Cancelli d’Europa per riscoprire e valorizzare la nostra storia

di Domenico Bonvegna

Avevo promesso di continuare l’approfondimento sui grandi avvenimenti della storia dell’Europa, attraverso l’agile testo I Cancelli d’Europa, scritto da Giorgio Zauli, per le edizioni Ares, parto dal monachesimo benedettino, che rappresenta un “cancello” contro lo sfacelo della civiltà romana e la barbarie dilagante, ma certamente ha fornito il materiale con cui costruire tutti i “cancelli”futuri. Il monachesimo scrive Zauli: salvò, con l’opera mirabile degli amanuensi e l’intelligenza di abati e priori, documenti e testimonianze scritte del passato, dall’altro offrì ai popoli europei tanti e tali strumenti, conoscenze e abilità, da trarli non solamente fuori dalla profonda crisi economica e morale, ma da avviarli a un progresso travolgente, destinato a tramutarsi in superiorità economica, tecnologica e morale.

Al modello di cittadino romano, saggio, agricoltore, soldato, studioso, se ne era sostituito uno, dedito all’ otium, sincretista, edonista e imbelle. Così i monaci di Benedetto hanno rappresentato la più efficace risposta al dilagare della barbarie, evangelizzando e unificando l’Europa, costruendo delle piccole città di Dio, col celebre motto, Ora et labora. Così nei monasteri fece i primi passi la democrazia.

In breve queste comunità si diffusero in tutta l’Europa, partendo dall’esperienza del monachesimo irlandese di san Colombano, divenendo centri di cultura, di educazione e di progresso. I monasteri divennero scuole, biblioteche, infermerie, laboratori, farmacie, ospedali, sicuro rifugio nel pericolo, albergo per i poveri e pellegrini, officine, oasi di tranquillità mentre fuori regnava il caos.

I cenobi benedettini oltre alla civilizzazione e l’evangelizzazione, portarono avanti il progresso tecnico e tecnologico, diventando determinanti per il conseguimento dell’unità europea e dell’unicità e superiorità della loro cultura.

Zauli conclude l’argomento sul “cancello”benedettino: la rivalutazione del lavoro, conseguenza della concezione cristiana di uguaglianza e relativa progressiva abolizione della schiavitù, aveva infatti determinato in Europa una netta superiorità morale, economica, tecnologica, militare, capace di reagire a tutti gli attacchi.

La IV scheda riguarda la battaglia di Poitiers, per Zauli fu un vero scontro tra civiltà, uno di quelli appunto dai quali dipese il destino d’Europa e dell’Occidente. Oggi si tende a dare una lettura riduttiva della battaglia di Poitiers, e a questo proposito il testo entra nella polemica del mito storiografico della civiltà e della tolleranza islamica. Così sui libri come sui massmedia si tende a presentare la storia, la cultura e la religione musulmana come positive e contrapposte al Cristianesimo violento e discriminatorio, quando basta vedere che cosa succede ancora oggi in un Paese islamico allo storico, al politico, al cittadino che osano criticare la propria religione o a lodarne un’altra. Lo scopo è quello di accreditare un’immagine di società europea multiculturale a maggioranza islamica.

In quest’ottica si negano perfino le acquisizioni storiografiche più recenti e serie, che demoliscono le vulgate sulla presunta tolleranza islamica, anche quella Andalusa più sbandierata…

Certo la Storia non si fa con i se e con i ma, ma che cosa sarebbe successo all’Europa se gli arabi non fossero stati fermati a Poitiers? Non avremmo avuto la Civiltà Cristiana, nata dai grandi pellegrinaggi, a Roma, a San Michele Garganico, a Santiago de Compostela in Spagna, in Terra Santa, crociate comprese. L’Europa è nata pellegrinando, diceva Goethe.

Massoneria e Risorgimento un rapporto da riscrivere

di Massimo Introvigne

Quella che segue è la sintesi dell’intervento svolto in occasione di un convegno sul tema svoltosi a Torno il 9 dicembre e organizzato da “Noi per il Piemonte”

Quando si parla dei rapporti fra Massoneria e Risorgimento si contrappongono due tesi opposte. Per alcuni – sia massoni, sia avversari della massoneria – il Risorgimento è opera diretta e principale dei massoni. Per altri la massoneria non ha avuto alcun ruolo nel Risorgimento, e la tesi contraria deriva o da vanterie infondate di massoni o da «teorie del complotto» dei loro nemici. Come, in realtà, non avviene sempre – ma questa volta è proprio così – la verità sta nel mezzo.

