da Baltazzar | Ott 3, 2013 | Chiesa, Papa Francesco
di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Nell’udienza generale del 2 ottobre Papa Francesco, proseguendo le sue catechesi sul «Credo», dopo avere esaminato la settimana scorsa la proposizione «Credo la Chiesa una», ha proposto una meditazione sull’affermazione successiva: «Credo la Chiesa santa».
La santità della Chiesa, ha detto il Papa, «è una caratteristica che è stata presente fin dagli inizi nella coscienza dei primi cristiani, i quali si chiamavano semplicemente “i santi” (cfr At 9,13.32.41; Rm 8,27; 1 Cor 6,1), perché avevano la certezza che è l’azione di Dio, lo Spirito Santo che santifica la Chiesa». Ma oggi come possiamo credere che la Chiesa è santa? Con «uomini peccatori, donne peccatrici, sacerdoti peccatori, suore peccatrici, Vescovi peccatori, Cardinali peccatori, Papa peccatore? Tutti. Come può essere santa una Chiesa così?».
Francesco risponde citando la «Lettera agli Efesini», dove san Paolo ci assicura che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (5,25-26). La Chiesa non è santa perché è fatta solo di santi, «è santa perché procede da Dio che è santo», perché è stata fondata da Gesù Cristo ed è guidata dallo Spirito Santo. «Non è santa per i nostri meriti, ma perché Dio la rende santa, è frutto dello Spirito Santo e dei suoi doni. Non siamo noi a farla santa. È Dio, lo Spirito Santo, che nel suo amore fa santa la Chiesa».
Tuttavia, l’obiezione ritorna: «ma la Chiesa è formata da peccatori, lo vediamo ogni giorno. E questo è vero: siamo una Chiesa di peccatori; e noi peccatori siamo chiamati a lasciarci trasformare, rinnovare, santificare da Dio». Attenzione però: sbaglierebbe chi volesse una Chiesa solo di santi. Ripeterebbe una vecchia eresia. «C’è stata nella storia la tentazione di alcuni che affermavano: la Chiesa è solo la Chiesa dei puri, di quelli che sono totalmente coerenti, e gli altri vanno allontanati. Questo non è vero! Questa è un’eresia!». La Chiesa, che pure è santa, «non rifiuta i peccatori; non rifiuta tutti noi; non rifiuta perché chiama tutti, li accoglie, è aperta anche ai più lontani, chiama tutti a lasciarsi avvolgere dalla misericordia, dalla tenerezza e dal perdono del Padre, che offre a tutti la possibilità di incontrarlo, di camminare verso la santità».
E nessuno deve pensare che, a causa dei suoi peccati, la Chiesa santa non lo accolga. Bisogna però essere chiari: accoglie lui, non i suoi peccati, e lo accoglie se si riconosce peccatore e bisognoso di perdono. «Ma il Signore vuole sentire che gli diciamo: “Perdonami, aiutami a camminare, trasforma il mio cuore!”. E il Signore può trasformare il cuore». «Se hai la forza di dire: voglio tornare in casa, troverai la porta aperta, Dio ti viene incontro perché ti aspetta sempre, Dio ti aspetta sempre, Dio ti abbraccia, ti bacia e fa festa». Ma devi trovare la forza di pronunciare quelle parole, che riconoscono il peccato e chiedono il perdono.
Neppure, però, bisogna accontentarsi di non essere grandi peccatori. Tutti siamo chiamati a essere santi. «Dio ti dice: non avere paura della santità, non avere paura di puntare in alto, di lasciarti amare e purificare da Dio, non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. Lasciamoci contagiare dalla santità di Dio. Ogni cristiano è chiamato alla santità». La santità infatti «non consiste anzitutto nel fare cose straordinarie, ma nel lasciare agire Dio», nel favorire «l’incontro della nostra debolezza con la forza della sua grazia».
