Murcia avrà uno dei maggiori centri di educazione cattolica e missionaria nel mondo

(Paula Pascual – COPE.ES) – Il consiglio di amministrazione ha approvato la posizione finale di uno dei più grandi centri internazionali di formazione missionaria nel mondo. Ospiterà l’International Seminario Diocesano Missionario “Redemptoris Mater” e della Diocesi di Cartagena, eretta da Mons. Reig Pla decreto in data 8 dicembre 2006. Ospiterà il Seminario Diocesano Internazionale del personale e Redemptoris Mater Missionario Diocesi di Cartagena, eretta da Mons. Reig Pla decreto in data 8 dicembre 2006. Il centro sarà situato nella frazione di Sangonera la Verde. Il Centro è situato nella frazione di Sangonera la Verde.

Il nuovo centro Il nuovo centro sarà situato nella frazione di verde e Sangonera la superficie totale costruita sarà del 10% del totale, come richiesto dalla legge per essere collocata nella frazione di verde e Sangonera la superficie totale costruita sarà un 10% del totale, come previsto dalla legge Il resto del campo fornirà l’edificio che promuovono l’isolamento e la solitudine e il lavoro corso di formazione che si svilupperà. Il resto del settore saranno di isolamento per la costruzione e Manodopera raccoglimento favorendo l’insegnamento e la formazione che si svilupperà.

La scelta di Murcia ospiterà il centro per il Comune una proiezione leader a livello mondiale se si pensa di essere il destino di centinaia di seminaristi provenienti dai cinque continenti e creare decine di posti di lavoro dall’inizio della le opere. Murcia elettorale sede del centro verrà al comune una proiezione leader a livello mondiale se si pensa di essere il destino di centinaia di seminaristi provenienti dai cinque continenti e creare decine di posti di lavoro fin dall’inizio le opere.

Il nuovo centro missionario è il primo nuovo impianto in costruzione in Spagna e il secondo impianto nuovo in costruzione in tutto il mondo, che si trova dopo la città italiana di Macerata. In tutto il mondo ci sono ormai più di 80 seminari di questo tipo, sebbene la maggior parte sono stati localizzati in edifici esistenti. Il nuovo centro è il primo missionario di un nuovo impianto in costruzione in Spagna e il secondo impianto nuovo in costruzione in tutto il mondo, che si trova dopo la città italiana di Macerata. In tutto il mondo ci sono ormai più di 80 seminari di questo tipo, sebbene la maggior parte sono stati localizzati in edifici esistenti. In ogni caso, il centro sarà la Sangonera Green-per estensione, il progetto più ambizioso è stato affrontato finora. In ogni caso, il Centro verde Sangonera-estensione-il progetto più ambizioso è stato affrontato finora.

Dal primo Seminario Redemptoris Mater, aperto da Pope John Paul II a Roma nel 1987, molti vescovi della diocesi più grande del mondo (Parigi, Londra, Berlino, Varsavia, Vienna, Bruxelles, Toronto, Newark, Medellin, Callao Brasilia, Hong Kong, Bangalore, Perth, Taiwan …) Seminari “Redemptoris Mater” hanno aperto nei cinque continenti. Dal primo Seminario Redemptoris Mater, aperto da Pope John Paul II a Roma nel 1987, molti vescovi della diocesi più grande del mondo (Parigi, Londra, Berlino, Varsavia, Vienna, Bruxelles, Toronto, Newark, Medellin, Callao Brasilia, Hong Kong, Bangalore, Perth, Taiwan …) Seminari “Redemptoris Mater” Hanno aperto nei cinque continenti.

Come una sentinella del mattino

di Luis Garza Medina
Vicario generale dei legionari di Cristo

L’Anno sacerdotale che Benedetto XVI ha convocato per i sacerdoti, in commemorazione del 150° anniversario della morte del santo Curato d’Ars, offre l’occasione propizia per domandarsi che cosa sia il sacerdote, come si ponga di fronte alle  grandi sfide che l’umanità affronta e quale ruolo giochi nel dramma dell’uomo moderno. Come diceva Giovanni Paolo ii all’inizio del suo pontificato:  “Questo è un tempo meraviglioso per essere prete”. Il sacerdote, animato dalla consapevolezza che Cristo è l’unico salvatore dell’uomo e che lui è stato costituito per mezzo del sacramento dell’ordine ministro della redenzione, è chiamato a vivere, nel mondo d’oggi e in mezzo alle sfide che questo presenta per il Vangelo di Cristo, con fiducia e santa audacia. Queste sfide si possono trasformare in un progetto di vita per i sacerdoti che vogliono realizzare la missione di Cristo nella Chiesa di questo nuovo millennio.

