Le due italie: la “nuova” Italia rivoluzionaria contro la “vecchia” Italia cattolica

di Domenico Bonvegna

Tra una preoccupazione e l’altra per le conseguenze della crisi economica, forse anche per dimenticare i sicuri sacrifici che ci aspettano per il prossimo autunno, mi “distraggo” nella lettura dei libri che ho portato per le vacanze.

Sto leggendo il testo di Massimo Viglione, insegnante di Storia moderna e Storia del Risorgimento presso l’ Università Europea di Roma, pubblicato quest’anno dalla casa editrice Ares di Milano ( www.ares.mi.it ) 1861. Le due Italie, sottotitolo: Identità nazionale, unificazione, guerra civile. (424 pagine, 20 euro).

Il volume è suddiviso in tre parti, documentatissimo e ricco di citazioni, ci sono 17 pagine di bibliografia e ben 55 pagine di note.

“Fatta l’Italia, restano a fare gli Italiani”, diceva Massimo D’Azeglio. Ma si chiede Viglione nell’introduzione: “sono stati fatti gli italiani in questi 150 anni? E soprattutto, gli italiani ‘si fanno’? O ci sono? E i 22 milioni di individui in quei giorni abitanti la Penisola e le isole oggi componenti l’Italia, che cosa erano se non erano italiani? O forse erano loro i veri italiani? Insiste Viglione. In questo caso, di quale ‘italiano’ parla D’Azeglio? Evidentemente di un diverso italiano, di un italiano da cambiare, da modificare nella sua secolare italianità, di un ‘nuovo italiano’ con una nuova identità per una ‘nuova Italia’”.

E’ la grande sfida del Risorgimento italiano, che Viglione chiama Rivoluzione Italiana, che ha visto impegnati tutti i governi, da quelli liberali del regno d’Italia di Vittorio Emanuele a quello fascista del ventennio, agli anni della repubblica italiana del dopo 1945. E allora “ci sono riusciti i nostri governanti in questi 150 anni, ognuno al proprio turno, a fare ‘l’italiano nuovo’? E, se si, anche parzialmente, ci è convenuto? Dobbiamo festeggiare?”

Per dare una risposta seria e non demagogica alla questione, il libro di Viglione ci invita a ripensare con serenità e onestà intellettuale, “l’intera parabola ideologica e storica del Risorgimento e capirne a fondo le conseguenze subite dagli italiani nel XX secolo, fino a oggi”.

Nella prima parte, Viglione sostiene che il movimento unitarista mirava a costruire una “nuova Italia”, con una nuova identità nazionale, radicalmente differente da quella cattolica e tradizionale dei secoli precedenti, successivamente poi l’autore dimostra che l’unificazione politica del popolo italiano aveva un valore strumentale e non finale.

Esiste un’identità italiana? Si esiste e la risposta ha una sicurezza oggettiva. La nostra identità è la più antica e la più definita, rispetto a tutta alla civiltà occidentale. Quali sono gli elementi essenziali di questa identità? Sono vari, ma certamente poggiano sull’ereditarietà di due epoche ultramillenarie, il cui valore non è affatto nazionale bensì del tutto universale: l’ eredità romano-pagana (con la sua idea imperiale) e l’ eredità romano-cristiana (con la sede del Vicario di Cristo presente da venti secoli nella penisola). In entrambi i casi, la città di Roma rappresenta la culla della civiltà occidentale, diventa un’idea universale per eccellenza, eredità universale per antonomasia, città universale appartenente a ogni uomo che si richiami ai suoi valori religiosi e civili. Soltanto dopo il 1870 in poi Roma diventa capitale di uno Stato nazionale di mediocri dimensioni.

La storia italiana secondo il professore Viglione si muove tra due poli: universalismo e particolarismo. Un concetto estraneo alla sua storia millenaria è quello dell’ unitarismo. “Mai l’Italia fu amministrativamente e politicamente unita dalla preistoria al 1861”, neanche al tempo dei secoli di storia romana; Roma fu unita sempre dall’universalità: “Ancora oggi Roma si presenta come l’unico caso al mondo in cui nella stessa città vivono due Stati, ed entrambi hanno come capitale Roma”. Il libro di Viglione insiste nella tesi che l’identità nazionale degli italiani sia debitrice all’azione secolare svolta dalla Chiesa romana, che è stata sempre al centro della penisola, donando alle popolazione italiane, civiltà, ordine, diritto, lingua, cultura, mentalità e potere.

L’unico elemento davvero “italiano”, è quello del cattolicesimo, lo hanno anche ribadito autori non cattolici, l’identità della società italiana preunitaria è stata forgiata dalla Chiesa cattolica che ha impregnato “fino al midollo” la sua religione, la morale, la visione della vita. Del resto, “Non possiamo non dirci cristiani” diceva Benedetto Croce.

A questo punto visto che la religione e la Chiesa cattoliche erano l’anima dell’italianità, ma anche l’unico elemento unificante delle popolazioni preunitarie, “sarebbe stato logico – per Viglione – ritenere che proprio su tale elemento si sarebbe dovuto far leva per costruire un processo di unificazione nazionale statuale di tali popolazioni”. Del resto uno dei fattori essenziali di identità di un territorio, di un Paese, sono sempre stati la religione, la lingua e l’etnia. Ma i fautori del risorgimento unitarista italiano non la pensarono così, la Chiesa cattolica, per loro era il nemico numero uno della futura Italia laica e liberale. La Chiesa era per loro il veleno da depurare nell’animo degli italiani. Non sto esagerando, il libro di Viglione evidenzia con documenti alla mano e numerose citazioni dei protagonisti come il “Risorgimento fu un movimento nella sua essenza anticattolico e nemico della Chiesa di Roma”.

Dunque gli italiani erano da fare, e proprio nella frase provocatoria di D’Azeglio che secondo Viglione, si racchiude tutta la problematica della Rivoluzione Italiana. Così, dopo aver imposto l’unificazione rinnegando la millenaria identità italiana in nome di una strada nuova, antitetica alla tradizionale civiltà italica, una ristretta élite di italiani, gli “eletti”, l’1%, scelsero di rinnegare e distruggere l’Italia “vecchia”, della maggioranza degli italiani (99%), quella vera, che c’era già, in nome della “nuova Italia”. “Vale a dire – scrive Viglione – un’Italia non più universale, non più cattolica, di lì a ottant’anni neanche più monarchica, insomma, non più ‘romana’ e, quindi, non più ‘italiana’ nel senso identitario preunitario”. Insomma occorreva, ripartendo da zero, creare una “seconda Italia”, al fine di cancellare la prima.

