da Baltazzar | Ott 3, 2013 | Chiesa, Papa Francesco
di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Nell’udienza generale del 2 ottobre Papa Francesco, proseguendo le sue catechesi sul «Credo», dopo avere esaminato la settimana scorsa la proposizione «Credo la Chiesa una», ha proposto una meditazione sull’affermazione successiva: «Credo la Chiesa santa».
La santità della Chiesa, ha detto il Papa, «è una caratteristica che è stata presente fin dagli inizi nella coscienza dei primi cristiani, i quali si chiamavano semplicemente “i santi” (cfr At 9,13.32.41; Rm 8,27; 1 Cor 6,1), perché avevano la certezza che è l’azione di Dio, lo Spirito Santo che santifica la Chiesa». Ma oggi come possiamo credere che la Chiesa è santa? Con «uomini peccatori, donne peccatrici, sacerdoti peccatori, suore peccatrici, Vescovi peccatori, Cardinali peccatori, Papa peccatore? Tutti. Come può essere santa una Chiesa così?».
Francesco risponde citando la «Lettera agli Efesini», dove san Paolo ci assicura che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (5,25-26). La Chiesa non è santa perché è fatta solo di santi, «è santa perché procede da Dio che è santo», perché è stata fondata da Gesù Cristo ed è guidata dallo Spirito Santo. «Non è santa per i nostri meriti, ma perché Dio la rende santa, è frutto dello Spirito Santo e dei suoi doni. Non siamo noi a farla santa. È Dio, lo Spirito Santo, che nel suo amore fa santa la Chiesa».
Tuttavia, l’obiezione ritorna: «ma la Chiesa è formata da peccatori, lo vediamo ogni giorno. E questo è vero: siamo una Chiesa di peccatori; e noi peccatori siamo chiamati a lasciarci trasformare, rinnovare, santificare da Dio». Attenzione però: sbaglierebbe chi volesse una Chiesa solo di santi. Ripeterebbe una vecchia eresia. «C’è stata nella storia la tentazione di alcuni che affermavano: la Chiesa è solo la Chiesa dei puri, di quelli che sono totalmente coerenti, e gli altri vanno allontanati. Questo non è vero! Questa è un’eresia!». La Chiesa, che pure è santa, «non rifiuta i peccatori; non rifiuta tutti noi; non rifiuta perché chiama tutti, li accoglie, è aperta anche ai più lontani, chiama tutti a lasciarsi avvolgere dalla misericordia, dalla tenerezza e dal perdono del Padre, che offre a tutti la possibilità di incontrarlo, di camminare verso la santità».
E nessuno deve pensare che, a causa dei suoi peccati, la Chiesa santa non lo accolga. Bisogna però essere chiari: accoglie lui, non i suoi peccati, e lo accoglie se si riconosce peccatore e bisognoso di perdono. «Ma il Signore vuole sentire che gli diciamo: “Perdonami, aiutami a camminare, trasforma il mio cuore!”. E il Signore può trasformare il cuore». «Se hai la forza di dire: voglio tornare in casa, troverai la porta aperta, Dio ti viene incontro perché ti aspetta sempre, Dio ti aspetta sempre, Dio ti abbraccia, ti bacia e fa festa». Ma devi trovare la forza di pronunciare quelle parole, che riconoscono il peccato e chiedono il perdono.
Neppure, però, bisogna accontentarsi di non essere grandi peccatori. Tutti siamo chiamati a essere santi. «Dio ti dice: non avere paura della santità, non avere paura di puntare in alto, di lasciarti amare e purificare da Dio, non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. Lasciamoci contagiare dalla santità di Dio. Ogni cristiano è chiamato alla santità». La santità infatti «non consiste anzitutto nel fare cose straordinarie, ma nel lasciare agire Dio», nel favorire «l’incontro della nostra debolezza con la forza della sua grazia».