Vale la pena, anzitutto, di richiamare che cos’è la massoneria. Risultato dell’infiltrazione di esoteristi, alimentata dal mito dei Rosacroce, nelle corporazioni di origine medioevale e cattolica dei liberi muratori (freemasons in inglese, da cui i nostri «frammassoni» e «massoni»), la massoneria nasce nel 1717 a Londra al termine di un processo che si era sviluppato lungo tutto il Seicento. Le antiche corporazioni di mestiere sono trasformate in organizzazioni filosofiche, le quali insegnano attraverso un rituale una mentalità, dove non ci sono dogmi né principi non negoziabili, ma la verità – nella filosofia come nella morale – nasce sempre e solo dal consenso e dalla libera discussione. Questo metodo massonico è sostenuto in alcune logge dal razionalismo di tipo illuminista, in altre da un esoterismo che insegue l’unità trascendente e segreta di tutte le religioni.

A prescindere dall’esito, la Chiesa Cattolica – che crede invece nei dogmi e proclama i principi morali come non negoziabili – condanna nella massoneria il metodo, che conduce inevitabilmente al relativismo. Dalla prima condanna di Papa Clemente XII nel 1738 alla Dichiarazione sulla massoneria tuttora vigente della Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta dal cardinale Ratzinger, controfirmata dal venerabile Giovanni Paolo II nel 1983, secondo cui «i fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione», il giudizio della Chiesa non è mai cambiato.

In Italia la massoneria è presente fin dal Settecento, sia nella sua «corrente calda» esoterica sia nella «corrente fredda» razionalista. Il suo autentico boom è con Napoleone, quando in Italia si arriva – secondo una stima per difetto – a 250 logge con circa ventimila massoni. Troppo legata a Napoleone, la massoneria italiana è però coinvolta nella sua caduta e alla Restaurazione è vietata in tutti gli Stati della penisola. Sarà formalmente ricostituita solo nel 1859 a Torino con la Loggia Ausonia, cui segue la fondazione del Grande Oriente d’Italia guidato da un uomo politico vicinissimo a Cavour, Costantino Nigra. Il Risorgimento sembrerebbe dunque avvenuto, in gran parte, in un periodo – dal 1815 al 1859 – in cui la massoneria in Italia non c’era.

Dunque la massoneria non c’entra con il Risorgimento? Non si può dire, per tre buoni motivi. Anzitutto, molti protagonisti del Risorgimento erano affiliati a logge straniere e la massoneria di Paesi diversi dall’Italia per ragioni sia politiche sia di avversione alla Chiesa Cattolica ha un ruolo importante nelle vicende risorgimentali. Emblematico è il caso di Garibaldi, che una volta ricostituita la massoneria italiana ne diventerà Gran Maestro. In secondo luogo, operavano in Italia altre società segrete – la più importante delle quali era la carboneria – che, nonostante l’uso specie nei gradi più bassi di simboli cristianeggianti, avevano molto in comune con la massoneria. Terzo – ed è l’aspetto più importante –: i ventimila massoni dell’epoca di Napoleone non erano tutti morti o andati in esilio, erano l’élite della borghesia e della nobiltà laica e anticlericale e la loro mentalità collettiva costituiva una vera massoneria senza logge.

Così – mentre l’ideale dell’unità d’Italia era coltivato anche in un senso certamente non massonico da cattolici come i beati Rosmini e Faà di Bruno – la massoneria, con o senza logge, riuscì a imprimere il suo marchio non organizzativo ma culturale sul Risorgimento, che è cosa diversa dall’unità. Il modo risorgimentale di costruire l’unità politica costruì un Paese a tavolino, in laboratorio, senza tenere conto dei  suoi localismi – che avrebbero richiesto soluzioni federali, mentre si scelsero il centralismo e lo statalismo – e della sua storia, che era cattolica e come tale invisa agli anticlericali.