Quanto scrive l’autore è dimostrabile da tante affermazioni, sia dei protagonisti di quei giorni, sia dagli storici ufficiali del risorgimento. Il libro, naturalmente fa riferimento alla figura a volte misteriosa di Giuseppe Mazzini uno dei “padri della Patria”, un vero sacerdote dell’antireligione ma anche il teorico del pugnale, che plagiava decine di giovani, spingendoli fino al suicidio collettivo, in pratica mandandoli allo sbaraglio, a morire, pur sapendo di non avere nessuna speranza di far sollevare il popolo italiano che non ne voleva sapere delle idee rivoluzionarie dei vari fratelli Bandiera, dei martiri di Belfiore, dei vari Pisacane e compagni. “(…)manipoli di esaltati che presumevano di rovesciare da soli regni e sovrani, per finire immancabilmente trucidati o comunque arrestati”.

Continueremo alla prossima puntata.

Quella della Chiesa complice del Fascismo è una leggenda nera

Chi ne esce meglio è Don Sturzo
di Luca Negri
Tratto da L’Occidentale il 3 luglio 2011

Ci vuole ancora poco a finire etichettati come “clericofascisti”. Basta dichiararsi di destra e al contempo cattolici perché scatti l’automatismo della poco simpatica definizione da parte di chi è in possesso di una conoscenza superficiale della storia del Ventennio.

Non sono in pochi a dare per scontata una indubbia complicità del Vaticano con il regime, un legame stretto ed una precisa identità di vedute e scopi fra Pio XI, Pio XII e Mussolini. Poi c’è la prova inconfutabile: la frase tramandata dai libri di scuola ed attribuita a papa Ratti che salutava Mussolini come “uomo della Provvidenza”. Ebbene quella frase è un falso, una distorsione. Pio XI disse che “forse ci voleva un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare” per arrivare alla conciliazione fra Stato e Chiesa dopo sessant’anni di guerra nemmeno tanto sotterranea. Non proprio la stessa cosa, considerando poi quel “forse” che sparì del tutto nella stampa fascista. La riflessione del Papa, più un sospiro di sollievo che un’acclamazione del Duce, fu strumentalizzata dal regime e nacque la leggenda del pontefice pronto ad ungere con olio santo l’uomo di Predappio neanche fosse Carlo Magno nella notte di Natale dell’800 dopo Cristo.

Gran parte delle leggende e delle comode superficialità su quelle vicende sono smentite da un volume appena edito da Rizzoli, La Chiesa di Mussolini. I rapporti tra fascismo e religione. La firma è già una garanzia, dato che è quella di Giovanni Sale, padre gesuita con cattedra di Storia della Chiesa contemporanea nella Pontificia Università Gregoriana di Roma, redattore de “La Civiltà Cattolica” ed autore del fondamentale Hitler, la Santa Sede e gli ebrei (Jaka Book): poderoso volume che, basandosi su documenti inediti dell’archivio vaticano, ha demolito la “leggenda nera” che vuole Pio XII troppo tiepido nell’aiutare gli ebrei se non addirittura simpatizzante nazista. Con questo nuovo lavoro Sale, sempre con l’ausilio di documenti e non di preconcetti, analizza i rapporti fra la Chiesa cattolica e il fascismo dal primo dopoguerra fino al fatidico 1929, anno del Concordato. Le sorprese sono molte. Il soglio pontificio, infallibile sul piano dottrinale ma non su quella politico – come ogni istituzione umana – commise certo degli errori, ma non può certo essere accusato di complicità.

Chi ne esce peggio, tanto per cambiare, è proprio il preteso uomo della Provvidenza. Mussolini non ebbe mai una visione coerente sulla questione religiosa. Come suo solito, ricorda Sale, “si lasciò guidare dal fiuto politico astuto e opportunista”. Non era cristiano e tanto meno cattolico, professava una vaga spiritualità che si voleva un po’ nicciana e un po’ hegeliana. Era convinto in cuor suo che la fede nella Chiesa e in Cristo, come tutte le altre religioni, fosse una fase storicamente e psicologicamente immatura della coscienza umana. Il XX secolo avrebbe finalmente sotterrato quelle superstizioni per fare spazio al culto dello Stato forgiatore dell’Uomo Nuovo. Nell’attesa non si poteva prescindere dalla forza rappresentata dal Vaticano, soprattutto se si era intenzionati a governare l’Italia. Non potendo rivaleggiare con la Chiesa sul suo stesso campo, ritenendo gli italioti non ancora maturi per la verità, decise di venire a patti, con gran delusione di tutti i fascisti anticlericali, dei massoni che lo avevano aiutato nella conquista del potere e dei futuristi entusiasti “svaticanatori” d’Italia.

Fu così che il primitivo programma dei Fasci di combattimento, targato 1919, che pretendeva la confisca dei beni delle congregazioni religiose, fu ben presto accantonato. Mussolini era stato fin dalla gioventù un accanito mangiapreti, autore socialista di pamphlet ateistici ed eretici e di un romanzetto scandalistico di stampo anticlericale; ma quei testi diventarono quasi introvabili durante il Ventennio, fatti sparite per ordine dell’autore. Non che avesse cambiato idee, semplicemente c’erano milioni di compatrioti cattolici da non scandalizzare troppo. Se è vero che durante la sua unica visita in Vaticano, nel febbraio del 1932, non si inginocchiò né baciò la mano del pontefice, decise per mero calcolo di mettere ordine all’ingarbugliata situazione famigliare: fece battezzare moglie e figli e portò all’altare donna Rachele nel 1925, dopo vent’anni di unione civile. Per prendere le distanze dal liberalismo cavouriano si mise a dichiarare che la separazione fra Stato e Chiesa era “assurda quanto la separazione tra spirito e corpo”. In realtà voleva che lo Stato diventasse Chiesa e lui, come Duce, il suo papa.