Francesco ricorda che il Vaticano II, nella «Lumen gentium», ha insegnato che tutti siamo chiamati a essere santi. Ma il Concilio non ha inventato la nozione di chiamata universale alla santità. Come aveva fatto, sorprendendo molti, l’inizio del suo pontificato, nella prima omelia del 14 marzo, Papa Francesco cita ancora lo scrittore francese controverso e radicalmente antimoderno Léon Bloy (1846-1917), che «negli ultimi momenti della sua vita diceva: “C’è una sola tristezza nella vita, quella di non essere santi”. Non perdiamo la speranza nella santità, percorriamo tutti questa strada. Vogliamo essere santi? Il Signore ci aspetta tutti, con le braccia aperte; ci aspetta per accompagnarci in questa strada della santità. Viviamo con gioia la nostra fede, lasciamoci amare dal Signore…».
da Baltazzar | Ott 1, 2013 | Cultura e Società, Diavolo, Papa Francesco
Berlicche da www.tempi.it
«Infinita e inesauribile è la prontezza del Padre nell’accogliere i figli prodighi». Prima di dire che è “un’apertura”, indovina quale Papa lo ha scritto
Mio caro Malacoda, diffida delle letture interessate, politiche o deluse delle parole del Papa. Ho letto titoli in cui s’inneggia al Papa che “apre sull’aborto”. Non crederci, il Papa non apre sul diritto di aborto, tiene aperte le porte anche a chi si pente di aver abortito. Il suo è «un vibrante appello della Chiesa per la misericordia di cui l’uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno. E ne hanno bisogno anche se sovente non lo sanno».
Noi crediamo di dannare l’uomo inducendolo al peccato, pensiamo di poterlo ridurre a quello che fa, che spesso è male. È una nostra pia illusione, una logica ristretta, logica ma ristretta, propria di una ragione rattrappita, incapace di far tesoro dell’esperienza. Il fatto che uno cade ci basta. Che in cuor suo desideri rialzarsi ci sembra una velleità. Poi, quando si rialza, lo guardiamo increduli mentre riprende a camminare.
Devi ammetterlo, caro nipote: c’è una ragione più ragionevole perché più comprensiva. Comprendere vuol dire abbracciare, ma anche capire: non si comprende se non si abbraccia, non si abbraccia se non si comprende. Pare questo il segreto di quella misericordia con cui «Cristo rende presente il Padre tra gli uomini. Ed è quanto mai signifìcativo che questi uomini siano soprattutto i poveri… e infine i peccatori».
Dice il Papa che «la misericordia viene, in certo senso, contrapposta alla giustizia divina e si rivela, in molti casi, non solo più potente di essa, ma anche più profonda». Spiega, infatti, che «sebbene la giustizia sia autentica virtù nell’uomo, e in Dio significhi la perfezione trascendente, tuttavia l’amore è “più grande” di essa: è più grande nel senso che è primario e fondamentale». Tutto questo ha per noi qualcosa d’inconcepibile, che «si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell’uomo». Come dire, sfrutta anche la nostra opera.
Ma c’è di più. Non è unidirezionale, è – come si direbbe oggi – interattiva, mette in relazione due libertà. Il Papa è convinto che «il sacramento della penitenza o riconciliazione appiana la strada a ognuno, perfino quando è gravato di grandi colpe. In questo sacramento ogni uomo può sperimentare in modo singolare la misericordia, cioè quell’amore che è più potente del peccato».
Vabbè, dirai, settanta volte sette, ma ogni pazienza ha un limite. Invece pare che abbia ragione Totò: ogni limite ha la sua pazienza: «La misericordia in sé stessa, come perfezione di Dio infinito, è anche infinita. Infinita quindi e inesauribile è la prontezza del Padre nell’accogliere i figli prodighi che tornano alla sua casa. Sono infinite la prontezza e la forza di perdono che scaturiscono continuamente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio. Nessun peccato umano prevale su questa forza e nemmeno la limita», «a somiglianza di una madre, segue ciascuno dei suoi figli, ogni pecorella smarrita, anche se ci fossero milioni di tali smarrimenti, anche se nel mondo l’iniquità prevalesse sull’onestà, anche se l’umanità contemporanea meritasse per i suoi peccati un nuovo diluvio, come un tempo lo meritò la generazione di Noè».