E l’ingegneria sociale che costruisce nazioni a tavolino è appunto tipica della massoneria, fin dalle antiche utopie dei Rosacroce. Gli effetti di questa egemonia massonica sul modo in cui fu fatta l’unità – un’egemonia che si aggraverà nell’epoca dei massoni Crispi e Carducci degli ultimi decenni dell’Ottocento, quando sarà soprattutto la massoneria a disegnare la nuova scuola pubblica e a occuparsi di «fare gli italiani» – si fanno sentire, purtroppo, ancora oggi.

Rivelazioni su Pio XII confermano la posizione di Benedetto XVI

Presentate dalla “Pave the Way Foundation”

di Jesús Colina

ROMA, lunedì, 29 novembre 2010 (ZENIT.org).- Le rivelazioni storiche più recenti confermano la posizione espressa nel suo ultimo libro da Papa Benedetto XVI su Pio XII e il suo sostegno agli ebrei perseguitati.

Nella sua conversazione con il giornalista Peter Seewald, raccolta nel libro “Luce del mondo”, il Pontefice sostiene di aver ordinato, per l’iter di beatificazione di Papa Eugenio Pacelli, un’indagine che potesse confermare “tutto il positivo” e smentire “il negativo” addotto nei suoi confronti.

Il 17 novembre, il Papa ha ricevuto il fondatore della “Pave the Way Foundation” (PTWF), Gary Krupp, ebreo, che gli ha consegnato nuove rivelazioni storiche a conferma di questa posizione.

In alcune dichiarazioni a ZENIT, Krupp ha affermato che “il libro e i documenti presentati al Papa derivano dagli sforzi della Fondazione per chiarire, e inserire pubblicamente sul suo sito web (www.ptwf.org), documenti originali e testimonianze oculari per incoraggiare lo studio da parte della comunità storica internazionale”.

“Si spera che diffondendo questo materiale sul sito web – ha aggiunto –, la controversia che dura da 46 anni sul pontificato di Papa Pio XII possa essere risolta. Finora la PTWF ha inserito oltre 40.000 pagine di documenti, articoli e interviste a testimoni oculari, materiale originale, relativo a questo periodo storico”.

Krupp ha presentato al Papa il libro della PTWF “Papa Pio XII e la II Guerra Mondiale. La Verità Documentata”, che è stato appena pubblicato in ebraico.

Il testo, di agevole lettura, contiene numerosi documenti, articoli e interviste notevoli che permettono al lettore di giungere a una conclusione su quel periodo controverso. E’ il primo libro scritto in ebraico su Papa Pio XII basato su documenti originali piuttosto che su teorie speculative e discutibili.

Krupp ha anche presentato al Papa una serie di testimonianze autenticate degli sforzi personali di Papa Pacelli per salvare la vita agli ebrei.

E’ stato inoltre presentato a Benedetto XVI il libro del professor Ronald Rychlak – recentemente rivisto e ampliato – “Hitler, la Guerra e il Papa”, insieme al testo inedito “The framing of Pope Pius XII”.

Scritto da Mihai Ion Pacepa, l’agente del KGB di più alto rango ad aver mai disertato, e dal professor Ronald Rychlak, il testo descrive le operazioni della rete di disinformazione del KGB e il piano denominato “Seat 12”, volto a infangare la reputazione di Papa Pio XII e a scavare un solco tra il mondo cattolico e quello ebraico.

Il piano, ordinato da Nikita Kruscev, mirava ad attaccare la Chiesa cattolica e la reputazione di Papa Pio XII.

L’operazione voleva inoltre isolare la comunità ebraica dal mondo cattolico.

Il libro rivela nei dettagli il progetto sovietico di produrre, finanziare e mettere in scena strategicamente l’opera teatrale di Rolf Hochhuth “Il Vicario”.

Quest’opera di fantasia, tradotta in 20 lingue e rappresentata in tutto il mondo, rappresenta il più grande assassinio mediatico di un personaggio del XX secolo. Il libro descrive anche simili attività di disinformazione fino all’epoca attuale.