Il sacerdote deve essere un uomo di Dio. In quanto sacerdote ha il sigillo del sacramento. Di conseguenza, la sua volontà e le sue facoltà devono essere imbevute dei sentimenti di Cristo (cfr. Filippesi, 2, 5). Se non è saldo in Dio, sarà spazzato via dall’uragano della secolarizzazione. Deve quindi essere uomo di preghiera, uomo che ascolta e medita la Parola per attaccarsi amorevolmente a ciò che Dio vuole da lui; deve celebrare i sacramenti con il fervore e l’unzione propria delle cose sacre di cui si occupa, sapendo che per essere un uomo di Dio deve fare un particolare sforzo e resistere alla vertigine della costante e accelerata attività cui sottopone il mondo moderno.
Deve anche collaborare con la grazia divina perché la sua vita quotidiana rifletta la santità che trasmette con i sacramenti. I sacramenti sono efficaci ex opere a Christo operato, però è evidente che Dio elargisce la sua grazia con più abbondanza attraverso quei sacerdoti che con maggiore pienezza si sono configurati con suo Figlio, sommo ed eterno sacerdote della nuova alleanza.
Il sacerdote è un uomo profondamente consapevole che la salvezza viene da Dio e perciò non può concepire che la soluzione del problema dell’uomo stia nei mezzi umani o in lui come persona umana, per quanto preparato e carismatico possa essere. Comprende che deve unire la sua azione e le parole a una profonda vita eucaristica – sia nella celebrazione che nell’adorazione – che rende lui stesso, in un certo senso, eucaristico:  cioè, qualcuno che si fa vittima e oblazione, come sacerdote, per servire Cristo nella missione di salvare le anime. La sua presenza tra gli uomini, suoi fratelli, deve essere quella d’una sentinella del mattino, un annunciatore delle cose dell’aldilà, un continuo promemoria di Dio per le anime, che incarna l’amore di Dio in questo mondo. L’uomo di Dio è l’unico che può dare senso all’uomo e alle società d’oggi poiché fa possibile l’incontro con il Dio amore. Si racconta una bellissima storia del curato d’Ars che è ricordata anche da una statua:  quando san Giovanni Maria Vianney andò per la prima volta ad Ars, si perse lungo la strada. Chiese a un giovane pastore di guidarlo e questi lo portò fino al villaggio. Il prete gli disse:  “Tu mi hai mostrato la strada per Ars, adesso io ti mostrerò la strada per il Cielo”.
Essere uomo di Dio non è incompatibile con l’avere i piedi per terra. Il sacerdote è una persona che non perde la propria oggettività né il realismo. Sa, da un lato, che l’umanità deve sottomettere il cosmo e dominarlo, però dall’altro che ciò cui l’uomo anela definitivamente si trova solo in cielo, meta definitiva e obiettivo del nostro peregrinare su questa terra. Non è la scienza che salva l’uomo, ma Cristo. Il sacerdote non può cedere all’orizzontalismo o al naturalismo, perché smetterebbe d’essere necessario per il mondo e si confonderebbe con un lavoratore o un agente sociale. Non deve mai cadere preda della visione ridotta del suo sacerdozio, per cui questo non sarebbe altro che un servizio o una funzione. Il sacerdote è servitore di Cristo per essere, a partire da Lui, per mezzo di Lui e con Lui, servitore degli uomini.
Nella formazione dell’uomo di Dio gioca un ruolo molto particolare la devozione alla Vergine Maria, come madre, modello di virtù e, soprattutto, come protettrice celeste. La sua relazione con i sacerdoti, ministri di Cristo, deriva dalla relazione tra la divina maternità di Maria e il sacerdozio di Cristo. I sacerdoti sono suoi figli prediletti e nel cuore del sacerdote deve risuonare il consiglio di san Bernardo:  “Nei pericoli, nell’angoscia, nell’incertezza, invoca Maria. Che il suo nome mai abbandoni le tue labbra e il tuo cuore. E per ottenere il sostegno della sua preghiera, non cessare d’imitare l’esempio della sua vita. Seguendola, non ti smarrirai; pregandola, non conoscerai la disperazione, pensando a Lei, non ti sbaglierai. Se Ella ti sostiene, non affonderai; se Ella ti protegge, non avrai timore di nulla; sotto la sua guida non temere la fatica; con la sua protezione raggiungerai il porto”.
Il sacerdote, proprio perché è rivolto all’eternità e perché aiuta gli uomini nel loro cammino verso il cielo, deve costruire la carità, poiché è la carità la virtù che in qualche modo anticipa il cielo qui sulla terra.
La carità è innanzitutto carità verso Dio ed è la virtù che concede al sacerdote d’essere un uomo di Dio. Da questa carità scaturisce la carità verso gli altri che ha diversi aspetti. Il primo, quello più fondamentale, è mettere sempre al centro d’ogni azione, d’ogni pensiero e parola, il bene della persona che abbiamo di fronte. Non fa bene alla Chiesa, che alcuni sacerdoti si preoccupino più delle strutture che delle persone con cui hanno a che fare quotidianamente. Ricordo che madre Teresa di Calcutta, una volta, quando le fecero notare che lei non cercava una soluzione per le strutture che provocavano le ingiustizie, chiarì che c’erano già molti che cercavano di migliorarle, mentre lei cercava di far sì che ogni persona tra i più poveri dei poveri fosse curata secondo la sua dignità di figlio di Dio.
Il sacerdote che cerca il bene della persona, cerca di non ridurla a un numero o a una statistica. Non è che le statistiche siano cattive, anzi credo che offrano un aiuto alle sfide pastorali che la Chiesa affronta, però non si possono ridurre le persone a semplici numeri.
Costruire la carità richiede anche di costruire la comunione. La Chiesa è comunione, è, con le parole di san Cipriano, “un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Lo stesso sacerdozio ha una “radicale forma comunitaria” e non può essere esercitato se non nella comunione. La prima dimensione di questa comunione è la comunione gerarchica, la comunione con il Santo Padre, centro visibile dell’unità nella Chiesa, e con il proprio vescovo, pastore della Chiesa particolare.
Il sacerdote è costruttore di comunione all’interno del presbiterio diocesano. Tutti i sacerdoti di una Chiesa particolare partecipano all’unico sacerdozio di Cristo pastore. E quest’unione sacramentale deve tradursi in relazioni interpersonali piene di carità e di reciproco aiuto. Il sacerdote è chiamato anche ad accogliere con gratitudine e a condurre verso la comunione i diversi carismi presenti nella sua parrocchia o nella diocesi. Il suo cuore sarà aperto alle diverse forme di vita consacrata e ai nuovi movimenti approvati dall’autorità competente. Sono doni dello Spirito per la Chiesa e devono essere accolti senza pregiudizi. In essi molti fedeli trovano cammini specifici di santità cristiana e forme concrete per partecipare all’azione evangelizzatrice della Chiesa.
Il sacerdote costruisce la comunione con tutto il popolo di Dio e non concepisce la Chiesa in forma dialettica, come opposizione tra il ministero ordinato e il sacerdozio battesimale che è proprio di tutti i fedeli. Una delle figure consacrate dal Concilio per rappresentare la Chiesa fu quella del popolo di Dio. In questo popolo che è anche Corpo di Cristo, tutti abbiamo la stessa dignità di figli di Dio e uniti camminiamo verso la meta definitiva, il cielo. E la differenza essenziale, non semplicemente graduale, tra il mistero ordinato e la funzione dei laici non solo non rompe l’unità, ma l’arricchisce.
Nella predicazione e nella vita di Cristo, era palese l’attenzione che egli prestava ai più poveri. L’attenzione per il più bisognoso è qualcosa che deve formare la priorità pastorale del sacerdote. Aiutare a risolvere le necessità delle persone è proprio del cristiano, e molto più del sacerdote. Oggi alla necessità di beni materiali si sono aggiunte molte altre necessità che sono diventate pressanti:  la solitudine della vecchiaia, la depressione e l’abbandono di tante persone nelle grandi città, le diverse assuefazioni molte volte sfruttate da organizzazioni o individui con affanno di lucro, l’infanzia lasciata al suo destino senza alimentazione e senza educazione.
Il sacerdote sta laddove c’è più bisogno di consolazione e di annuncio dei beni eterni, dove stanno i più indifesi. Il sacerdote è colui che porta speranza con la sua parola e con la sua azione perché quelle situazioni di miseria siano alleviate. Nonostante tanto avanzamento tecnologico non sempre le persone hanno la possibilità di ricevere i vantaggi di questo sviluppo e si trovano sole e abbandonate.
Il sacerdote ha anche, in certa misura, responsabilità nella promozione di società giuste. Non compete al sacerdote lavorare nelle strutture politiche, sindacali, economiche; non è chiamato a essere costruttore della città terrena, però nemmeno può dimenticare il mondo in cui vive. Egli può e deve cooperare alla promozione d’una società più giusta e conforme alla volontà di Dio mediante la predicazione dei valori evangelici e la formazione delle coscienze. Questo è il suo apporto specifico. Non è escluso che lui segnali le situazioni ingiuste, però l’amore per i suoi fratelli richiede di andare oltre, più alla radice:  riuscire a cambiare i cuori di coloro che provocano tali situazioni. Non cerca di contrapporre, ma d’unire e ottenere che all’interno di queste situazioni ci sia reciproca comprensione e perdono e responsabilità effettiva di chi può migliorare le cose. Solo così si può costruire una nuova società, poiché, senza cambiare i cuori, i rancori sarebbero un peso che manterrebbe le persone ancorate al passato, senza speranza e sempre preda della violenza distruttrice.
Infine, nella costruzione della carità, il sacerdote deve fare sempre la carità nella verità. Farebbe un pessimo servizio come pastore di anime se per un malinteso concetto di carità abbandonasse la verità. Alle anime bisogna dire la verità, scoprire per esse il suo valore e aiutarle ad amarla; bisogna mostrare tutta la verità che Dio ha rivelato nel Vangelo di Cristo e che il magistero della Chiesa trasmette. Non si può ridurre o cambiare la verità per “fare un bene pastorale”. In ogni caso, si può applicare la legge della gradualità, però mai tergiversare sulla verità. Benedetto XVI ribadisce nella sua enciclica Caritas in veritate:  “Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità.
Il sacerdote è un pastore d’anime, che accudisce le sue pecore ed è disposto a dare la vita per loro. Non è da sottovalutare il valore di questa donazione, di questa passione che deve ardere nel cuore d’ogni sacerdote. Lui è come Cristo, che offre la sua vita per loro, ed è mosso dal suo stesso amore per loro. Però oltre a questa donazione che si fa realtà giorno dopo giorno, istruisce le anime con la sana dottrina cattolica. Insegna loro la fede attraverso un’adeguata catechesi, con tutti i mezzi possibili, perché il popolo di Dio ha urgente necessità di conoscere la fede per non lasciarsi trascinare da altre idee pseudoreligiose. Però soprattutto il sacerdote deve essere guida e pastore dei suoi fratelli con uno stile di vita virtuoso, alimentato dalla preghiera e dal contatto con l’eucaristia.
L’attenzione per le anime si concretizza soprattutto nell’amministrare il sacramento della riconciliazione. Il sacerdote è sempre a disposizione dei fedeli per ascoltare le loro confessioni. È lì, nella solitudine del confessionale, che si vive la battaglia più decisiva per l’anima del mondo. È lì che la grazia di Dio tocca profondamente le persone per mezzo dell’umanità del sacerdote.

