da Baltazzar | Set 25, 2013 | Cultura e Società, Islam
Intervista a Domenico Quirico: «La Primavera araba è stata scippata da un’internazionale islamica che ha come scopo quello di ritornare al Grande califfato del sesto secolo»
di Leone Grotti da www.tempi.it
«Noi non vogliamo capire che l’islam moderato non esiste, che la Primavera araba è finita e che la sua nuova fase consiste nel progetto islamista e jihadista di costruire il Grande califfato islamico. Neanche a dirlo, il principale ostacolo alla sua costruzione siamo noi». Domenico Quirico, inviato della Stampa, rapito in Siria e rimasto nelle mani dei ribelli per cinque mesi, riassume in una grande «dichiarazione di guerra» dell’islam all’Occidente gli attentati in Siria, Pakistan, Nigeria, Egitto e Kenya a cui stiamo assistendo in questi giorni. Domani sera Quirico sarà a Milano per un incontro organizzato dal Cmc e a tempi.it racconta «quello che ci sfugge, perché ci fa comodo far finta di non vedere».
Cos’è che non vogliamo vedere?
Che esiste un jihadismo internazionale che ha dichiarato guerra all’Occidente, strutturato militarmente e con un progetto politico che viene sistematicamente messo in atto in diverse parti del globo.
Qual è il loro obiettivo?
Ricreare il Grande califfato islamico del sesto secolo, che è stato il momento di massima espansione militare e politica dell’islam nel mondo. Allora, andavano dall’Europa all’Asia. È chiaro quindi che il principale ostacolo nella costruzione di questo progetto politico siamo noi.
Ma Al Qaeda non stava perdendo terreno?
Le cose sono cambiate. Al Qaeda oggi propone una sfida molto radicale: costruire uno Stato islamico che faccia da nucleo per un successivo sviluppo militare e politico che inglobi il Medio Oriente, il Maghreb, il Sahel e arrivi fino alla Spagna.
La Spagna?
Sì, è considerata terra musulmana da riconquistare. E tutto questo viene detto con grande chiarezza e sincerità. Non sono trame oscure che si muovono nella testa di qualche nostalgico del Medioevo, è un progetto politico preciso che ha armi, eserciti e soldi. E che si sta realizzando a partire dalla Siria.
In un articolo ha definito l’Occidente «debole e brutale». Perché?
Perché alterniamo una vigliaccheria che ci contraddistingue da decenni a momenti di apparente energia come l’intervento franco-inglese in Libia. Prendiamo la Siria: siamo passati dall’immobilismo, quando intervenire sarebbe stato politicamente intelligente ed eticamente obbligatorio, cioè quando la rivoluzione era ancora laica e democratica e non islamica, a progetti totalmente idioti come quello degli Stati Uniti di Obama di bombardare l’esercito di Assad, dando così ad Al Qaeda l’unica cosa che ancora gli manca: l’aviazione.
Pakistan, Nigeria, Egitto, Kenya: gli attentati terroristici si moltiplicano dovunque.
Questa nuova “internazionale islamica” è in grado di spostarsi su tanti fronti nuovi con grande rapidità.
Perché all’Occidente sfugge questo progetto politico?
Ci sfugge perché ci fa comodo far finta di non capire. Se noi capissimo la natura del problema, dovremmo prendere decisioni pratiche e siccome le classi dirigenti dell’Occidente alternano vigliaccheria a momenti di totale obnubilamento mentale, ci attacchiamo come ostriche allo scoglio di questa illusione adatta per i conventi e i salotti televisivi.
Che tipo di illusione?
Quella secondo cui l’islam radicale sarebbe un’appendice secondaria di pochi pazzi che girano il mondo per esercitare la loro follia mentre invece l’islam è tollerante, illuminista, pronto ad accogliere le novità che gli porge l’Occidente come internet o Facebook. E noi non ci accorgiamo che invece l’islam moderato ed educato che ci piace tanto è una piccola percentuale di élites collegate all’Occidente. Mentre la maggioranza è un’altra cosa.
Parla per esperienza personale?