Tu chiamale, se vuoi, “aperture”. Sappi solo che tutti i virgolettati sono di quel guerriero di Giovanni Paolo II.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
da Baltazzar | Ott 1, 2013 | Chiesa, Papa Francesco
E’ la prima volta nella storia. Una novità che si inquadra in una più ampia riforma voluta dal Papa, resa urgente dagli scandali finanziari
di GIACOMO GALEAZZI da Vatican Insider
Operazione-trasparenza di Bergoglio allo Ior. Per la prima volta nella sua storia, domani la banca vaticana renderà pubblico il bilancio e, per volontà di Francesco, cesserà l’anomalia dell’Istituto i cui conti non venivano inseriti nel resoconto annuale della Prefettura per gli affari economici. Il bilancio (al 31 luglio) è positivo – l’attivo è di 87 milioni – e la “glasnost “del Pontefice faciliterà l’ingresso nella “with list”.
Le prossime decisioni di Bergoglio, che oggi riunirà a Roma il consiglio degli otto cardinali-consiglieri, riguarderanno appunto lo Ior, i dicasteri economici del Vaticano, i patrimoni dell’Apsa e di Propaganda fide. Si studia l’accorpamento tra la gestione delle proprietà immobiliari dell’Apsa e quella, altrettanto ingente, di Propaganda Fide. All’Apsa sono out i delegati delle due sezioni, Massimo Boarotto di quella «ordinaria» (che gestisce appunto i beni immobili) e Paolo Mennini della «straordinaria» (investimenti finanziari e in titoli). L’ «operazione trasparenza» allo Ior procede anche con l’attività della Promontory Financial Group, in collaborazione con l’Aif, per il controllo ad uno ad uno delle migliaia di conti, delle relazioni con i clienti delle procedure in vigore contro il riciclaggio di denaro sporco. È partito lo studio delle possibili ristrutturazioni e della forma che dovrebbe prendere il «forziere» vaticano in una possibile revisione del suo status. L’ipotesi più accreditata è la fusione tra Ior e Apsa, l’amministrazione del patrimonio che ha anch’essa funzioni bancarie, anzi è considerata la «banca centrale».
Alla Gmg Francesco lo ha detto a chiare lettere ai giornalisti: gli scandali giudiziari stanno accelerando la riforma delle finanze vaticane. «Pensavo di occuparmi prima di altre questioni, ma non si può rimandare». Così ora in cima alla sua agenda ci sono accorpamenti tra enti (Ior e Apsa), meno burocrazia, più trasparenza. Le emergenze vanno risolte al più presto. Non per punire questo o quel porporato, per aiutare questa o quella cordata, bensì per eliminare una visione «mondana» della Chiesa e superare una concezione «statale» della fede implicita nell’intreccio tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano, tra burocrazia ereditata dall’Ottocento e soffio dello spirito. La commissione di indagine sullo Ior, spiega il portavoce papale padre Federico Lombardi, sta vagliando i conti correnti e le operazioni compiute durante la gestione del direttore generale Cipriani, travolto con il suo vice Tulli (entrambi si sono dimessi immediatamente) dall’arresto di Scarano. La commissione referente è presieduta dal cardinale Raffaele Farina e il mandato di Francesco è molto ampio: verificare la posizione giuridica e le attività dello Ior per consentirne «una migliore armonizzazione con la missione della Chiesa e nel contesto più generale delle riforme». I commissari hanno scelto come assistenti esperti di grandi banche e gruppi finanziari che passano le carte al «pettine stretto».A Bergoglio sarà trasferita la documentazione completa sull’andamento e le procedure della «banca» d’Oltretevere, anche con la valutazione sulla sua discussa gestione.