Ma quello vero di Papa, Pio XI, cosa pensava di Mussolini? Cosa ne pensavano i gesuiti? Il peggio che si può dire è che considerarono il fascismo un male minore rispetto al bolscevismo ateo e materialista (le notizie che arrivavano dalla Russia certo non rassicuravano sul trattamento riservato ai cristiani…); almeno il movimento dei fasci non era fondato su di una dottrina strutturata e decisamente ostile. Forse era possibile emendarla, cristianizzarla; ci credettero in molti, compresi grandi intellettuali come Giuseppe Ungaretti e Giovanni Papini. Ma al Papa non sfuggiva certo il doppio gioco fascista: lusinghe alla curia romana ma bastonate e spedizioni squadriste a preti, attivisti, cooperative bianche nelle province. I gesuiti videro subito nelle camicie nere i continuatori delle politica laicista dei liberali con l’aggiunta dei metodi violenti tipici del socialismo massimalista. Insomma ci si fidò poco, anche se con i primi provvedimenti del governo Mussolini il crocefisso tornò sui muri dei luoghi pubblici.

Il Vaticano poi criticò aspramente l’istituzione dell’Opera Nazionale Balilla, denunciandone la vocazione totalitaria nel campo educativo e criticando lo Stato etico come del tutto contrario alla dottrina cattolica. Da quel tentativo di plasmare le menti giovanili riuscì almeno a salvare l’esistenza dell’Azione cattolica che rimase l’unica organizzazione di massa non assorbita nella struttura del regime e al cui interno si poté sviluppare buona parte della futura classe dirigente repubblicana. In sintesi, la Chiesa di Roma operò con realismo e ponderazione. Forse con qualche prudenza di troppo ma è bene considerare che la dottrina cattolica tradizionale insegnava l’obbedienza all’autorità civile legittimamente investita del potere pubblico.

Chi però esce meglio dalle vicende di quegli anni e dal libro di Sale che le racconta è don Luigi Sturzo. Il Partito Popolare da lui fondato nel 1919 aveva un programma economico-sociale riformatore, si ispirava alle verità cristiane ma non si definiva “partito cattolico”, non prendeva la religione “come elemento di differenziazione politica”, era indipendente e autonomo dalla gerarchia ecclesiastica e dalla organizzazioni di Azione cattolica. Si oppose alla legge Acerbo e Sturzo pagò con una violenta campagna giornalistica orchestrata dai fascisti (mentre molti militanti popolari sparsi per l’Italia assaggiarono più di un manganello). Il Ppi fu anche contrario alla ritirata sull’Aventino delle opposizioni dopo il delitto Matteotti, convinto che la violenza fosse da combattere politicamente senza lasciare campo aperto a Mussolini nelle sedi parlamentari.

Il Duce però intendeva distruggere il cattolicesimo politico per conquistare le masse al fascismo e dunque pretese l’allontanamento dello scomodo sacerdote. Roma sacrificò Sturzo, costretto ad un esilio lungo ventidue anni, ma riuscì a strappare i Patti Lateranensi. Con il Trattato internazionale fu istituita la nascita dello Stato del Vaticano (sovranità territoriale che poteva dare “l’evidenza della libertà ed indipendenza della Chiesa”) con il Concordato che regolava i rapporti fra Stato e Chiesa finiva l’epoca del laicismo istituzionale ed intransigente. Fu Mussolini a raccogliere i primi benefici della pacificazione del 1929: ebbe inizio la fase del consenso più esteso alla sua politica. Ma quando si dovette ricostruire l’Italia dopo il disastro della Seconda Guerra mondiale lui non c’era più e stava passando alla storia come unico responsabile. La Chiesa era invece ancora in piedi, nei suoi conventi e fra le mura del Vaticano aveva nascosto e protetto più di un membro del Cln romano.

L’altro risorgimento di Angela Pellicciari

di Domenico Bonvegna

Mentre il nostro (?) presidente Napolitano percorre l’Italia per festeggiare i 150 anni dell’unità del nostro Paese, io continuo a studiare la Storia.

Ho letto quasi tutti i libri della professoressa e storica del risorgimento Angela Pellicciari, come sempre ben documentati e disponibili ad essere letti anche da chi non è addetto ai lavori. Oggi intendo presentare L’altro Risorgimento, riedito all’inizio d’anno da Ares di Milano (pp. 288, euro 18), la 1 edizione pubblicata da Piemme nel 2000. La Pellicciari qui ma anche negli altri libri racconta l’ altro risorgimento non quello che hanno scritto gli storiografi ufficiali, qualcuno li ha definiti, cani da guardia, ma quell’altro che da qualche decennio, grazie a lei e ad altri storici, finalmente si riesce a raccontare e si ha un quadro completo di quello che è stato veramente.

Il libro racconta che il movimento risorgimentale, non solo ha commesso diversi misfatti soprattutto nei confronti delle popolazioni meridionali, in dieci anni sono stati uccisi centinaia, migliaia di uomini e donne, qualcuno arriva a contarne quasi un milione, ma soprattutto è stata condotta una guerra contro la Chiesa Cattolica, che per i liberali massonici rappresentava il male assoluto da estirpare.

Mazzini, Garibaldi e compagni, fin dalla proclamazione della Repubblica Romana, nel 1848, si consideravano i veri romani, gli eredi dell’antica Roma. Scrive Monsignor Luigi Negri, nell’introduzione al libro: “Il Risorgimento per costoro significa l’agognata riconquista, dopo tanti secoli, dell’unità e dell’indipendenza nazionali, indispensabili per occupare un ‘posto al sole’ all’interno del consesso ‘civile’; significa la vittoria della libertà sull’oscurantismo, l’arretratezza e la violenza dei governi pontificio e borbonico… “

Il pregio del testo della Pellicciari è di essere documentato, di far parlare i protagonisti, del resto la Storia non si può fare con la retorica o peggio con l’ideologia. Ho presente un dibattito su La7, dove il povero Marco Rizzo, ex deputato comunista, per giustificare le sue affermazioni gratuite sul risorgimento, a domanda della Pellicciari: “Chi gliela detto?”, rispondeva: “Mia mamma”.

I protagonisti del risorgimento sono gli eredi di Napoleone, che era venuto in Italia per fare una battaglia rivoluzionaria anticattolica, sono quei militari, borghesi che si sono arricchiti con la legale spoliazione dei beni della Chiesa, cadetti delle casate nobiliari, studenti romanticamente attratti dall’ideale nazionale. Sono loro che pensavano allora all’indipendenza e alla rigenerazione dell’Italia, meno che poche eccezioni, la schiuma sopraffina della canaglia, che si riuniva misteriosamente nelle vendite dei carbonari, così si esprimeva Massimo D’Azeglio, nei Miei ricordi.