I signori che ho incontrato in Siria erano tutti giovani ragazzi, certamente non folli di Dio che stavano tutto il giorno a salmodiare nelle moschee, ma che sapevano fare la guerra e avevano un progetto politico preciso.
Eppure la cosiddetta Primavera araba aveva suscitato grandi speranze.
La Primavera araba è un periodo che i giornalisti possono ormai consegnare agli storici. È definitivamente tramontata. Siamo in una seconda fase che deriva dalla Primavera araba ma che non è più quella dei giovani di piazza Tahrir o di Avenue Bourghiba. L’islamismo ha raccolto il loro testimone e intelligentemente ha preso l’eredità di qualche cosa che non ha contribuito a costruire, perché bisogna ricordare che gli islamici non hanno partecipato alle rivoluzioni né in Egitto, né in Tunisia né tantomeno in Libia o in Siria.
Ora invece?
Ora invece Al Qaeda è la forza maggiore e meglio armata sul territorio e ha cancellato il Free Syrian Army, che raggruppava i rivoluzionari veri. Oggi la Primavera araba si è trasformata nel progetto del Califfato, anche per colpa dei governi occidentali che prima hanno sostenuto le dittature e poi sono stati sorpresi dal movimento rivoluzionario e hanno cercato di fare una conversione ipocrita di 360 gradi.
Assad è un brutale dittatore, i ribelli hanno dimostrato di non poter garantire un futuro democratico alla Siria. Che cosa può fare adesso l’Occidente?
Non credo che ora sia possibile e intelligente dal punto di vista politico intervenire in alcun modo in Siria. Il regime è inaccettabile, mentre la nuova rivoluzione non è altro se non jihaidsimo e banditismo, perché ci sono gruppi di criminali che non hanno alcuna ideologia se non quella di riempirsi le saccoccie con estorsioni. Bisogna vedere se il regime avrà le forze necessarie per contenere lo jihadismo, che è ancora possibile.
Ma i ribelli non stanno avanzando?
I giornali scrivono curiose storie sul fatto che la rivoluzione avanza ovunque, ma la verità è che Assad controlla ancora le grandi città e finché è così resisterà, anche grazie ai suoi potenti appoggi internazionali.
Lei ha detto che l’islam moderato non esiste: un’affermazione molto poco politically correct.
Noi vogliamo credere all’islam moderato. Io ho girato tutte le rivoluzioni arabe dal 2011 ad oggi. Quando facevo il corrispondente da Parigi ho trovato moltissimi islamisti moderati che possono andare in televisione a fare dibattiti strappando applausi e facendo commuovere la platea. Poi sono andato sul terreno e ho trovato ben altra realtà. In fondo, è come il bolscevismo.
Cioè?
Ha mai conosciuto un bolscevico moderato? No, perché non esiste in natura. Uguale per l’islam.
Un islamista moderato non può esistere?
Esatto, perché l’islam è una religione totalizzante e guerriera. Dobbiamo dirlo chiaro: è nata con le guerre di Maometto e ha nella lotta e nella conversione uno dei principi fondamentali del suo esistere. Anche quando diventasse una religione moderata e illuminista non sarebbe più islam, ma un’altra cosa.
da Baltazzar | Set 25, 2013 | Cultura e Società, Islam, Segni dei tempi
di Riccardo Cascioli da www.lanuovabq.it

Pakistan, Kenya, Nigeria: oltre 300 morti in tre giorni in attentati e attacchi terroristici vari provocati da gruppi fondamentalisti islamici. E questo in un quadro in cui va considerato quanto sta avvenendo in Siria, Egitto, Libia, Somalia tanto per citare i paesi più importanti.
Nel caso qualcuno non se ne fosse accorto c’è in atto una guerra,che non è certo iniziata ieri, e che è sintetizzata dalla rivendicazione dei terroristi in Kenya che, a combattimenti ancora in corso, hanno fatto sapere di aver risparmiato gli islamici presenti nel centro commerciale di Nairobi attaccato, e di avere ucciso solo “i non musulmani”. Forse, quando si andrà a riconoscere le vittime, scopriremo che questa divisione non è stata poi così netta, ma il messaggio politico è chiaro.
