Scuole come campi di rieducazione al gender

Scuole come campi di rieducazione al gender

di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Identità

Nei giorni scorsi per prima «La nuova Bussola quotidiana» e a seguire buona parte della stampa nazionale hanno dato conto di che cosa è vietato nelle scuole torinesi: promuovere incontri per i genitori, anche privati, sui temi dell’ideologia di genere e dell’omofobia, cui un istituto cattolico, il Faà di Bruno, ha dovuto rinunciare dopo aggressioni e minacce della lobby gay. Non è meno istruttivo vedere che cosa è permesso, anzi è obbligatorio.

Il 24 ottobre 2013 è stata pubblicata sul sitowww.direfarenondiscriminare.com, gestito dalla Compagnia 3001, lacronaca di uno dei tanti simpatici eventi allestiti da questa organizzazione nelle scuole piemontesi, questa volta per gli alunni della II B della Scuola Media Antonio Gramsci, Plesso Gobetti di Settimo Torinese, cintura di Torino. Seconda media: cioè, dodicenni. Certo, uno potrebbe pensare che tra Gramsci e Gobetti sia difficile immaginare qualche cosa che assomigli vagamente a un’educazione rispettosa offerta agli alunni cattolici. Ma qui si va molto oltre.

Il sito ci informa – e ci documenta – che «la classe ha voluto allestire una riflessione teatrale come restituzione al tema trattato nel primo incontro relativo alla discriminazione in base all’orientamento sessuale». Le chiamano proprio così: «restituzioni».

Vediamo dunque che cosa «restituiscono» i bambini dopo avere ascoltato una lezione di indottrinamento sul gender. Una bambina attacca: «Amava indossare i pantaloni rosa… era un ragazzo di 15 anni… si è suicidato». Gli altri dodicenni elencano varie discriminazioni, fino a che due bambini esclamano: «Mi chiamano frocio» – «Mi dicono che sono lesbica». E tutti i dodicenni gridano insieme: «basta».

Scena seconda: il Parlamento della Repubblica Italiana. Un bambino interpreta il parlamentare che propone: «Dichiaro aperta la seduta. “In base all’articolo 3 della nostra Costituzione io propongo di riconoscere giuridicamente le unioni civili tra persone dello stesso sesso”. Seguiamo l’esempio dei nostri vicini europei (Francia, Spagna, Regno Unito)…». Applausi. Un’altra piccola parlamentare interviene a favore: «Sono d’accordo! Dobbiamo combattere ogni forma di discriminazione… Tutti devono sentirsi tutelati dalla nostra Costituzione, nessuno può venire escluso perché sceglie di amare una persona del suo stesso sesso». E c’è anche la bambina che fa la parte della parlamentare cattiva: «Io, invece, non sono d’accordo! L’unico matrimonio possibile è quello eterosessuale e l’unica famiglia degna di tale nome è formata da mamma e papà, non da papà e papà o mamma e mamma… e poi cari colleghi pensiamo alle cose serie… l’economia per esempio. Stiamo solo perdendo tempo…».

Un’altra parlamentare buona: «Non è accettabile che, in un paese che si dichiara moderno, le coppie gay non vedano riconosciuti pienamente i loro diritti… il loro amore è forse di serie B? Chi siamo noi per decidere cosa è giusto e cosa non lo è ?». Per fortuna ci è risparmiata la consueta citazione manipolatrice di Papa Francesco, ma forse è implicita. Segue un parlamentare maschio cattivo, sempre interpretato da uno dei dodicenni: «E già, magari, ora approviamo anche una legge che permetta ai gay di adottare dei figli… È un’unione contro natura… ma cosa state dicendo?!! Non sono d’accordo!».

Alla fine si vota. I parlamentari contrari si chiamano – che bei nomi – Paura, Disprezzo, Pregiudizio, Disparità, Diversità ed Esclusione. Ma perdono: almeno in una scuola media è giusto fare interpretare dai ragazzini spettacoli dove vincono i buoni. Interviene il Presidente della Repubblica – beninteso, una bambina – la quale proclama: «Sono orgogliosa di essere il Presidente di un Paese come l’Italia che ha dimostrato di essere uno Stato civile, rispettoso e garante dei diritti di tutti, senza nessuna distinzione. Oggi l’Italia ha mantenuto una promessa: quella dell’eguaglianza… Dichiaro valida la legge che riconosce giuridicamente le unioni civili tra le persone dello stesso sesso!».

