
Forse stiamo diventando stranieri nel n/s Paese e questo concetto si sta instaurando nella considerazione quotidiana e nel pensiero della gente comune .
Forse non é sufficiente ripetere che le rappresentazioni partitiche sono poco utili per il ” momento di democrazia ” .
Forse si può accettare di tutto, ma non i privilegi, le clientele, gli sprechi ( oh! quanti ce ne sono !) in un’analisi superficiale, ma attenta, che il cittadino ogni giorno pensa, medita ed esamina senza che questi pensieri provengono da grilli parlanti .
Lo riproponiamo almeno per risanare, solo, la crisi politica : meglio un bipolarismo puro, che pletore di movimenti o partitocrazie che non sono altro che gruppi di potere e costano in maniera esosa ! Questo per applicare bene lo spending review ! .
Se si vuole conciliare la politica con i cittadini, nella enfatica affannosa ricerca del risanamento della spesa pubblica perché, anziché discutere di “altro” quotidianamente nel Consesso Legislativo, non far rientrare, per esempio, l’abolizione delle sovvenzioni ai Partiti, dove quasi ogni giorno ne esce un nuovo che godrà di un abbondante finanziamento pubblico nonostante il referendum abrogativo del 1993 ( invece dei 10 che sciaguratamente sono stati proposti oggi 2013 ? ) Intanto paga papà !
Se si volgesse lo sguardo molto spesso al cielo ed uno a chi è veramente vittima di sofferenze, molti di più sarebbero i cuori che si aprirebbero alla condivisione del giusto pensiero per trovare una via a proposte ed azioni per dimostrare che non dimentichiamo mai il nostro prossimo che resta pietra di paragone degli atti della nostra vita, anziché delle vicende politiche.
“Preghiera, impegno nel testimoniare la fede, attenzione alle necessità dei fratelli più bisognosi, siano sempre le tre colonne che reggono sempre la vostra attività personale e associativa” ( Papa Francesco 10 ottobre 2013 Vaticano al Consiglio Direttivo del Cavalieri di Colombo ). Docet !
Da troppi anni insiste un velato e vergognoso silenzio delle Istituzioni sulle condizioni in cui “vivono” i disabili fisici, le loro famiglie ed i “disagi” infiniti delle famiglie dei malati psichici, degli stessi e dei deboli, ” che non sono diritti deboli” come dice il Cardinale Tettamanzi. Altro che discutere sul finanziamento ai Partiti !
Ho sempre proposto, come altri, modestamente al “Potere”, la “spinta” e la “sollecitazione” ad agire in conseguenza, certo e con la speranza di poter raggiungere il traguardo prefissato, ma resta, sempre, un cammino che richiede una lunga pazienza per incontrare chi ignora queste situazioni,sappia chi ha orecchie per non sentire, finisca per sentire e sentirsi obbligato ad ascoltare quanti parlano ai cuori prima che ai cervelli, come ha molto bene affermato in San Pietro il Santo Padre Benedetto XVI° “Scendendo dal cavallo della superbia, della testardaggine e dell’immoralità” (Sermone S. Natale 2011 ).
I pochi provvedimenti legislativi emanati per la tutela della salute fisica, sono la dimostrazione del disinteresse o sottovalutazione che regna nel nostro Paese, specie per la salute mentale, dove di tanto in tanto i mass media propongono velate spiegazioni, o semplici riproposizioni di giudizi che non portando audience né clamore non vengono più “riesumati”, visto che questi “indici” sembrano essere termini di raffronto e paragone di avvenimenti da parte dei mass media .
Tutto resta in un clamoroso silenzio, mentre il disagio fisico continua ad essere “tralasciato” e la malattia mentale continua a “mietere” vittime su vittime, donne, anziani, padri, madri, amici, compagni, compagne, giovani ed ora anche adolescenti sempre più “compressi” e depresse le loro famiglie.
