Claudia Koll: “La Vergine Maria mi aiuta ad essere pienamente donna”

La testimonianza dell’attrice all’Umbria International Film Fest

di Luca Marcolivio

TERNI, martedì, 22 novembre 2011 (ZENIT.org) – La seconda giornata dell’Umbria International Film Fest si è chiusa ieri sera sul tema della devozione mariana. Presso il Cityplex Politeama è stato infatti proiettato il film Lourdes di Jessica Hausner, preceduto dalla testimonianza di Claudia Koll. L’attrice ha spiegato che, alla base della sua conversione, avvenuta una decina di anni fa, c’è proprio la Vergine Maria. Lourdes e Fatima, in particolare, hanno giocato un ruolo decisivo nella vita spirituale della Koll che è cresciuta in una famiglia particolarmente devota alla Madonna. L’infanzia di Claudia Koll non è stata una delle più facili: l’attrice ha raccontato di essere stata cresciuta da una nonna non vedente ma fervente cattolica che, per non perdere mai il contatto con la nipotina, era solita legarla al polso da un filo di lana. “Mia nonna è stata il più grande esempio di fede nella mia famiglia – ha raccontato la Koll al pubblico dell’Umbria Film Fest -. La vedevo recitare quotidianamente il Rosario e parlare direttamente con Dio. La sua testimonianza mi ha segnata in modo indelebile”.

La madre di Claudia, nei primi anni di vita della bambina, trascorse molto poco tempo con lei, per motivi di salute. “Dopo che mi ebbe partorito ricevette una trasfusione di sangue infetto e rimase per sei mesi tra la vita e la morte”, ha proseguito la Koll. “Quando poi mamma fu finalmente guarita – ha aggiunto l’attrice – andammo con tutta la famiglia a rendere grazie alla Madonna di Pompei. Sempre come ringraziamento alla Madonna sono stata battezzata con il nome completo di Claudia Maria Rosaria”.

“Recentemente ho riaperto i bauli con le foto della mia vita – ha proseguito la Koll -. In mezzo agli scatti del mio periodo adolescenziale ho trovato un’immagine del Gesù della Divina Misericordia: mi ha fatto pensare che, già allora, il Signore mi stava parlando ma io non lo ascoltavo, anzi, iniziai ad andare in tutt’altra direzione”.

L’attrice ha poi raccontato di aver vissuto le proprie aspirazioni artistiche – inizialmente ostacolate dalla famiglia – come un mezzo per appagare il proprio bisogno di libertà e di autenticità, salvo accorgersi, specie dopo essere diventata famosa, che quel tipo di libertà era assai poco autentica.

Dopo il successo del film erotico Così fan tutte (1992) di Tinto Brass, la Koll rimase per qualche tempo intrappolata nel cliché dei ruoli sexy, tuttavia, ha raccontato, “non era quello che veramente volevo. Questo mi procurò una crisi di identità che, se già avessi avuto la fede, avrei saputo affrontare meglio”.

Verso la metà degli anni ’90, la carriera cinematografica della Koll incontrò una fase di stallo, durante la quale, l’attrice meditò di abbandonare le scene e riprendere gli studi.

Nella seconda metà dello stesso decennio tuttavia la sua carriera prese definitivamente quota con la conduzione del Festival di Sanremo del 1995, della trasmissione L’angelo su Canale 5, dedicata all’arte, e della celebre fiction Linda e il brigadiere, con Nino Manfredi.

Claudia Koll si rivelò artista duttile, talentuosa e raffinata ma, nella vita privata, si scoprì profondamente inquieta ed infelice. “In particolare la mia vita sentimentale era assai problematica: molte storie brevi, nessuna veramente ‘importante’, molti tradimenti, poche certezze”.

Questa inquietudine ebbe ripercussioni negative anche sulla vita artistica della Koll. “Un giorno stavo interpretando la parte di una donna che doveva piangere: a differenza del solito le lacrime proprio non mi uscivano; qualcosa mi bloccava, non entravo proprio nella parte”, ha raccontato.

“Fu allora – ha proseguito – che Geraldine, la mia assistente di scena, mi rivolse parole molto schiette ed esplicite: Claudia, come puoi pretendere di essere credibile in scena, se nella tua vita privata c’è così poca autenticità?”.