I bambini si scatenano. C’è chi dice «Il mio cane può amarmi» e chi «Io posso amare il mio gatto». In attesa di nuovi spettacoli che esplorino queste ulteriori interessanti frontiere – perché fermarsi alle persone dello stesso sesso, chi siamo noi per giudicare chi preferisce i cani e i gatti? – al segnale della professoressa tutte le ragazzine gridano «Sonia può amarmi» e i ragazzini «Fabio può amarmi». E tutti i dodicenni finiscono cantando «A te povero egoista che vivi senza amore – Auguro che il nostro sentire arrivi fino al cuore».

Naturalmente, è prevista la possibilità che i ragazzi delle scuole non se la sentano subito di recitare. Niente paura, sono previsti spettacoli di «tecnologia filosofica» interpretati da adulti con tanto di baci omosessuali,postati in video sul sito tanto perché nessuno possa dire che non era stato avvertito.

Non è un racconto satirico. Succede davvero. A Torino, a bambini di dodici anni. Anche in altre scuole: per esempio alla statale Meucci, in tre classi di seconda media, sono stati proposti uno spettacolo e una discussione sul genere, spiegando che «se il vostro compagno [maschio] domani venisse a scuola vestito di fuxia e paiettes [sic]» nessuno dovrebbe particolarmente stupirsi. Qualche genitore ha protestato, ma è stato messo a tacere o in ridicolo.

Siamo chiari, visto che oggi si dà dell’«omofobo» molto facilmente e gratuitamente. È giusto combattere ogni forma di bullismo nelle scuole, spiegare ai bambini che è odioso insultare, prendere in giro, picchiare i compagni percepiti come «diversi», si tratti di maschietti che sembrano effeminati, di bambine che sembrano mascoline, d’immigrati, di rom. O magari – succede – di cattolici o di musulmani devoti – a Torino ormai in molte scuole i secondi sono più numerosi dei primi – in classi dove nessuno è religioso. Tutt’altra cosa è indottrinare all’ideologia di genere, far mettere in scena da bambini una seduta del Parlamento a proposito di una legge tuttora in discussione, servirsi dei dodicenni per insultare come incivili o vittime di pregiudizi i parlamentari che su quella legge hanno opinioni diverse dagli autori del copione.

E tutto questo succede in scuole pubbliche, a spese dei contribuenti. A Torino come in mezza Italia. Continuerà a succedere, se non fermiamo in tempo questo treno impazzito che corre verso un burrone. E continuerà anche a succedere che, se invece qualche cattolico vuole esporre, civilmente e privatamente, idee diverse, come si è visto nel caso Faà di Bruno, intervengono i Comuni minacciando sanzioni. Con l’applauso anche di cattolici impauriti o complici.

«Mia madre non era malata ma l’hanno uccisa con l’eutanasia». In un film la verità sugli abusi della legge in Belgio

«Mia madre non era malata ma l’hanno uccisa con l’eutanasia». In un film la verità sugli abusi della legge in Belgio

Nel documentario di Pierre Barnérias medici e parenti delle vittime raccontano la realtà della “buona morte”. Che permette veri e propri «omicidi camuffati»
di Leone Grotti da www.tempi.it 

eutanasia-beglio-documentario2La mamma di Marcel Ceuleneur (nella foto con la nipote) non era in fase terminale, anzi, non era neanche malata, salvo gli acciacchi dell’età avanzata, e non soffriva di dolori insopportabili. Eppure «le hanno fatto l’eutanasia, anche se la sua situazione non soddisfaceva i criteri stabiliti dalla legge». Quello della madre di Marcel è solo uno dei tanti casi di eutanasia in Belgio, in costante crescita negli anni e legale dal 2002: se “appena” 235 persone vi hanno fatto ricorso nel 2003, nel 2011 sono diventate già 1.133.