Per questi gruppi il mondo si divide in due: l’islam e i nemici dell’islam, che ovviamente vanno eliminati. I cristiani – vedi Pakistan – sono il bersaglio preferito, più semplice per certi versi, ma nel mirino ci sono utti i simboli occidentali.
Negli ultimi anni, grazie anche alla retorica dell’amministrazione Obama, ci si era illusi che il fondamentalismo islamico fosse ridotto a un fenomeno marginale, che il terrorismo fosse sì in grado ancora di colpire localmente, ma che non rappresentasse più un problema globale, perlomeno non così preoccupante.
In realtà, se guardiamo a cosa è successo dall’11 settembre 2001 in avanti vediamo che le cose non stanno così: in Afghanistan, non avendo avuto gli americani la forza o la volontà di vincere definitivamente la guerra, c’è oggi il grande ritorno dei taleban; in Iraq la sognata pacificazione è destinata a restare una chimera e i gruppi fondamentalisti guadagnano posizioni a colpi di attentati; in Nigeria, in Mali, in Somalia formazioni qaediste hanno preso il controllo di aree importanti dei rispettivi paesi (e colpiscono anche fuori, come il Kenya dimostra); in Egitto e in Tunisia hanno conquistato il potere (quasi) pacificamente e se anche in Egitto il presidente Morsi è stato destituito la partita è tutt’altro che chiusa.
A questo si aggiunga l’irresponsabile strategia di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, che hanno aperto loro la porta anche in Libia e ora in Siria. E come quest’ultimo caso dimostra, non abbiamo a che fare con di milizie locali che combattono nel loro paese magari aiutate finanziariamente da altri paesi interessati. In ogni paese dove si combatte la “guerra santa” arrivano molti “stranieri” a dare man forte, ci sono brigate internazionali dedite a combattere la guerra santa ovunque ce ne sia l’opportunità e le loro fila si stanno gonfiando sempre più.
Insomma, in dodici anni il fondamentalismo islamico ha guadagnato molte posizioni secondo una strategia ampiamente annunciata, che vede prioritario il rovesciamento dei regimi moderati o filo occidentali dei paesi islamici.
Di fronte a questa realtà la risposta dell’Occidente è sconcertante: dopo una prima reazione militare seguita all’11 settembre, si è lasciato campo libero a taleban e soci, per poi passare addirittura ad appoggiare il rovesciamento di governi “amici” (vedi Egitto), di regimi comunque nemici dei fondamentalisti (vedi Libia), e infine a sostenere una guerra da cui si avvantaggeranno soltanto i qaedisti. Favorendo con questo anche la persecuzione dei cristiani e la loro fuga da questi paesi. Non bastasse, anche nei nostri paesi occidentali ci pieghiamo volentieri alle pretese dei fondamentalisti, e tolleriamo “eccezioni” islamiche alle leggi che valgono per tutti gli altri cittadini.
Né si vede un qualche segno di ravvedimento. Obama continua a seminare instabilità, l’Unione Europea è sempre più assente, sembra che l’unico paese ad aver compreso il pericolo sia – incredibile a dirsi – la Russia di Putin. Eppure l’esperienza dovrebbe ormai aver dimostrato che di fronte abbiamo un nemico intenzionato a distruggere la nostra civiltà e che favorire l’instabilità di intere regioni, armare una fazione contro l’altra per continuare una guerra all’infinito è soltanto un assist per chi vuole imporre la legge coranica.
Cominciare a riconoscere quanto sta accadendo sarebbe già un primo passo per invertire la rotta. Prima che sia troppo tardi.
da Baltazzar | Set 25, 2013 | Benedetto XVI, Media, Scienza
di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

A ciascuno la sua lettera. Se Eugenio Scalfari ha ricevuto posta da Papa Francesco, il matematico e propagandista dell’ateismo Piergiorgio Odifreddi, dopo avere pubblicato un libro intitolato «Caro Papa ti scrivo», si è visto arrivare una risposta dal Papa Emerito Benedetto XVI. Le undici pagine saranno pubblicate in integro da Mondadori in una nuova edizione del libro di Odifreddi: le leggeremo con interesse, non senza rilevare che il matematico diventerà il primo ateo che farà un po’ di soldi vendendo la lettera di un Papa. Ma intanto Odifreddi ha pubblicato un corposo estratto – non un riassunto, tutte le frasi sono di Papa Ratzinger – sulla casa madre di tutti gli atei che si rispettino, Repubblica, che di questi tempi ogni tanto assomiglia all’Osservatore Romano.