Da quel momento inizia il graduale cambiamento interiore e spirituale di Claudia Koll. “Sono una figlia del Grande Giubileo – ha detto -. Nel 2000 un’amica americana mi chiese di accompagnarla a varcare la Porta Santa a San Pietro ed io lo feci come cortesia personale. Dopo quell’esperienza, però, non fui più la stessa”.

“Il Signore stava sgretolando tutti i miei piani e le mie ambizioni personali – ha raccontato la Koll -. Avevo davvero toccato il fondo”.

Nei successivi dieci anni, l’attrice ha vissuto la propria crescita spirituale, attraverso l’esperienza concreta dell’amore come mezzo di perseveranza, in particolare nella vicinanza ai poveri e ai malati. E ha spiegato che “qualsiasi esperienza pratica d’amore che mi abbia particolarmente segnata, l’ho sempre poi riscontrata nelle Sacre Scritture”.

A conclusione della propria testimonianza, la Koll è tornata sull’importanza della devozione mariana nella propria vita, accennando alle emozioni provate dopo i pellegrinaggi a Medjugorie e a Lourdes. “Da bambina rimasi colpita dalla storia della Madonna di Fatima e di come la Vergine avesse potuto affidare a tre bambini così piccoli, dei compiti così enormi”.

“Pensando in particolare a Giacinta e Francesco, da piccola pregai la Madonna di portarmi in cielo con Lei. Ciò non è successo, però, Maria mi ha insegnato a scoprire il bello dell’essere donna, di esprimere al meglio tutte le mie qualità femminili: la dolcezza, lo spirito materno. Grazie a Lei sono diventata anche meno aggressiva”.

“Ho inoltre capito quanto sia bella la diversità e la complementarità tra uomo e donna – ha aggiunto -. In un certo senso il Signore mi ha ‘corretta’ nel mio femminismo”.

“Ho scoperto che Dio è fedele e mantiene le promesse: la più grande di queste promesse è quella di amarci”, ha poi concluso la Koll.

Terminata la testimonianza è stato proiettato ed illustrato un filmato delle attività della onlus Le Opere del Padre, fondata dalla stessa Claudia Koll, da alcuni anni impegnata in opere di misericordia e di formazione cristiana.

Nuova Evangelizzazione medicina per il mondo

Il CCEE celebra i 40 anni di vita

di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 22 novembre 2011 (ZENIT.org).- “La Nuova Evangelizzazione non riguarda solo l’Europa ma è un questione che tocca il mondo intero”. Lo ha ribadito monsignor Rino Fisichella, a conclusione del Seminario sull’Europa e la Nuova Evangelizzazione che si è svolto a Roma martedì 22 novembre.

L’incontro a cui hanno partecipato un numero significativo di Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, in rappresentanza delle diocesi europee, di Presidenti, Segretari e sottosegretari della Curia vaticana, di Ambasciatori presso la santa Sede, è stato organizzato dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) congiuntamente al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, con l’intento di celebrare i quarant’anni di attività a servizio della comunione tra i vescovi in Europa.
Monsignor Fisichella ha ricordato che la Nuova Evangelizzazione è necessaria per rispondere alla crisi antropologica, etica e sociale causata dalla cancellazione di Dio nel mondo degli uomini. Secondo il Presidente del Pontificio Consiglio Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, l’entusiasmo di una fede ragionevole è la chiave per far rinascere in verità e libertà il mondo intero.

A questo proposito il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato ha sottolineato che “Ai battezzati la cui fede si è spenta e che non sono più praticanti, il Vangelo dev’essere annunciato con nuovo ardore, nuovi metodi e nuove espressioni”.

“La nuova evangelizzazione – ha precisato il porporato – non è solo un ‘correre ai ripari’, ma una ‘nuova primavera’; un mezzo per valorizzare i nuovi germogli che spuntano in un bosco antico”.

Per il Segretario di Stato è tempo di riscoprire il “primo amore” quello “riflesso dell’amore immenso che Dio Padre ha dimostrato per noi donandoci il suo Figlio”, perchè è quel “primo amore” la forza che muove il cuore e i passi di tanti nuovi evangelizzatori: persone, famiglie, comunità, movimenti ecclesiali, come constatato anche nell’incontro del 15 ottobre scorso in Vaticano.