LAVAGGIO DEL CERVELLO. Dopo le tante testimonianze raccolte da rapporti indipendenti sull’abuso dell’eutanasia nel paese, dove solo il 20 per cento dei casi viene dichiarato, è uscito da poco un documentario intitolato “Eutanasia, fino a dove?” (si può vedere qui, in francese) che raccoglie storie e testimonianze, come quella di Manuel, che documentano l’abuso della legge. Manuel è un sindacalista che non aveva mai avuto niente da ridire sulla “buona morte”, fino a quando non ci è passata sua mamma. «Io ero contrario all’eutanasia di mia mamma – racconta nel documentario realizzato dal giornalista Pierre Barnérias – il suo medico di fiducia era contrario, così come tutta la mia famiglia. Lei non aveva mai parlato di eutanasia, per giunta, se non dopo aver conosciuto un medico che le ha fatto il lavaggio del cervello e l’ha uccisa senza che ci fossero le precondizioni stabilite dalla legge. La verità è che dicono che vale solo in certi casi, ma poi succede tutt’altro».

CONTROLLORI NON CONTROLLANO. Secondo la legge solo un malato in fase terminale e senza speranze cliniche, attraverso ripetute domande scritte, dopo la valutazione di un secondo medico e di una équipe di infermieri può ottenere l’eutanasia. Ma secondo quanto dichiarato nel documentario dalla presidente della Commissione di controllo che deve assicurarsi che la legge non venga abusata, «noi riceviamo direttamente le dichiarazioni dei medici, che spesso sono compilate in modo incompleto. Purtroppo, non abbiamo la possibilità di valutare il numero reale di casi di eutanasia praticati nel paese». La Commissione, infatti, valuta i rapporti inviati dai medici e non è in grado di fare controlli indipendenti.

eutanasia-beglio-fino-a-doveALTRO CHE AUTODETERMINAZIONE. Etienne Montero, docente alla facoltà di Diritto di Namur, capitale della Vallonia, conferma che «non si può controllare l’eutanasia, l’ha ammesso la stessa Commissione di controllo. È chiaro che un medico che va contro la legge non si denuncia da solo: o non riporta alla Commissione il caso di eutanasia o riempie male i moduli o li falsifica. Secondo uno studio recente, solamente in un caso di eutanasia su due è stato raccolto il consenso scritto dei pazienti. Questo è illegale. L’ideologia alla base di questa legge è il rispetto dell’autonomia e dell’autodeterminazione, ma è evidente che viene contraddetto ogni giorno nei fatti».

«SAREMMO TUTTI ASSASSINI». Lo sanno bene gli stessi medici che praticano l’eutanasia. Il dottor Marc Cosyns, intervistato nel documentario, afferma: «La legge sull’eutanasia belga è molto simile a quella olandese. Ma non è così rigida, si può interpretare molto da caso a caso. Il problema più grande del Belgio è che ci sono dei pazienti dementi o malati mentali che non possono più esprimere il loro consenso. Per loro oggi è impossibile applicare l’eutanasia rispettando la legge e quando lo si fa, non si dichiara niente al governo. È chiaro che questa cosa è un po’ illegale, infatti bisogna cambiare il sistema perché attualmente potremmo essere tutti definiti dalla legge assassini. Noi invece facciamo solo quello che i pazienti ci chiedono».

IL RACCONTO DELL’INFERMIERA. Claire-Marie Le Huu, infermiera belga conferma in video la leggerezza con cui viene somministrata la “buona morte”: «Ho assistito a tanti casi di eutanasia somministrata in modo illegale. In uno dei primi, un anestesista una volta mi ha chiesto di aiutarlo con una persona che aveva chiesto di morire. Io mi sono rifiutata perché quell’uomo non soffriva assolutamente in maniera insopportabile e non c’erano i requisiti previsti dalla legge. L’ho detto ai miei capi, ma dalle loro risposte evasive ho capito che era una pratica consolidata. Quell’uomo alla fine è morto e come lui tanti altri. Spesso non c’è nessuna richiesta scritta: si chiede alle persone tre volte se vogliono l’eutanasia invece che le cure palliative, e la loro risposta orale è considerata sufficiente».

