Molti pazienti in stato vegetativo «sono coscienti e possono anche eseguire comandi specifici»

Lo affermano in un nuovo studio i ricercatori della Cambridge University 

Secondo un nuovo studio della Cambridge University, molti pazienti in stato vegetativo persistente non solo sono consci di quello che succede all’esterno ma possono anche concentrarsi su determinate cose.

NUOVE SCOPERTE. I ricercatori hanno fatto un test a 21 pazienti e uno di loro, Srivas Chennu, ha dichiarato: “Non solo abbiamo scoperto che le persone in stato vegetativo sono in grado di fare attenzione alle cose ma anche che sono in grado di seguire comandi specifici. Questa scoperta potrebbe permetterci in futuro di sviluppare tecnologie per permettere a questi pazienti di comunicare con il mondo esterno”.

«SCOPERTE IMPORTANTI». Non tutti i 21 pazienti hanno dato gli stessi risultati ma il dottor Tristan Bekinschtein, Medical Research Council Cognition and Brain Sciences Unit, è ottimista: “Queste scoperte significano molto: alcune persone in stato vegetativo potrebbero essere in grado, dopo un adeguato allenamento, di migliorare il loro livello di comunicazione con il mondo esterno”.

da www.tempi.it

Il Papa all’Angelus: «È l’eternità a illuminare la vita terrena di ciascuno di noi»

Il Papa all’Angelus: «È l’eternità a illuminare la vita terrena di ciascuno di noi»

Il pontefice chiede preghiera e aiuto concreto per le popolazioni delle filippine colpite dal tifone. Il ricordo della notte dei Cristalli e la vicinanza agli ebrei, «nostri fratelli maggiori» 

Al termine di un  Angelus tutto incentrato sul significato della vita eterna e sul rapporto con quella terrena, papa Francesco ha invitato i fedeli a pregare per le popolazioni delle Filippine, colpite da un tifone violentissimo il cui bilancio, secondo le stime delle autorità, arriverà a circa diecimila vittime. Il Papa ha voluto anche ricordare l’anniversario della “notte dei cristalli” con cui esplose, nel 1938 in Germania, la persecuzione dei nostri «fratelli maggiori» ebrei.

LA RESURREZIONE. Commentando le letture della liturgia di oggi il Papa ha spiegato la “provocazione” tesa a Gesù dai Sadducei, che non credevano nella risurrezione. “Se una donna ha avuto sette mariti morti uno dopo l’altro – chiedono infatti – chi sarà il suo marito nell’aldilà?. «Gesù – spiega il Papa – risponde che la vita dopo la morte non ha gli stessi parametri di quella terrena: la vita eterna è un’altra vita in un’altra dimensione, dove, tra l’altro, non ci sarà più il matrimonio che è legato alla nostra esistenza in questo mondo. I risorti vivranno come gli angeli in uno stato diverso che non possiamo nemmeno immaginare». «Ma poi Gesù per così dire “passa al contrattacco” e lo fa citando la Sacra Scrittura con una semplicità e una originalità che ci lasciano pieni di ammirazione per il maestro. La prova della risurrezione – continua Francesco – Gesù la trova nell’episodio di Mosè e del roveto ardente, là dove Dio si rivela come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Il nome di Dio è legato ai nomi degli uomini e delle donne con cui si lega, e questo legame è più forte della morte. Ecco perché Gesù afferma: “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. E il legame decisivo, l’alleanza fondamentale è quella con Gesù: Lui stesso è l’Alleanza, Lui stesso è la Vita e la Risurrezione, perché con il suo amore crocifisso ha vinto la morte. In Gesù Dio ci dona la vita eterna, la dona a tutti, e tutti grazie a Lui hanno la speranza di una vita ancora più vera di questa. La vita che Dio ci prepara non è un semplice abbellimento di quella attuale: essa supera la nostra immaginazione, perché Dio ci stupisce continuamente con il suo amore e con la sua misericordia».