Francesco ricorda che il Vaticano II, nella «Lumen gentium», ha insegnato che tutti siamo chiamati a essere santi. Ma il Concilio non ha inventato la nozione di chiamata universale alla santità. Come aveva fatto, sorprendendo molti, l’inizio del suo pontificato, nella prima omelia del 14 marzo, Papa Francesco cita ancora lo scrittore francese controverso e radicalmente antimoderno Léon Bloy (1846-1917), che «negli ultimi momenti della sua vita diceva: “C’è una sola tristezza nella vita, quella di non essere santi”. Non perdiamo la speranza nella santità, percorriamo tutti questa strada. Vogliamo essere santi? Il Signore ci aspetta tutti, con le braccia aperte; ci aspetta per accompagnarci in questa strada della santità. Viviamo con gioia la nostra fede, lasciamoci amare dal Signore…».
da Baltazzar | Ott 3, 2013 | Cultura e Società
di Franco Battaglia* da www.lanuovabq.it

La congettura del riscaldamento globale antropogenico (Agw secondo l’acronimo inglese) risale a un secolo fa, e nel corso degli anni, fino ad oggi, è stata più volte riproposta. Fu una congettura ragionevole e semplice: è da un secolo che l’uomo, bruciando combustibili fossili, immette anidride carbonica (Co2) in atmosfera, la Co2 è un gas serra, nell’ultimo secolo il pianeta è stato più caldo che nel recente passato, ergo fu avanzata l’ipotesi che le emissioni antropiche sono responsabili di questo cambiamento climatico.
Allo scopo di controllare la validità dell’ipotesi, l’Onu ha istituito un organismo – l’Ipcc – che non è scientifico, ma è politico, nel senso che i suoi membri sono nominati dai governi. L’Ipcc assume l’ipotesi vera (così è esplicitamente scritto nel suo statuto) e ha proceduto raccogliendo tutte le circostanze che confermano l’ipotesi (principalmente le risultanze da modelli di calcolo). La procedura adottata ha indotto l’Ipcc a scegliere selettivamente le risultanze a favore della ipotesi da provare.
Il metodo scientifico, però, funziona diversamente. Al cospetto di un’ipotesi, bisogna invece procedere col formulare l’ipotesi nulla – cioè l’ipotesi che nega l’ipotesi che si vuole controllare – e cercare di falsificarla; solo se si riesce a falsificare l’ipotesi nulla allora si accetta l’ipotesi che interessa. Nel caso specifico, bisognerebbe falsificare la seguente affermazione: il clima odierno è d’origine naturale. Procedendo secondo i canoni del metodo scientifico, facciamo allora vedere che quest’ultima ipotesi non viene falsificata e adduciamo una mezza dozzina di circostanze.

Primo. I dati geologici ci informano che la storia climatica della Terra è quella di un pianeta essenzialmente freddo, che vive ogni 100.000 anni periodi di optimum climatico (figura 1). Noi viviamo in un tale periodo, ma tutti i precedenti periodi di optimum climatico sono stati più caldi di quello odierno: siamo in un optimum climatico che, manco a farlo apposta, non è mai stato così freddo! Il clima dei precedenti periodi caldi, più caldi dell’odierno, non possono che essere stati di origine naturale.

Secondo. Sovrapposte alle oscillazioni con periodo di 100.000 anni, vi sono altre oscillazioni, con periodi più brevi. Quella della figura 2 ne è un esempio. Da essa si evince che circa 1000 anni fa il pianeta ha vissuto il cosiddetto Periodo Caldo Medievale (Pcm), quando il clima fu più caldo del periodo caldo odierno. Qualcuno ha tentato di negarlo, sostenendo che i dati sono invece limitati localmente. Invece, la globalità del Pcm è certificata da decine di risultanze, con dati raccolti ovunque nel mondo. Inoltre, ci sarebbe da chiedersi che senso avrebbe preoccuparsi dello svolgimento di un clima globale se poi quello locale si comporta in modo indipendente dal clima globale. Anche il clima del Pcm, più caldo dell’odierno, non può che essere stato di origine naturale.
Terzo. L’attuale riscaldamento globale non si è avviato un secolo fa in concomitanza con le emissioni di Co2, ma ben 4 secoli fa, quando il pianeta era al minimo della cosiddetta Piccola Era Glaciale (Peg). (Gli astrofisici lo chiamano Minimo di Maunder, corrispondente ad un minimo d’attività solare). Intorno al 1650 (si veda ancora la figura 2), il pianeta ha cominciato a scaldarsi e ad uscire dalla Peg, e ha continuato a farlo, con varie oscillazioni, fino ai giorni nostri. Non a caso si sente spesso dire dai media che è da 400 anni che non si registrano temperature alte come quelle odierne. Appunto: 400 anni fa si era nel pieno della Peg. L’uscita dalla Peg è cominciata 400 anni fa, e pertanto non può che essere stata di origine naturale.