EUTANASIA PER L’EREDITÀ. Uno degli argomenti usato spesso contro l’eutanasia in Belgio è che può portare a veri e propri omicidi legalizzati, convincendo persone anziane e sole che la morte è la scelta migliore, facendole sentire un peso per la società e la famiglia. Una storia simile raccolta nel documentario viene racconta da Catherine (foto sopra), signora anziana che preferisce mantenere l’anonimato totale: «Dopo la morte di suo marito, mia sorella è rimasta sola. Era anziana, i suoi due figli medici la controllavano spesso e quando si sono accorti che un uomo andava sempre in casa sua per farle i lavori di casa, hanno avuto paura che lei dilapidasse tutti i risparmi che aveva. Per questo l’hanno convinta a fare l’eutanasia. Avevano tutti i moduli in ordine, tranne il fatto che mia sorella non era malata. Io poi non sono neanche stata informata della sua scelta. La verità è che i figli hanno deciso per lei e l’hanno fatto per avere la sua eredità. Una legge che permette queste cose è una mostruosità totale».

GIUDICI IMPOTENTI. Se la signora non si è rivolta ai tribunali, Marcel (foto a fianco) ha provato a chiedere giustizia per sua mamma. «Primo ho scritto a due ministri della Giustizia, che mi hanno ignorato, poi ho chiesto alla commissione di controllo di indagare ma non hanno fatto nulla». Per questo si è rivolto ai tribunali, ma dopo quattro anni di procedure i giudici hanno rigettato la sua richiesta: la madre aveva espresso il suo consenso al “trattamento”. «È tutta una farsa – commenta sconsolato Marcel – i giudici non si metteranno mai contro un sistema consolidato. Per cambiare la situazione basterebbe che la Commissione di controllo facesse il suo lavoro: controllare l’eutanasia. Ma non lo fanno».

«LIBERTÀ DI MORIRE?». Pierre Barnérias, che si è avvalso dell’aiuto di due giornalisti per realizzare il documentario, ha lavorato per 23 anni per diversi televisioni francesi come France 2, France 3, TV5 Monde, TF1 e molte altre. Dopo aver realizzato il documentario l’ha proposto a tutte le televisioni belghe e francesi ma nessuna ha voluto mandarlo in onda. Per questo ha deciso di pubblicarlo lo stesso su internet: «Sono rimasto perplesso dal rifiuto delle televisioni di mandare in onda la mia inchiesta – afferma in un’intervista – Ci ho messo due anni, dal 2011 al 2013, e ho raccolto testimonianze incredibili, di veri e propri omicidi mascherati. Il mio obiettivo non era quello di bloccare la legge, ma solo di far riflettere sulla libertà di morire e sul potere incontrastato di cui godono i medici».

Scuole come campi di rieducazione al gender

La difficile battaglia dei cattolici contro l’ideologia gender

di Josip Horvaticek da www.lanuovabq.it

Bandiera croata

I vescovi croati non perdono occasione di denunciare il gravissimo pericolo per la famiglia, i giovani e la società intera rappresentato dall’ideologia del gender.

Nel corso dell’omelia della Santa Messa celebrata al santuario mariano nazionale di Marija Bistrica, nei pressi di Zagabria, in occasione del pellegrinaggio annuale delle Forze Armate croate di domenica 6 ottobre, l’Arcivescovo di Spalato, mons. Marin Barišic, ha affermato la necessità di «reagire, vivere e agire nello spirito della fede» ai problemi della vita quotidiana. C’è da domandarsi, ha aggiunto mons. Barišic, se«non siamo diventati fuggitivi, disertori, pensionati della fede?» Non è la nostra fede staccata dalla vita, o forse perfino fuggita dalla realtà, «non ci siamo ritirati, diventati invisibili e paurosi?» Ritirandoci dalla realtà «non abbiamo forse abbandonato i campi della cultura, dell’educazione, del matrimonio e della famiglia, alle idee che sono prive di una bussola che ci guidi verso il futuro e la verità?». Quale conseguenza di questa pusillanimità, «vi è il pericolo che non sapremo più né ci sarà più permesso dire se un bambino è maschio e femmina, se i genitori sono il padre e la madre, oppure le lettere A e B o i numeri 1 e 2».