Ancora una volta dobbiamo ribadire che queste problematiche necessitano di una legislazione urgente, adeguata ed efficace, specie quella mentale attesa da ben circa 35 anni, perché il rispetto della dignità del disabile fisico e del “malato psichico” è essenziale in una società che vuol essere civile, come diceva giustamente Fedor Dostoievski : “il grado di civiltà di una Nazione si soppesa con la constatazione in cui si trattano i malati mentali”. Docet !
I gravi problemi che colpiscono alcune fasce sociali e come sempre le più deboli, debbono sobbarcarsi in silenziosa sofferenza quali “cittadini”, per fortuna non “sudditi”, dove una classe politica di “azzeccagarbugli” ha orecchie solo per sentire il tintinnio degli “spiccioli”, occhi per “anomalie morali”, “colpiti” da una sordità incredibile in un mondo di immoralità, di corruzioni , di corrotti, di corruttori, di controllori . Ma chi sorveglia i controllori ?
E poi nella manovra economica 2013 è vero che viene diminuita dal 7,1% al 6,7% la sovvenzione al SSN, norma che colpisce il debole sul costo delle prestazioni sanitare ?
I discorsi della Politica e del Governo in carica stanno diventando una nebbia così fitta da togliere visibilità a verità urgenti che meritano attenzioni e soprattutto soluzioni prioritarie ai mille problemi che affliggono la n/s Italia, in primis quello della salute pubblica, della giustizia, della pace .
La Politica dovrebbe risvegliarsi dal torpore del “tornaconto di “Partito” e provvedere al bene comune dei cittadini, perché “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”!.
Questa è la sintesi di quelle verità che fanno cadere nel profondo oblio e nel silenzio ogni “ragione”, tanto sono impegnati i politici non solo a non dare risposte, ma almeno testimoniare che stanno facendo tesoro per riparare i torti.
Il Sommo Vate non invano aveva previsto : “Ahi serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia, ma di……..! ( Dante Alighieri (Purgatorio VI°)
Ma è vero che il saccheggio dei soldi pubblici continua ? Chi risponde ? Mah !
Con le giuste parole del Beato Giovanni Paolo II° “Andiamo avanti con speranza” !
Previte
http://digilander.libero.it/cristianiperservire
da Baltazzar | Ott 14, 2013 | Bioetica, Biopolitica, Segni dei tempi
Chiara Lalli è una figura emergente nel dibattito sui problemi della bioetica in Italia. Il suo blog è uno dei più consultati dai giornalisti. I suoi libri, che in genere pretendono di presentare tesi “controverse”, vengono recensiti con entusiasmo dai principali quotidiani nazionali (è il caso del Corriere della Sera con “La verità, vi prego, sull’aborto.” dove, con molta approssimazione scientifica si sostiene l’innocuità dell’aborto volontario per la psiche della donna); viene invitata da radio e televisioni quando si deve dibattere qualche punto alla frontiera della bioetica.
Così è successo ad esempio durante la trasmissione radiofonica “Tutta la città ne parla” andata in onda su Radio Rai Tre il 31 gennaio 2013 (a questo indirizzo il podcast). La puntata era dedicata alla giornata internazionale per la Sindrome di Down. Tanta attenzione verso un tema di solito trascurato dai mezzi di comunicazione di massa, era causata da uno spiacevole episodio che si era guadagnato la ribalta dei notiziari proprio in quei giorni: il caso di un ragazzo affetto dalla sindrome, figlio di immigrati, ai quali era stata negata la cittadinanza italiana perché, nonostante tutti i requisiti previsti dalla legge fossero ottemperati, il giudice non aveva ritenuto presente la capacità di intendere e di volere.
Seguendo uno schema consolidato la trasmissione, dopo avere proposto alcuni contributi di persone che si occupano di persone affette dalla sindrome per professione o per esperienza personale (un avvocato di una associazione che si occupa dei diritti dei disabili, la mamma di un ragazzo con la sindrome di Down) ha sottoposto il tema ai rappresentanti di due concezioni della bioetica contrapposte tra loro: il direttore di Avvenire Marco Tarquinio e appunto Chiara Lalli, presentata come “filosofa della scienza”.