da Baltazzar | Set 19, 2013 | Cultura e Società, Papa Francesco
Dopo la lettera a Repubblica, nei suoi scritti e in tv il fondatore attribuisce al pontefice frasi che non ha mai detto su relativismo, panteismo e rottura con Wojtyla e Ratzinger
Ma Eugenio Scalfari cosa ha capito della lettera che papa Francesco gli ha inviato? A leggere e a vedere certi suoi interventi in tv viene il sospetto che il fondatore di Repubblica si spinga in interpretazioni che offendono il buon senso. Ci è o ci fa? Già nella sua prima risposta al Pontefice aveva cercato di contrapporre papa Francesco ai suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI («Queste parole sono al tempo stesso una rottura e un’apertura; rottura con una tradizione del passato, già effettuata dal Vaticano II voluto da papa Giovanni, ma poi trascurata se non addirittura contrastata dai due pontefici che precedono quello attuale; e apertura ad un dialogo senza più steccati»).
Oggi, poi, un lettore di Avvenire in una lettera al quotidiano nota giustamente: «Non è grave che Scalfari non abbia capito, è grave che abbia cercato di attribuire al Papa ciò che non ha detto».
Il lettore racconta di aver assistito alla puntata di Otto e Mezzo andata in onda venerdì 11 settembre su La7, in cui la conduttrice Lilly Gruber ha intervistato Scalfari. Questi, parlando della lettera del Papa, ha detto testualmente: «Il Papa dice: la verità non è assoluta, è una verità di relazione, ciò vuol dire che i cattolici giudicano dal loro punto di vista… papa Francesco accetta che la verità anche per i credenti è sempre un verità in relazione al loro giudizio; per i non credenti la verità è la propria coscienza e quindi l’autonomia. Il suo predecessore disse che il relativismo è il nemico principale della fede, lui (Francesco) non dice questo, dice il contrario».
E ancora: «Gli ho anche detto che quando la nostra specie finirà non ci sarà più nessuno che potrà pensare a Dio e quindi Dio sarà morto. Lui mi ha risposto dicendo… che quando la nostra specie finirà a quel punto la luce di Dio entrerà tutta in tutti, il che vuol dire che Dio non diventa più trascendente ma immanente. Vuol dire che Dio si identifica con le anime. E questa è l’immanenza, non è più la trascendenza».
Ora, il Papa ha detto ben altro. E cioè questo: «Mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa».
E questo: «Nell’ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell’uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio – questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! – non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela – e vive il rapporto con Lui – come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra – e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno -, l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui. La Scrittura parla di “cieli nuovi e terra nuova” e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà “tutto in tutti”».
Quindi, nota giustamente il lettore Brizio, «papa Francesco ha detto e scritto che la Verità è una relazione (tra un io e un tu: Quid est veritas? Vir qui adest) e non che è relativa come suggerisce Scalfari. Il papa rimanda ancora al concetto di relazione-rapporto per rispondere all’altro punto sulla scomparsa dell’uomo sulla terra e in nessun modo scade in una visione panteistica di una luce di Dio che si stempera nelle anime. Dire che Dio sarà “tutto in tutti” non è la stessa cosa che dire che la luce di Dio sarà tutta in tutti e che si identifica con le anime».
da www.tempi.it
da Baltazzar | Set 19, 2013 | Chiesa, Papa Francesco
Durante l’Udienza Generale, papa Francesco ricorda che i dieci Comandamenti non sono un “insieme di no” ed invita a “pensarli in positivo”
da www.zenit.org di Luca Marcolivio
Nel corso dell’Udienza Generale odierna, tenutasi stamattina in piazza San Pietro, continuando il ciclo di catechesi sul Mistero della Chiesa, papa Francesco si è riallacciato all’immagine della “Chiesa-mamma”, già evocata nell’omelia di ieri mattina a Santa Marta.