(©L’Osservatore Romano – 5 febbraio 2010)

La clausura affascina.

di Antonio Socci

I mass media trasformano ogni piccola scemenza in una tendenza, ogni stravaganza finto-trasgressiva in una moda, ogni sgallettata che appare in tv in un “evento” da immortalare. Ma non si sono accorti di un fenomeno che – questo sì – è l’unico veramente trasgressivo e anticonfomista: l’aumento delle giovani ragazze che scelgono la clausura. Anche la televisione – dovendo riempire ore del palinsesto per propagare le “eroiche” gesta dell’Isola dei famosi, così da rincoglionire il pubblico sotto tonnellate di Nulla – sta alla larga da questo eroismo autentico e da questo sorprendente amore.

I dati sono semplici. Fra il 2004 e il 2005, in Italia, sono aumentate di 300 unità le vocazioni claustrali. Trecento giovani ragazze italiane, spesso laureate, del tutto normali, figlie del loro tempo (discoteche comprese), che si sono “innamorate” così e hanno lasciato tutto, proprio tutto, scegliendo le quattro mura di una clausura e una vita di totale povertà, silenzio e preghiera, per questo Amore. Complessivamente le professe solenni sono 6.672 (anche i monasteri sono passati da 524 a 533). Ed è una fioritura non solo italiana. Sempre nel periodo 2004-2005 le claustrali nel mondo sono aumentate di 1.147 unità, arrivando a 47. 626 (a cui vanno aggiunte 8.107 ragazze in periodo di formazione). Curiosamente sono le laicissime Spagna e Francia che, con l’Italia, hanno il maggior numero di vocazioni di questo tipo.