LA MORTE E’ ALLE NOSTRE SPALLE. «Ciò che accadrà è proprio il contrario di quanto si aspettavano i Sadducei: non è questa vita a fare da riferimento all’eternità, ma è l’eternità a illuminare e dare speranza alla vita terrena di ciascuno di noi. Se guardiamo con occhio umano siamo portati a dire che il cammino dell’uomo va dalla vita verso la morte, ma è così solo se guardiamo con l’occhio umano. Gesù capovolge questa prospettiva e afferma che il nostro pellegrinaggio va dalla morte alla vita: la vita piena! Quindi la morte sta dietro, alle spalle, non davanti a noi. Davanti a noi sta il Dio dei viventi, il Dio che porta il mio nome, il tuo, il tuo, il tuo… sta la definitiva sconfitta del peccato e della morte, l’inizio di un nuovo tempo di gioia e di luce senza fine. Ma già su questa terra, nella preghiera, nei Sacramenti, nella fraternità, noi incontriamo Gesù e il suo amore, e così possiamo pregustare qualcosa della vita risorta. L’esperienza che facciamo del suo amore e della sua fedeltà accende come un fuoco nel nostro cuore e aumenta la nostra fede nella risurrezione. Infatti, se Dio è fedele e ama, non può esserlo a tempo limitato, la fedeltà è eterna; l’amore di Dio non è per un tempo limitato, è per sempre: Lui è fedele per sempre, e Lui ci aspetta e accompagna ognuno di noi con questa fedeltà eterna».

da www.tempi.it

Vogliamo soltanto affermare che la famiglia naturale è bella

Vogliamo soltanto affermare che la famiglia naturale è bella

di Domenico Bonvegna

In queste settimane stiamo assistendo a gravi fatti di intimidazione e di intolleranza da parte di certi ambienti e gruppi dell’omosessualismo militante nei confronti di chi liberamente vuole manifestare le proprie idee senza offendere nessuno sui temi del matrimonio tra un uomo e una donna e della famiglia naturale, quella sostenuta dalla Costituzione italiana.

Dopo il disturbo da parte di attivisti gay di una conferenza organizzata da gruppi cattolici a Casale Monferrato contro la legge sull’omofobia, da segnalare il grave atto di intimidazione nei confronti della scuola cattolica “Faa di Bruno” a Torino che è stata costretta a sospendere un ciclo di incontri sulla famiglia riservato ai genitori. Sempre a Torino in certe scuole medie ci informa il professore Massimo Introvigne “che a bambini di dodici anni. Anche in altre scuole: per esempio alla statale Meucci, in tre classi di seconda media, sono stati proposti uno spettacolo e una discussione sul genere (http://www.direfarenondiscriminare.com/genere/maschi-femmine-alla-meucci… ), spiegando che «se il vostro compagno [maschio] domani venisse a scuola vestito di fuxia e paiettes [sic]» nessuno dovrebbe particolarmente stupirsi. Qualche genitore ha protestato, ma è stato messo a tacere o in ridicolo”. (M. Introvigne, Scuole come campi di rieducazione al gender, 4.11.13, LaNuovaBQ.it)

Mentre A Venezia pare che gli insegnanti di scuole materne e primarie devono partecipare a 6 lezioni di “rieducazione” sull’argomento “a proposito di genere” e che saranno affiancate da un tutor che li assisterà nel proporre ai bambini il superamento degli stereotipi di genere, cioè che esistono in natura, maschio e femmina, ma piuttosto un numero imprecisato di genere, che poi si “indossa” a suo piacimento. C’è insomma una voglia di “Corea del Nord”, di campi di rieducazione – scrive Cascioli su LaNuovaBQ.it – sul modello della Cina maoista, che sta invadendo l’Italia…”.

Peraltro ricorda il professore Introvigne che tutto questo succede in scuole pubbliche, a spese dei contribuenti. A Torino come in mezza Italia. Continuerà a succedere, se non fermiamo in tempo questo treno impazzito che corre verso un burrone. E continuerà anche a succedere che, se invece qualche cattolico vuole esporre, civilmente e privatamente, idee diverse, come si è visto nel caso Faà di Bruno, intervengono i Comuni minacciando sanzioni. Con l’applauso anche di cattolici impauriti o complici”.

Per approfondire il tema credo sia utile proporre ai lettori un contributo pubblicato dal blog www.comunitàmbrosiana.org di Marco Invernizzi, responsabile regionale in Lombardia dell’associazione di apostolato culturale Alleanza Cattolica, nonché conduttore settimanale della trasmissione, “La Voce del Magistero” su Radio Maria.