Quarto. L’uscita dalla Peg non è stato un processo monotòno ma, piuttosto, l’aumento della temperatura ha subìto arresti e inversioni. Il fatto è che, manco a farlo apposta, un’importante inversione si ebbe negli anni 1940-75 (figura 3), in pieno boom demografico, industriale e di emissioni. Un altro importante arresto si ha da oltre 12 anni (figura 4), con le temperature globali che hanno smesso di crescere, sebbene le emissioni di Co2 abbiano continuato a crescere esponenzialmente senza sosta. Ancora una volta, il clima del pianeta è governato da fenomeni naturali, visto che si è raffreddato proprio quando le emissioni di gas-serra sono state ai loro massimi.

Quinto. La congettura dell’Agw prevede che l’aumento di temperatura della troposfera equatoriale a circa 12 km dalla superficie terrestre sia quasi il triplo dell’aumento della temperatura dell’atmosfera alla superficie terrestre (figura 5a). Questa circostanza fu chiamata “impronta digitale dell’Agw”. Senonché le misure satellitari della temperatura dell’atmosfera registrano lassù, nella troposfera equatoriale, non un riscaldamento aumentato rispetto a quello a terra, men che meno triplo, ma addirittura un raffreddamento (figura 5b). L’impronta digitale della congettura dell’Agw è così diventata l’impronta digitale della falsità di quella congettura.

Vi sono un mucchio d’altre cose che andrebbero dette. Ad esempio, l’aumento del livello del mare per il quale si fa tanto allarme, è in realtà un fenomeno naturale, in atto da 18.000 anni, cioè da quando il pianta cominciò a uscire dall’ultima era glaciale. Un effetto della Co2, allora, dovrebbe far registrare un’accelerazione in questo aumento: ma nessuna accelerazione si osserva rispetto agli aumenti occorsi nel periodo pre-industriale. E altre cose ancora, ma i punti precedenti sono sufficienti: ogni tentativo di sconfessare l’ipotesi nulla ha fallito.
Possiamo dire allora con certezza che, anche se il Gw esiste, l’Agw non esiste. Come mai nacque? Bisogna sapere che esistono ragioni tecniche incontrovertibili per le quali si può essere certi che le tecnologie di produzione elettrica eolica o fotovoltaica sono un colossale fallimento e che implementarle comporterebbe un danno economico faraonico con conseguente crisi economica. Solo inventandosi una circostanza secondo cui solo affidandosi a tali tecnologie si scongiurerebbe un danno ancora maggiore, sarebbe stato possibile implementare quelle tecnologie. L’Agw è stato il cavallo di Troia che ha permesso l’attuazione di politiche energetiche volte all’affermazione di quelle tecnologie fallimentari. Tale affermazione si è realizzata, le tecnologie in parola stanno dimostrando di essere quel fallimento che era perfettamente prevedibile (l’impegno economico in esse è la probabile prima causa della grave crisi economica: si pensi che solo per foraggiare la tecnologia fotovoltaica gli utenti elettrici italiani stanno pagando, e continueranno a farlo per 20 anni, 12 miliardi di euro), e nessuna catastrofe climatica è stata evitata perché non v’era alcuna catastrofe da evitare.
*Professore di Chimica Ambientale all’Università di Modena. Co-autore del rapporto NIPCC “Climate Change Reconsidered II”
da Baltazzar | Ott 3, 2013 | Chiesa, Liturgia
Dal Vangelo secondo Luca 10,1-12
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
Il commento di don Antonello Iapicca
Ciascuno di noi, discepolo di Gesù, è inviato come agnello in mezzo a un branco di lupi; questo significa essere sbranati. Per questo, nella missione della Chiesa, la sconfitta è programmatica. Ogni cosiddetto “piano pastorale” nasconde una contraddizione in sé stesso: non se ne conoscono che pongano, come obiettivo, il fallimento e il martirio, essenziali, invece, per la missione e che non si possono programmare. Unico piano pastorale di Gesù è quello di consegnarsi, mite e indifeso, alla morte. Unico progetto, la croce. I discepoli sono i messaggeri del Signore inviati avanti a Lui ad annunciare il suo arrivo. Ambasciatori dell’agnello non possono che essere agnelli. Per questo siamo inviati nudi, senza alcuna sicurezza, indifesi. Niente bastone, niente calzari, niente borsa, alla mercè di tutto e di tutti. Crocifissi. E dentro il fuoco ardente dello zelo per annunciare il Vangelo: il mondo giace nelle tenebre della schiavitù, non c’è tempo per salutare, per convenevoli e cedimenti affettivi. Ci si ferma in una sola casa, la comunità dove pregare, ascoltare la Parola e nutrirsi dei sacramenti, la comunione che approfondisce l’intimità con Colui che invia.
