intervista a Giuseppe Sermonti
di Pietro Vernizzi
Tratto da Il Sussidiario.net il 24 maggio 2010

“Dove sbagliano tutti i commentatori della scoperta di Craig Venter? Sul fatto che l’equazione tra cellula e Dna è completamente falsa. Venter è riuscito a riprodurre il materiale genetico di un batterio, ma non tutto quello che ci sta intorno, che poi è la parte più complessa e difficile da realizzare. Presentare un piccolo passo come una conquista di qualcosa che per noi rimane ancora molto lontano, è un falso e una millanteria”.

Non usa mezze parole Giuseppe Sermonti, 85 anni, biologo genetista, per tre anni presidente dell’Associazione Genetica Italiana, ex docente di Genetica alle università di Camerino, Palermo e Perugia e primo scopritore della ricombinazione genetica in alcuni batteri produttori di sostanze antibiotiche.

Oltre che scrittore e polemista che ha attaccato più volte il Darwinismo, pubblicando nel 2003 il successo internazionale “Dimenticare Darwin”, edito negli Usa dal think tank creazionista “Discovery institute” di Seattle con il titolo Why Is a Fly Not a Horse? (Perché una mosca non è un cavallo?). Sermonti è inoltre il capofila di una modalità innovativa di pensare le scienze naturali. Nel 1986, insieme ad altri studiosi, biologi, matematici e fisici, ha fondato il “Gruppo Osaka”, finalizzato all’elaborazione di una biologia antimeccanicista e antiriduzionista.

Professor Sermonti, che cosa non la convince del modo in cui è stata presentata la cellula di Venter?
Quella riprodotta in modo sintetico non è una cellula completa, in quanto mancano la parte citoplasmatica e la parete cellulare. Il suo team di scienziati si è limitato a svuotare un batterio preesistente togliendogli il DNA e a inserirgli un secondo DNA realizzato al computer. Quindi quella realizzata non è una cellula del tutto artificiale, ma solo per quanto riguarda il materiale genetico. Il citoplasma, che è fondamentale in una cellula, è stato del tutto trascurato, in quanto ci si è limitati a utilizzarne uno preesistente.

Forse per il presupposto che il Dna sia la parte di cellula più difficile da realizzare in laboratorio. Non è così?
Il Dna è sicuramente molto complesso, ma il citoplasma possiede una struttura spaziale di cui invece il materiale genetico è privo. Ed è proprio quella forma spaziale la parte più difficile da trasferire da una cellula naturale a una sintetica. E se questo è vero per un batterio, ma nel caso di un uomo lo è ancora di più. Nel citoplasma è contenuto un bagaglio enorme di informazioni che non sono tutte presenti nel Dna.

Fino a che punto Craig Venter è stato chiaro nel presentare la portata ma anche i limiti della sua scoperta?
Lo scienziato americano è stato estremamente sibillino. Venter è un esperto di grande valore, soprattutto per quello che è riuscito a fare nella decodificazione del DNA umano. Ma stranamente ha dichiarato che i suoi risultati sono interessanti solo dal punto di vista teorico, mentre non hanno valore sul piano pratico. Un’affermazione che in un primo momento non riuscivo a spiegarmi, ma che significa che lo stesso Venter riconosce che alla sua scoperta manca qualcosa. Manca la forma appunto. Ma non è l’unica cosa che rimane oscura della cosiddetta “cellula sintetica”.

Che cosa non la convince?
Non è chiaro come Venter sia riuscito a passare dal computer alla molecola. Un conto infatti è un preparato artificiale realizzato al computer, un altro conto il DNA nel senso tradizionale del termine. Il DNA del batterio di Venter non è infatti quello del genitore, ma è stato ricostruito artificialmente al computer.

Tornando al citoplasma, perché è così difficile riprodurne la forma?
Perché farlo è una prerogativa del mistero. Noi scienziati non riusciamo a comprendere come certe cose siano state realizzate, quale sia l’origine della vita e della cellula. Nonostante le scoperte di Craig, sono nozioni che per fortuna ancora ci sfuggono.

Perché “per fortuna”?
Perché grazie a questo fatto rimane ancora un fondo di mistero, eterno, permanente. Qualcosa che si vorrebbe continuamente ignorare, perché l’uomo vuole sentirsi Dio al punto da originare la vita.