Bisogna riconoscere al conduttore di essere stato buon giornalista, lanciando ai suoi ospiti una domanda alquanto spinosa. Il tema è stato introdotto, infatti, ricordando che in tempi di diagnosi prenatale e didiritto di aborto molti bambini affetti dalla sindrome non nascono più, proprio come temeva Jerome Lejeune, lo scopritore delle sue cause genetiche. In Italia si può stimare che ogni anno vengano abortitipiù di mille bambini ogni anno per il semplice fatto di avere un cromosoma in più (i dati possono essere consultati qui). Tanto che nel 2004 è stato lanciato dal governo danese un piano che prevede l’accesso gratuito ai test prenatali per l’individuazione della sindrome e che in 25 anni dovrebbe rendere la Danimarca un paese “Down Free” (i primi effetti sono stati valutati da questo articolo pubblicato dalBritish Medical Journal). Un’iniziativa che ha fatto scalpore per la sua scoperta impostazione eugenetica: selezionare sistematicamente quali bambini “meritino” di venire al mondo e quali no.
Non è stato difficile per Marco Tarquinio porre a confronto il governo danese degli anni 2000 con ilgoverno tedesco degli anni ’30 del ventesimo secolo. Quando è arrivato il suo turno, Chiara Lalli si è trovata in una situazione difficile: da un lato non poteva non sostenere con forza i diritti delle persone affette dalla sindrome di Down già nate; dall’altro, però, voleva difendere il diritto di sopprimere quellenon ancora nate. Non si è però persa d’animo, imbarcandosi in una argomentazione un po’ arzigogolata per mostrare la coerenza della sua posizione. Per chi non avesse voglia di risentire il file audio originale trascrivo qui sotto i principali passaggi del suo intervento prima di commentarli. Parlando della agghiacciante prospettiva di una Danimarca “Down Free” la “filosofa della scienza” ha sostenuto che “…bisognerebbe distinguere l’obbligo dal condizionamento culturale, da un invito, da un’idea. Insomma, ci sono molti livelli che si possono intravedere in una posizione del genere. Il punto fondamentale è che credo le singole scelte debbano sempre rimanere degli individui, individui già esistenti e quindi persone a tutti gli effetti su eventuali, possibili, potenziali, possiamo scegliere gli aggettivi che vogliamo, persone. Però ripeto, il nodo fondamentale è che se io come potenziale genitore decido di interrompere una gravidanza non implica questa mia scelta la mancanza di rispetto per determinate persone ma sto compiendo una scelta perché magari non sono in grado, non mi ritengo in grado di affrontare una situazione del genere. Quindi, in qualche modo, non è una lesione della dignità di altre persone, questo è un nodo fondamentale, è anche un po’ complicato da capire, però insomma … altrimenti è estremamente difficile non connotare una scelta di questo tipo come una scelta nazista, per usare un termine chiaro”.
Si può senz’altro concordare che sia “estremamente difficile non connotare come nazista” il piano del governo danese. Purtroppo le spiegazioni che, con un po’ di didattica degnazione (“è un po’ complicato da capire”) Chiara Lalli ha proposto ai radioascoltatori, non fanno superare affatto tale difficoltà. Vediamole in dettaglio.
Alla domanda se la Danimarca sia paragonabile con la Germania del Terzo Reich Chiara Lalli risponde di no proponendo due argomenti: a) il piano danese non è coercitivo (“distinguere l’obbligo dal condizionamento culturale da un invito, da un’idea”) mentre quello nazista lo era; b) i bambini non ancora nati sono solo persone “potenziali” mentre gli adulti che decidono della loro vita sono persone “a tutti gli effetti”. Si tratta di due tesi francamente deboli, che possono valere per tenere il punto in un dibattito radiofonico che si risolve in una decina di minuti ma che non reggono assolutamente ad una riflessione rigorosa.