L’arcivescovo di Spalato si è infine appellato ai soldati, alle forze dell’ordine e ai veterani della Guerra per la Patria (la guerra di indipendenza croata del 1991, ndr) affinché siano difensori della famiglia la quale rappresenta «il fondamento della vita e dell’ordine sociale».

L’appello di mons. Barišic è più che mai attuale nonostante le recenti vittorie del vasto fronte che si oppone all’attuazione dell’ideologia del gender nella scuola e nella società croate.

Infatti, la Corte Costituzionale ha bocciato la procedura di attuazione del corso di educazione sessuale di stampo gender nelle scuole croate, nel contempo accusando il governo di avere agito con metodi non democratici; la raccolta di firme per indire un referendum affinché nella Costituzione sia inserito un articolo che preveda che il matrimonio rappresenta solamente l’unione di vita di un uomo e una donna ha avuto un grandissimo successo – il numero finale di firme raccolte in sole due settimane è stato di circa 770.000.

Tuttavia il governo di sinistra non demorde: non è certo che il referendum si possa tenere, giacché in un Paese alle soglie del totalitarismo come la Croazia ogni garanzia democratica è sempre sub judice; è in fase di redazione una nuova legge sulla famiglia, secondo la quale le unioni omosessuali non si chiameranno ‘famiglia’, ma avranno i medesimi diritti delle famiglie naturali, ad eccezione del diritto di adozione – unica concessione fatta al movimento di opposizione, la quale tuttavia è esclusivamente di natura tattica ed è facilmente modificabile in un prossimo futuro; infine per il nuovo anno scolastico il ministro dell’istruzione, Jovanovic, ha imposto, pur con qualche modifica puramente cosmetica, lo stesso programma di educazione sessuale dello scorso anno, anche in questo caso senza consultare i genitori e non lasciando loro la libertà di scegliere per i loro figli programmi alternativi a quello fondato sull’ideologia gender.

La battaglia è ancora lunga e irta di difficoltà, soprattutto perché l’avversario, cosciente di trovarsi in minoranza nella società croata, sfrutterà il vantaggio di essere al potere utilizzando tutti i mezzi che tale posizione gli consente, ivi inclusa l’intimidazione poliziesca, della quale hanno già avuto un assaggio alcuni esponenti del movimento cattolico Hrast. Del resto, il maggiore partito al potere ha una notevole familiarità con i metodi totalitari dell’ideologia comunista, attuati in questo Paese per quasi mezzo secolo, e che gli attuali governanti croati hanno abbandonato solamente a parole.

Laicità francese, intollerante per sua natura

Laicità francese, intollerante per sua natura

di Stefano Fontana da www.lanuovabq.it

Laicismo alla francese

Gli eventi francesi di cui ha riferito ieri La Nuova BQ stanno mettendo in discussione la versione moderata della laicità proposta, per esempio, dal filosofo Charles Taylor. I sindaci non possono fare obiezione di coscienza davanti ai matrimoni tra persone omosessuali, né con riferimento a motivazioni religiose né con riferimento a scelte filosofiche: la legge non lo permette. Davanti a queste posizioni, che si prevedono sempre più diffuse, bisogna ripensare la libertà di coscienza e di religione ben oltre la versione moderata ed illuminata che Charles Taylor ha riproposto di recente nel libro “La scommessa del laico” (Laterza) scritto insieme a Jocelyn Maclure. 