Il Cardinale Péter Erdő, Presidente del CCEE, ha rilevato che, seppure sembri prevalere la secolarizzazione “attraverso la sua dottrina, l’arte e la liturgia, la Chiesa offre al mondo uno sguardo verso il Mistero di Dio capace di aprire il cuore e la ragione umana”.  E ha aggiunto: “l’Evangelizzazione passa sempre e necessariamente attraverso la carità vissuta nel quotidiano”, perchè la carità “è un segno della presenza e dell’amore di Cristo”.

Il Presidente del CCEE ha concluso affermando che “i cristiani, nella chiamata alla Nuova Evangelizzazione, sono sfidati da Gesù e dalla Chiesa e anche dal grido delle persone che cercano un senso per la loro vita, a impegnarsi per portare sollievo a quanti soffrono nell’anima o nel corpo”.  Il Prof. Philippe Capelle-Dumont della Facoltà di Filosofia, dell’Institut Catholique di Parigi, ha tenuta una lunga e dotta relazione sul tema : “Il contesto culturale dell’Europa di oggi ed il Vangelo” spiegando come il tutto si muove nella ricerca di Dio.  A tal proposito l’onorevole Luca Volontè, Parlamentare presso il Consiglio d’Europa, ha spiegato che “in questo periodo di lunga crisi generale si debba cogliere la grande opportunità dell’Europa”.

All’Europa in crisi di identità e ai nostri concittadini – ha precisato – dobbiamo dire che è l’urgenza di Cristo che trasforma le battaglie nazionali ed europee della politica e della società. E’ necessario un grande appello alla mobilitazione sapiente per la crescita di quel ‘neoumanesimo’ di cui l’Europa ha urgente bisogno”.

Per leggere i testi interi delle relazioni ZENIT pubblicherà giovedì 24 novembre la relazione dell’onorevole Luca Volontè con il titolo “I politici cristiani nelle sfide dell’Europa”.

I testi degli interventi del Segretario di Stato il cardinale Tarcisio Bertone e del Presidente del CCEE cardinale Péter Erdő, verranno pubblicati da ZENIT nella edizione di sabato 26 novembre.

Il card. Meisner “scomunica” Weltbild

di Vito Punzi
Tratto da La Bussola Quotidiana

«Oramai è da tempo che lo dico: dobbiamo uscirne […] non si può essere proprietari di un’impresa che diffonde cose così dozzinali e un tale lerciume». Ha detto così il cardinale Joachm Meisner, arcivescovo di Colonia, in un’intervista rilasciata a Welt Online, il sito d’informazione che di recente ha rilanciato la scandolosa questione di Weltbild, ovvero il colosso dei media e delle vendite online con sede in Augsburg, di proprietà di 12 diocesi tedesche, dell’Unione delle Diocesi di Germania e dell’Ufficio d’Assistenza Spirituale ai Soldati di Berlino, accusato ormai da alcuni anni di diffondere libri di contenuto erotico, pornografico e perfino anticattolico e satanico solo per la necessità di tenere testa, con i 775 titoli disponibili, alla concorrenza di Amazon.

La questione aveva raccolta la protesta di molti cattolici, ma sul punto i vescovi tedeschi continuanavano a tentennare, evitando di prendere una posizione chiarificatrice. Ora però, finalmente qualcosa si è mosso. Il 17 novembre ci sono state le dimissioni del responsabile finanziario della diocesi di Augsburg, Klaus Donaubauer, dalla presidenza del consiglio d’amministrazione di Weltbild (difficile capire se per scelta personale o perché sollecitato) e appena domenica scorsa è stato appunto il cardinal Meisner a prendere di petto la situazione.

«Non è possibile che durante la settimana guadagniamo soldi facendo uso di ciò contro cui predichiamo la domenica», ha aggiunto con durezza il cardinale, «è una cosa semplicemente scandalosa». Non è mancata una frecciata diretta ai suoi confratelli: «Non è appropriato che i vescovi siano proprietari di una grande impresa che vanti un fatturato di miliardi ed abbia oltre 6mila collaboratrici e collaboratori».