Il punto a) è il più semplice da contestare. Il programma eugenetico nazista, dall’eliminazione dei disabili allo sterminio degli ebrei (perché sempre di eugenetica si trattava per i nazisti, basta leggere i testi della loro propaganda) è stato possibile perché nella società tedesca esisteva un sufficiente consenso su di esso. Per dimostrarlo qualche anno fa uno storico di Harvard, Daniel Goldhagen, ha pubblicato un saggio che è diventato un best seller mondiale intitolato “I volenterosi carnefici di Hitler”. Dunque il “condizionamento culturale” degli esecutori del programma era all’opera anche allora: le personecollaboravano spontaneamente, proprio come spontanea dovrebbe essere la scelta delle donne che decidessero di ascoltare l’”invito” lanciato dal governo danese ad eliminare tutti i bambini concepiti affetti dalla sindrome di Down. Dov’è dunque la differenza? Si potrebbe forse dire che in realtà la presenza di un regime totalitario rendeva molto più “costringente” la capacità di persuasione dei nazisti. Ma la filosofa della scienza Chiara Lalli saprà certamente che è stato John Stuart Mill (che certo non era un sostenitore del totalitarismo) a spiegare nel suo saggio “Sulla libertà” che il condizionamento culturale della maggioranza può essere tanto oppressivo quanto quello di un regime autoritario. In realtà, tutte le volte che viene riproposta questa distinzione tra eugenetica “coercitiva” (che sarebbe cattiva) e eugenetica “volontaria” (che invece sarebbe buona) per sdoganare nuovamente tale pseudo-scienza (succede sempre più spesso, non solo sul blog di Chiara Lalli ma anche su paludate riviste di filosofia), bisognerebbe ricordare che in entrambi i casi la vittima non viene ascoltata: per la persona eliminata l’eugenetica è sempre “coercitiva”.
E qui si comprende perché Chiara Lalli deve aggiungere il punto b) alla sua argomentazione affermando che i bambini con la sindrome di Down non ancora nati in realtà non sono “persone a tutti gli effetti” ma solo “persone potenziali”. Proprio per questo motivo non sarebbe necessario chiedere il loro parere per eliminarli. In questo caso l’eugenetica sarebbe buona perché le uniche “persone a tutti gli effetti” coinvolte, cioè gli adulti che dovrebbero decidere la loro eliminazione, prenderebbero tale decisione volontariamente. Per quanto l’argomentazione suoni decisamente capziosa è importante discutere esplicitamente la distinzione tra persone “potenziali” e persone “ a tutti gli effetti”. Chiara Lalli la enuncia come se fosse un fatto assodato, sul quale non c’è alcuna discussione, aderendo a una sorta di mantra che sempre più spesso si affaccia nel dibattito sui temi bioetici più scottanti (aborto, eutanasia, fecondazione artificiale). In realtà si tratta di un’affermazione di tipo filosofico e come tale può e deve essere sottoposta ad un vaglio critico, soprattutto quando viene utilizzata per giustificare le decisioni sulla vita o sulla morte di esseri umani.
Poichè dal punto di vista biologico il processo di sviluppo di un essere umano non conosce alcuna soluzione di continuità dal momento del concepimento fino alla morte, l’idea di “potenzialità” della persona deve necessariamente trovare un altro fondamento. Questo fondamento è l’autocoscienza. Sarebbe l’autocoscienza a rendere un essere umano “persona a tutti gli effetti”. In ultima analisi, quindi, sarebbe un particolare “funzionamento” del soggetto, la sua autocoscienza, che ne renderebbe l’esistenza “personale” e quindi di valore. Si tratta della versione moderna di un argomento filosofico con una lunga tradizione, i cui ascendenti nobili possono essere fatti risalire a Cartesio e Locke, basato sul dualismo corpo-anima, per quanto espresso nella sua moderna versione mente-corpo.