Niente legami di casa in casa, niente ricerche di affetto e compiacenze, niente luoghi dove pianificare strategie. Il riposo arriverà dopo, quando ritorneranno dal Signore, per esultare con Lui nel vedere i propri nomi scritti in Cielo. Per questo, laddove sono accolti, i discepoli mangiano ciò che viene posto loro innanzi: come il Signore a casa di Matteo, dove assume su di sé il cibo della carne, si carica dei peccati per donare se stesso, il perdono che dà la vita nuova ed eterna. Ogni mattina siamo inviati avanti al Signore: il caffè con la moglie, la colazione con i figli, le strade intasate e le metro stracolme, la scuola, l’ufficio, ogni circostanza sino al momento di spegnere la luce e addormentarsi. Come pecore in mezzo ai lupi, in cerca dei figli della Pace cui riconsegnare la Pace perduta. Con Cristo possiamo vivere come agnelli: è questa la missione che ci ha raggiunto, annuciare a tutti “Pace a te!”. E’ il dono che non si può progettare, come la castità tra due fidanzati: ogni volta che escono insieme sono inviati come pecore in mezzo ai lupi pieni di concupiscenze, dell’egoismo che offre tutto a se stesso. Non si pianifica l’educazione: ogni giorno i genitori sono inviati come agnelli in mezzo a lupi ribelli e capricciosi, per donargli la Pace che ha salvato loro per primi. Essa genera l’educare, il lavorare, lo studiare; la pace nella malattia, nella tentazione, nel fallimento di ogni progetto, anche nel rifiuto della stessa pace offerta: ovunque a farsi mangiare e saziare di Cristo la fame di tutti, come, ogni giorno, il Signore sazia la nostra.
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Ciascuno di noi, discepolo di Gesù, è inviato come agnello in mezzo a un branco di lupi; questo significa essere sbranati. Per questo, nella missione della Chiesa, la sconfitta è programmatica: “La forza della Parola non dipende anzitutto dalla nostra azione, dai nostri mezzi, dal nostro ‘fare’, ma da Dio, che nasconde la sua potenza sotto i segni della debolezza, che si rivela sul legno della Croce” (Benedetto XVI, Omelia dell’11 Ottobre 2011). Ogni cosiddetto “piano pastorale” nasconde una contraddizione in sé stesso: non se ne conoscono che pongano, come obiettivo, il fallimento e il martirio, essenziali, invece, per la missione e che non si possono programmare. La missione dei settantadue incarna e annuncia la paradossale novità del Discorso della Montagna, compiedo quella affidata ai settandue anziani, di aiutare Mosè nel governo del popolo. Così i discepoli partecipano della missione di Gesù, il nuovo Mosè: la vita di ogni uomo è un esodo che punta al regno dei Cieli. Annunciandolo, i discepoli governano le nazioni riconducendole, nel deserto di ogni generazione, all’obbedienza alla volontà di Dio. Con loro, infatti, si avvicina e appare il Cielo, la primizia credibile del regno a cui tutti sono chiamati: qualcosa che non si è mai visto prima, che sfugge a ogni programmazione, il compimento stupefacente delle promesse di Dio. Nel regno annunciato ogni criterio mondano è stravolto. Il buon senso carnale mostra la sua inconsistenza. La Verità ha ragione della menzogna, e la vanità si dissolve per far posto all’autenticità.