“Care amiche, cari amici
Probabilmente all’interno delle comunità gay, lesbiche, bisessuali e transessuali è in corso un dibattito su come comportarsi a proposito della legge sull’omofobia. Infatti, queste comunità avevano auspicato e promosso la legge perché si sentivano discriminate e oggetto di azioni violente da parte di supposti omofobi. In realtà, alla luce di quanto sta accadendo, emerge una realtà molto diversa.
Nel giro di poche settimane, a partire dalla fine dell’estate, contemporaneamente alla discussione della legge alla Camera, si sono verificate diverse azioni di intolleranza contro i sostenitori della famiglia naturale da parte delle comunità gay, lesbiche, bisessuali e transessuali.
Si comincia a Verona, in settembre, dove le comunità glbt contestano un convegno sull’ideologia del gender organizzato nella città scaligera al quale presenzia lo stesso sindaco e che può svolgersi grazie alla protezione delle forze di polizia. Pochi giorni dopo a Casale Monferrato, un convegno organizzato da Alleanza CattolicaComunione e liberazione eMovimento per la Vita viene impedito dalla presenza in sala di lesbiche che urlano e salgono sul palco con cartelli provocatori, costringendo gli organizzatori a sospendere i lavori. Un convegno a Milano, il 5 ottobre, organizzato da Alleanza Cattolica, con la presenza di giuristi e parlamentari e con la partecipazione del portavoce della Manif francese si può svolgere soltanto grazie alla presenza e alla protezione delle forze dell’ordine. Pochi giorni dopo, sempre a Milano, un convegno alla Provincia viene disturbato da attivisti gay che gridano e distribuiscono volantini all’interno della sala. Le iniziative in difesa della libertà di espressione e a favore della famiglia si estendono: incontri si organizzano a Genova, a Vignate nei pressi di Milano, sempre protette dalla polizia e dai carabinieri. Contemporaneamente scendono in piazza leSentinelle in piedi, a Brescia e Bergamo, a Milano e a Trento, mentre a Roma, Verona, Bisceglie, Bologna, si organizza e manifesta la Manif Italia. In queste ultime ore, infine, il fattaccio del vicepresidente dei giuristi cattolici, Giancarlo Cerrelliche viene invitato alla trasmissione televisiva della RaiDomenica in, e poi improvvisamente “lasciato a casa”, mentre pressioni e minacce provenienti dal Comune di Torino costringono l’istituto scolastico Faà di Bruno a rinunciare a una serie di incontri a favore della famiglia.
A questo punto, l’immagine dei poveri omosessuali discriminati non sta più in piedi. La gente comincia a rendersi conto che l’urgenza di una legge contro l’omofobia era una forzatura ideologica e che invece, nei centri del potere che contribuiscono a creare l’opinione pubblica, in tv, nei giornali, nell’editoria, domina un pensiero unico ostile alla famiglia naturale. Inoltre, ilCorriere della Sera del 2 novembre ci ricorda che il governo italiano, nel decreto per la scuola approvato dalla Camera il 31 ottobre, ha introdotto la spesa di dieci milioni per l’educazione “all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”.
Che cosa fare allora?
Non possiamo aspettarci nulla o quasi dai partiti politici, neppure da quelli che avevano dichiarato incostituzionale la legge sull’omofobia nella passata legislatura per ben due volte. Il Pdl-Forza Italia appare avviluppato in una polemica interna fra falchi e colombe che gli italiani non capiscono e non capiranno, mentre all’interno di un governo dove ci sono ministri solitamente bene orientati passano provvedimenti come quello sopra indicato, senza che nessuno denunci la cosa. La stampa e la tv sono orientate in senso gay-friendly e i più elementari fondamenti della democrazia e del diritto di opinione sono saltati a favore di una mentalità ideologica contraria alla famiglia. Le istituzioni sono occupate da questo stesso pensiero unico, lo accolgono e lo adulano senza neanche sentirsi in dovere di dichiarare che è un’imposizione culturale che proviene dalla Commissione europea.
Cari amici, a noi rimangono soltanto le persone. Una per una, da raggiungere con la fatica quotidiana di spiegare l’ovvio, che la natura è fatta in un certo modo e con caratteristiche sessuali ben precise, che i bambini nascono dall’amore di un uomo e di una donna, che questo amore è bellissimo perché coerente al progetto divino sulla persona e sulla società e che ogni bambino ha diritto di avere un papà e una mamma. Una fatica cui dobbiamo essere disposti a sacrificare qualcosa del nostro tempo, dei nostri pochi soldi, se non vogliamo soccombere definitivamente sotto il peso di un incombente totalitarismo.
Negli Anni settanta la violenza era rossa e impediva, nelle scuole e nelle università soprattutto, di potere esprimere un’opinione contraria a quella imposta dai collettivi comunisti. Oggi si cerca di togliere il diritto di parola a chi sostiene la legge naturale, difende la vita e la famiglia, afferma la distinzione e la complementarietà dei sessi. In più si cerca di soffocare quelle poche istituzioni scolastiche che potrebbero educare in senso contrario al pensiero unico dominante. Allora come oggi la sopraffazione e la violenza avvenivano nel nome del progresso, dell’emancipazione, della libertà.
Cari amici, non cadiamo nella trappola in cui vorrebbero condurci. Alla loro violenza verbale, alla loro aggressività e alle forzature ideologiche, rispondiamo soltanto con la forte e pacata spiegazione della verità, con pazienza e perseveranza.
Papa Francesco ha citato il 31 luglio, incontrando i suoi confratelli gesuiti, il poema di José Maria Pemán (1898-1981), un grande autore cattolico e un coraggioso patriota spagnolo, dedicato a san Francesco Saverio (Il divino impaziente, Paoline 1960). Il dramma di Pemán ci indica lo stile del grande missionario gesuita, uno stile che dobbiamo fare nostro perché è quello che serve al nostro tempo:
“Quando parlate di Cristo (…) non parlate con quella foga che spaventa e fa ritirare i semplici … Parlate della grazia e del perdono più che della sua ira. Non contentatevi di discorsi in chiesa a porte chiuse. Andate a parlare sui mercati e negli alberghi, senza paura di nulla e di nessuno”.
Anche noi non dobbiamo avere paura, come disse il grande beato Giovanni Paolo II, né di testimoniare Cristo con tutta la forza di cui siamo capaci, né di raccontare le prime evidenze della natura umana e della civiltà, oggi insidiate da un pensiero unico, aggressivo e violento.
Marco Invernizzi