Nel nostro caso l’argomento si applica così: il bambino non ancora nato ha la potenzialità di diventare cosciente ma non lo è ancora, dunque è in qualche misura sottoposto alle scelte degli adulti che invece hanno già raggiunto lo stadio di autocoscienza (notate la particella usata da Chiara Lalli, che implica una subordinazione dei bambini rispetto agli adulti: le … scelte [delle] persone a tutti gli effetti su … potenziali … persone). L’argomento è piuttosto debole: in base ad esso infatti si potrebbe giustificare unasubordinazione dei diritti di una persona incosciente a causa di una anestesia o di uno svenimento, rispetto a quelli delle persone che la soccorrono. Anch’esse infatti sono in quel momento coscienti solo “in potenza”, proprio come il bambino non nato: eppure, come è ovvio, non ci sogneremmo affatto di non considerarle persone “a tutti gli effetti”. Anzi, è proprio il possibile risveglio della loro coscienza che normalmente viene invocato come ragione delle cure da prestare loro: tanto che viene viceversa suggerita l’eutanasia per le persone in “stato vegetativo permanente”, una espressione medica non corretta (l’esperienza clinica insegna che non si può dimostrare ex ante come definitivo alcuno stato vegetativo, tanto è vero che oggi si preferisce l’aggettivo persistente) usata per esprimere la convinzione che di quella persona ormai funzioni solo il corpo, mentre la mente sarebbe invece “morta”.
Al fine di renderlo più difendibile l’argomento della personalità “potenziale” viene spesso sviluppato introducendo una seconda condizione per l’esistenza della persona: l’esistenza di una capacità di giudizio e di un vissuto. Lo hanno fatto ad esempio Giubilini e Minerva, due bioeticisti italiani che su una delle più importanti riviste internazionali di etica medica hanno sostenuto la liceità morale dell’infanticidio, suscitando come è ovvio grande scalpore. Ho già mostrato in un articolo sulla stessa rivista alcune debolezze del loro ragionamento e i rischi sociali di una tale posizione bioetica. Vorrei però qui discutere la loro definizione di persona potenziale, in base alla quale arrivano a giudicare “sopprimibile” un neonato. Giubilini e Minerva affermano in sostanza che lo stato di incoscienza di un bambino non ancora nato o appena nato è diverso da quello che potrebbe temporaneamente vivere un adulto. Quest’ultimo infatti, avendo già un vissuto di cui ha memoria, al momento del risveglio sarà in grado di dare giudizi, e disporre del suo potenziale futuro e soffrire delle minacce alla sua esistenza. In realtà non è difficile mostrare che quella che sembra essere una condizione diversa è in realtà la stessa. Ammesso e non concesso che il bambino non ancora nato non abbia alcuna forma di coscienza (la scienza medica continua infatti a retrodatare tutta una serie di funzionamenti neurologici e di rapporti intensi di scambio con la madre fino a fasi sempre più precoci della gravidanza) è comunque tutta una questione di tempo: anche il bambino non ancora nato, se sarà lasciato vivere sufficientemente a lungo ad un certo punto potrà dare giudizi, disporre del suo futuro e soffrire delle minacce alla sua esistenza. Se accettassimo questa versione dell’argomento della coscienza, allora dovremmo postulare una gradualità dell’essere persona (e quindi dei diritti che ne derivano) via via che gli individui accumulano conoscenza e capacità di giudizio: è evidente infatti che un bambino di tre anni non ha la stessa capacità di un adulto di decidere del suo futuro o di valutare ciò che minaccia la sua vita; e lo stesso si potrebbe dire per distinguere tra adulti con differente grado di istruzione.
La verità è che l’argomento usato dai sostenitori dell’aborto o dell’infanticidio eugenetico andrebbe totalmente rovesciato. Infatti, almeno in un certo senso, siamo tutti persone potenziali. Come un bambino è un potenziale adulto, un adulto è un potenziale vecchio. Un adolescente che non ha ancora completato i suoi studi è un potenziale scienziato e allo stesso tempo un potenziale artista. Nessuno in realtà può realmente disporre del suo futuro ma solo accoglierlo con ciò che porta e richiede alla sua esistenza. Lo sviluppo dell’organismo neonato in organismo adulto è un processo altrettanto irresistibile e fuori dal controllo del soggetto di quello che porta un organismo adulto alla dissoluzione per una malattia degenerativa. Per non parlare dei legami che ci legano con il mondo che ci circonda: probabilmente a tutti, nel corso dell’esistenza, capiterà almeno una volta di esclamare ‘se avessi saputo prima!’; oppure di scoprire che quello che aveva ritenuto uno sbaglio si era rivelato come una preziosa opportunità verso qualcosa di imprevisto e positivo.