“A me piace molto questa immagine – ha spiegato il Santo Padre – perché mi sembra che ci dica non solo come è la Chiesa, ma anche quale volto dovrebbe avere sempre di più la Chiesa”.
Il Pontefice ha quindi sottolineato alcuni principi che dovrebbero animare l’educazione di una madre verso i propri figli. In primo luogo, essa “insegna a camminare nella vita”, indicando la “strada giusta” e lo fa “con tenerezza, con affetto, con amore, sempre anche quando cerca di raddrizzare il nostro cammino perché sbandiamo un poco nella vita o prendiamo strade che portano verso un burrone”.
Ogni mamma, inoltre, sa cosa è importante per un figlio, non perché l’ha “imparato dai libri” ma perché l’ha “imparato dal proprio cuore”.
Anche la Chiesa, come una madre, orienta i suoi figli nella vita, attraverso insegnamenti la cui base sono i dieci Comandamenti, anch’essi “frutto della tenerezza, dell’amore stesso di Dio che ce li ha donati”. Sebbene qualcuno possa obiettare si tratti semplicemente di “comandi” o un “insieme di no”, papa Francesco ha invitato a “leggerli” e a “pensarli in positivo”.
Tra le altre cose, i Comandamenti, ha sottolineato il Papa, ci invitano “a non farci idoli materiali che poi ci rendono schiavi, a ricordarci di Dio, ad avere rispetto per i genitori, ad essere onesti, a rispettare l’altro”: tutti insegnamenti che una mamma normalmente trasmette e “una mamma non insegna mai ciò che è male, vuole solo il bene dei figli, e così fa la Chiesa”, ha aggiunto il Santo Padre.
Anche quando un figlio “diventa adulto” e “si assume la sua responsabilità”, una mamma continua a seguirlo “con discrezione” e, quando sbaglia, “trova sempre il modo per comprendere, per essere vicina, per aiutare”.
Una mamma per i suoi figli sa “metterci la faccia” – ha detto Bergoglio, usando un’espressione tipica della sua terra – cioè è “spinta a difenderli” anche nelle situazioni più controverse: ad esempio, se finiscono in carcere, le mamme “non si domandano se siano colpevoli o no, continuano ad amarli e spesso subiscono umiliazioni, ma non hanno paura, non smettono di donarsi”.
Allo stesso modo, la Chiesa si dimostra una “mamma misericordiosa” con i figli che “hanno sbagliato e che sbagliano” e, senza giudicare, offre loro il “perdono di Dio”. La Chiesa non ha paura di entrare nella nostra “notte”, ovvero “nel buio dell’anima e della coscienza” e lo fa sempre “per darci speranza”.
La Chiesa, infine, come tutte le mamme, “sa anche chiedere, bussare ad ogni porta per i propri figli, senza calcolare, lo fa con amore”, in particolare pregando Dio, specie per i figli “più deboli” o che hanno preso “vie pericolose e sbagliate”.
A tal proposito, papa Francesco ha citato l’esempio di Santa Monica e delle sue tante preghiere e lacrime versate per il figlio Agostino, fino a farlo diventare anch’egli santo.
“Penso a voi, care mamme: quanto pregate per i vostri figli, senza stancarvi! Continuate a pregare, ad affidare i vostri figli a Dio; Lui ha un cuore grande! Bussate alla porta del cuore di Dio con la preghiera per i figli”, ha esortato il Pontefice.