Al di là del dato curioso, la lettera è una piccola lezione di apologetica. Benedetto XVI ringrazia Odifreddi per avere letto «fin nel dettaglio» i suoi libri su Gesù di Nazaret – non è poco, considerando quanti criticano senza leggere -, comunica al matematico che anche lui, Ratzinger, ha letto il suo testo, e gli confessa che «il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell’avventatezza dell’argomentazione». Di questa sorta di recensione critica di Benedetto XVI al libro di Odifreddi, «Repubblica» pubblica quattro parti.
La prima attiene alla teologia, che per Odifreddi non sarebbe scienza ma fantascienza. Dopo un bonario commento ironico su perché mai, se si tratta di mera fantascienza, Odifreddi passa tanto tempo a occuparsene, il Papa emerito sviluppa la sua replica su due piani. Anzitutto, osserva che se pure
«è corretto affermare che “scienza” nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l’aritmetica e la geometria», in senso ampio parliamo di scienza per qualunque disciplina che «applichi un metodo verificabile, escluda l’arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità». La teologia corrisponde a questi criteri, e dunque è scienza. Inoltre, ha contribuito in modo notevole alla cultura occidentale, e ha mantenuto vivo il dialogo fra fede e ragione. Questo dialogo è essenziale anche per i non credenti: «esistono patologie della religione e – non meno pericolose – patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l’una dell’altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia».
In secondo luogo, Papa Ratzinger osserva che «la fantascienza esiste, d’altronde, nell’ambito di molte scienze». Esiste «nel senso buono»: Benedetto XVI cita scienziati come Werner Heisenberg (1901-1976) e Erwin Schrödinger (1887-1961) che hanno proposto «visioni ed anticipazioni», «immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà», una fantascienza che però è stata utile alla scienza. Ma gli scienziati, afferma il Papa emerito, producono talora «fantascienza in grande stile» in senso meno buono, per esempio «all’interno della teoria dell’evoluzione» usata per cercare di fornire un’impossibile prova scientifica dell’ateismo.
Con un po’ di malizia Papa Ratzinger cita le teorie del biologo e divulgatore scientifico Richard Dawkins, infaticabile propagandista dell’ateismo e amico di Odifreddi, come «un esempio classico di fantascienza» spacciata per scienza. Uno dei padri dell’evoluzionismo, Jacques Monod (1910-1976), nota ancora non senza umorismo Benedetto XVI, nel suo fin troppo famoso «Il caso e la necessità», «ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza». Papa Ratzinger ne cita una: «La comparsa dei Vertebrati tetrapodi… trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo “scelse” di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell’evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari…». Non potendo dimostrare questa storiella, Monod, come tanti evoluzionisti, ha prodotto tecnicamente fantascienza, e neppure della migliore qualità.
Secondo capitolo della risposta di Benedetto XVI. Odifreddi insiste sui preti pedofili. È una tragedia che da Pontefice Ratzinger, dice, ha affrontato «con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall’altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano». Per quanto questo non consoli né le vittime né il Papa emerito, questo fa però osservare a Odifreddi che «secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili».
Dunque «non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo». E, se «non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli» e continua a lasciare oggi. Basti pensare alle «grandi e nobili figure della Torino dell’Ottocento» che, insegnando a Torino, Odifreddi dovrebbe conoscere.
Terzo estratto: Papa Ratzinger bacchetta Odifreddi per «quanto dice sulla figura di Gesù [che] non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po’ più competente da un punto di vista storico». Benedetto XVI fornisce al matematico un po’ di bibliografia accademica, neppure cattolica, da cui Odifreddi potrà facilmente ricavare che «ciò che dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere».