Al di là dell’affaire Weltbild, è significativo che Meisner si sia poi lasciato andare a dichiarazioni altrettanto ferme circa la realtà generale della chiesa cattolica tedesca, da lui definita un auto «la cui carrozzeria è troppo grossa in rapporto alla potenza del motore». Un motore che, per restare dentro la metafora, va troppo spesso in surriscaldamento. «Dobbiamo ridurre le dimensioni della carrozzeria», ha aggiunto, «così che sia conforme alla nostra attuale forza interiore. Quando raggiungeremo la Gerusalemme celeste non sarà certo importante se l’avremo fatto con una grossa Mercedes o con una Fiat Panda: l’importante sarà esservi arrivati!».

Bisogna dire che l’uscita di Meisner non è stata casuale. Ieri e oggi è infatti riunito il consiglio permanente delle ventisette diocesi tedesche, dunque il cardinale di Colonia ha voluto lanciare per tempo alcuni messaggi molto precisi, dimostrando in questo modo, tra l’altro, di essere un reale punto di riferimento per l’intera cattolicità tedesca.

Mercoledì della XXXIV settimana del T.O.

dal vangelo secondo Lc 21,12-19

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”.

IL COMMENTO di don Antonello Iapicca

Tutta la nostra vita è una magnifica occasione. Permeata di Grazia, ogni nostra parola può sgorgare dalle stesse labbra di Dio. Ovunque e in ogni circostanza, tutto di noi e della nostra vita è l’occasione di una testimonianza. Siamo martiri, sempre in trincea. La nostra vita è uno specchio dove l’amore di Dio ha scelto di rifrangersi per la salvezza d’ogni uomo. Non v’è un istante della nostra vita, non v’è un aspetto, anche il più nascosto e segreto, che non sia irripetibilmente importante.

La perseveranza, rimanere abbandonati nel Suo amore, è la chiave che apre la nostra vita al proprio compimento. Essa è come una saetta che preannuncia un temporale. La verità sfregia irreparabilmente la menzogna e ne svela l’effimera sostanza. Dove ha messo radici la menzogna, la verità nel suo incedere crea sconquassi, rompe equilibri acquisiti, l’agognato quieto vivere se ne va a carte e quarantotto. Perseverare, dal latino per – a lungo – e severus – rigoroso. La perseveranza è una virtù per la quale, dice San Tommaso d’Aquino, è necessaria la Grazia santificante, come tutte le “virtù infuse”. Essa ci viene data attraverso un cammino di conversione lungo e severo, rigoroso. La perseveranza si impara sperimentando i frutti del combattimento.

La vita che ha preparato il Signore per noi non è propriamente una vita di pace, quella dell’elettroencefalogramma piatto, dell’assenza di conflitti. Gesù ci ha lasciato una pace diversa da quella soffice e avvelenata del mondo. La pace del mondo stringe in un abbraccio mortale, narcotizzando a poco a poco la vita sino a renderla insopportabile, mentre la pace del Signore è il frutto della sua personale guerra vittoriosa con il demonio e con la morte. La pace di Cristo è quella che ci traghetta dentro le persecuzioni che si scatenano in noi e contro di noi dai rantoli del mondo, della carne e del demonio.