Ciò che connota l’essere persona è proprio il mettere continuamente in atto una potenzialità: un articolo un po’ difficile ma che illumina in modo affascinante questo punto è stato pubblicato on line da Damiano Bondi sul sito di mondodomani.org. Il vivere è un tendere verso qualcosa in ogni momento: è un processo in cui una inesauribile potenzialità continuamente si realizza. A partire dalla magnifica e misteriosa potenzialità contenuta nella prima cellula con identità biologica del tutto nuova che viene all’esistenza al momento del concepimento.
Se dunque siamo tutti persone potenziali allora più semplicemente siamo tutti persone (altri argomenti su questo punto possono essere trovati qui). La condizione esistenziale di un bambino affetto dalla sindrome di Down non è diversa da quella degli adulti che rivendicano un diritto di vita e di morte su di lui: semplicemente egli subisce la loro maggiore forza. Per questo Chiara Lalli si sbaglia. Per questo non esiste un’eugenetica “buona”. Per questo il programma eugenetico danese non differisce da quello nazista.
di Benedetto Rocchi*
*Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze
da :http://www.uccronline.it/2013/10/13/e-buona-leugenetica-contro-i-bambini-down/
da Baltazzar | Ott 10, 2013 | Cultura e Società
Dietrofront dopo il flop di moltissime privatizzazioni: i municipi si riprendono la gestione di acqua, energia, trasporti e altre attività strategiche
di Roberto Lessio da www.ioacquaesapone.it
Acqua, gas, energia, mense scolastiche, comunicazioni, trasporti e smaltimento rifiuti sono voci di spesa importanti per il nostro bilancio familiare. Sono tutti servizi pubblici che negli ultimi anni sono stati privatizzati anche nel nostro Paese, in nome della concorrenza e della maggiore efficienza dei soggetti privati.
Servizi di cui siamo ormai abituati, se non rassegnati, a veder aumentare spesso le relative bollette. Eppure nel resto d’Europa, dove da decenni le privatizzazioni si sono imposte, sta accadendo l’esatto contrario. Non è ancora una situazione generalizzata, perché in alcuni casi (pochi per la verità) il ricorso ai privati nella gestione dei servizi ha avuto successo, tipo nella telefonia mobile, ma i segnali di una inversione di tendenza sono sempre più numerosi e importanti, soprattutto a livello comunale. Il fenomeno si chiama insourcing (internalizzazione), vale a dire affidare determinati compiti a soggetti al proprio interno, ed è il contrario di outsourcing (esternalizzazione). Sta ad indicare che i famosi mercati non sono sempre la migliore soluzione ad ogni problema, mentre l’attività svolta da parte del settore pubblico è stata raffigurata come un fardello inefficiente sull’economia nel suo complesso.
IL CASO ACQUA A PARIGI
La rimunicipalizzazione dell’acqua a Parigi è l’esempio più eclatante di questa tendenza. L’amministrazione comunale si era accorta da tempo che le due società francesi private, Suez e Veolia (le più grandi multinazionali mondiali nel settore, ben radicate anche qui in Italia, ad esempio in Acea di Roma), incaricate della gestione del servizio idrico, rispettivamente sulla riva sinistra e sulla riva destra della Senna, non avevano effettuato gran parte degli investimenti promessi all’inizio dell’affidamento. La concorrenza sulle tariffe non c’era affatto ed anzi i due colossi economici avevano creato una società comune, che si occupava della fatturazione e del recapito a domicilio delle bollette. Così il Sindaco Bertrand Delanoë, scaduto il contratto che durava da 25 anni, ha dato il benservito ai due gestori idrici, anche a seguito di scandali giudiziari. Già nel 2010, anno in cui la gestione è tornata in mano al Comune, sono stati risparmiati 35 milioni di euro poi reinvestiti per aumentare l’efficienza del servizio, mentre le bollette sono calate dell’8%. La stessa cosa sta accadendo a Budapest, in Ungheria.