Forse lo studioso ateo si è fatto fuorviare, insinua il Papa emerito, dalle «molte cose di scarsa serietà» pubblicate da esegeti progressisti, i quali – il Pontefice emerito cita un commento di Albert Schweitzer (1875-1965), che non fu solo un missionario protestante della carità ma anche un celebre teologo – confermano solo che spesso «il cosiddetto “Gesù storico” è per lo più lo specchio delle idee degli autori». Ma «tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l’importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l’annuncio e la figura di Gesù». E Odifreddi ha capito male Benedetto XVI se pensa che egli proponga un rifiuto del metodo storico-critico: al contrario, per il Papa emerito «l’esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico».
Il quarto estratto va al cuore della visone del mondo atea. Per Odifreddi, come per Dawkins, non c’è bisogno di Dio perché tutto si spiega con la Natura. La risposta di Benedetto XVI è antica, ma sempre persuasiva: «Se Lei, però, vuole sostituire Dio con “La Natura”, resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla». Ma soprattutto nella religione atea di Odifreddi «tre temi fondamentali dell’esistenza umana restano non considerati: la libertà, l’amore e il male». Dell’amore e del male Odifreddi non parla, e la libertà è liquidata come un’illusione che sarebbe smascherata come tale dalla neurobiologia. Ma «qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione». E un religione che rifiuta la libertà e non dà risposte sull’amore e sul male «resta vuota».
Interessa anche a pochi: le statistiche sociologiche confermano che Odifreddi potrà anche vendere tanti libri, ma queste vendite e tutto il foklore dei vari autobus atei non fanno aumentare il numero degli atei. A Odifreddi interessano solo i fatti misurabili. È un fatto misurabile che Papa Francesco, e anche Papa Benedetto, persuadono molte più persone degli atei militanti.
da Baltazzar | Set 25, 2013 | Chiesa, Liturgia
Dal Vangelo secondo Luca 9,1-6
In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.
Il commento di don Antonello Iapicca
Il Regno dei Cieli è vicino, gli Apostoli ne sono gli ambasciatori. Un giapponese in Italia, ovunque vada, faccia quel che faccia, manifesta chiaramente la propria origine. È disegnata nei suoi occhi, l’annunciano le sue parole, la si intuisce dall’approccio alle cose della vita. Così è per gli Apostoli del Regno, ovunque giungano appare il Cielo. È impresso nelle loro vite, così diverse, così scandalose. Per questo non hanno bisogno di nulla che li accrediti, nessuna sicurezza. Sono d’impiccio bastone, sacca, pane, e denaro.
Il bagaglio degli apostoli è quello di Davide dinanzi a Golia, solo cinque pietre, i cinque libri della Torah, la Parola che li ha costituiti e inviati, forza e potere su ogni demonio, medicina per ogni malattia. Le cinque piaghe di Cristo, la parola della Croce, che, come la spada di Davide, taglia la testa al gigante e distrugge gli inganni di satana. Nella numerologia biblica cinque è il numero della Grazia: il quattro è il numero del mondo, e rappresenta la debolezza dell’uomo alla quale però si aggiunge la potenza di Dio, che fa proprio dell’impotenza umana lo strumento per manifestarsi pienamente. Annunciando il Vangelo, gli apostoli, piccoli e impotenti come Davide, lanciano la pietra che ha il potere di sottrarre il popolo al giogo di Satana, perché solo la Parola di Dio può conficcarsi nella sua fronte: solo essa può smascherare la parola del menzognero, e distruggere alla radice le sue trame.
E, accanto alla predicazione, con le cinque piaghe della Croce, gli apostoli aprono il cammino al Regno. Anche noi, deboli e inadatti come loro, siamo chiamati e inviati a uscire in battaglia contro il principe di questo mondo. Il Signore ci da forza e potere per schiacciare la sua testa superba. Unica condizione, abbandonarci a Lui, senza “portar nulla per il viaggio”. Perché di un “viaggio” si tratta: ogni nuova giornata di lavoro, ogni mattina e serata in famiglia, ovunque siamo in cammino, senza radici e installazioni. Se proviamo a sederci e ad assicurarci la vita, tutto comincia a sfaldarsi e a scivolarci dalle mani. Non abbiamo schemi per parlare ai figli. Come non abbiamo manuali per vivere le relazioni con i capi e i colleghi di lavoro. Abbiamo “solo” la Parola da annunciare, garanzia della libertà assoluta. Niente vincoli, nessuna catena, perché ogni giorno è nuovo e ogni relazione va costruita istante dopo istante, disposti a camminare e a viaggiare sino a dove si trova l’altro, nella libertà di rinunciare a tutto pur di salvarlo.