“Anche noi dunque, circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb. 12, 1-2). La perseveranza è l’attitudine dell’amore. Essa è, essenzialmente, tenere fisso lo sguardo su Cristo, come un atleta fissa il traguardo, anche quando non lo può ancora vedere con gli occhi della carne. Se non c’è traguardo non c’e amore, e quindi neanche la perseveranza. Per tagliare un traguardo si superano gli ostacoli, si soffre, ci si sacrifica, si combatte. Quando nella vita viene a mancare lo scopo, il telos, il compimento, tutto diviene pesante, svuotato di senso, e la carne, il mondo e gli inganni del demonio prendono facilmente il sopravvento. Così ad esempio nello studio, o nei rapporti con le persone amate, gli amici, i fidanzati, gli sposi. Tutto è una corsa, un agôna, una lotta nella quale tenere fisso lo sguardo su Gesù nell’altro: questa è la chiave. Il traguardo di ogni mia parola, di ogni pensiero, di ogni azione è Cristo, è l’affermazione e la vita di Lui in chi mi è di fronte, come anche nelle cose che faccio, nello studio, nel lavoro, nelle faccende domestiche, nello svago. Perseverare nelle fiamme della fornace ardente significa non smettere di contemplare il volto di Cristo, l’unico che è insieme autore e perfezionatore; fissare Colui che ha dato forma e vita a chi ho dinanzi, alla mia attività, e che, solo, può portare a compimento, al traguardo, al destino per il quale tutto è dato. Se il traguardo è Cristo, fissando Lui contemplo anche il mio tagliare il traguardo, perchè in Lui il destino è già compiuto. Non batto l’aria, come dice San Paolo, perchè il mio traguardo non consiste in qualcosa di corruttibile, ma è la corona che Gesù ha conquistato per me.
Trattare duramente il proprio corpo per ridurlo in schiavitù, la perseveranza unita alla temperanza che fa combattere contro le concupiscenze e l’avidità idolatrica, non è un masochismo per privarsi di qualcosa di bello e buono; è invece l’abito di chi fissa Cristo, di chi ama anelando all’autenticità, al destino eterno, al desiderio più profondo del proprio cuore. E’, secondo l’accezione di perseverare che si trova in Omero, “rimanere indietro, arrestarsi e non deviare, tenere duro, resistere” per non cadere e dimenticare il traguardo. Ma è anche attesa, un protendersi come quello di una corda tesa, qaw in ebraico, da cui qawāh (aspettare, sperare) tradotto dalla versione greca della LXX  proprio con hypomonê – perseveranza. Perseverare è dunque vivere in una tensione carica di attesa, l’amore che desidera il ben dell’altro in tutto, il compimento della Verità in ogni momento, e per questo il cuore e la mente sono sempre desti, fissi su Cristo. Se fisso Lui nella fidanzata, persevero nell’amore, perchè non mi perdo in quello che, in lei, non c’entra con Lui; e così posso portare il peso dell’odio di quella parte dell’altro e di me che non c’entra nulla con Cristo. Senza preoccuparsi di nulla, perchè per chi ha il cuore retto, perseverante, lo Spirito Santo provvederà a tutto, a parole colme di sapienza, capaci di resistere ai sofismi della carne. Parole spirituali, che non cadono nel sentimentalismo, nella gelosia, nell’invidia, buone solo per ferire e mostrarsi indifesi; parole e pensieri dettati dalla Sapienza della Croce, capace di dare ragione, e perseverare in essa, degli atteggiamenti santi ispirati dallo Spirito Santo. E’ Lui che ci fa stare saldi nella castità, nella verità che rifugge l’ipocrisia, nella sobrietà e nella purezza. E’ Lui che persevera in noi, che ci attesta che nessun capello del nostro capo perirà, e che tutto di noi è custodito per essere trasfigurato e consegnato a Cristo. Scriveva San Benedetto nella sua Regola: “Come c’è uno zelo amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. È a questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali… Si vogliano bene l’un l’altro con affetto fraterno… Temano Dio nell’amore… Nulla assolutamente antepongano a Cristo il quale ci potrà condurre tutti alla vita eterna” (capitolo 72). La perseveranza di cui parla il Signore è un combattimento intriso d’amore, per non anteporre nulla a Lui, assolutamente.

Da questo assoluto scaturisce l’odio! Non possiamo far finta che non esista in un buonismo che uccide. Il Signore non fa giri di parole: “Chi non odia … non può essere mio discepolo”; l’odio è l’altra faccia dell’amore, e la perseveranza nell’amore ci rende paradossalmente oggetto di odio da ciò che il nostro amore non abbraccia, anzi, da ciò che è raggiunto dal nostro stesso odio. Chi è amico del mondo è nemico di Dio. L’amicizia di Dio che ci ha raggiunti, e coinvolti in un cammino di reale conversione alla Verità, al Bello, al Buono, sovverte ogni dato acquisito nella nostra esistenza spesa a mettere faticosamente a posto, tra un compromesso e un’impennata d’orgoglio, ogni tessera del mosaico. Chiaro che tutto si ribelli, si rivolti contro Chi tenta di rimettere le cose nel proprio ordine autentico. Siamo quindi traditi da chi si sente da noi tradito. Da chi è sconvolto dalla Verità che ci fa liberi. Siamo tacciati di integralismo e fondamentalismo, perchè abbiamo incontrato l’integrità della vita abbandonando la dissipazione, il fondamento che resiste alla dissoluzione. E siamo messi a morte, dai parenti, i più stretti, i più vicini. E forse dovremo salutare gli amici più cari, tagliare con il fidanzato, opporre una ineludibile durezza a nostro figlio. Saremo odiati anche dal nostro stesso uomo vecchio, quello che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici, spesso vestite di luce, come lo studio, il lavoro, gli affetti.