Il libro-rivelazione del Generale Mihai Ion Pacepa “Orizzonti Rossi” è stato anche alla base della caduta del dittatore rumeno Nicolae Ceausescu.

Nel suo libro, il Papa chiede di superare le interpretazioni ideologiche su ciò che Pio XII avrebbe potuto fare nella II Guerra Mondiale.

“L’importante è ciò che ha fatto e ciò che ha cercato di fare, e credo che bisogna veramente riconoscere che è stato uno dei grandi giusti e che, come nessun altro, ha salvato tanti e tanti ebrei”, afferma.

La storia del Risorgimento che non c’è sui libri di storia

di Domenico Bonvegna

È il sottotitolo di un pamphlet di 273 pagine che ho appena finito di leggere, ha la pretesa di raccontare ai lettori la vera storia del risorgimento.

Il titolo è scarno, 1861, edito da Sperling & Kupfer (2010), gli autori sono Giovanni Fasanella, Antonella Grippo, due emeriti sconosciuti, tra l’altro lo scrivono che non sono storici di professione, ma giornalisti, insegnanti, appassionati di storia, soprattutto di quella ‘nascosta’, poco raccontata perché sottovalutata o, peggio, ignorata di proposito.

Certamente questi scrittori non godono della simpatia dei cosiddetti storici di professione che hanno scritto per sempre la storia ufficiale risorgimentale e ora come cani da guardia, stanno attenti che che nessuno osi mettere in discussione la loro mitologia sul risorgimento.

1861 è un libro che volutamente mette in discussione la leggenda aurea risorgimentale, non è un libro sul passato, a dispetto delle apparenze, racconta il presente. Si perché gli autori raccontando i fatti, gli intrighi, di quegli anni, sono convinti che esiste un filo rosso che percorre l’intera storia italiana dalla sua nascita a oggi.

“Un Paese che non sa da quale passato arriva difficilmente è in grado di capire il presente e – quel che è peggio – rischia di non essere capace di progettare il proprio futuro”. Gli autori s’interrogano sul modo in cui l’Unità venne prima realizzata e poi gestita. C’è un codice genetico del Paese che spesso riaffiora, ferite che non si rimarginano mai, soprusi, violenze e illegalità che tornano periodicamente a galla e che sono difficili da controllare proprio perché non si affrontano gli aspetti storici.

Fasanella e la Grippo, forse raccontano episodi “minori”, ma questi certamente contribuiscono a illuminare aspetti sottaciuti dalla ‘verità ufficiale’, ignorati dai libri di testo su cui si è formata per intere generazioni la nostra coscienza collettiva. Soprattutto nel ventennio fascista, c’è stata una reticenza della storiografia, giustificata da un’esigenza prettamente politico-ideologica: era necessario creare una ‘vulgata’ sul Risorgimento proprio per ‘nascondere’ i metodi, non sempre legittimi, con cui era nata l’Italia.

Secondo gli autori del libro, non si poteva né si voleva dire della ‘guerra sporca’, coloniale, di conquista, combattuta sotto l’egida di potenze internazionali con l’utilizzo sistematico di informatori e agenti provocatori, con plebisciti truccati e l’appoggio della malavita, ricorrendo addirittura alle stragi di civili inermi compiute da un esercito regolare.

Sono verità scomode, che non devono essere raccontate, per non rischiare di far crollare il fragilissimo edificio unitario. Per questo il risorgimento è stato celebrato, più che raccontato. Del resto mi sembra che sia ancora questo l’indirizzo che viene dato dall’apparato celebrativo dei 150 anni dell’unità d’Italia. Capita puntualmente appena si organizza anche il più piccolo dei convegno nel più sperduto centro del nostro Paese.

E’ stato creato il mito intoccabile, che non si può mettere in discussione. Ma come sempre accade, – scrivono gli autori di 1861prima o poi la polvere nascosta maldestramente sotto il tappeto riaffiora. . E riemergono tutte le questioni irrisolte, Persino velleità secessionistiche e progetti di frammentazione politico-territoriale, che vagheggiano quasi un ritorno a situazioni preunitarie del tutto anacronistiche.