Lunedì della XXXII settimana del T.O.

Lunedì della XXXII settimana del T.O.

Dal Vangelo secondo Luca 17, 1-6.

Disse ancora ai suoi discepoli: «E’ inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono.
E’ meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. 
State attenti a voi stessi! Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. 
E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai». 
Gli apostoli dissero al Signore: «Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. 
Il commento di don Antonello Iapicca
Vivere senza fede credendo e facendo credere di averne: è questo lo scandalo più grande, quello che chiude il cielo a chi ci sta intorno, che scandalizza i piccoli, i fratelli della comunità, chi si avvicina appena al Signore. Un cristiano senza fede è come il sale che perde il sapore: non serve, anzi è occasione di inciampo, è meglio per lui sparire, essere calpestato come polvere sotto i sandali. Si tratta di una Parola molto dura, con la quale dobbiamo confrontarci. “Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta” (Benedetto XVI). Il cristianesimo non è roba da tavole rotonde, da talk show, da comitati organizzativi; la Chiesa non è un’istituzione umana. Quando vi si trasforma diviene scandalo, un ostacolo su cui inciampano i suoi figli, ingannati e sedotti da una menzogna ipocrita. “E’ diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l’idea che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in attività ecclesiali. Si spinge ad una specie di terapia ecclesiastica dell’attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato o, in ogni caso, almeno un qualche impegno all’interno della Chiesa. In un qualche modo, così si pensa, ci deve sempre essere un’attività ecclesiale, si deve parlare della Chiesa o si deve fare qualcosa per essa o in essa. Ma uno specchio che riflette solamente se stesso non è più uno specchio; una finestra che invece di consentire uno sguardo libero verso il lontano orizzonte, si frappone come uno schermo fra l’osservatore e il mondo, ha perso il suo senso” (J. Ratzinger, Relazione tenuta al Meeting di Rimini 1987). La Chiesa narcisa che si rimira e così si illude di adempiere alla sua missione diviene scandalo, uno schermo che impedisce di vedere Dio. Grave, gravissimo, tanto che pur di non cadere in questo scandalo è meglio mettersi una pietra al collo e gettarsi in mare!

E’ anche nel quadro del “guai” del Vangelo di oggi che vanno compresi i “guai” che Gesù indirizza ai farisei e ai dottori della Legge. Guai a chi scandalizza i piccoli, i discepoli, coloro che Lui ha chiamato. Guai a chi, chiuso nella propria ipocrisia, afferma e agisce in modo che la Chiesa perda il suo “sapore” profetico per immergersi nel fetore mondano. Guai a quanti pervertono la Chiesa, guai agli “attivisti” ipocriti che tendono trappole e lacci alla fede, nelle forme che qualche anno fa l’allora Card. Ratzinger stigmatizzava così: secondo questi, “la Chiesa non deve più venir calata già dall’alto. No! Siamo noi che “facciamo” la Chiesa, e la facciamo sempre nuova. Così essa diverrà finalmente la “nostra” Chiesa, e noi i suoi attivi soggetti responsabili. L’aspetto passivo cede a quello attivo. La Chiesa sorge attraverso discussioni, accordi e decisioni…  L’attivista, colui che vuol costruire tutto da sé… restringe l’ambito della propria ragione e perde così di vista il Mistero… L’attivista, colui che vuol sempre fare, pone la sua propria attività al di sopra di tutto. Ciò  limita il suo orizzonte all’ambito del fattibile, di ciò che può diventare oggetto del suo fare. Propriamente parlando egli vede soltanto degli oggetti. Non è affatto in grado di percepire ciò che e più grande di lui, poiché ciò porrebbe un limite alla sua attività. L’uomo viene amputato. Quanto più nella Chiesa si estende l’ambito delle cose decise da sé e fatte da sé, tanto più angusta essa diventa per noi tutti” (J. Ratzinger, Relazione al Meeting di Rimini, 1987). Angusta e irta di ostacoli.