I loro intenti erano ben descritti in una Istruzione permanente, redatta nel 1818, un testo di particolare interesse, perché secondo la Pellicciari, si capisce qualcosa di più del come e del perché si sia giunti alla formazione del Regno d’Italia : “il nostro scopo finale – sostiene l’Istruzione – è quello di Voltaire e della rivoluzione francese, cioè l’annichilimento completo del cattolicesimo e perfino dell’idea cristiana”. Tutto questo avverrà con la corruzione, maldicenza e la calunnia, per condurci al seppellimento della Chiesa cattolica.

In pratica il governo sardo scatena in Piemonte la prima seria persecuzione anticattolica dall’epoca di Costantino, immediatamente estesa al resto d’Italia dopo l’unificazione. L’1, 70% della popolazione di fede liberale (quella che ha diritto di voto) decide la soppressione, uno dopo l’altro, a cominciare dai gesuiti, di tutti gli ordini religiosi della religione di stato. Iniziate nel 1848 dal Regno di Sardegna, le soppressioni sono ultimate dal Regno d’Italia nel 1873, dopo l’annessione di Roma. Un numero davvero ingente di persone, 57. 492 fra uomini e donne, tanti sono i membri degli ordini religiosi soppressi, vengono messi sul lastrico, cacciati dalle proprie case, privati del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto.

Tutto questo in nome della libertà e della costituzione. La Pellicciari documenta tutto, facendo riferimento a decine di encicliche, allocuzioni di Pio IX, dove descrive nel dettaglio quali persecuzioni, violenze e rapine facciano seguito alle sbandierate ragioni di costituzionalità e libertà, e denuncia la lotta senza quartiere che le società segrete, a cominciare dalla Massoneria, conducono in tutto il mondo contro la Chiesa cattolica. L’11 agosto 1863 “Il Diritto”, uno dei giornali della sinistra liberale piemontese, scrive: “La nostra rivoluzione tende a distruggere l’edificio della Chiesa cattolica; deve distruggerlo e non può non distruggerlo senza perire. Nazionalità, unità, libertà politica sono mezzi a quel fine”.

Il paradosso di questa vicenda è che i liberali si dichiarano ferventi cattolici, infatti la Chiesa ha sempre combattuto contro tanti nemici, questa volta però l’insidia è più grande perché i nemici non combattono a viso aperto ma si dichiarano cattolici e sinceramente devoti al bene della Chiesa.

Angela Pellicciari, ha studiato tutti gli atti parlamentari del Regno Piemontese, Cavour, ingaggia una durissima guerra contro la Chiesa Cattolica, il 28 novembre 1854 presenta in Parlamento il progetto di legge per la Soppressione di comunità e stabilimenti religiosi ed altri provvedimenti intesi a migliorare le condizioni dei parroci più bisognosi. Impiega sei mesi per discutere e approvare la rivoluzionaria iniziativa, ufficialmente per permettere di vivere ai parroci poveri. Polemicamente la Pellicciari si chiede: si è domandato se i destinatari di tanto beneficio approvino il suo operato? L’intento dei liberali era il divide et impera.

Alla fine prevale il pensiero di Carlo Cadorna, che nel 1855, spiega cosa significa libera Chiesa in libero Stato : tutto quello che si vede cade sotto l’influenza del potere temporale, cioè della Stato ; tutto quello che non si vede cade sotto la giurisdizione del potere spirituale, cioè della Chiesa. Così la Chiesa che Cadorna ha in mente è un’assemblea di puri spiriti e così i beni della Chiesa, essendo ben visibili, cadono sotto la giurisdizione dello stato che può disporne a piacimento. Così a questo punto appare evidente che la Chiesa se non può possedere nemmeno le case in cui vivono i monaci e frati, figurarsi se può legittimamente pretendere al possesso di un intero stato.

I liberali diventano proprietari con due soldi di tutti i beni sottratti al 98% della popolazione (Chiesa e pubblico demanio). Pio IX e Leone XIII (e la Chiesa con loro) sono convinti che il tanto decantato Risorgimento sia solo un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», voluto e promosso dalla Massoneria nell’intento di distruggere il potere spirituale usando come grimaldello la fine del potere temporale. Il risveglio del sentimento «nazionale» avrebbe di mira, secondo questo punto di vista, la distruzione dell’universalismo cattolico per soppiantarlo con un potere internazionale di tipo nuovo, al passo con i tempi, radicalmente anticattolico.

In questo secolo la storiografia liberale sia laica che cattolica ha dato voce alle dichiarazioni di intenti della classe dirigente risorgimentale ma ha dimenticato i fatti ed ha messo la sordina alla stampa e alla storiografia cattoliche dell’Ottocento col risultato che, oggi, si conoscono solo le ragioni dei liberali, cioè dei vincitori.

Concludo citando la Pellicciari, “se fosse vero che la Massoneria scatena in Italia una guerra senza quartiere contro la Chiesa cattolica utilizzando i Savoia e i liberali come testa di ponte, allora gli artefici del Risorgimento sarebbero non i primi italiani ma i primi antiitaliani. Allora la nostra storia unitaria, e non solo quella, andrebbe vista sotto un’altra ottica. E chissà che questa ottica non ci procuri elementi per capire qualcosa di più. Il 18 agosto 1849 Pio IX scrive alla granduchessa Maria di Toscana: sebbene «la tutela del dominio temporale della S. Sede sia in me un dovere di coscienza, pur nonostante è un pensiero assai secondario in confronto dell’altro che mi occupa, di procurare cioè che i popoli cattolici conoscano la verità». Quale è la verità? Questo libro si propone di cercarla”.

Difendere la Chiesa cattolica

Un nuovo libro utile contro la disinformazione
di padre John Flynn, LC

Tratto dal sito ZENIT, Agenzia di notizie il 6 giugno 2011

L’anticattolicesimo potrebbe anche essere l’ultimo dei pregiudizi presenti nella società odierna, ma per l’autore e giornalista canadese Michael Coren non è qualcosa da sottovalutare.

Nel suo libro “Why Catholics Are Right” (McClelland and Stewart), recentemente pubblicato, l’autore prende in esame una serie di critiche comuni contro la Chiesa. Core, nato in una famiglia non praticante, con padre ebreo, è diventato cattolico quando era ventenne.

Essere ebreo lo ha aiutato nella sua carriera, mentre – come spiega nell’introduzione al suo libro – la sua fede cattolica lo ha portato a perdere due lavori e a vedersi chiudere molte porte in faccia nel mondo dei media.

Nel volume prende le mosse da una questione che – dice – non avrebbe voluto e dovuto trattare: quella degli scandali sessuali del clero. Riconosce l’enorme danno subito da molte persone a causa degli abusi, ma sostiene anche che alcune critiche sono ingiustificate.