Infatti, Fasanella e Grippo ci tengono a precisare che riportare in primo piano le zone d’ombra del Risorgimento non significa assolutamente prestare il fianco a chi vuole spezzare l’unità territoriale del Paese.

E’ importante precisarlo perché i cosiddetti storici ufficiali del risorgimento con la scusa di evitare di spaccare il Paese, cercano in tutti i modi di silenziare o squalificare la valente e meritoria opera di revisione storica, degli ultimi duecento anni, che alcuni studiosi da decenni, stanno facendo raccontando la verità sui fatti. La Verità storica va raccontata tutta senza nessun cedimento o reticenza.

Il libro racconta episodi conosciuti, ma anche quelli poco conosciuti sui vari protagonisti del risorgimento e sulla conquista del Sud. Non conoscevo degli amori di Vittorio Emanuele con le contadinotte, era proverbiale la sua capacità di seduzione, che gli permise di seminare vari figli illegittimi tra il Piemonte e la Valle d’Aosta, oltre ai sette nati vivi dalla legittima consorte, la regina Maria Adelaide. E poi Cavour, il grande vecchio, che oltre a portare avanti la sua politica di attacco frontale alla Chiesa di Roma, era un grande giocatore e quindi speculatore, dai giornali fu accusato di ingrassare sotto il suo governo, illecitamente i monopolisti, i magazzinieri, i borsaioli, i telegrafisti e gli speculatori sulla pubblica sostanza.

Il libro descrive la figura mitologica di Garibaldi, creata a tavolino dalla massoneria italiana e inglese. Racconta i retroscena sulla guerra sporca di conquista del regno delle Due Sicilie, evidenzia chiaramente il tradimento dell’intera classe dirigente, in particolare dei generali borbonici, che furono letteralmente comprati con i soldi raccolti dai fratelli massoni delle logge inglesi, scozzesi, americane e canadesi. E poi tre milioni di franchi francesi in piastre d’oro turche, sommato al milione di ducati cavourriani, servivano per comprare uomini. Fu un guerra sporca di conquista coloniale, una verità ormai molto nota. Lo stesso Massimo D’Azeglio, ridimensiona il mito dell’eroe (Garibaldi) e scrive: “quando s’è vinta un’armata di 60. 000 uomini, conquistato un regno di sei milioni, colla perdita d’otto uomini, si dovrebbe pensare che c’è sotto qualcosa di non ordinario… “.

L’esercito e la marina borbonica affondavano tra viltà e doppiezze – scrivono Fasanella e Grippo – gli alti ufficiali dell’esercito tradirono uno dopo l’altro: i generali Lanza, Nunziante, Clary, Pianell, Gallotti, Caldarelli, Ghio, Pinedo, Lo Cascio, Brigante che venne ucciso dai suoi stessi soldati; soprattutto il conte d’Aquila, Luigi di Borbone, fratello di Ferdinando II e zio di “franceschiello”. Infine il ministro Liborio Romano, letteralmente comprato da Cavour. Tutti vennero meno al giuramento di fedeltà a Francesco II. Sono fatti e dati che già negli anni 70 aveva raccontato il brillante Carlo Alianello nel suo La Conquista del Sud.

Liborio Romano, il trasformista per eccellenza, primo ministro del governo borbonico, trasformò i camorristi in poliziotti per controllare il territorio e così Napoli sprofondò nell’anarchia, la corruzione, la prepotenza. Il 7 settembre quando Garibaldi entra trionfante a Napoli, era circondato dai camorristi, in testa al corteo, con la coccarda tricolore in bella mostra c’era sul cappello, c’era “Tore ‘e Criscienzo”.

Con un decreto dittatoriale Garibaldi si appropriò dei depositi pubblici delle banche delle Due Sicilie, 1 milione di ducati per il Banco di Sicilia e più del doppio per quello di Napoli. Nel giro di due mesi sparirono, 90 milioni di ducati (pari a oltre 2 miliardi e mezzo di euro odierni).

Poi ci furono i plebisciti farsa e così tutto il Sud diventò “spontaneamente”una provincia del Piemonte.