Niente “denaro” perché nulla dobbiamo comprare sulla strada della gratuità. Abbiamo pensato di legare il figlio regalandogli chissà cosa? Siamo così schiavi da non poter rifiutare quello che, per altro, sarebbe naturale non concedere? Una vacanza, la macchina, lo scooter o lo smartphone, gli oggetti per i quali i figli non hanno fatto nulla per guadagnarseli, non sono cambiali da versare per non essere in debito con loro, o per non avere problemi. L’unico debito è la carità, l’amore gratuito e nella Verità, che sa dire di no, dove un sì sarebbe puro veleno.
Nessun “bastone” perché l’apostolo si appoggia solo laddove può distendere le sue braccia per donarsi. Unico suo bastone è la Croce, certificato di credibilità della sua missione. Un marito che non parli a sua moglie appoggiato alla Croce sarà sempre insincero, in cerca di un fondamento dove deporre se stesso. E i problemi, le sofferenze e i peccati non si conteranno. Per relazionarsi con sua figlia, una madre non può non essere crocifissa. Altrimenti come potrà annunciarle la castità, i sacrifici per custodire la santità del suo corpo, aiutandola a scegliere vestiti e atteggiamenti? Coniugi e genitori, sacerdoti e catechisti, vescovi e suore, tutti sono chiamati e inviati per lasciar risplendere in loro la luce della Grazia. Se questo non avviene saranno solo dei moralisti insopportabili, e seppelliranno l’annuncio del Vangelo sotto una valanga di leggi e codici senza Spirito.
Spesso, purtroppo, come il Popolo di Israele con le sue tragiche alleanze, preferiamo appoggiarci al potere di questo mondo. E ne restiamo schiavi. Per questo, come già con la razione quotidiana di manna nel deserto, ogni mattina ci attende l’unica tunica, resa candida nel sangue dell’Agnello; ogni giorno abbiamo noi per primi bisogno della misericordia che ci fa, per Grazia, cittadini del Regno. Così, rivestiti di Cristo, possiamo annunciare il suo Vangelo a chi ci è accanto e ci attende a “casa” sua. Non possiamo esigere che escano e ci vengano a cercare, invitare, supplicare. Al contrario, siamo noi a essere inviati sino a “casa” loro: un apostolo non teme di sporcarsi e di entrare nei tuguri dove ha rinchiuso la propria vita il figlio; o di scendere nella cantina dove, per paura, si è rinchiuso il coniuge. Un apostolo, tu ed io, andiamo a “casa” di chiunque, per un servizio a domicilio che si faccia tutto a tutti, in ogni loro luogo.
E ci sediamo a tavola con loro, per ascoltarli, e condividere i loro dolori; e, con pazienza, aspettare che sia Dio a toccare il loro cuore. Forse ci vorranno giorni, mesi, anni, chi può saperlo?
Un apostolo resta, comunque, con amore e misericordia laddove abita colui al quale è stato inviato. Senza giudicare, esigere, sperare nulla, ma solo annunciando il Vangelo con parole e gesti, perché è l’unico capace di “guarire i malati”. Questo è il
“potere” inerme che Dio ci ha donato. Il potere di chi può stare sulla Croce, che non scappa, e su di essa sa comprendere chi, invece, la Croce non la sopporta, e la deve fuggire.
Il potere dell’amore senza limiti, l’unico che può avere ragione dei “demoni”, di “tutti” i demoni. Ma davvero lo crediamo? Abbiamo potere anche sul demonio più subdolo… O pensiamo, invece, che bisogna percorrere altre strade, psicologi, dialoghi, terapie di gruppo, e quant’altro. E invece la missione della Chiesa, come quella di Gesù, è un grande esorcismo: per questo non possiamo che essere crocifissi, ogni giorno, per scacciare “tutti” i demoni che si nascondono per distruggere la vita. Malattie, difficoltà, sofferenze, rifiuti, tutto ci fa missionari e vincitori: sono il legno della nostra fionda, la Croce, attraverso la quale la Parola predicata si fa autentica e credibile.