Gli abusi non dicono nulla di specifico sul Cattolicesimo, insiste Coren. In questo senso, i critici che sono ansiosi di dimostrare che questi scandali sono legati alle strutture o agli insegnamenti della Chiesa ignorano il fatto che gli abusi da parte del clero avvengono nelle altre Chiese e religioni con frequenza uguale o persino più alta.

In seguito agli scandali, la Chiesa cattolica ha imparato la lezione ed è oggi uno dei contesti più sicuri per i giovani, afferma Coren. A questi eventi dovrebbero giustamente seguire le condanne dei reati, ma non la condanna della Chiesa, conclude.

Un altro capitolo tratta di eventi storici come le Crociate e l’Inquisizione. È vero che la Chiesa non ha sempre agito nel modo migliore, ammette, ma nell’insieme è stata eticamente all’avanguardia ed ha rappresentato una spinta verso il bene.

Le Crociate
Sulla questione delle Crociate, Coren ricorda che la Terra Santa era cristiana ed è stata ad un certo punto invasa dai musulmani.

È errato pensare alle Crociate come a una sorta di imperialismo o colonialismo, secondo Coren. Lungi dall’essere una forma di sfruttamento e di fonte di profitto, molte famiglie nobili si sono ridotte al lastrico per sostenere le spese per armare e mantenere i cavalieri e il loro seguito.

Le ricerche moderne smentiscono chi afferma che molti crociati erano i figli di famiglie povere in cerca di un bottino da saccheggiare. Erano invece spesso le élite della cavalleria europea, spiega il giornalista.

Nei territori conquistati con le Crociate, la popolazione musulmana poteva continuare la sua vita normale senza subire forti pressioni per la loro conversione al Cristianesimo. Cosa possiamo dunque concludere sulle Crociate, si chiede Coren?

“Non sono state il momento migliore della storia cristiana, ma neanche corrispondono alla puerile caricatura dell’attuale senso di colpa dell’Occidente e certamente neanche all’odierna paranoia musulmana”, afferma.

Riguardo all’Inquisizione l’autore osserva che l’accusa di fondo è che i cattolici sarebbero stati i più perfidi di tutti e che, appunto, solo la Chiesa avrebbe potuto organizzare qualcosa come l’Inquisizione.

Questo è semplicemente ridicolo, secondo l’autore, che ricorda anzitutto che sono stati massacrati più uomini e donne in un paio settimane, durante l’atea Rivoluzione francese, rispetto a quanti ne siano morti in un secolo di Inquisizione. Vi sono state inquisizioni anche in una serie di nazioni protestanti – osserva – dirette in particolare contro chi era sospettato di stregoneria.

Torture
Lo scopo dell’Inquisizione era quello di combattere gli errori dottrinali e le eresie, al fine di riportare la gente alla Chiesa, spiega Coren. La tortura esisteva, ma era in uso soprattutto nel contesto secolare. L’Inquisizione ne ha fatto uso in misura eguale e, anzi, solitamente inferiore rispetto alle altre autorità giudiziarie dell’epoca.

La maggior parte delle critiche si incentrano sull’Inquisizione spagnola. Aprendo una parentesi, l’autore si chiede perché non si dà un’attenzione altrettanto grande ai massacri e alle torture di molti cattolici, per mano di Enrico VIII e della regina Elisabetta I in Inghilterra.

È vero che inizialmente i Papi sostenevano l’Inquisizione spagnola, ma questa divenne presto un’emanazione dello Stato e della Monarchia. Dopo la definitiva sconfitta dei musulmani in Spagna, un gran numero di persone si convertì, dall’Islam o dall’Ebraismo, al Cattolicesimo.

Molte erano conversioni genuine, ma poiché era economicamente e politicamente vantaggioso essere cattolici, alcune non erano autentiche. Questo portò l’Inquisizione a indagare sulla condizione dei convertiti.

Certamente sono stati commessi abusi, afferma Coren, ma per quanto la Spagna potesse essere una società malsana, essa non ha poi vissuto quelle sanguinose guerre civili di religione di cui hanno sofferto molti altri Paesi europei.

L’Inquisizione è passata in gran parte inosservata nella storia, finché nella metà del XIX secolo gli scrittori anticattolici l’hanno usata e distorta per attaccare la Chiesa, secondo Coren.

Un’altra frequente critica sulla Chiesa riguarda le sue ricchezze. “Siamo imputati del solito adagio secondo cui la Chiesa gronda di soldi mentre il resto del mondo muore di fame”, osserva Coren.

Certo c’è molta ricchezza in Vaticano, nei musei che sono aperti al pubblico. La Chiesa ha conservato queste opere d’arte per secoli e le mantiene come patrimonio per l’umanità.

Vendere queste opere e ridistribuirne il ricavato sarebbe una misura “una tantum” i cui benefici verrebbero presto esauriti. I tesori d’arte vengono invece conservati per il futuro, resi disponibili a tutti e non reclusi in collezioni private.

Inoltre, aggiunge Coren, la Chiesa cattolica costruisce e gestisce ospedali, scuole e fa un enorme lavoro caritativo in tutto il mondo.

Vita
Uno dei capitoli è dedicato al tema della vita e della sessualità. La Chiesa è spesso accusata per le sue posizioni su aborto, preservati e contraccettivi.

La posizione che la Chiesa cattolica assume in questi ambiti non si fonda solo su considerazioni morali, ma è sostenuta anche dalla scienza e dai diritti umani, sostiene Coren.

L’affermazione secondo cui una nuova vita esiste dal momento del concepimento possiede solide fondamenta biologiche, afferma. Il feto è una nuova vita umana e come tale dovrebbe avere il diritto di esistere. Ciò nonostante, negli ultimi anni, i militanti pro-vita sono stati spesso dipinti come degli estremisti.

Inoltre, mentre la società contemporanea si considera più avanzata e tollerante rispetto a qualunque periodo del passato, i disabili o handicappati ancora non nati vengono oggi scientemente individuati e uccisi.

Un altro tema è quello dell’opposizione della Chiesa all’uso delle cellule staminali embrionali per la ricerca. Questo è usato dai detrattori della Chiesa per accusarla di ostacolare le cure contro le malattie che potrebbero diventare efficaci in un futuro molto vicino.

La verità, tuttavia, è che non esistono cure funzionanti che usino cellule staminali embrionali. Alcuni successi sono stati invece ottenuti con l’impiego di cellule staminali adulte, cosa che non è contrastata dalla Chiesa, sottolinea Coren.