Il libro 1861 accenna alla misteriosa oscura fine del viceintendente generale delle finanze garibaldine, Ippolito Nievo, che ritornando da Palermo a Napoli con il piroscafo Ercole, affondò misteriosamente inghiottito dalle acque con sessantotto persone a bordo, al largo di Capri, senza lasciare nessuna traccia. Nievo trasportava tutta la documentazione sull’impresa dei Mille e molti erano quelli che preferivano che quella contabilità non arrivasse mai a Torino. Una verità scomoda nascosta in centinaia di documenti, ricevute, note spese. Una verità scomoda, destinata a restare un segreto di Stato, sotto il mare. Per molti giorni, forse per settimane, non si diffuse neppure la notizia del naufragio dell’Ercole e dei suoi uomini. Per Fasanella e Grippo, più che un naufragio parve una distruzione, anzi un annientamento totale.

Prima di morire, in una lettera al re Vittorio Emanuele, Cavour in una sorta di testamento politico, raccomandava di imporre l’Unità alla parte più corrotta, più debole dell’Italia. Sui mezzi non ci dovevano essere dubbi: la forza morale e se questa non bastava, bisognava usare quella fisica. Insomma, se i napoletani non volevano l’unificazione, per Cavour, l’Unità doveva essere imposta : meglio una guerra civile che una irreparabile catastrofe. Morto Cavour, la politica unitaria lasciò il campo alle sole baionette, che provocarono in molti casi una vera e propria macelleria.

Dai dati degli storici come Franco Molfese e Roberto Martucci, risulta che i briganti caduti (fucilati e uccisi in vario modo) tra il 1861 e il 1865 potrebbero essere da una cifra minima di 20. 075 e una massima di 63. 125, vale a dire una cifra comunque molto superiore alla somma dei caduti in tutti i moti e le guerre risorgimentali dal 1820 al 1870.

Domenico Bonvegna
domenicobonvegna[chiocciola]alice.it

Furono i fascisti a bombardare il Vaticano

Card. Lajolo: “Fu un episodio vile che colpì un territorio indifeso”

di Mariaelena Finessi

ROMA, giovedì, 11 novembre 2010 (ZENIT.org).- «Fu un episodio meschino, vile, perché diretto contro uno Stato inerme e indifeso» come la Santa Sede, dove «ci si chiedeva che senso potesse avere un evento di quel genere se non quello dell’insulto». Il presidente del Governatorato della Città del Vaticano, il Cardinale Giovanni Lajolo, ricorda così il bombardamento che il 5 novembre del 1943 colpì il piccolo Stato neutrale.

Intervenendo nei giorni scorsi alla presentazione del libro di Augusto Ferrara “1943. Bombe sul Vaticano”, Lajolo spiega che quello «fu l’unico atto di violazione della sovranità territoriale dello Stato del Vaticano da quando è stato creato». E che, ciò nonostante, quest’ultimo «dimostrò, per quanto fosse piccolo, l’efficacia della sua funzione di usbergo per il Papa», di cui assicurò «la libertà e l’indipendenza».

Sconosciuto ai più, l’episodio è stato ammantato dal mistero per tutti questi anni. Il volume di Ferrara finalmente getta la luce sull’accaduto grazie a una completa documentazione fatta di ritagli di giornali dell’epoca e, soprattutto, di immagini, rimaste finora inedite e che l’autore, noto filatelico, ha scovato fortuitamente su una bancarella a Verona.

In tutto una trentina di fotografie scattate il 6 novembre 1943, giorno successivo al bombardamento. Una nota personale del fotografo, ugualmente custodita nella busta, indicava l’ora dell’avvenimento.

Risparmiata durante la guerra, quella sera la Città del Vaticano venne sorvolata da un aereo. Alle 20,15 furono sganciate cinque bombe, di cui una rimasta inesplosa. Le conseguenze sono impresse in quelle foto: andarono distrutti il serbatoio dell’acqua presso la stazione ferroviaria, uffici del Governatorato. Il laboratorio del mosaico della fabbrica di San Pietro venne devastato mentre andarono in frantumi le vetrate posteriori della Basilica.