Il cristianesimo invece è fede che opera per mezzo della carità: è, essenzialmente, perdono. Un gelso trapiantato e gettato nel mare significa qualcosa di impossibile, che supera le leggi della natura. Per questo, alla domanda dei discepoli di aumentare la loro fede, Gesù risponde indicando il seme più piccolo della terra: con esso ci vuol dire che la fede o la si ha o non la si ha, non si tratta di misurarne la quantità. E’ un dono celeste, una virtù teologale. Non si vede e non si pesa, se ne percepisce la presenza attraverso le opere che essa ispira. Laddove c’è la fede appaiono opere di vita eterna, che superano la giustizia dei farisei, che vanno al di là delle capacità umane, del fattibile stabilito nei comitati. La fede è l’atmosfera del Regno dei Cieli. Un cristiano è un po’ come un centometrista che va in altura per stabilire un record di velocità. La “velocità” della fede è il perdono, impossibile per chi “corre” al livello del mare, possibile per chi “corre” alle altezze del Cielo. Il cristiano infatti è nel mondo ma non è del mondo: è del Cielo, e vive come gli astronauti sulla luna o nelle navicelle spaziali, dove si muovono in assenza di gravità. Ecco, la fede ci catapulta nel Regno dei Cieli dove è assente la forza gravitazionale della carne che ci spinge giù, ci attacca alla terra e ci fa pensare ed operare secondo la carne. La gravità ci impedisce di avvicinarci, liberi, ai fratelli e di perdonarli. La gravità ci scandalizza, ci fa inciampare; per questo, quanto più ricorriamo alla carne e alla sua fallace sapienza, tanto più cadremo, ci feriremo, precipiteremo nel mare. La gravità che si oppone allo Spirito è come la pietra di cui ci parla il Signore: ci trascina irrimediabilmente nel profondo delle acque della morte.

La fede invece ci rende umili, autentici, abbandonati al soffio rigenerante dello Spirito Santo, leggeri come il vento. La fede ci rende figli del Regno, dove saltano le regole umane e sono superate le stesse leggi di natura. Per la fede, con una parola si può dire ad una albero di sradicarsi e “trapiantarsi” nel mare. E come può un albero essere piantato nel mare, mettere radici nell’acqua? Come può una moglie perdonare un marito che l’ha tradita? Come può accoglierlo settanta volte sette in casa dopo quattrocentonovanta tradimenti? Come puòdimenticare sempre, scusare tutto, credere tutto, coprire tutto? Solo se ella stessa è stata trapiantata nel Regno, se, alla voce di Cristo che l’ha chiamata, ha obbedito per fede ed è stata trasferita nel Cielo. La vita alla quale siamo stati chiamati è proprio quella di un gelso che stende le sue radici nel mare, immagine della morte, per elevarsi sino al Cielo: dalle radici riceve la morte che, come pecore condotte al macello, la storia ci riserva ogni giorno; dal Cielo riceviamo la luce della fede, la vita divina che vince la morte. Per questo San Paolo esplode nella benedizione al Padre “che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati” (Col. 1, 2ss). Il perdono ha operato quella ablatio di cui parla San Bonaventura citato dall’allora Card. Ratzinger: “Lo scultore non fa qualcosa. La sua opera è invece una ablatio: essa consiste nell’eliminare; nel toglier via ciò che è inautentico. In questa maniera, attraverso la ablatio, emerge la nobilis forma, cioè la figura preziosa”. Il perdono toglie via il peccato e ci così trasferisce nel Cielo, fa emergere l’immagine divina e perciò autentica dell’uomo. Dio si rivela come tale e diverso dall’uomo proprio nel perdono: Egli dimentica davvero, non restano in Lui le scorie del ricordo, ha il potere di cancellare dalla propria memoria i nostri peccati. In noi uomini purtroppo non è coì. Per questo abbiamo bisogno di essere continuamente trasferiti in Cielo, trapiantati dalla terra nella quale si nutrono i ricordi, al mare, alle acque delle viscere della sua misericordia, dove essere gestati e rinnovati nell’amore. “Così la prima, fondamentale ablatio, che è necessaria per la Chiesa, e sempre nuovamente l’atto della fede stessa. Quell’atto di fede che lacera le barriere del finito e apre così lo spazio per giungere sino allo sconfinato, e uscire fuori dai limiti del nostro sapere e del nostro potere… Ciò significa che la Chiesa dev’essere il ponte della fede che infrange le mura del finito e libera lo sguardo verso le dimensioni dell’Eterno. La Chiesa infatti non esiste allo scopo di tenerci occupati come una qualsiasi associazione intramondana e di conservarsi in vita essa stessa, ma esiste invece per divenire in noi tutti accesso alla vita eterna.” (J. Ratzinger, ibid).

