Comunicato AESPI
Recenti esternazioni di personaggi politici di rilievo hanno riproposto la vexata quaestio della (in)capacità educativa della scuola di Stato.

Il Capo del Governo ha più volte stigmatizzato la faziosità dei docenti, che applicherebbero agli studenti una vera e propria strategia di indottrinamento contraria ai valori delle famiglie. Più recentemente il deputato PDL Fabio Garagnani, membro della Commissione Cultura, Scienze e Istruzione della Camera, ha presentato un progetto di legge che prevede la sospensione dal servizio da uno a tre mesi per gli insegnanti autori di “qualunque atto di propaganda politica o ideologica nell’attività di insegnamento anche di carattere integrativo, facoltativo o opzionale” affidando la responsabilità della sanzione ai Dirigenti Scolastici

A queste iniziative hanno prontamente fatto seguito interventi di politici e sindacalisti. Fra questi si è segnalato Domentico Pantaleo responsabile della CGIL Scuola, il quale ha definito la proposta del Garagnani quale lesione del “diritto di espressione” degli insegnanti e degna senz’altro di un contesto dittatoriale (vedi comunicato dello scorso 12/5 e altrove).

Scorrendo esternazioni, repliche e contro-repliche, si ha l’impressione di un confronto serrato ma incapace di evidenziare ed affrontare i veri nodi della questione. Da una parte, a nostro avviso, c’è una realistica percezione del deficit educativo della scuola di Stato, ma la definizione di tale deficit è parziale e i rimedi proposti peggiori dei mali cui vogliono porre rimedio. Dall’altra parte vi è la negazione del problema e la difesa dell’esistente, dovuta semplicemente al fatto che quest’ultimo è figlio della strategia politico-sindacale confederale la quale ha pienamente ottenuto nel suo dispiegarsi negli anni il risultato che intendeva perseguire

AESPI dal canto suo ritiene che il deficit educativo non sia prodotto tanto dalla pervicace volontà di alcuni docenti di imporre la propria visione politica. Non si intende, ben inteso, negare che tali atteggiamenti sussistano e che in certi casi assumano proporzioni eclatanti. Il punto però, è un altro e per certi aspetti antitetico al paventato rischio di indottrinamento. Consiste infatti nell’incapacità della scuola di proporre ai giovani (proporre, non inculcare) valori “forti” e tali da conferire un significato non labile e transeunte all’esistenza umana.

Sarà un portato del pensiero debole e post-moderno, ma tutto ciò che la scuola statale cerca oggi di trasmettere sul piano valoriale è una deludente melassa precettistica all’insegna del ” poltically correct “. Uno scipito frullato i cui ingredienti sono: un po’ di ecologia, un po’ di terzomondismo, un po’ di salutismo, un po’ di civismo e legalismo. Si tratta delle tante “educazioni” propinate scientificamente ad opera delle diverse “commissioni” e nell’ambito dei diversi “progetti” che da anni hanno assunto nella scuola un ruolo centrale, emarginando lo svolgimento dei programmi disciplinari, così come emarginando quei docenti che continuano a vedere nella lezione ex cathedra il succo della loro professione. E sono “educazioni” dal fiato corto, etiche asfittiche per ragazzi che anelerebbero a ben altro nutrimento della mente e dell’animo.

Proprio questo è il punto. Indicazioni che in se stesse non sono malvagie (chi direbbe che ” non bere troppo alcool ” sia in sé un cattivo consiglio?) perdono valore e diventano arida e noiosa precettistica se non si ricollegano a un progetto alto di vita, a una prospettiva etico-religiosa sganciata dal contingente, quale la nostra tradizione classica e cristiana propone. Certo i valori “forti” di cui parliamo devono essere proposti con delicatezza, con rispetto, più con l’esempio che con le parole, ma è la presenza di questi che rende un essere umano credibile ed affidabile agli occhi di un ragazzo alle prese con la formazione del proprio carattere e delle proprie convinzioni.

Questi docenti che sappiano essere figure di riferimento oggi sono presenti nella scuola? Operano dietro le cattedre figure dotate di un’identità, di fronte alle quali e nella dialettica con le quali il discente possa costruire la propria, di identità? E in che percentuale rispetto alla categoria nel suo complesso? Vorremmo sbagliare, ma riteniamo che gran parte degli insegnanti si siano rassegnati ad un tran tran didattico-educativo scialbo e guardingo, e che, anche se volessero proporsi diversamente, non sussistano le condizioni per il successo del loro sforzo.

A questa situazione hanno condotto tante cose, ma sul piano normativo e della politica scolastica portata avanti da governi di diverso orientamento, soprattutto la progressiva ” travettizzazione ” dei docenti, ridotti a impiegati sottopagati, costretti a piatire incarichi extra-didattici e il misero salario aggiuntivo che ne deriva, umiliati dalle miserabili contrattazioni di quei comitati di fabbrica post-litteram che sono le RSU, e oggi anche soggetti al potere disciplinare quasi arbitrario del Dirigente Scolastico.

Non ci troviamo di fronte a docenti dotati dello status di vero professionista, ma a “lavoratori della conoscenza”, secondo la risibile e umiliante definizione del sindacato egemone, e non a caso, nella Scuola italiana.

Milano, 18 maggio 2011

Il Presidente
Prof. Angelo Ruggiero