Queste stupende avventuriere innamorate, sono figlie di una generazione che non conosce più la carezza di Dio, la compagnia forte e dolce dell’Eterno. Facevano parte di una generazione consumata dal desiderio di qualcosa a cui non sa dare un nome, del senso della vita che non sa trovare. Vengono in mente le antiche parole del profeta biblico Amos: “Ecco stanno per venire dei giorni/ nei quali manderò la mia fame sopra la terra:/ non una fame di pane, non una sete d’acqua,/ ma fame e sete di udire la Parola di Dio./ Ed essi andranno errando da un mare all’altro,/ e dal Settentrione all’Oriente;/ ed andranno qua e là cercando la parola di Dio/ e non la troveranno./ In quei giorni saranno sfiniti per la sete/ le fanciulle e i giovani” (VIII, 11-13).
Ma c’è chi ha la fortuna di trovare. Anzi di essere trovato. Come ha detto ad una cronista di Avvenire suor Maria Eliana del Carmelo di Carpineto Romano: “non pensavo al Signore, ma Lui, nel suo amore, ha pensato a me e si è fatto presente”. Racconta: “non ho mai pensato di farmi suora. Tanto meno monaca di clausura. Sono nata a Rimini e ho vissuto per 19 anni a Cattolica, perciò non mancava il modo di divertirsi”. Alla maniera di tutti: “la mia vita era come quella di tanti giovani: mare, discoteca, uscite con gli amici…”. Poi è arrivato il grande amore: “Mi sono sentita amata da Lui e questo amore mi ha toccato il cuore”.

Mi è capitato di visitare un monastero di clausura umbro, di clarisse. Ne sono uscito abbagliato. Ho parlato con quattro suore: due erano sull’ottantina, stavano lì dentro da 50 anni. Ma io non ho mai conosciuto persone più ilari, vitali, dolci, piene perfino di buonumore. Poi ho parlato con due nuove clarisse: sui 25-26 anni. Ero stupito dai loro volti e dai loro occhi. Avrei voluto avere una telecamera per fare loro un primo piano stretto mentre parlavano. Vi assicuro che chiunque rimarrebbe colpito. Non era solo la consueta bellezza di due giovani donne. Era, la loro, una bellezza speciale, piena di luce, perché soprattutto erano felici. Parlando con semplicità delle cose normali della loro vita trasmettevano dolcezza e bontà. Loro che avevano rinunciato a tutto, anche alla loro giovinezza e vivevano totalmente povere dietro quella grata, mi sembravano possedere tutto. Soprattutto la pace che noi non conosciamo. Pur portando davanti al trono di Dio, ogni ora, tutti i dolori e le sofferenze del mondo che affluiscono fra queste mura.

E’ il fascino di questa ricchezza, di questa Bellezza sconosciuta a tutti noi che viviamo nel mondo, che sta dietro il successo del film “Il grande silenzio”. Non si ha la sensazione di persone che abbiano perduto qualcosa o rinunciato a qualcosa, ma piuttosto di donne e uomini che possiedono ciò che noi affannosamente cerchiamo e la cui mancanza ci sfianca e ci addolora. Il vero deserto, quello dove si muore di sete, è nei nostri cuori sazi e disperati e non certo in quei chiostri silenziosi, simili piuttosto a oasi verdi e fresche. Ciò che il mondo chiama “felicità” è dissipazione che lascia solo la cenere di un fuoco troppo fatuo. L’insoddisfazione perenne accompagna gli umani. Da sempre. Ciò che dappertutto è ricerca agitata e nervosa lì, in quei chiostri, è gioia dell’abbandono. Ciò che dovunque è convulsa corsa al possesso del nulla lì è godimento di Dio, l’Eterno per cui siamo fatti.

E’ letteralmente una cosa dell’altro mondo. Un altro mondo dentro il nostro mondo. Dove la verginità significa amore totale e trasfigurazione della propria stessa carne, “divinizzazione”, come dicono i padri della Chiesa orientale che sanno ben riconoscere l’aureola nel volto luminoso degli uomini di Dio. Il cardinal Ruini, concludendo il convegno di Verona, ha sottolineato questo “boom” delle vocazioni alla clausura, ma forse anche la Chiesa dovrebbe rifletterci. Perché gli istituti religiosi in genere hanno crisi di vocazioni mentre la clausura attrae? Non sarà che troppo spesso i religiosi sono stati trasformati in assistenti sociali o attivisti? Non sarà che il “fare” prevale sul “mendicare” e sull’adorazione amorosa? Non sarà che in troppi ordini religiosi – per dire – i superiori hanno sostituito il Buon Samaritano che guarisce (che è Cristo) con psicologi e psicanalisti?

Si potrebbe imparare qualcosa da questo fatto se si ascoltasse finalmente il Papa. Nelle sue parole pronunciate a Verona c’è tutto. C’è innanzitutto la passione per Gesù Cristo. Che è tutto. E che basta alla vita. S. Agostino, che aveva vissuto una giovinezza dissipata (in un modo simile alla nostra epoca erotomane e intellettualistica), ha descritto meglio di chiunque altro questo innamoramento di Cristo, la Bellezza fatta carne: “Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato. Tu eri con me ed io non ero con te. Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità. Tu hai emanato la tua fragranza e io ho sentito il tuo profumo e ora ti bramo. Ho gustato e ora ho fame e sete. Tu mi hai toccato e io bramo la tua pace”.

Le donne consacrate segno di un mondo nuovo

di Fernanda Barbiero
Consigliera Generale
Suore Maestre di Santa Dorotea

Dentro una società che si chiude nell’immediato e nel terrestre, la vita consacrata è interpellata a richiamare l’Oltre e l’Altro, la realtà dei valori escatologici. Ciò significa coltivare l’aspirazione alla patria futura lavorando per la città terrestre. Noi consacrate siamo segno della trascendenza, di una pienezza che si raggiunge oltre i confini dello spazio e del tempo. Segno di un nuovo mondo di relazioni, un nuovo mondo di significati, che ha inizio qui e troverà la perfezione nell’eternità. C’è una “riserva escatologica” che richiama al senso ultimo della nostra vita umana e della storia del mondo.
C’erano con Gesù i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità. Queste donne hanno conosciuto la potenza di liberazione e di autenticità contenuta nel messaggio di Gesù così da oltrepassare paure e condanne e rischiare per il profeta di Nazaret. Esse hanno avuto l’ardire di decidersi per il Vangelo, da donne. A cominciare da Maria di Nazaret, donna per eccellenza, e anche la “discepola del Figlio” per eccellenza. Il profilo femminile è riconducibile a quello mariano, tanto fondamentale per la Chiesa quanto il profilo apostolico-petrino. Qualsiasi riflessione sul femminile, sul ruolo della donna nella Chiesa non può che partire da una seria e approfondita mariologia. Mentre alimenta il sogno di una vita religiosa promotrice e facilitatrice di “mutuae relationes” all’interno della Chiesa. Nelle realtà in cui siamo inserite siamo chiamate a continuare la pratica di una spiritualità di comunione, favorendo il dialogo e la collaborazione con i pastori, i sacerdoti e i laici.