Secondo Taylor, lo Stato deve essere neutro da quadri di riferimento religiosi o filosofici. Ma non può essere neutro rispetto all’impegno di garantire a tutti i cittadini uguaglianza di trattamento e rispetto per le loro scelte morali e religiose. Se non facesse così, non potrebbe garantire la convivenza. Lo Stato non deve, quindi, farsi paladino della secolarizzazione, combattendo la religione. Bisogna fuggire la tentazione di fare della laicità un equivalente secolare della religione, sostituendola con una filosofia morale laica, una specie di religione civile, come, secondo Taylor, sta avvenendo in Francia.

Bisogna, invece, battere la via degli accomodamenti ragionevoli. Se il calendario prevede che si faccia festa alla domenica e non al sabato o al venerdì, se a scuola non si mangia kosher come vorrebbe la tradizione religiosa ebraica, se non è ammesso insegnare con il burka oppure fare il poliziotto con il turbante, basta prevedere delle eccezioni, appunto degli accomodamenti ragionevoli, e tutto si sistema. Certo, bisognerà concedere questi accomodamenti non solo per rispetto dei quadri di riferimento religiosi, ma anche di quelli secolari. Una persona vegetariana ha diritto, a scuola o in carcere, ad un menù vegetariano così come una persona di religione ebraica ha diritto a rimanere a casa dal lavoro al sabato per ottemperare ai propri doveri religiosi.

Ora, le nuove disposizioni francesi in termini di obiezione di coscienza dei sindaci mettono in crisi questa versione moderata, per una serie di motivi.

Il primo è che, accettando la proposta di Taylor, ogni quadro di riferimento avrebbe diritto al rispetto e alla tutela dello Stato. Se il criterio, come dice Taylor, è solo quello dell’adesione in coscienza degli aderenti, anche una associazione di pedofili, o di pornografi, o di mafiosi, avrebbe diritto alla protezione statale. Si aprirebbe, cioè, una proliferazione di richieste di tutela dei propri quadri di riferimento pressoché infinita. La distinzione, infatti, tra preferenze individuali – gusti, desideri … – e quadri di riferimento morali ed esistenziali è molto sottile. Se uno è vedano, si tratta solo di un gusto soggettivo o di una visione di vita? Se uno pretende di fare il poliziotto con la barba e il turbante perché è un Sikh, perché un altro non potrebbe chiedere di farlo pettinato con la cresta colorata e il piercing nel naso?

Inoltre, gli accomodamenti ragionevoli si possono realizzare quando si tratta semplicemente di indossare un simbolo religioso in un ufficio pubblico, ma come sarebbe possibile farlo davanti, per esempio, all’aborto o al matrimonio gay? Anche qui si potrebbe fare appello ai quadri di riferimento che meritano il rispetto della protezione dello Stato. Quando si toccano i problemi della legge naturale, gli accomodamenti ragionevoli saltano, perché ammetterli non sarebbe più ragionevole. E se si ammettono diritti ad accomodamenti irragionevoli allora si deve per coerenza ammetterli tutti.

Questo è il punto: quand’è che un accomodamento è ragionevole e quando no? Se non si pensasse lo Stato come indifferente ai quadri di riferimento che nascono dalla legge naturale, il criterio sarebbe chiaro. Un poliziotto di religione Sikh che porta il turbante sì, un ebreo che sta a casa al sabato sì, una ragazza musulmana che va a scuola con il velo sì, ma un matrimonio tra due omosessuali no. Invece accade l’assurdo che lo Stato francese vieta di andare a scuola con il velo e permette il matrimonio omosessuale.

La soluzione moderata di Taylor non è in grado di mantenersi, ma scivola inevitabilmente verso la soluzione radicale alla francese. Senza un criterio, come potrebbe essere quello della legge naturale, non si capisce più quale sia l’accomodamento se non in termini di maggioranza e minoranza. Ed allora la maggioranza potrebbe anche arrogarsi il diritto di non concedere accomodamenti, come sta accadendo in Francia a proposito dell’obiezione di coscienza dei sindaci. Anche questo potrebbe essere un quadro di riferimento e una visione di vita e non solo un gusto o un desiderio.

Ill.mo Signor Professore Odifreddi, ma anche sull’Olocausto doveva dire le sue sciocchezze?