Gli scandali cui stiamo assistendo in questo tempo, non diversi da quelli che hanno ferito la Chiesa durante la sua storia, sono gravissimi. E certo, guai a chi li ha provocati. Ma non esiste peccato che non possa essere perdonato! Lo scandalo più grande è un altro, è una Chiesa dove si sia smarrito il perdono. Una Chiesa senza Cristo… Una Chiesa dove lo scandalo non possa essere gettato nel mare, sepolto nel sacrificio di Cristo, trapiantato in esso perchè possa essere trasformato nella vita nuova donata dalla sua resurrezione; una Chiesa senza fede che operi nella carità, che schiuda le viscere della misericordia per ridare la vita ai morti. Infatti, “solo il perdono, il fatto del perdono, permette la franchezza di riconoscere il peccato” (Benedetto XVI) e ispira la decisione di convertirsi. “Non è certamente un caso che nelle tre tappe decisive del formarsi della Chiesa la remissione dei peccati giochi un ruolo essenziale. La Chiesa non è una comunità di coloro che «non hanno bisogno del medico», bensì una comunità di peccatori convertiti, che vivono della grazia del perdono, trasmettendola a loro volta ad altri” (Card. J. Ratzinger).Tutti noi abbiamo scandalizzato, tutti ci siamo scandalizzati di Cristo. Con Pietro e i discepoli siamo scappati e abbiamo trascinato tante persone nel nostro tradimento: coniugi, figli, amici. Tutti noi, con san Paolo, abbiamo perseguitato la Chiesa. Ma nella Chiesa possiamo oggi ripetere con lui la parola “sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1 Tim. 1, 15-16). Tutti noi possiamo incontrare ogni giorno nella Chiesa come Pietro, il volto misericordioso del Signore che ci viene a cercare sulla riva dei nostri fallimenti, e sperimentare il suo amore che ci spinge ad amarlo, nonostante tutto. Laddove questo è smarrito in favore di criteri mondani, ai piccoli non rimane altro che inciampare e scappare dal moralismo asfissiante che condanna il peccatore pretendendo di estirpare il peccato. Ed è l’esperienza delle nostre famiglie, chiese domestiche, dove così spesso regnano il moralismo freddo o il lassismo buonista, tentativi carnali di aggiustare le cose eludendo l’unica possibilità autentica, il perdono, la misericordiaIn essa e solo in essa siamo rigenerati e allevati, le viscere materne dove possiamo accogliere il seme della fede.

Nella Lettera inviata ai fedeli d’Irlanda in merito agli scandali della pedofilia nel clero, il Santo Padre scriveva che “Nell’affrontare la presente crisi, le misure per occuparsi in modo giusto dei singoli crimini sono essenziali, tuttavia da sole non sono sufficientivi è bisogno di una nuova visione per ispirare la generazione presente e quelle future a far tesoro del dono della nostra comune fede“. Alla radice degli scandali vi è sempre il non aver fatto tesoro del dono della fede. Esiste uno scandalo che dà ad ogni altro scandalo una tragica definitività, che si frappone come ostacolo al miracolo della rinascita, della conversione, alla missione stessa della Chiesa. Un prete pedofilo ferisce la Chiesa e rivela il baratro del male e dell’iniquità che tutti ci lambisce, giorno dopo giorno. Ma una donna che, in silenzio e nel segreto delle quattro mura domestiche, riaccoglie e perdona un marito adultero schiude il Cielo sulla terra, e la sua luce potente – la luce della Pasqua – è capace di trasfigurare e redimere anche il peccato più grande. Per perdonare occorre la fede che si incarna nella carità, primizia della vita celeste. Per ricevere il dono della fede occorre poter ascoltare l’annuncio del Vangelo e poter crescere in esso, perchè la fede viene dalla stoltezza della predicazione. Lo scandalo più grande è dunque privare la Chiesa della sua missione specifica, imprescindibile, l’annuncio del Vangelo. E’ inevitabile che avvengano scandali, perchè siamo liberi e possiamo sempre cedere agli inganni del demonio. Il Signore  conosceva chi aveva scelto, sapeva della debolezza dei membri della Chiesa. Quanti scandali durante la sua storia, eppure, anche tra quelli più dolorosi, non si è mai spento lo zelo per l’annuncio del Vangelo e la custodia fedele del deposito della fede. Chi crede di sfuggire agli scandali cambiando e adeguando le strutture è solo un superficiale e un mondano, che dal mondo e dai suoi criteri crede di poter attingere per riformare e rinnovare la Chiesa. Chi pensa così non conosce l’uomo e neanche il potere dell’elezione divina. La Chiesa ha sempre vissuto borderline, toccando le cose del mondo se ne è più volte contaminata. Ma i carismi, i santi, il fuoco dello Spirito non ha mai smesso di assisterla per farle compiere la sua missione essenziale di annunciare il Vangelo sino ai confini della terra. Per questo è da evitare e combattere innanzi tutto lo scandalo che spenga lo zelo alla Chiesa, che silenzi la proclamazione della Buona Notizia in favore di strategie mondane, invenzioni umane, succedanei sterili della predicazione. “Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa.. Quanta superbia, quanta autosufficienza!” (J. Ratzinger, Via Crucis, 2005).