Unico piano pastorale di Gesù è quello di consegnarsi, mite e indifeso, alla morte. Unico progetto, la croce. I discepoli sono i messaggeri del Signore inviati avanti a Lui ad annunciare il suo arrivo. Ambasciatori dell’agnello non possono che essere agnelli. Per questo siamo inviati nudi, senza alcuna sicurezza, indifesi. Niente bastone, niente calzari, niente borsa, alla mercè di tutto e di tutti. Crocifissi. E dentro il fuoco ardente dello zelo per annunciare il Vangelo: il mondo giace nelle tenebre della schiavitù, non c’è tempo per salutare, per convenevoli e cedimenti affettivi. Ci si ferma in una sola casa, la comunità dove pregare, ascoltare la Parola e nutrirsi dei sacramenti, la comunione che approfondisce l’intimità con Colui che invia.
Niente legami di casa in casa, niente ricerche di affetto e compiacenze, niente luoghi dove pianificare strategie. Il riposo arriverà dopo, quando ritorneranno dal Signore, per esultare con Lui nel vedere i propri nomi scritti in Cielo. Il passaggio dei discepoli è la luce pasquale che illumina la notte: essi sono gli azzimi della fretta, dell’urgenza che infiamma il cuore di Dio; sono le sue viscere commosse di misericordia per ogni suo figlio reso lupo dall’inganno del demonio: annunciano la Pace, il riscatto e la libertà. I discepoli, come paraninfi del Signore cercano i figli della Pace per prepararli alle nozze con Cristo. I discepoli, come Giovanni Battista, preparano il banchetto di nozze nelle quali il lupo ritorna ad essere l’agnello che è stato creato. “Chi dunque può rendere testimonianza a questa luce solare latente nella carne come in una nube? Tale compito è proprio degli amici dello sposo; nelle nozze umane è tradizionale un rito solenne, per cui, oltre tutti gli altri amici, è presente anche il paraninfo, amico più intimo, che conosce la casa dello sposo. Ma costui è importante, veramente molto importante. Quel che nelle nozze umane, uomo a uomo è il paraninfo, questo è Giovanni in rapporto a Cristo” (S. Agostino, Discorso 293).
Per questo, laddove sono accolti, i discepoli mangiano ciò che viene posto loro innanzi: come il Signore a casa di Matteo, dove assume su di sé il cibo della carne, si carica dei peccati per donare se stesso, il perdono che dà la vita nuova ed eterna: “Dio è accusato di chinarsi sull’uomo, di accostarsi al peccatore, di aver fame della sua conversione e sete del suo ritorno. Si mette sotto accusa il Signore perché prende il piatto della misericordia e il calice della pietà. Fratelli, Cristo è venuto a questa cena, la Vita è scesa tra questi convitati, perché i condannati a morire vivano con la Vita. La Risurrezione si è chinata, perché coloro che giacciono si levino dalle tombe. La Bontà si è abbassata, per elevare i peccatori fino al perdono. Dio è venuto all’uomo, perché l’uomo giunga a Dio. Il Giudice si è seduto alla mensa dei colpevoli, per sottrarre l’umanità alla sentenza di condanna. Il Medico è venuto dai malati, per guarirli mangiando con loro. Il buon Pastore ha chinato le spalle per riportare la pecora smarrita all’ovile di salvezza”. (S. Pietro Crisologo, Discorsi, Sermo 30). I discepoli sono inviati a preparare questo banchetto, annunciando che Dio si è fatto carne e in essa ha distrutto il veleno di morte. Come il Signore portano la natura divina nella debolezza della natura umana, fragilità e precarietà che si fanno evidenti nella missione.
Tutto questo è la nostra vita. Ogni mattina siamo inviati avanti al Signore: il caffè con la moglie, la colazione con i figli, le strade intasate e le metro stracolme, la scuola, l’ufficio, ogni circostanza sino al momento di spegnere la luce e addormentarsi. Come pecore in mezzo ai lupi, in cerca dei figli della Pace cui riconsegnare la Pace perduta, il trofeo conquistato dal Signore nel combattimento vittorioso ingaggiato con il peccato e la morte: “Pace a voi!”, la pace che sgorga dalle stigmate gloriose di Cristo risorto mostrate dai discepoli nella loro totale precarietà. Tutto è perdonato, si può vivere una vita diversa, autentica, piena. Si può amare perché la paura della morte che spinge a farsi lupi – homo homini lupus – è stata dissolta nella certezza di un amore più forte della tomba. Si può perdonare, si può pazientare, si può donare la propria vita. La fame dei lupi è stata saziata dall’Agnello senza macchia. La fame di affetto, di comprensione, di giustizia, di misericordia che ogni giorno miete vittime accanto e dentro di noi, è stata saziata dall’amore crocifisso, scandalo e stoltezza che cura ogni malattia.