«Non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo uno storico, non posso che “uniformarmi” all’opinione comune. Ma sono cosciente del fatto che di opinione si tratti», scrive il matematico sul suo blog
Correttore Di Bozze da www.tempi.it 

Ora che tornano alla ribalta i cattofascisti e i boia nazisti defunti vengono seppelliti a calci e pugni da allegri stuoli di bella gente, è tempo che anche il Correttore di bozze riemerga dalle catacombe. Ad attirarlo fuori dal buio abisso dove la ragione non ha cittadinanza e l’oscurantismo regna sovrano, è stato in particolare l’impareggiabile Piergiorgio Odifreddi, che si è sentito in diritto di dire la sua sul funerale di Priebke (funerale si fa per dire) e sulle successive polemiche.

Ebbene, il matematico ha scritto un post per il suo blog ospitato dal sito di Repubblica, dove ne dice tante ma tante, provocando reazioni parecchio indignate per qualche tesi leggermente negazionista sull’Olocausto, come vedremo, ma soprattutto suscitando la commozione del Correttore di bozze. Che gioia per lui rivedere il presidente onorario dell’UAAR che, ancora tutto tumefatto dalle scoppole subite da Benedetto XVI, trova il modo di dare qualche colpa alla Chiesa cattolica anche in questo amorevole revival tra nazisti e comunisti.

Perché infatti secondo Odifreddi è scoppiata la rissa sulla salma di Priebke? Ma è ovvio: perché «sia la destra che questa “sinistra” si sono entrambe dimostrate prive di senso delle cose, ed entrambe succubi della visione superstiziosa e magica propagandata con evidente successo dalla Chiesa cattolica». Sono dunque i cattolici con la loro propaganda ad aver convinto destra e sinistra ad azzuffarsi sulla questione se celebrare o no le esequie dell’ex militare nazista, «come se la cosa potesse avere una qualche importanza, eccetto che nella testa dei credenti». Già, i credenti. Quei poveri illusi tipo il Correttore di bozze che si ostinano a trattare i loro estinti «come esseri in attesa della resurrezione della carne», mentre tutti sanno che in realtà sono «cose senza nessun valore, di cui disporre nella maniera più efficiente». (Cose senza valore di cui disporre in maniera efficiente? Dopo questa, Ill.mo Signor Professore Odifreddi, deve solo sperare che il Correttore di bozze muoia prima di lei).

piergiorgio-odifreddi

Comunque, si diceva, il meglio il nostro intellettuale l’ha dato sullo sterminio nazista degli ebrei. La «vicenda surreale» della lite intorno all’inutile cadavere di Priebke, scrive Odifreddi, è stata resa ancora più assurda dal Parlamento che «ci ha messo del suo decidendo di legiferare a spron battuto sui fatti della storia, e approvando al Senato in commissione un decreto legge che equipara a un reato la negazione della Shoah». E non ci sarebbe nulla di strano se il Preg.mo Egr. Signor Professore intendesse solo esprimere qualche dubbio su una legge che rischia di limitare la libertà di pensiero. Il fatto è che invece Odifreddi, rispondendo al commento di un lettore al suo post, aggiunge quanto segue:

«Su Norimberga, confesso di essere molto vicino alle sue posizioni. Il processo è stato un’opera di propaganda. I processati hanno dichiarato, con lapalissiana evidenza, che se la guerra fosse andata diversamente a essere processati per crimini di guerra sarebbero stati gli alleati.
Sono anche vicino alle sue posizioni quando afferma che l’opinione che la maggior parte delle persone, me compreso ovviamente, si formano su una buona parte dei fatti storici è fondata su opere di fantasia pilotata, dai film di Hollywood ai reportages giornalistici. E che la storia sia tutt’altra cosa, e abbia il suo bel da fare a cercare di sfatare i luoghi comuni che sono entrati nel “sapere” collettivo.
(…) Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse “so” appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal “ministero della propaganda” alleato nel Dopoguerra. E non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune. Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato, affinché credessi ciò che mi è stato insegnato».