L’avvenimento ebbe una larga eco sia sull’Osservatore Romano, che nei giornali italiani ed esteri. Per risalire all’artefice di quel triste gesto, la Segreteria di Stato Vaticano chiese chiarimenti alle cancellerie delle potenze dell’epoca, Stati Uniti, Inghilterra e Germania. Nel libro sono pubblicati i relativi carteggi: il generale Eisenhower, il governo inglese e il governo del Reich negarono ogni responsabilità.

La Repubblica di Salò accusò gli Stati Uniti e la stampa fascista speculò sull’avvenimento, accusando gli Alleati di aver violato le norme internazionali e di aver offeso il luogo simbolo del cristianesimo. In realtà Antonio Ferrara rivela che ad ordire il piano contro la Santa Sede furono invece proprio i fascisti. 

L’aereo, che oggi sappiamo essere un SIAI Marchetti S.M. 79 – “Sparviero” decollato da Viterbo, era in dotazione alla Repubblica di Salò. A sostegno della tesi, secondo la quale ad ordinare il bombardamento fu il gerarca fascista Roberto Farinacci, c’è un intercettazione telefonica, trascritta nel libro, tra un sacerdote e il gesuita Pietro Tacchi Venturi, vicino al Segretario di Stato Vaticano dell’epoca, cardinal Luigi Maglione. 

Nel dialogo, il sacerdote afferma: «Sono stati gli italiani. Lo abbiamo potuto appurare attraverso le persone che sono state presenti a tutto lo svolgimento della manovra. Era un apparecchio Savoia Marchetti, con a bordo cinque bombe destinate a colpire la stazione Radio Vaticana, perché Farinacci era convinto che essa trasmettesse al nemico notizie di carattere militare».

La notizia venne confermata dal direttore dell’Osservatore Romano, conte Dalla Torre. Per una settimana non si parlò d’altro sulla stampa. Poi calò il silenzio. Pare, per un invito di monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, allora sostituto alla Segreteria di Stato di Pio XII, «per non alimentare – chiarisce Lajolo – il rischio di una possibile guerra civile».

Il libro, co-edito da Libreria Editrice Vaticana e Augusto Ferrara Editore, è stato consegnato al Pontefice il 3 novembre. Ignaro della vicenda raccontata nel volume, all’autore Benedetto XVI ha chiesto: «Chi è stato?».

Risorgimento e massoneria: “Camicie rosse & grembiulini”

di Massimo Introvigne
Tratto dal sito CESNUR Centro Studi sulle Nuove Religioni l’1 novembre 2010

Avvicinandosi il 2011, si sente sempre più spesso ripetere che il Risorgimento ebbe un carattere massonico. È proprio così?

La massoneria in Italia era stata fiorente nel Settecento, e quasi trionfante in epoca napoleonica. Ma, proprio perché si era troppo legata a Napoleone I (1769-1821), era stata repressa e vietata dopo la Restaurazione. Una sua presenza regolare e organizzata in Italia si ritrova solo dall’ottobre 1859, quando a Torino è fondata in ambienti governativi la loggia Ausonia, primo nucleo del futuro Grande Oriente d’Italia. Il contributo della massoneria italiana in quanto corpo formalmente costituito all’unità d’Italia sembrerebbe dunque essere stato in realtà tardivo e modesto. Eppure pochi anni dopo, a partire dal 1861, i massoni e la massoneria avranno un ruolo preponderante nella vita politica e culturale dell’Italia, dando forma, per limitarsi a un solo ma non secondario esempio, alla scuola pubblica con una sequenza di ministri massoni che comprende Francesco De Sanctis (1817-1883), Michele Coppino (1822-1901) e Guido Baccelli (1830-1916). Questa egemonia massonica sarà a tratti soffocante, e finirà soltanto con il fascismo.