Riguardo al preservativo e alla contraccezione, la Chiesa avverte da decenni che la loro diffusione sarebbe stata dannosa per la società. Infatti – afferma Coren – vi è stato un continuo aumento delle malattie sessualmente trasmissibili, dei divorzi, dei fallimenti familiari e la sessualità è stata progressivamente degradata da ciò che dovrebbe essere un atto d’amore a un mero interscambio di fluidi organici.

L’opera di denigrazione ai danni della Chiesa e di Benedetto XVI, per la loro opposizione all’uso del preservativo nelle politiche di contrasto all’AIDS, è un ulteriore caso di diffamazione, afferma Coren. L’esperienza maturata in Africa dimostra che l’impiego del preservativo semplicemente non ha funzionato. Invece, i programmi basati sull’astinenza e la fedeltà sono quelli che hanno dato i migliori risultati.

Il libro di Coren tratta anche molti altri argomenti e non esita a difendere la Chiesa contro ciò che considera degli attacchi disinformati. Il libro costituisce un utile strumento per chi è interessato a replicare ai fendenti scagliati fin troppo spesso contro la Chiesa.

La Chiesa ha le sue colpe ma non è mai stata un potere totalitario

Un saggio di Rodney Stark fa chiarezza
di Luca Negri
Tratto da L’Occidentale il 29 maggio 2011

Forse è vero che l’anticristianesimo, o meglio l’anticattolicesimo, è l’antisemitismo dei colti. Colti mica tanto, però; i pregiudizi e i luoghi comuni sulla storia della Chiesa paiono fondarsi soprattutto sull’ignoranza settoriale dei pretesi intellettuali, sul pigro affidarsi alla propaganda ideologicamente partigiana di certo illuminismo settecentesco e della massoneria ottocentesca. Diversi luoghi comuni privi di riscontro scientifico sono stati ereditati di sciatteria in sciatteria fino a giungere alle bocche dei fanatici che scrivono sul forum dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti e all’anticlericalismo da classifica di Piergiorgio Odifreddi. Ogni tanto, però, esce qualche libro che fa un po’ di chiarezza, come A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù, appena edito da Lindau. La lettura di questo tomo di oltre cinquecento pagine dovrebbe essere imposta ai sacerdoti, i primi che spesso ignorano la storia dell’istituzione di cui fanno parte e non si risparmiano castronerie tenendo la predica domenicale. Ma soprattutto sarebbe un ottimo libro di testo per molti corsi universitari.

Infatti l’autore, Rodney Stark, è docente di Scienze sociali presso la Baylor University del Texas. Un particolare non da poco; Stark non è un apologeta cattolico (nemmeno è di confessione cattolica) né un libellista che intende stupire con tesi controcorrente ed originali. E’ un sociologo, uno scienziato che lavora su fonti storiche, dati, statistiche. Raramente offre a lettori e studenti opinioni proprie, semmai teorie sempre motivate, ed ampie bibliografie per suffragare le sue conclusioni (quella del libro in questione conta circa cinquanta pagine). Così è stato per le sue opere precedenti, fra le quali ricordiamo il fondamentale “Gli eserciti di Dio”, dove dimostrava che le crociate non furono atti di guerra imperialista dell’Europa malvagia contro il pacifico islam ma “una reazione obbligata all’aggressività di un’orda che si spingeva sempre più in là e che doveva essere fermata”. Le leggende metropolitane che Stark demolisce per mezzo di questo nuovo saggio sono in sintesi le seguenti: la civiltà cattolica medioevale e moderna ha ferocemente sterminato gli eretici, messo sul rogo centinaia di migliaia, se non milioni, di streghe, impedito il progresso della scienza, benedetto la politica colonialista e schiavista delle potenze europee. Però la verità, quella che rende liberi, è un’altra. Così si deduce volendo leggere veramente la storia, non fermandosi ai capitoletti dei libri delle scuole medie o alle divulgazioni televisive.

Stark ci ricorda che dal VI secolo fino all’XI inoltrato Roma “non intraprese alcuna azione nei confronti delle eresie” e fu molto tollerante nei confronti del paganesimo ancora diffuso in gran parte dell’Europa. Con quasi tutte le sette passò “secoli in futili tentativi di compromesso ideologico”. Infine diede dimostrazione di gran capacità nell’assorbire le eresie, nell’“incapsulare l’impulso settario all’interno della propria struttura istituzionale”, soprattutto grazie agli ordini religiosi. I nemici dell’ortodossia divennero pungolo inevitabile, stimolo al cambiamento, allo scuotimento del “lassismo nel gruppo di potere religioso” (proprio il “lassismo dei monopoli” descritto da Adam Smith). I grandi massacri, come quelli dei catari o degli ugonotti, ebbero motivi certamente più politici che dottrinali. La tolleranza cattolica si interruppe al cospetto della seria minaccia esterna rappresentata dall’islam; la mobilitazione per le imprese in Terrasanta ridusse gli spazi di libertà ed ispirò le prime stragi di ebrei; compiute da cavalieri improvvisati, però, e condannata, ostacolata per quanto possibile dalle gerarchie ecclesiastiche.

Dunque nessun olocausto di eretici. Ma per quanto riguarda le streghe? “Pochi argomenti hanno generato così tante sciocchezze e assolute invenzioni come la caccia alle streghe”, scrive Stark. “Perfino l’attuale letteratura abbonda di cifre assurde sul numero delle streghe condannate”. Non furono milioni, ma 60. 000 circa (facendo una stima abbondante) nel corso di ben tre secoli. Certo non sono poche, ma la differenza degli zeri è significativa: è quella che corre fra il controllo sociale della devianza e la tirannia totalitaria. Ma le sorprese non finiscono qua. Siete affezionati all’immagine dell’inquisitore medioevale che getta nel fuoco carrettate intere di belle e conturbanti streghette? Dimenticatela. Prima di tutto, almeno un terzo dei condannati erano uomini, stregoni insomma. Poi i tribunali ecclesiastici, in primis la famigerata Inquisizione spagnola, risultano dai documenti di gran lunga più garantisti e cauti di quelli sotto il controllo del potere politico o improvvisati dal popolo (oggi diremmo dalla “società civile”). I cattolici, comunque, assolvevano quasi sempre, mentre i protestanti erano di gran lunga più severi (il record della condanne spetta alla Svizzera, seguita dalla Germania, fanalino di coda una sorprendete Spagna). A proposito di protestanti, furono loro a scovare un nesso accusatorio fra la pratica della magia naturale e il satanismo; ossessione invece rarissima nei paesi mediterranei.