In genere, quando si pensa al ruolo della donna nella Chiesa, si pensa subito al sacerdozio femminile, ma non è questo. Questo è un dettaglio insignificante di fronte a una missione molto più grande che si apre alla donna. Il ruolo della donna è praticamente il ruolo di Maria nella Chiesa e nella società. Senza andare lontano nella storia, oggi, in un contesto di secolarizzazione le donne consacrate continuano a essere una risorsa di testimonianza. Esse rendono visibile la potenza emancipatrice della sequela di Gesù, irradiando la bellezza di comprendersi alla luce di Lui e del suo vangelo.
Oggi, è sotto gli occhi di tutti il panorama della vita consacrata femminile. Una realtà cambiata rispetto anche a solo un decennio fa. Prevalgono i colori del mondo asiatico e africano rispetto a quello europeo e americano. Questa diversa provenienza socio-culturale e socio-religiosa pone nuove urgenze, non solo educative, mentre offre nuove opportunità e sensibilità nella comprensione nuova dell’esperienza evangelica e carismatica. Tutto ciò apporta non solo alle donne, ma alla Chiesa intera, un nuovo volto e nuove sfide. La riflessione teologica relativa alla vita consacrata, fino al Vaticano ii, è stata elaborata in gran parte in Occidente con categorie, accentuazioni e traduzioni pratiche legate a questo contesto. Occorre ripensarla in chiave di una sapienza spirituale compresa come azione di trasformazione; come energia, non come chiusura in se stessi; come vitalità che opera nel sociale.
Si tratta di una sapienza a partire dal vissuto, “dal conoscimento di sé” di cui parla Caterina da Siena, dal concreto esserci di donne e uomini per re-interpretare la vita. Quello che resta, ciò che non è cambiato è la sfida della trasparenza della radicalità evangelica, ossia la fedeltà al Vangelo resa leggibile con la testimonianza, vale a dire con uno stile di esistenza dal quale risplende la bellezza della sequela del Signore Gesù. Mettendo a disposizione della gente non solo il proprio genio femminile, ma i diversi carismi che abbiamo ricevuto in dono da Dio:  il carisma della contemplazione, dell’evangelizzazione, del servizio ai poveri, della compassione e ancora quello dell’educazione. Pensiamo alle donne sante a cui la vita consacrata si è ispirata per il proprio servizio:  Chiara d’Assisi, Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Teresa d’Avila, Mary Ward, Angela Merici, Giovanna Antida Thouret, Maria, Domenica Mazzarello, per arrivare a quelle più recenti:  Luigia Tincani, Teresa di Calcutta e tante altre ancora.
Per tacere di altre grandi donne come Angela da Foligno, che caratterizzava la  sua esperienza come “urlo dell’anima e urlo del corpo”, o altrove affermava di “contemplare il Crocifisso con gli occhi del corpo”. Queste sante donne insegnano a noi non solo a servire valorizzando i nostri carismi, ma a imparare dalle persone che abbiamo l’onore di servire. Dai poveri e dai bisognosi si impara sempre.

(©L’Osservatore Romano – 1-2 febbraio 2010)

DOVE L'ALTRO E' CRISTO. Comunità cristiane come la Famiglia di Nazaret, fonti del rinnovamento della Chiesa

Il dono del rabbino

di M. Scott Peck

Si narra di un monastero che, in seguito a un’ondata di persecuzioni antimonastiche verificatesi nel XVI e nel XVII secolo e a una crescente secolarizzazione del XIX secolo, stava vivendo tempi difficili. Ormai, nella grande e cadente abbazia non vivevano che l’Abate e altri quattro monaci, tutti molto anziani. Il monastero era chiaramente destinato a scomparire.
Nel fitto bosco che lo circondava, c’era una piccola capanna che un Rabbino di una città vicina usava di tanto in tanto come eremo. Nei lunghi anni di preghiera e contemplazione i monaci avevano sviluppato una straordinaria sensibilità ed erano perciò quasi sempre in grado di capire quando il Rabbino si trovava nell’eremo. Un giorno l’Abate, sempre più preoccupato per la situazione dell’Ordine, volle recarsi alla capanna per chiedere consiglio al saggio ebreo, ma questi non potè fare altro che condividere il suo dolore: «Conosco il problema; la gente ha perso la spiritualità e anche nella mia città quasi nessuno viene più alla sinagoga». Si lamentarono insieme, poi lessero alcuni brani della Torah e conversarono serenamente di profonde questioni spirituali. Prima di congedarsi, l’Abate gli domandò di nuovo se non avesse dei consigli da dargli per salvare il monastero e l’Ordine dalla rovina. «No, mi dispiace – ripetè il Rabbino -; l’unica cosa che posso dirti è che il Messia è tra voi».
Rientrato al monastero, l’Abate riferì le strane parole del Rabbino e nei giorni, nelle settimane che seguirono, i vecchi monaci riflettevano su quella frase: Forse il Messia è uno di noi? Certo, potrebbe essere l’Abate oppure fratello Thomas che è davvero un sant’uomo; sembra invece difficile che il Rabbino alludesse a fratello Elred, irascibile com’è, ma non si sa mai; quanto a fratello Philip, è una vera nullità e tuttavia, quando c’è bisogno di lui, quasi misteriosamente è sempre presente e dunque magari è proprio lui il Messia. E se fossi io?, diceva il quarto monaco. Non è possibile, non sono tanto importante, però per il Signore lo sono; chissà?
Immersi in questi pensieri, i monaci cominciarono a trattarsi tra di loro con straordinario rispetto perché esisteva, pur se remota, la possibilità che il Messia fosse tra loro. La foresta in cui si ergeva il monastero era stupenda e accadeva che di tanto in tanto arrivassero dei visitatori che venivano a passeggiare lungo i viali o per i sentieri. Senza rendersene conto, i visitatori cominciarono ad avvertire il clima di straordinario rispetto che circondava i cinque monaci e che da loro irradiava. Tornarono al convento più spesso, portarono degli amici per mostrare quel posto speciale; e gli amici arrivarono con altri amici. Dopo qualche tempo uno chiese di unirsi ai monaci; poi un altro e un altro ancora.
Nel giro di pochi anni il monastero ridivenne un centro vivo di luce e di spiritualità per tutta la regione.