Dopo di che si può ben capire come mai il Gent.mo Reverendo Professore Odifreddi si sia meritato su tutti i giornali il sospetto che egli sotto sotto sia un poco d’accordo con il Chiar.mo Onorevole Professore Khomeini. Diciamo che se l’è andata a cercare.

E non se la prenda, Em.mo Preg.mo Professore, se questa volta a spiegarle che ha scritto minchionate non è un papa emerito ma un qualunque Ignorant.mo e Stupid.mo correttore di bozze.

Laicità francese, intollerante per sua natura

Francia, portavoce Manif al ministro: «Sono omosessuale e dico no ai figli in provetta per i gay. Sono omofobo?»

Lettera di Jean-Pierre Delaume-Myard al ministro della Famiglia Bertinotti: «È un diritto del bambino avere una mamma e un papà. E le donne non sono galline che fanno le uova»
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it 

HOMO PAS GAY«Io sono omosessuale e sono contro le nozze fra persone dello stesso stesso, perché è un diritto fondamentale del bambino avere un padre e una madre come gli altri». Lo ha scritto Jean-Pierre Delaume-Myard, portavoce della Manif pour tous, al ministro della Famiglia francese Dominique Bertinotti. Sono mesi che la Manif chiede di incontrare il ministro per avere risposte «su una serie di temi come la liberalizzazione della tecnica della fecondazione assistita».

«NON SIAMO OMOFOBI». Dopo il matrimonio gay, infatti, il governo di François Hollande intende aprire la fecondazione assistita alle coppie gay. I deputati socialisti hanno già annunciato che proporranno un emendamento ad hoc al disegno di legge sulla famiglia, che sarà discusso a gennaio. «Ma la signora Bertinotti non si degna di riceverci», continua Delaume-Myard, che è anche portavoce del gruppo HomoVox: «Siamo uomini e donne omosessuali e ci siamo rimasti molto male per quello che lei ha detto al Journal du Dimanche nel dicembre 2012: “Tutti i contrari” [al matrimonio gay] sentono il bisogno di dire che non hanno nulla contro gli omosessuali, ma nello stesso tempo gli rifiutano i loro stessi diritti”. E ancora: “Quando non si danno gli stessi diritti agli omosessuali e agli eterosessuali, non si tratta di omofobia?”».

ORA TOCCA ALLA FECONDAZIONE. Delaume-Myard spiega di avere 50 anni e di convivere con un uomo dall’età di 24, ma di essere contrario al «matrimonio fra persone dello stesso sesso per via del diritto fondamentale del bambino ad avere un padre e una madre come gli altri. Signor ministro, pensa per questo che io sia un omosessuale omofobo?». Il portavoce della Manif ricorda poi quando Hollande promise che la legge Taubira avrebbe resa legale l’adozione gay, ma non si sarebbe spinta oltre: «Sulla maternità surrogata il presidente si è detto chiaramente contrario. E lei ministro vorrebbe sconfessarlo? Sa bene che ora che il matrimonio gay è stato approvato una coppia di lesbiche potrà rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e chiedere di accedere alla fecondazione assistita, ponendo fine alla discriminazione tra coppie eterosessuali e coppie gay. Ciò avrà l’effetto di istituzionalizzare la perdita del padre per i figli». Per di più, visto che anche gli omosessuali potranno richiedere la fecondazione e la maternità surrogata, «oltre alla mercificazione delle donne, trattate come galline che fanno le uova, sarà istituzionalizzata anche la privazione della madre per i figli».

«MINISTRO, CI RICEVA». Per questo motivo, a nome di centinaia di migliaia di francesi, il portavoce della Manif ha chiesto che il ministro «ci riceva» per darci precisazioni sul nuovo disegno di legge sulla famiglia. Lo scorso maggio Delaume-Myard aveva già scritto così al presidente Hollande: «Mi batto perché dopo questi mesi tutti abbiamo capito che la legge Taubira non è che l’inizio della strada che porta alla fecondazione assistita e alla maternità surrogata e perché questa legge in realtà non ha nulla a che vedere con gli omosessuali. Se fossi stato eterosessuale, mi sarei battuto comunque al fianco [della Manif], cioè dalla parte della ragione».