Forse queste streghe e stregoni erano proletari che praticavano una primitiva lotta di classe contro i potenti? Mica tanto. Spesso appartenevano alla classe media urbanizzata. Senza dubbio ci andarono di mezzo molti innocenti, ma non è escluso che certe accuse non fossero completamente infondate e comprendessero altri reati come lo stupro, la circonvenzione, l’infanticidio. La caccia alle streghe terminò comunque con la pace di Vestfalia, nel 1648, con la fine della guerra dei Trent’anni, e della conseguente tensione così simile a quella dell’epoca delle Crociate che avevano messo nei guai gli eretici di qualche secolo prima. Quante condanne vi furono in Italia? Poche, nemmeno un centinaio in tre secoli; il diritto canonico prescriveva la pena di morte solo in casi eccezionali.

Ma nel Medioevo, tutti credevano che la terra fosse piatta? Figuriamoci, basterebbe andare a leggersi Tommaso d’Aquino, rileggersi Dante, scoprire che già nel VII secolo il Venerabile Beda (il padre della datazione “prima e dopo Cristo”) scriveva di trovarsi su di una sfera rotante e non su di un tavoliere galleggiante nello spazio. Stark afferma il contrario di Odifreddi e dei sui fan: “non esiste nessun conflitto intrinseco fra religione e scienza, anzi la teologia cristiana fu essenziale per la nascita della scienza”. Il Medioevo non fu un’epoca buia d’ignoranza e superstizione, tutt’altro: vi fu un “rapido e profondo progresso tecnologico” che ci lasciò le ruote idrauliche, i mulini, gli orologi meccanici, le bussole (inventate anche dai cinesi, che però non sapevano che farsene). Le principali figure scientifiche del XVI e XVII, secolo erano poi tutti devoti cristiani e non certo aspiranti soci dell’UAAR e l’eliocentrismo era un prodotto con sopra il marchio delle università cattoliche, dall’insegnamento di Ockham a quello di Copernico. Sulla vera storia del processo a Galileo si sono sovrapposte un bel po’ di esagerazioni, e le omissioni sulla profonda fede e gli studi teologici di Newton hanno un che di vergognoso. La scienza moderna, dunque è figlia in gran parte del tomismo e lo stesso si può dire del concetto stesso di libertà.

“Per l’opposizione morale alla schiavitù fu essenziale la teologia cristiana”, afferma Stark. Il possedere schiavi fu considerato peccato grave e venne proibito dalla Chiesa durante tutto il Medioevo, dai temi di Clodoveo (VII secolo d. C.) in poi. Quella deprecabile usanza conosciuta in tutto il mondo antico, nessuna civiltà esclusa, scomparve in Europa solo con l’affermarsi del società feudale. Ma l’ultimo dei marxisti può obbiettare che c’erano comunque i “servi della gleba”, no? Niente a che vedere, come riconoscono tutti gli storici del periodo, Marc Bloch compreso. I contadini che zappavano all’ombra del castello “godevano di libertà assolutamente sconosciute agli antichi schiavi”: avevano un’anima, erano persone e non oggetti di proprietà del padrone, potevano gestirsi i tempi di lavoro, ed avevano diritto a giorni di riposo santificati. Non erano paria, ma individui pienamente inseriti nello schema di “obblighi reciproci” tipico della società feudale. Non appena la vera schiavitù ricomparve nel XV secolo per trovare forza lavoro diretta nel Nuovo Mondo, cominciò la secolare sfilza di bolle pontificie che condannavano il fenomeno. L’evidenza storica del fatto che non fossero inascoltate dal potere politico e da quello economico dimostra solo quanto poco potere detenesse la stessa Chiesa di Roma. Furono comunque i gesuiti a mettere in crisi il modello schiavista nel centro e sud America, mentre altri cattolici fecero la loro parte, in compagnia dei quaccheri, all’interno del movimento abolizionista statunitense. Certo rimane la macchia indelebile del turpe commercio di uomini praticato da europei battezzati, con la complicità però dei mercanti africani delle coste che catturavano e vedevano gli uomini e le donne del loro stesso continente. E la macchia è condivisa dal mondo islamico, che mai smise di schiavizzare, e perfino da alcune tribù indiane del Nord America. Vi furono europei favorevoli alla schiavitù, ma non cercateli fra i cattolici. Li trovate nei salotti intellettuali degli illuministi. I loro nomi? Hobbes, Voltaire, Montesquieu, Mirabeau.

Contro i cristiani riabilitano anche Nerone

Nerone “santo subito”. È stata sufficiente una mostra inaugurata il 12 aprile a Roma (durerà fino al 18 settembre) per beatificare l’imperatore romano (37-68 d.c.) salito al potere all’età di 17 anni e morto suicida a 31. Tutta colpa della storiografia contemporanea e cristiana, sentenziava il 12 aprile su La Stampa Silvia Ronchey: gli storici hanno attribuito a Nerone i «bui tratti di molti altri imperatori» e hanno ignorato invece il «raffinato carisma» di un sovrano che sarebbe stato modello dell’ “imperatore filosofo” Marco Aurelio, istruito nella paideia (educazione) greca, campione sportivo, poeta, attore e musicista… Così come sono state oltremodo stigmatizzate, secondo la Ronchey, «le condanne inflitte alla minoranza cristiana dopo l’incendio attribuitole dalla plebe», ma non dal sovrano… E anche Popotus, il pregevole giornale per bambini di Avvenire, il 5 aprile scorso, dedicava all’imperatore un titolone ambiguo: «Piromane forse, di sicuro pompiere», asserendo che Nerone, dopo il famoso incendio del 64, tornò da Anzio nella capitale «per organizzare i soccorsi e limitare i danni, mettendo a disposizione i suoi giardini per fornire agli sfollati un ricovero e assicurare loro i viveri».

Nessuno tocchi Nerone, insomma. Come se fossero stati incidenti di percorso le persecuzioni anticristiane e gli omicidi di cui si macchiò: il fratellastro Britannico, la madre Agrippina, la prima moglie Ottavia, l’adorata seconda moglie Poppea, il maestro Seneca…

Ma chi era davvero Nerone? Alfredo Valvo, docente di Storia romana all’Università Cattolica di Brescia è assai stupito. «Questi articoli non fanno bene alla verità storica, ma la ridicolizzano. Sono colpito dalla lettura di tante inesattezze. Stiamo parlando di un imperatore megalomane che dal 62 fino alla fine, nel 68, si è macchiato di delitti ignobili. Faceva leva sugli strati più bassi del popolo per consolidare un potere autocratico e teocratico. Un’auto-divinizzazione che non ha nulla a che vedere con la paideia greca: perseguitò allo stesso modo gli stoici e i cristiani. Altro che “raffinato carisma”: mise in atto raffinate crudeltà».