Da: Vivere in pace di M. Scott Peck, Vivere di Pace, Torino Frassinelli 1988.

LE ORIGINI DEL
CAMMINO NEOCATECUMENALE


Nasce tra i poveri
come frutto del Concilio Vaticano II


Estratto dalla testimonianza di Kiko


…Avevo uno studio di pittore vicino a Plaza de España a Madrid, ed ero solito passare le feste natalizie con i miei genitori. Un anno andai a casa per celebrare il Natale, entrai in cucina e vidi la cuoca che stava piangendo. Io le domando: “Berta – così si chiamava – che le succede?” E lei mi dice che il marito è un ubriacone, che vuole uccidere il figlio, che il figlio gli si è ribellato contro… Mi raccontò una storia che mi lasciò allibito. E sentii da Dio di aiutarla.

La baracca di Kiko a Palomeras AltasAndai a vedere dove viveva: una baracca orribile, in mezzo a tante altre. La povera donna si alzava prestissimo, per andare a lavorare; aveva nove figli, ed era sposata con un uomo zoppo e strabico, sempre ubriaco. Picchiava i figli con un bastone, gridando loro: “Difendi tuo padre” e, a volte ubriaco fradicio, urinava sopra le figlie. Questa donna, abbastanza bella benché in età, mi raccontò cose allucinanti.

Presi quell’uomo e lo portai a fare un “Cursillo de Cristiandad”. Rimase impressionatissimo nell’ascoltarmi parlare. Per alcuni mesi smise di bere, ma poi ricominciò e furono di nuovo macelli. La moglie mi chiamava: “Signor Kiko, venga per favore, perché mio marito vuole uccidere tutti. Chiami la polizia!”. Non mi lasciavano vivere. Alla fine pensai: “E se Dio mi stesse dicendo di lasciare tutto e di andare a vivere lì per aiutarli?”. Lasciai tutto e andai a vivere con quella famiglia. Dormivo in una piccolissima cucina, che era piena di gatti.

Foto dell'interno della baracca di KikoHo vissuto lì e sono rimasto molto impressionato, vi dico la verità, di tutto l’ambiente. C’era moltissima gente che stava vivendo in situazioni terribili. Non so se conoscete il libro di Camus, “La peste”, che affronta il problema della sofferenza degli innocenti. Quella donna, Berta, mi raccontò che suo marito, zoppo, per vendicarsi delle tante umiliazioni ricevute, aveva detto a tutti che si sarebbe sposato con lei, che era la ragazza più bella del quartiere. Tutti ridevano di lui. Ma sapete come lui se l’era sposata? Puntandole un coltello al collo e dicendole: “Se non ti sposi con me, taglio la gola a tuo padre”. E lo avrebbe fatto. Suo padre era vedovo e lei era sola e terribilmente timida e paurosa.

Foto dell'interno della baracca di KikoMi chiesi: che peccati ha commesso questa povera donna per meritare una vita cosi? Perché non io? E non c’era solo lei. C’era un’altra donna vicino che aveva il morbo di Parkinson, il marito l’aveva abbandonata e viveva chiedendo l’elemosina. E un altro. E un altro ancora.

Davanti a tutto questo ci sono solo due risposte. Conoscete la frase famosa di Nietzsche: “O Dio è buono e non può far nulla per aiutare questa povera gente, o Dio può aiutarli e non lo fa, e allora è cattivo”. Questa frase è velenosa. Può Dio aiutare questa donna, oppure no? Perché non lo fa?

In questa situazione ebbi una sorpresa. Sapete cosa vidi lì? Non quello che dice Nietzsche, se Dio può o non può, ma vidi Cristo crocifisso. Ho visto Cristo in Berta, in quella donna con il Parkinson, in quell’altro. Vidi un mistero. Il mistero della croce di Cristo. Restai enormemente sorpreso, lo dico sinceramente.

Le baracche di Palomeras AltasPoi mi chiamarono per il servizio militare e mi mandarono in Africa. Quando tornai dissi a me stesso: se domani torna Cristo sulla terra nella sua seconda venuta, io non so che cosa succederà in questo mondo, ma sapete dove desidero che Gesù Cristo mi trovi? Ai piedi di Cristo crocifisso. E dov’è Cristo crocifisso? In coloro che stanno portando la sofferenza più grande, le conseguenze del peccato di tutti. Dice Sartre: “Guai all’uomo che il dito di Dio schiacci contro il muro”. Io ho visto lì gente schiacciata contro il muro, tanti deboli schiacciati dalle conseguenze del peccato, deboli, anonimi cirenei.

José Agudo e Rosario davanti alla loro baraccaQuando uno va a vivere tra i poveri, o perde la fede e diventa guerrigliero alla “Che Guevara” o si mette in silenzio davanti a Cristo e si santifica. Io sono grato al Signore per aver avuto pietà di me: io vidi lì Cristo crocifisso e così quando tornai dall’Africa, e conobbi la sorella di Carmen, pensai che era necessario scendere nelle catacombe sociali e lì predicare il Vangelo a questa gente, aiutarli, dare loro una parola di consolazione. E così formammo un gruppo che si dedicava agli omosessuali, alle prostitute e agli altri emarginati.

La sorella di Carmen faceva parte di una associazione, chiamata “Villa Teresita”, che si dedicava al recupero delle prostitute. Andavano per le case delle prostitute e offrivano, a quelle che lo volevano, un lavoro. Un’opera molto buona. Alla fine io mi resi conto che in quel gruppo facevamo tutto un po’ per “hobby”. Io dissi a quel gruppo e alla sorella di Carmen: “Io me ne vado a vivere tra i poveri”.