Si può vivere come agnelli, anzi, proprio la vita di un agnellino è l’unica autentica, quella che custodisce la caparra del Cielo. E’ questa la missione che ci ha raggiunto. Non si può pianificare la castità tra due fidanzati: ogni volta che escono insieme sono inviati come pecore in mezzo ai lupi delle concupiscenze, dell’egoismo che offre tutto a se stesso. Non si pianifica l’educazione: ogni giorno i genitori sono inviati come pecore in mezzo ai lupi delle ribellioni, dell’esigenza di autonomia, dell’immaturità. Non si programma l’essere marito, moglie, padre, figlio, fidanzato, collega di lavoro; non si pianifica secondo i criteri mondani un matrimonio, un’amicizia, un’attività lavorativa, lo studio. Non si pianifica il Servo di Yahwè: è una grazia che sgorga dall’essere stato scelto ed inviato, la primogenitura che costituisce la missione, la vita del missionario.
Nei “settantadue”, infatti, la morte è stata vinta e, più ancora nel rifiuto e nella persecuzione, con loro si fa “vicino il Regno di Dio”; esso è preparato anche per i nemici della Croce di Cristo, gli abitanti delle “Sodoma” che rifiutano e uccidono gli stranieri messaggeri di una vita diversa e senza peccato; liberi e senza paura, siamo inviati ad amarli nella verità, “scuotendo la polvere” di corruzione e vanità calpestata per raggiungerli, rivelando sin dove si spinge lo zelo di Dio per la pecora perduta. Ogni giorno siamo chiamati ad essere, come Cristo e con Lui, i messaggeri che giungono dal Cielo a testimoniare, nella vita e nelle parole, che la morte non é l’ultima parola. Nei discepoli brilla la pace che genera l’educare, il lavorare, lo studiare; la pace nella malattia, nella tentazione, nel fallimento di ogni progetto, anche nel rifiuto della stessa pace offerta: ovunque a farsi mangiare e saziare di Cristo la fame di tutti, come, ogni giorno, il Signore sazia la nostra.
da Baltazzar | Ott 2, 2013 | Chiesa, Liturgia
dal Vangelo secondo Mt 18,1-5.10
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».
Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
Il commento
Il più grande dei comandamenti, il più grande nel Regno dei Cieli… Chi seguiva e si avvicinava al Signore non aveva molta fantasia. Come il cuore di ciascuno di noi, monotono e sempre in cerca di qualcosa per cui appassionarsi, risultati, misure da esibire, cifre e numeri a stabilire il perimetro della propria presenza: più “conti” e più sei grande, e addio paura della fine… Dietro a questa frenesia di sapere chi e che cosa sia il più grande, si cela infatti l’interrogativo al quale nessuno sa rispondere: esiste il Cielo o finisce tutto qui? Gesù ci conosce e così, invece di rivelare chi sia il più grande, indica un cammino e una soglia che annunciano l’unica risposta che conta: il Cielo esiste, e possiamo entrarvi. Ma occorre convertirci e abbandonare i criteri adottati sinora. Eh sì, perché nel Regno dei Cieli si entra solo se si diventa tanto piccoli da passare inosservati.
Impossibile. In ricerca perenne di affetti, gratificazioni e stima che ci “ingrassino” al punto che nessuno ci possa togliere dalla scena, neanche sappiamo da dove cominciare per “dimagrire”… Ci abbiamo provato forse, fallendo miseramente. Da soli non ce la facciamo, perché l’uomo, “nel suo amore verso il bene, è indebolito da molte passioni che si trovano nella sua anima. E’ quindi necessaria all’uomo la custodia degli angeli” (San Tommaso d’Aquino). Il loro sguardo infatti è fisso sul volto del Padre nel quale riconoscono il riflesso di ogni suo figlio. Gli angeli ci vedono già in paradiso, per questo possono accompagnarci lungo il cammino di ritorno a casa. Sanno persuaderci come fecero con il figlio prodigo, ricordandoci la nostra dignità; ci custodiscono distogliendoci dalla menzogna dell’orgoglio, perché nessuno di noi abbia più a disprezzarsi. La nostra vita è quella di Gesù!