Ma si può dire che le prime persecuzioni anticristiane ci furono solo durante l’impero di Domiziano (81-96)?

Non è così. Oltre ad autori cristiani come Melitone, Tertulliano e Lattanzio, sappiamo da fonti al di sopra di ogni sospetto, come Tacito e Svetonio, che Nerone perseguitò i cristiani, ne fu anzi il primo persecutore, a meno di non mettere in discussione fonti autorevoli come quelle citate. Da Tertulliano sappiamo che un Senato Consulto del 35 d.C., quindi dell’età di Tiberio, aveva dichiarato la religione cristiana illecita (superstitio illicita), diversamente dal Giudaismo, del quale i cristiani inizialmente rappresentarono una costola, ed è questo provvedimento, con molta probabilità, all’origine delle persecuzioni. L’atteggiamento di Nerone verso i cristiani fu tollerante fino al 62 quando Nerone decise di solidarizzare con le correnti filo-giudaiche in tutto l’impero romano che vedevano nel cristianesimo un pericolo. Secondo Tacito, che è il solo a collegare la persecuzioni anti-cristiana con l’incendio di Roma, nell’anno 64, la colpa di esso ricadde sui cristiani. Nerone sarebbe stato responsabile di questa “operazione” per allontanare da sé i sospetti di essere l’ispiratore e il regista del tragico incendio. Tacito parla di ingens multitudo di cristiani martirizzati.

A proposito dell’incendio, chi fu il mandante?
Come ricordava Marta Sordi, a parte Tacito che riporta accanto alla responsabilità di Nerone (dolo principis) anche la versione di coloro che attribuivano l’incendio al caso, le fonti antiche concordano nell’imputarlo a Nerone: da Plinio Il Vecchio a Tacito, Svetonio e Cassio Dione. Non si può concludere con certezza che la responsabilità dell’incendio sia stata sicuramente di Nerone, anche perché ancora nel I secolo gli incendi erano all’ordine del giorno in quanto molte case romane erano fatte di materiale incendiabile e non era raro che interi quartieri di Roma andassero a fuoco. Di sicuro, però, Nerone non fece nulla per spegnere l’incendio. È infondata l’ipotesi che si sia adoperato per “limitare i danni”. Anche le fonti che definiscono l’incendio fortuito raccontano che fu alimentato da uomini dell’imperatore il quale era ben contento di dar vita così al nuovo assetto urbanistico di Roma. Progetti come la Domus Aurea o il colosso di Nerone testimoniano la megalomania di Nerone.

È vero che la storiografia e le rappresentazioni di Nerone nel corso dei secoli ne hanno sminuito le sue doti culturali?

L’amore per la poesia, la musica e l’arte faceva parte dell’educazione che veniva data ai principi all’interno del palazzo. Comunque Nerone non era colto quanto Adriano, che era un amante del bello nel senso più elevato, ed era un uomo dotato di grande equilibrio. Se la storiografia è stata ostile a Nerone, lo è stata per il suo comportamento paranoico, per la voglia smisurata di mettersi sempre e comunque in evidenza: era geloso persino dei suoi generali. E soprattutto gli storici hanno sottolineato i delitti di cui si rese colpevole. Poppea venne uccisa con un calcio mentre era incinta. Seneca, suo maestro, stoicamente preferì togliersi la vita. Per non parlare, appunto, delle persecuzioni contro i cristiani: anche Adriano e altri imperatori fecero condannare alcuni credenti ma sicuramente Nerone fu tra i principali protagonisti di esse.

Eppure pare che il popolo lo adorasse…
Ma parliamo degli strati di popolazione più bassi e perciò ricattabili. Il popolino di Roma era una massa informe: bastava una parola d’ordine per allinearsi. Aspettavano la sportula, il necessario per sopravvivere. Erano costretti ad assecondare il padrone. Nerone fu criticato in seguito all’incendio, ma attraverso la sua politica di compiacere il popolo riuscì ad accattivarsi la plebaglia, non tutto il popolo. E il fatto che dopo la sua morte molti si augurassero che ritornasse in vita non vuol dire granché: allora si pensava che tutti gli imperatori ricevessero l’apoteosi e che fossero assunti tra gli dei. E l’attesa di un ritorno, come l’età dell’oro, faceva parte della cultura romana.

Napoleone Bonaparte avrebbe detto che «il popolo amava Nerone perché opprimeva i grandi ma era lieve con i piccoli».
Per fortuna Napoleone non era uno storico. Il culto della personalità imposto da Nerone riguardava tutti. E il fatto che si accanisse contro l’aristocrazia aveva anche un tornaconto economico: tutti quelli che venivano accusati di lesa maestà erano anche spogliati dei loro beni. L’imperatore aveva dilapidato enormi fortune per progetti urbanistici dissennati, tanto che Vespasiano dovette faticare parecchio per rimettere a posto i conti dell’impero.

La Ronchey mette anche in dubbio la decapitazione di san Paolo che invece sarebbe stato assolto da Nerone…

Questi sono errori inspiegabili. Paolo fu dapprima assolto in un processo, ma non per merito di Nerone. Egli venne decapitato nel 63, negli anni in cui imperversava la violenza dell’imperatore. Sono davvero tante le fonti cristiane che lo attestano: Eusebio di Cesarea, Melitone, Lattanzio, Tertulliano e molti altri. D’altra parte, il martirio di Paolo poteva benissimo essere ignorato dalle fonti pagane. La storiografia del novecento ha avvalorato le fonti. Ma c’è ancora, talvolta, un uso improprio, anche ideologico della storia, che tende ad escludere accusandole di partigianeria le testimonianze di autori cristiani. Si cerca di far passare i cristiani come persecutori e non come perseguitati (e gli scritti apologetici, gli Atti dei martiri erano esercizi letterari?) e di riabilitare certi imperatori che sarebbero vittime della storiografia cristiana, in quanto laici. Ma queste ricostruzioni pseudo-storiche non rendono un buon servizio alla verità.

di Antonio Giuliano da La Bussola Quotidiana