Kiko con Manolo e JoaquinCharles de Foucauld mi diede la formula: vivere in silenzio, come Gesù a Nazareth, ai piedi di Gesù Cristo in mezzo a quella gente. Conobbi un assistente sociale che mi indicò una zona di Palomeras Altas dove c’era una baracca di tavole di legno, rifugio di cani. Mi disse “Mettiti lì e non ti preoccupare”. E lì ha avuto inizio un po’ tutto. Nelle baracche io volevo vivere come Charles de Foucauld, in contemplazione: così come uno sta davanti all’Eucaristia, ai piedi della presenza reale, unica di Cristo; io volevo stare ai piedi di Cristo crocifisso, nella gente più povera, miserabile.

Il Signore mi portò lì con questo spirito: io ero l’ultimo. Loro erano Cristo. Forse uno avrebbe potuto dirmi: “Kiko! Aiutali”. Qui c’è un punto molto importante per coloro che sanno andare al fondo delle cose. “Ma come? Ti metti in adorazione, quando questa gente è morta di fame? Dà loro da mangiare”. Io non avevo nulla, non avevo portato altro che una Bibbia e una chitarra, dormivo su un materasso messo sulla nuda terra. Non avevo altro.

Mons. Morcillo nella baracca di Kiko pregando le lodiAvevo letto in un libro qualcosa che mi aveva colpito molto del tempo dei nazisti. Si raccontava un fatto storico avvenuto nel campo di concentramento di Auschwitz. Un capo della Gestapo si era reso conto delle atrocità che si stavano commettendo nel genocidio degli ebrei. Un giorno, durante un’ispezione in un campo, vide passare una colonna di uomini e donne diretta alle camere a gas, tutti nudi. Sentì nel suo cuore un grande dolore. Si domandò: “Che devo fare io adesso per aiutarli, per avere pace con me stesso?”. sapete la risposta che ricevette dal di dentro? (I Padri della Chiesa parlano del Cristo parlante, dentro di te. È qualcosa di molto profondo). Il libro raccontava che quello che sentì che avrebbe dovuto fare era di denudarsi anche lui e mettersi in fila con loro.

Possiamo domandarci: questa voce che sentì dentro da dove veniva? Era una suggestione? Era reale? Era di Dio? Non era meglio fermare la comitiva e liberare quelle persone? Forse non lo poteva fare. Perché invece la verità era quella di denudarsi e di mettersi in fila? Ecco una possibile risposta: una persona che sta in quella fila sta di fronte al dramma che forse non c’è nessun Dio, che non c’è amore nel mondo e se non c’è amore nel mondo Dio non esiste, la vita è una mostruosità, moriamo nell’assurdo. Ma se uno viene con te, Cristo stesso si fa uomo e si mette con te nella fila per amore. Allora l’amore esiste. Esiste Dio. Si può vivere. Si può morire. La verità e la morte hanno un senso.

Kiko Carmen e Mons. MorcilloQuesto ha valore? Ciò che si deve fare è solo l’aiuto sociale? Forse l’uomo è solo mangiare? O l’uomo ha bisogno di sapere se Dio esiste o non esiste, se l’amore esiste oppure no? Io non andai nelle baracche per dare da mangiare, né per insegnare a leggere. (Erano tutti analfabeti, ad eccezione di uno o due: José Agudo, che era stato in un istituto di correzione sapeva leggere, ma sua moglie no. Zingari, “quinquis”, ragazzi del carcere sapevano leggere a malapena). Me ne andai lì e, se volete sapere, neanche pensavo di predicare, sapete infatti che i Piccoli Fratelli di Foucauld stanno “in silenzio”. Volevo dare testimonianza vivendo in mezzo ad essi come Gesù a Nazareth.

Kiko con i primi compagni delle baracche, Domingo e ManoloE che successe? Quello che sempre succede. Il vicino, un giorno che faceva un freddo cane, perché era inverno e nevicava – io mi scaldavo con dei cani randagi che vivevano con me – entrò all’improvviso e mi disse: “Ti ho portato un braciere perché stai morendo di freddo!”.

Poco a poco si avvicinavano e domandavano: “Chi è costui che sta qui, con barba e chitarra?”. Per alcuni ero uno che aveva fatto un voto, per altri un protestante, perché portavo sempre la Bibbia. Gli zingari venivano per la chitarra… Non sapevano chi ero. José Agudo, che allora era in lite con un altro clan di “quinquis”, mi si avvicinò per domandarmi cosa diceva il Vangelo sul fatto di picchiarsi. Io gli lessi il Discorso della Montagna che dice di non resistere al male e restò a bocca aperta: “Come? Ma se non mi difendo mi ammazza! Che devo fare?”. Gli diedi da leggere i “Fioretti” di San Francesco che lo impressionarono molto e non mi lasciò più.

Bene, non mi metto a raccontarvi queste storie perché diventerebbe troppo lungo…

Dall’esperienza di Carmen

… Quello che volevo dire è questo: Kiko aveva radicato molto fortemente il Servo di Jahweh, quello che io ho portato lì, su un vassoio, non certo per me, non era mio, fu il Concilio Vaticano II, la Pasqua e la Risurrezzione dei morti. Il primo canto che Kiko fece nelle baracche fu il “Servo di Jahweh”; ci vollero due anni per giungere al “Risuscitò” per farlo entrare nel dinamismo della Pasqua.

E la Pasqua non me la sono inventata io, e tantomeno P. Farnès, ma è stata frutto dell’immenso lavoro di tutto il Movimento liturgico e di tutto il Movimento Biblico che hanno fermentato il Concilio e che si è messo in marcia nel Concilio.

Io stavo sempre con Kiko, però non mi fidavo di lui, nemmeno un pò. Solo mi convinse il giorno che arrivò lì l’arcivescovo di Madrid, Mons. Morcillo, e questo fu un altro miracolo che sarebbe interessante raccontare. Allora cominciai a collaborare con Kiko, fidandomi di più di lui, quando vidi la Chiesa presente.