Com’è stato possibile, nel giro di pochi anni, alla massoneria italiana diventare, da presenza apparentemente marginale, forza politicamente e culturalmente egemonica? Troviamo gli elementi per una risposta in un libro che prende posto fra i più importanti che preparano l’anniversario del 2011, Il mito di Garibaldi. Una religione civile per una nuova Italia (Sugarco), dello storico e consigliere parlamentare presso il Senato Francesco Pappalardo. Non solo la biografia di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) aiuta a rispondere alla domanda: il mito stesso di Garibaldi è stato uno dei principali strumenti attraverso cui l’egemonia massonica si è affermata. In epoca napoleonica c’erano in Italia almeno ventimila massoni. Sciolte le logge con la caduta di Napoleone, dove finiscono tutti questi massoni? In parte prendono la via dell’esilio, andando a costituire un’agguerrita presenza di massoni italiani all’estero. Per la parte maggiore entrano, come si dice in termini massonici, in sonno, ma vanno a costituire l’ossatura di un complesso e non unitario sistema di società segrete non formalmente massoniche e, più in generale, di una mentalità che continua a dare il tono a una parte delle élite culturali della penisola, una vera e propria massoneria senza logge.

Garibaldi, con la sua vita nomade e avventurosa, entra in contatto con le reti propriamente massoniche di italiani all’estero e con diverse massonerie straniere. Anche queste sono divise tra loro: ma la corrente razionalista e irreligiosa francese e quella protestante inglese, quando s’interessano alle cose italiane, sono unite da una viva avversione nei confronti della Chiesa Cattolica e del “papismo”, che diventa una vera ossessione anche per il giovane Garibaldi. Nello stesso tempo, Garibaldi stabilisce rapporti con molte delle società segrete che mantengono viva nella penisola, se non la massoneria in senso stretto, una certa mentalità e cultura massonica. Le gesta di Garibaldi in Sudamerica sono forse sopravvalutate, ma sia lo stesso rivoluzionario nizzardo – con un genio della propaganda che gli va riconosciuto – sia Mazzini e le società segrete fanno di tutto perché la sua immagine corrisponda a quella degli eroi dei romanzi popolari tanto importanti all’epoca. Da una parte, Garibaldi rimane incomprensibile senza il rapporto con le massonerie all’estero e le società segrete para-massoniche in Italia. Dall’altra, il nascente mito di Garibaldi offre a questa congerie di società un potente elemento simbolico unificante e, in certi ambienti, effettivamente popolare. E sarà proprio attorno e grazie al mito di Garibaldi – e anche alla sua persona, gran maestro di entrambe le principali obbedienze massoniche italiane e dal 1867 gran maestro onorario a vita del Grande Oriente, con cui pure avrà qualche divergenza – che la massoneria, che ne sarà insieme promotrice, beneficiaria e gelosa custode, riuscirà a imporre in pochi anni la sua egemonia nella nuova Italia.

L’opera di Pappalardo si chiede anche che cosa ci sia dietro il mito di Garibaldi in termini non solo politici ma specificamente massonici e religiosi. Qui nasce, in effetti, un problema per la stessa massoneria. Al mito di Garibaldi non si può rinunciare, ma il suo pensiero è confuso e modesto. Un insospettabile difensore del Risorgimento come Giovanni Spadolini (1925-1994) ha scritto di Garibaldi che “il fascino del liberatore non permetterà di scorgere la mediocrità del suo pensiero, la vacuità della sua dottrina, l’inconsistenza della sua fede”. Tutte le posizioni in tema di religione che circolano nelle logge massoniche trovano almeno un testo di Garibaldi che va nella loro direzione: l’ateismo, lo spiritismo, il deismo, un vago cristianesimo liberale. L’unico elemento unificante è l’odio furibondo e a tratti persino patologico per la Chiesa Cattolica: morendo, Garibaldi si preoccupa soprattutto che sia rispettata la sua volontà di “non accettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezzevole e scellerato del prete, che considero atroce nemico del genere umano”.

Come ricorda il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano nella Presentazione, il volume di Pappalardo è prezioso perché aiuta a distinguere fra il programma dell’unità d’Italia – che era coltivato anche da persone e ambienti lontanissimi dalla massoneria – e la modalità con cui l’unità fu realizzata prima e dopo il 1861, spesso in effetti secondo programmi massonici che trovarono in Garibaldi il loro simbolo. Questi, nel fare l’Italia erano soprattutto interessati a rifare o a disfare gli italiani, strappandoli alla fede cattolica per inseguire il mito di una nuova nazione, laicista e relativista, non ritrovata nella storia e nella vita reale della penisola ma costruita a tavolino nelle logge.

(Avvenire, 29 ottobre 2010)