Non esiste altro antidoto agli scandali che la stoltezza della predicazione. Solo chi ascolta e si apre alla Parola creatrice può sfuggire ai lacci del demonio: un ragazzo può rispettare la sua fidanzata; una moglie può aprirsi alla vita e non appropriarsi del suo corpo; un commerciante può trafficare senza eludere le tasse; un presbitero può custodire la castità e la parresia senza cedere ai compromessi; solo la Parola e i sacramenti possono donare la fede audace che permette di vivere tra le fiamme della fornace del mondo senza scottarsi, amando oltre il fuoco delle passioni, perdonare infinite volte, anche il nemico. Siamo chiamati dunque, come scrive il Santo Padre nell’indire l’Anno della Fede, a tenere sempre aperta “La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa… E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita… per tenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento”: la gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel suo mistero” (Benedetto XVI, Motu Propio “Porta Fidei”).

La vita infatti ci crocifigge ogni giorno con il Signore, per vivere in Lui e vivere la vita nella carne nella sua fede. La fede del Servo che prende ogni peccato su di sé. Lui guarda ogni uomo con fede, con amore, con misericordia. Lui offre la sua vita gratuitamente, nelle certezza che essa può cambiare il cuore dell’uomo più indurito. Il suo amore può cambiare il più grande peccatore. Lui perdona settanta-volte-sette, cioè sempre, perchè sino all’ultimo istante per ogni uomo c’è speranza. Chi di noi ha fatto l’esperienza di questo amore, non può non amare, perdonare infinitamente. Chi è stato graziato settanta-volte-sette dal Signore, ha fede, guarda tutto e tutti con fede. Il suo unico giudizio è la misericordia. La propria presunta giustizia basata sulla carne e che fa gli altri a fettine è lo scandalo, l’inciampo più grande. Che Dio ce ne liberi e ci faccia conoscere sempre più profondamente il Suo amore, scandaloso per i giustizialisti e giustizieri d’ogni tempo, stoltezza per gli intelligenti d’ogni cultura; potenza e salvezza per i piccoli, i poveri, i peccatori. L’amore crocifisso, scandalo e stoltezza, unica salvezza. Di chi non ne ha proprio nessuna in questo mondo.

Il grande inganno della rivoluzione sessuale svelato da un romanzo che è meglio di mille studi sociologici

“La doppia vita dei coniugi Horn” di Anne Lise Marstrand-Jorgensen descrive perfettamente il fallimento dell’utopia anni Sessanta e le sue disastrose conseguenze
di Lucetta Scaraffia da www.tempi.it 

anne-lise-marstrand-jorgensen-la-doppia-vita-dei-coniugi-hornTratto dall’Osservatore Romano – L’autrice dei due bellissimi volumi biografici dedicati a Ildegarda di Bingen cambia totalmente argomento: nel suo nuovo romanzo (La doppia vita dei coniugi Horn, Milano, Sonzogno, 2013, pagine 544, euro 19,50) Anne Lise Marstrand-Jorgensen racconta la storia di una famiglia danese degli anni Sessanta travolta dalla rivoluzione sessuale. Anche se il romanzo – come sempre scritto con grande maestria ed estremamente coinvolgente — termina con un ringraziamento a «coloro che hanno fatto sì che tutti noi oggi abbiamo maggiori possibilità di scelta di una volta», e dunque anche se l’autrice in fondo sembra simpatizzare per lo spirito rivoluzionario, in realtà l’intreccio costituisce una inequivocabile accusa contro i danni e le sofferenze che una utopia, sbagliata come tutte le utopie, ha potuto causare.