Mons. Morcillo fu un autentico dono di Dio. Egli ci mandò nelle parrocchie …

Ryłko: Movimenti ecclesiali e nuove comunità sono fucine del 'nuovo stile' di collaborazione tra Pastori e laici nel servizio all'evangelizzazione

Il Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici al V Colloquio di Roma

ROMA, martedì, 26 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinale Stanisław Ryłko ha presentato questo martedì “il ‘nuovo stile di collaborazione’ tra sacerdoti e laici nei movimenti ecclesiali e nelle nuove comunità” e il beneficio che ne può trarre la Chiesa.

Il Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici è intervenuto al V Colloquio di Roma, organizzato dalla Comunità dell’Emmanuele e dall’Istituto Universitario Pierre Goursat (IUPG), in collaborazione con l’Istituto Pontificio “Redemptor Hominis”, dal 25 al 27 gennaio sul tema “Sacerdoti e laici nella missione”.

Il “nuovo stile” di collaborazione tra sacerdoti e laici, ha spiegato il porporato polacco, presuppone “che i presbiteri riconoscano l’identità propria dei fedeli laici e ne valorizzino effettivamente la missione nella Chiesa e nel mondo, guardandosi sia dal nutrire diffidenza nei loro confronti e dall’assumere atteggiamenti paternalistici e autoritari nel governo delle comunità parrocchiali, sia da quella falsa promozione del laicato che, non rispettandone la specificità della vocazione, rischia di tramutarsi in un alibi per il disimpegno e la rinuncia ai propri doveri pastorali verso la comunità cristiana”.

Questo “nuovo stile”, ha aggiunto, chiede ai laici “un vivo senso di appartenenza ecclesiale oltreché la consapevolezza della propria corresponsabilità e necessaria partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa, scuotendosi dall’indifferenza ed evitando, tuttavia, sia un eccessivo ripiegamento sugli affari intra-ecclesiali a scapito della missione, sia la pericolosa trappola di certa mentalità ostile all’istituzione ecclesiale e contagiata dalla logica mondana della lotta per il potere, sia un corporativismo aggressivo e contestatario nei confronti del Magistero ecclesiale”.

“Fattore decisivo per il risveglio missionario di tutto il popolo di Dio in un mondo dove dilagano laicismo e neopaganesimo, e dove Dio è sempre più il Grande Escluso, il ‘nuovo stile’ di collaborazione tra Pastori e laici inaugurato dal Concilio Vaticano II si prospetta tuttora come un traguardo importante a cui tendere insieme e spesso come una vera sfida da raccogliere”, considera il Cardinale. “Ognuno deve fare la sua parte: sacerdoti e laici”.

“Ai nostri giorni, suscita grande speranza nella Chiesa la stupefacente fioritura di movimenti ecclesiali e nuove comunità, anch’essa frutto del Concilio”, ha spiegato, constatando che “tra gli stessi fondatori, del resto, figurano sia laici (uomini e donne) che sacerdoti, religiosi e religiose”.

In questi movimenti, ha aggiunto, “prende forma così un ‘noi’ comunitario” che diventa “un percorso pedagogico fatto ‘insieme’ e nel quale ci si sente tutti coinvolti e interpellati, sacerdoti compresi”.

“Per questo, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono diventati vere e proprie fucine del ‘nuovo stile’ di collaborazione tra Pastori e laici nel servizio alla missione evangelizzatrice della Chiesa”.

“Il sacerdote, per primo, deve saper cogliere e interpretare la novità di questi ‘doni carismatici’ porgendo l’orecchio a quello che lo Spirito dice alla Chiesa oggi (cfr Ap 2, 8). Ai movimenti non si deve guardare come a un ‘problema pastorale’, ma come a una grande opportunità, una preziosa risorsa di rinnovamento delle nostre comunità parrocchiali”.

Associazioni e movimenti ecclesiali, ha constatato il Cardinale, “possono costituire un nucleo vitale delle parrocchie in cui operano”, aspetto “particolarmente vero per le parrocchie urbane che, non di rado estese su territori molto vasti, si misurano con il rischio di un anonimato che può essere efficacemente contrastato da una microstruttura di piccole comunità cristiane che vivono la fede con intensità”.

“Essi non si pongono in concorrenza con la parrocchia, né tanto meno, sono un’alternativa alla parrocchia – ha segnalato -. Rappresentano piuttosto una grande possibilità pastorale da cogliere. Perché ogni ambiente in cui si formino cristiani ‘adulti’, consapevoli della propria vocazione e missione, serve la causa della Chiesa e della parrocchia”.

“Dai suoi ministri la Chiesa si aspetta quindi sensibilità, apertura e cordiale accoglienza di queste nuove realtà che portano nella vita di tante comunità cristiane frutti veramente benedetti di conversione, santità e missione”.

“D’altro canto, il carattere essenzialmente laicale dei movimenti ecclesiali non sopprime il bisogno che essi hanno di una presenza sacerdotale. Lungi dal significare la loro clericalizzazione, tale presenza – sempre animata da sincera carità pastorale – è bensì un servizio prestato nel pieno rispetto della libertà associativa dei fedeli laici e del carisma di ciascuna realtà aggregativa”.

I movimenti ecclesiali e le nuove comunità hanno dunque bisongo “del sapiente, attento e paterno accompagnamento dei Pastori. Si tratta di una missione impegnativa e molto delicata, alla quale ogni sacerdote deve prepararsi in modo adeguato, a prescindere dal fatto di una sua effettiva appartenenza all’uno o all’altro”.

Il Cardinale si è detto convinto che l’Anno Sacerdotale che stiamo vivendo nella Chiesa costituisca “un’ottima opportunità data ai Pastori per mettersi all’attento ascolto di ciò che lo Spirito Santo dice alla Chiesa mediante questi doni carismatici”.

“Ai cristiani stanchi e scoraggiati e a tante comunità cristiane ormai troppo autoreferenziali e ripiegate su sé stesse, i movimenti lanciano la sfida di una Chiesa coraggiosamente proiettata verso nuove frontiere di evangelizzazione”, ha concluso.

“In questo nostro tempo, la Chiesa ha davvero bisogno di aprirsi a questa novità generata dallo Spirito”.