Odiati da tutti. Esattamente come il nostro cuore ha sempre orgogliosamente odiato tutti e tutto, quando questi ci hanno sconvolto l’esistenza annunciandoci, con un fatto o una parola, la verità. Ma la Verità, Cristo, è il compimento della nostra vita. La sua pienezza qui ed ora è la Verità che si traduce in libertà. Per questo saremo consegnati ai tribunali, ai parenti, agli amici, ai colleghi di lavoro, a chiunque incontreremo. Perchè in noi sarà consegnato Cristo. La nostra vita sconvolta e rovesciata dal suo amore come un cassetto ricolmo di oggetti da buttare, ci è donata per sconvolgere, per essere un segno di contraddizione. Nulla è per caso. Ogni persona che appare al nostro orizzonte non è un incontro fortuito, ma un dono di Dio per il quale noi stessi, e Lui in noi, siamo dono. Spesso un regalo rifiutato e odiato. Sì, saremo odiati perchè il mondo sia salvato. E sarà odio benedetto perchè sarà odiato Cristo in noi, e si incarnerà e svelerà la sua Croce che salva, la maledizione che dona la vita. Il suo sangue “ricaduto” sui suoi assassini come un lavacro di misericordia e di rigenerazione. Il suo mistero d’amore e di salvezza vivo e attuale sacramentalmente in noi.

Questo sono, ovunque e nel corso dei secoli, la Chiesa e i suoi figli: “sacramento di salvezza”, una fornace che, prendendo l’odio e il peccato su di sé, lo distrugge nella misericordia, per donare in cambio il perdono e la Vita nuova ed eterna. Questo siamo noi, odiati e rifiutati in questo mondo per servire e salvare la generazione che lo abita. La nostra vita è la carne di Cristo offerta ad ogni uomo. Con amore infinito, come Stefano, il nostro sguardo fisso su Cristo e il volto come quello di un angelo, testimone dell’amore contemplato e sperimentato.

Martedì della XXXIV settimana del T.O.

dal vangelo secondo Lc 21,5-11

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: “Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”.
Gli domandarono: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?”.
Rispose: “Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: ‘‘Sono io’’ e: ‘‘Il tempo è prossimo’’; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine”.
Poi disse loro: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo”.

IL COMMENTO di don Antonello Iapicca

Ci stiamo avviando ormai al tempo di Avvento ed il Vangelo oggi ci parla del discernimento. Ciò che distingue i cristiani è avere discernimento, ovvero uno sguardo celeste sul mondo. Saper leggere i segni dei tempi e non restare imbrigliati nei fatti della storia, sia quella che andrà a finire nei libri, sia quella che invece resterà per sempre racchiusa nel perimetro della nostra semplice e “apparentemente” marginale esistenza. Non lasciarsi inghiottire dal fluire spesso burrascoso degli eventi lasciando che la “vulgata” popolare, il “pensiero unico dominante”, ci imbavagli mente, occhi e cuore, imponendoci le “ovvie” e assolutamente “corrette” conclusioni e interpretazioni.

Vi è una chiave che “apre” all’intelligenza delle cose, ed è lo Spirito Santo. E’ lo Spirito che attesta a San Paolo che in ogni città lo attendono le catene, la sofferenza e infine il martirio. E’ lo stesso Spirito che illumina il Signore sul Suo cammino, che lo dirige e lo educa a poco a poco nella coscienza che c’è un “dover” andare a Gerusalemme, un “dover” essere riprovato, tradito e condannato. E’ lo Spirito che sigilla nel cuore e nella mente del Signore la certezza dell’importanza assoluta e decisiva della Croce che lo attende, della tomba già preparata. Ed è lo Spirito che attesta al cuore di Gesù e della Vergine Maria l’unicità della Risurrezione, che nessuno capirà sino a che non ne sarà coinvolto personalmente per mezzo dello stesso Spirito.