Alice ed Eric sono una giovane coppia innamorata, due coniugi belli che apparentemente hanno tutto: tre figli sani e intelligenti, una bella villa in un sobborgo residenziale, un tenore di vita superiore a quello di cui godevano nelle famiglie d’origine. Alice ha rinunciato al lavoro per seguire figli e famiglia, ma non le dispiace: l’inquietudine viene da Eric, che ha partecipato da giovane a manifestazioni per la pace, in cui ha sperimentato l’ebbrezza di vivere e cooperare personalmente a un cambiamento della società, e ora si trova stretto in una vita così perfetta ma anche ripetitiva e come già tutta definita. L’incontro con un ex-compagno di studi divenuto hippy – che si fa chiamare Sufi e vive in una comune dal nome significativo di Paradiso – lo porta a desiderare la libertà sessuale, ma non nel modo tradizionale dell’adulterio nascosto, ma come prospettiva da vivere sinceramente, insieme con la moglie. Alice spaventata dalla proposta resiste per un po’ ma poi, per paura di perdere Eric, accetta e viene coinvolta in una serie di rapporti che la sconvolgono. Nel trascorrere del tempo, si accorge che mentre per lei la situazione diventa insostenibile, per Eric il desiderio di libertà si amplia sempre di più. Quando Alice gli chiede di rinunciare a questo gioco pericoloso, per tornare alla loro vita normale, Eric le risponde con un tradimento, questa volta anche affettivo, realizzato di nascosto. Alice comprende e non vede altra soluzione che il suicidio.

La seconda parte del libro è la difficile storia del vedovo e dei bambini dopo la morte di Alice: il dolore aspro dei primi tempi, e poi una forma di normalità che nasconde per i figli pesanti fardelli che li portano a commettere errori da cui è difficile emergere. La più colpita risulta essere proprio la primogenita, Marie-Louise, la più somigliante alla mamma e la più giudiziosa, quella che si occupava diligentemente dell’andamento domestico: a sedici anni, incinta del preside del suo istituto, abbandonerà la scuola per occuparsi del bambino, in solitudine. La seconda figlia, la più intelligente e ribelle, a modo suo ripercorre la via del padre avvicinandosi al mondo hippy, mentre il figlio piccolo diventa violento e taciturno. Davanti a questo sfacelo, però, Eric risponde ancora una volta con una scelta “rivoluzionaria”: decide di lasciare tutto per andare in India per sei mesi, con il gruppo hippy di Sufi.

In questo romanzo è raccontato, come non possono fare testi storici o sociologici, il dolore che provoca la scelta utopica in una famiglia normale: non è che le famiglie tradizionali trabocchino di felicità, ma almeno i figli sono protetti dalle esperienze più estreme e il tessuto familiare non viene lacerato. Eric invece, seguendo l’utopia e una forma un po’ egoistica di sincerità, ispira le sue scelte solo alla realizzazione di se stesso, senza vedere i bisogni e le debolezze delle persone di cui è direttamente responsabile. In un delirio di onnipotenza, pensa che sia possibile avere tutto: libertà e famiglia, responsabilità e avventura.

L’aspetto più interessante del romanzo è quello che collega il benessere nuovo di cui godono le famiglie di cui si parla, frutto del boom degli anni Sessanta, alla ricerca di nuove esperienze e nuove utopie. Come se fosse proprio la delusione davanti al fatto che il benessere tanto sospirato non coincide con la felicità a spingere alcuni verso queste nuove e pericolose esperienze. In una società secolarizzata, in cui non c’è spazio per l’anima e la ricerca di Dio, la delusione può solo spingere verso l’utopia. Alice, negli ultimi giorni di dolore, ricorda con nostalgia la vita modesta ma tranquilla dei suoi genitori, una coppia unita soprattutto dalla comune lotta quotidiana per la sopravvivenza economica, ma non per questo priva di tenerezza reciproca.

Nonostante il ringraziamento dell’autrice faccia pensare a una sua adesione al progetto di liberazione sessuale, il romanzo individua – con una lucidità che manca a molti scritti scientifici – il malessere che ha dato alimento all’utopia, e le conseguenze di questa perdita di senso della responsabilità dei legami sociali di un mondo che suggerisce a ciascuno solo la ricerca della realizzazione di sé.