GERMANIA: ENERGIA PUBBLICA E PULITA
Altro esempio è quello di Monaco di Baviera, in Germania, dove gli amministratori pubblici si sono ripresi gli impianti di produzione di energia elettrica ed hanno deciso che entro il 2025, cioè entro i prossimi dodici anni, il 100% del fabbisogno di energia elettrica di quella città dovrà provenire da fonti rinnovabili. Proprio in Germania è in corso la più grande espansione della fornitura municipale diretta dei servizi pubblici: circa due terzi dei Comuni tedeschi stanno programmando la riacquisizione degli impianti di produzione e distribuzione di elettricità, in vista della scadenza di quasi tutti i contratti con i privati entro il 2016. Ma la tendenza riguarda anche lo smaltimento dei rifiuti, gli alloggi popolari e i trasporti pubblici.
LONDRA VIAGGIA PUBLIC
E proprio nel settore dei trasporti pubblici in Inghilterra, per la precisione a Londra, c’è stata la rimunicipalizzazione più significativa degli ultimi anni, perché è da lì che è partita l’idea delle privatizzazioni dei servizi, con il suo impianto “filosofico” secondo cui le aziende private sono garanzia di maggiore efficienza, ordine, libera concorrenza e contenimento delle tariffe, meritocrazia ecc. ecc: un’idea che ha interessato il mondo intero. Attraverso la società Transport of London il Comune sta rinnovando i mezzi (autobus e metro) che i gestori precedenti non sostituivano una volta diventati obsoleti e pericolosi; anche in questo caso le tariffe sono previste in diminuzione entro i prossimi due anni. Uno specifico sondaggio, inoltre, ha riscontrato che tra 140 Comuni inglesi interpellati, ben 80 avevano già provveduto a riprendersi almeno una gestione dei servizi pubblici locali. Quasi sempre questo avviene alla scadenza dei precedenti contratti con i privati, che di solito durano 25-30 anni. Dunque, quando sentiamo dire in giro che il nostro Sindaco vuole privatizzare un servizio comunale, fatevi due conti ed alzate il livello di attenzione: sarebbe il caso di fargli presente che prima di prendere tale decisione è necessario valutare attentamente le esperienze fatte da chi quella strada l’aveva imboccata tanti anni fa, salvo poi tornare indietro.
Fermo restando che occorre superare anche l’attuale sistema, che serve solo a dare poltrone alla Casta, coi suoi carrozzoni clientelari e politico affaristici, mentre occorre ben altra visione dei beni pubblici.
IL CASO ALITALIA
Ultima in ordine di tempo, ma non certo per importanza, la privatizzazione dell’Alitalia (la nostra ex compagnia di bandiera): è un caso esemplare di come si sono fatte le privatizzazioni nel Bel Paese. Indebitata fino al collo da una dirigenza nominata dalla politica (ogni privatizzazione inizia in questo modo), è stata messa sul mercato dal secondo governo Prodi. L’unica offerta pervenuta, malgrado all’inizio 12 società manifestarono interesse all’operazione, fu quella di Air France. La proposta dei francesi di comprare al prezzo di 3 miliardi di euro, accollandosi tutti i debiti accumulati, fu ritenuta umiliante da Berlusconi. In nome della “italianità” della compagnia allestì una cordata di imprenditori, alcuni in palese conflitto di interessi, che costituirono la Compagnia Aerea Italiana (CAI), che rilevò solo la parte sana di Alitalia. Tutti i debiti rimasero accollati alla vecchia società. Risultato: il conto finale a carico delle tasche dei cittadini supera i 4 miliardi di euro. Invece dei 2.200 esuberi di personale previsti dal piano Air France (rifiutati sdegnosamente dai sindacati), alla fine i licenziamenti sono stati più del triplo. Nonostante tutto questo, anche la nuova Alitalia privatizzata si trova di nuovo con enormi difficoltà economiche. Nessun patriottismo, invece, in fatto di acqua: proprio ai francesi la Casta ha ceduto importanti e vasti pezzi del nostro sistema idrico.