Anche la Chiesa, quindi, prega per i propri figli in difficoltà: in essa vediamo “una buona mamma che ci indica la strada da percorrere nella vita, che sa essere sempre paziente, misericordiosa, comprensiva, e che sa metterci nelle mani di Dio”, ha poi concluso il Papa.
da Baltazzar | Set 18, 2013 | Chiesa, Papa Francesco
Teologia politica a Santa Marta: più impegno e preghiere per chi governa. Lezione “argentina” al clero di Roma
“Apri il giornale e bastonano, guardi la tv e bastonano. Sempre il male, sempre contro. C’è l’abitudine di dire solo male dei governanti e fare chiacchiere sulle cose che non vanno bene”. Troppo comodo, insomma, giudicare chi ci governa stando seduti in poltrona, salendo sui tetti, organizzando sit-in o riempiendo le piazze con bandiere e slogan di protesta più o meno volgari, senza “dare il nostro contributo”, limitandosi a dire “io non c’entro, sono loro che governano”. Il rapporto tra governante e governato è stato al centro dell’omelia pronunciata ieri mattina dal Papa, poco dopo l’alba, nella piccola cappella di Santa Marta. “Tante volte abbiamo sentito che un buon cattolico non si immischia in politica, ma questo non è vero”, ha aggiunto. “Un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare”. Insomma, chi in questi anni fosse diventato sostenitore del patriota dannunziano Guido Keller che dopo l’impresa di Fiume gettò dal proprio aereo un pitale colmo di rape e carote su Montecitorio, farebbe bene a ripassare la dottrina sociale della chiesa cattolica, secondo la quale “la politica è una delle più alte forme della carità”. Il cittadino, dunque, “non può lavarsene le mani”, benché ormai “ci sia l’abitudine di pensare che dei governanti si deve solo chiacchierare, parlare male di loro e delle cose che non vanno bene”. Certo, la tentazione di dire che quel politico “è una cattiva persona che deve andare all’Inferno”, c’è e spesso è pure forte. Ma il cattolico deve pregare anche per il proprio governante (che deve essere umile e amare il suo popolo), “e non lo dico io, ma san Paolo”, ha precisato Bergoglio.
“Alla chiesa serve coraggiosa creatività”
Poco dopo, a bordo della Ford Focus blu, Francesco ha raggiunto San Giovanni in Laterano per l’incontro con il clero romano. Alla chiesa, ha detto rispondendo alle domande delle centinaia di sacerdoti presenti, “serve conversione pastorale e coraggiosa creatività”. Bisogna “cercare strade nuove”, far sì che la chiesa sia sempre più accogliente. Basta con quelli che “in parrocchia sono più preoccupati di chiedere soldi per un certificato che al Sacramento”, ha aggiunto. Così facendo, “si allontana la gente”. C’è necessità, invece, di più “accoglienza cordiale”, e il prete misericordioso deve essere il primo a farsene carico. Non è più tempo di sacerdoti “rigoristi e lassisti”, anzi, da loro bisogna guardarsi bene. Il prete deve sentire “la fatica del lavoro”, perché “la conversione si fa in strada, non in laboratorio”. Infine, ribadendo quanto già detto a bordo dell’aereo Rio-Roma lo scorso luglio, “la chiesa deve fare qualcosa per risolvere i problemi delle nullità matrimoniali. Ridurre la questione al divieto o meno di fare la comunione significa non comprendere il vero problema”. Al clero di Roma Francesco ripete quanto disse, cinque anni fa, ai sacerdoti di Buenos Aires. Non a caso, prima dell’incontro di ieri, ha voluto che il cardinale vicario Agostino Vallini distribuisse ai preti romani il testo da lui preparato in quella occasione. Poche pagine che riprendevano i punti salienti del documento che chiudeva la V Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Aparecida, e che aveva in Bergoglio il presidente del comitato di redazione. E’ lì, spiegava il futuro Papa, che si delinea la chiesa del futuro. In quei paragrafi si leggono i presupposti per la grande missione di nuova evangelizzazione da portare avanti nel Ventunesimo secolo. Un programma, disse lui stesso sei anni fa, che andava ben oltre i confini del Sudamerica.
© – FOGLIO QUOTIDIANO
di Matteo Matzuzzi