Che il Signore ci conceda un cuore che sappia guardare ogni persona come un malato che ha urgente bisogno del Medico. Questo è l’amore autentico, che ha sempre questa consapevolezza di fondo, per esperienza personale. Solo in essa ci potremo avvicinare a tutti con dolcezza, pazienza e misericordia, senza dubitare che l’annuncio del Vangelo è l’unico capace di “operare guarigioni” autentiche ed eterne.
da Baltazzar | Set 20, 2013 | Cultura e Società
Quanto è ulteriormente accaduto sull’ippovia del Cornor ad Udine, dove un uomo con problemi psichici già in cura nel Centro di Salute mentale, pare, abbia ucciso a coltellate la giovane Silvia Gobbato a Udine, non ci sorprende affatto, ma ci amareggia, ci fa restare attoniti e sconvolti perché è la continuazione di tristi episodi, di azioni di questo genere che non possono che provenire da una mente oltreché malata, cinica ed orrenda.
Dobbiamo allora considerare che i Centri di Salute Mentale sono necessari, ma devono essere riveduti con criteri non solo obbedienti allo spending review, ma in un contesto che tenga concretezza orientati alla sicurezza dei cittadini ed al bene dei sofferenti. Quella “nebbia della depressione”, che ha colpito in maniera notevole l’anima di quel giovane è dettata da una sottile perversione, una malattia di natura psichica che va curata con prontezza, ma in maniera molto attenta e continua. Questo disordine morale ci induce a domandarci e domandare : queste forme di mancato riconoscimento di profonde e costanti patologie psichiche, dove possono essere curate se sono carenti le strutture necessarie ?
Dopo questi scandalosi eventi nessuno è esente, perché le Istituzioni, il Parlamento ed il Governo, tutti possiamo fare qualche cosa e quello che non è considerato va ricercato altrove. L’uomo razionale non lascia niente al caso, ma quando avviene il “fattaccio” e si scopre una amara realtà la famiglia, le strutture sociali, la scuola ed le confessioni religiose che cosa hanno trasmesso agli autori. Considerato quanto avviene nel quotidiano si dovrebbe pensare che ci sono anziani da aiutare, famiglie da assistere, malati che attendono cure e questo chi lo dovrebbe fare se non lo Stato Sociale invece di approvare leggi, per esempio, quella sulla vivisezione trascurando l’umano essere ?
Questo “andazzo” rischia di traghettare il n/s Paese, è da molto tempo che lo dico ed è più grave che i giovani e gli adolescenti, verso una cultura dell’egoismo sfrenato del gelo sempre più emergente e dell’indifferenza cogente, da una metodologia che si va affermando autonoma e svincolata da ogni rapporto con le necessità d’ordine sociale.
Purtroppo la guida sociale dei valori della giustizia, della solidarietà, della equità, delle pari opportunità è travisata, anche, nell’autorizzazione all’uso di fattacci che minano le fondamenta dell’etica civile, la superficialità ed immaturità per aver fatto giungere i cittadini a subire gesti insensati ed irriparabili come quello avvenuto ad Udine. Innanzi al grave attentato, l’egoismo e la perversione come nel fattaccio in questione, il presunto autore è stato insensibile al gesto perché ha indossato una incolpevole incoerenza che lo vorrebbe proteggere ed invece lo condanna. Abbiamo la responsabilità di un severo esame di coscienza, soprattutto le Istituzioni che non sanno “morire” al proprio egoismo politico per rinascere alla vita della solidarietà sociale e dell’educazione civica per non vedere più la cultura di quei episodi, come quello di Udine, che oscurano la sensibilità di qualunque persona, perché quella povera ragazza non è morta per una rapina, per un abuso sessuale, per un femminicidio, ma per la noncuranza delle Istituzioni che sono totalmente disinteressate al problema psichico che tanto danno apporta alla società civile
Previte
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