Vi è come una linea di “dovere” nella vita del Signore, come nella storia di ciascun uomo, di ciascun popolo. Ed essa corre diritta verso la Croce e la Risurrezione, perchè la storia reca in sé il seme del Mistero Pasquale del Signore. Satana non la pensa così, non ha il “pensiero” di Cristo, lo Spirito di Dio. Anche se a parlare e a sbraitare contro la Croce è Pietro: a lui Gesù griderà di retrocedere e di porsi alla sua sequela piuttosto di tentare di guidarne il cammino, perchè ogni pensiero contrario alla Croce è di satana. Ed è un criterio fondamentale in me, come dentro i grandi eventi del mondo. Questa è la chiave, l’unica, capace di svelare il mistero della storia. In Medio Oriente come in Italia, in Giappone come in Spagna, nel mio ufficio, nella mia famiglia, nel mio intimo: la Croce gloriosa del Signore.

Vi è una fine che non è il fine che aspetta ogni cosa, ed è la fine che dischiude la vita celeste. In ogni evento, in ogni persona è inscritto il Mistero Pasquale del Signore, perchè tutto è stato creato in Lui e per mezzo di Lui, e nulla sussiste se non in Lui. Rinunciare a Lui, allontanarsi dal Signore, è condannarsi alla totale cecità, a non vedere, non capire nulla della storia e delle persone. Con le conseguenze più drammatiche.

Le parole di Gesù oggi ci chiamano alla vigilanza. A non seguire nessuno che non sia Lui. Chiunque ci consiglia di scappare dalla croce, dalla storia concreta che ci è data, nasconde la presenza del demonio. Ci troviamo già nel combattimento decisivo. I segni sono davanti ai nostri occhi. Ma non è ancora la fine! Siamo figli della luce, sappiamo che il demonio è il principe di questo mondo, e i suoi figli sono in guerra con il Signore. Ogni certezza umana, comprese quelle religiose, sono destinate alla distruzione. Anche il Tempio, con ogni sua ricchezza. Per questo Gesù ci ha annunciato che il Padre cerca adoratori in Spirito e Verità. La Chiesa è molto più degli edifici, anche di quelli magnifici che esprimono la fede di una generazione. La bellezza di una cattedrale gotica, o di un’icona del XIV secolo è nulla in confronto ad un cristiano che offre la sua vita per il nemico. La bellezza che salverà il mondo brilla sul volto del Servo di Yahwè, incarnato nella sua Chiesa pellegrina nella storia.

La chiesa è la comunione tra i fratelli, l’amore celeste che li unisce. Fratelli che si perdonano, che ricominciano ogni giorno in virtù della risurrezione del Signore: è questo il Tempio non costruito da mani di uomo, il corpo vivo di Cristo nella storia. Ammirarlo apre alla salvezza. Le chiese e l’arte hanno sempre espresso questo contenuto d’amore. Quandonl’ammirazione si ferma alle pietre è vana. Se costruiamo templi perchè siano ammirati li vedremmo ridotti un cumulo di pietre. Il ministero presbiterale, il matrimoni, lo studio, il lavoro, vissute in Cristo sono ope d’arte che mostrano il voto di Dio. Edificati per noi stessi, per vanagloria, si corrompono. Perchè tutto ciò che non è edificato sulla Pietra scartata dai costruttori esprime il vuoto, per quanto esteticamente bello possa apparire. La sessualità ad esempio, se non esprime il contenuto di un amore fatto dono totale, è un tempio costruito per essere distrutto. Non resterà nulla di quell’amplessoche non sorge dall’amore autentico, sigillato dal sacramento, che fa dei due una carne sola. Laddove non vi è l’offerta di se stessi, nella mente e nel cuore prima ancora che nel corpo, nella conseguente apertura alla vita che Dio potrebbe donare, l’unione sessuale resta come un bel Tempio edificato per adorare se stessi. E non resterà nulla perchè Dio distruggerà chi distrugge il suo Tempio che Cristo vivo in ogni uomo.

Ma il Signore anche oggi passa nella nostra vita, Lui il vero Tempio già ricostruito che cerca ciascuno di noi, anche nella nostra cecità, per ridonarci la vista, e con essa la vita. La vita in Lui dentro la storia di ogni giorno. La certezza che, come diceva San Francesco, è “morendo che si resuscita a vita nuova”, con uno sguardo pieno di benedizione sul passato, di stupore sul presente, di speranza sul futuro. “Deve” morire il chicco per non restar solo, “devono” accadere tanti fatti “crocifissi” nella nostra vita, ma la speranza non delude, perchè il Suo amore è stato riversato nei nostri cuori.