Sui preservativi il Papa fa “un appello al risveglio umano e spirituale

Afferma il direttore dell’African Jesuit Aids Network

di Roberta Sciamplicotti

ROMA, lunedì, 30 marzo 2009 (ZENIT.org).- Le parole pronunciate da Benedetto XVI all’inizio del suo viaggio in Africa sull’uso del preservativo nella prevenzione dell’Aids hanno provocato una tempesta mediatica, ma i commenti papali rappresentano “un appello al risveglio umano e spirituale” e non sono affatto “irrealistici e inefficaci”, sostiene p. Michael Czerny SJ, direttore dell’African Jesuit Aids Network (AJAN).

In un articolo pubblicato su Thinking faith, la rivista online dei gesuiti britannici, p. Czerny spiega che il Papa ha sottolineato un contrasto fondamentale tra l’approccio della Chiesa e quello tipico dei Governi e delle organizzazioni internazionali: “La politica di salute pubblica ha a che fare con figure e trend, non con volti e persone umane. La visione cristiana include tutto questo, ma allarga e approfondisce questa politica”.

“Con una visione olistica, la Chiesa vede ogni persona come un figlio di Dio, come un fratello o una sorella, ciascuno capace sia di peccato che di santità”. “Di fronte non solo all’Aids ma alle molteplici crisi in ogni angolo del continente, gli africani hanno un buon motivo, basato sull’esperienza, per credere nella coraggiosa visione della Chiesa per loro”.

Circa l’affermazione del Pontefice secondo cui i preservativi non sono una risposta alla malattia, ma a volte aumentano il problema, p. Czerny sottolinea che bisogna considerare “due questioni distinte: lo status morale degli atti individuali e la possibilità di una strategia che inquadra intere popolazioni”.

Sugli atti individuali, il gesuita osserva che secondo gli esperti il preservativo, quando viene usato correttamente, può ridurre la possibilità di infezione. “Fare qualcosa di sbagliato potrebbe essere più sicuro con un preservativo, ma la sicurezza non rende l’atto giusto”, ha commentato.

Quanto alla strategia per intere popolazioni, secondo Czerny il fatto che l’uso del preservativo abbia ridotto i tassi di contagio è vero solo fuori dall’Africa e in sottogruppi identificabili, come prostitute e uomini omosessuali, “non per una popolazione generale”.

“In realtà, la maggiore disponibilità e il maggiore uso di preservativi sono consistentemente associati a più alti (e non più bassi) tassi di infezione da Hiv, forse perché quando si usa una ‘tecnologia’ che riduce il rischio come i preservativi si perde spesso il beneficio (la riduzione del rischio) perché si colgono più situazioni rispetto a una situazione senza tecnologia”.

A livello pubblico, quindi, “una politica aggressiva basata sui preservativi aumenta il problema perché allontana l’attenzione, la credibilità e le risorse da strategie più efficaci come l’astinenza e la fedeltà”, che “godono di poco sostegno nei discorsi occidentali dominanti, ma sono sostenuti da una solida ricerca scientifica e sono sempre più inclusi, e perfino favoriti, nelle strategie nazionali contro l’Aids in Africa”.

P. Czerny dichiara che la promozione dei preservativi come strategia per ridurre le infezioni da Hiv a livello di popolazione generale “si basa sulla probabilità statistica e sulla plausibilità intuitiva”, “ma ciò che manca è il sostegno scientifico”.

“Un preservativo è più di un pezzo di lattice – aggiunge –; rappresenta anche una dichiarazione sul significato della vita. Se in Europa e in Nordamerica l’idea è abbastanza accettabile (anche se non del tutto), in Africa la fertilità è lodata e il preservativo sembra straniero e strano, e i valori che incarna estranei”.

Un gesuita in Sudafrica, ricorda, gli ha detto che “la maggior parte degli africani pensa che ‘il Papa e i preservativi’ sia un’attrazione montata dai media e non una questione per la quale vogliamo versare altro inchiostro o distruggere più foreste”.

Come ha ricordato Benedetto XVI, la soluzione alla questione deve comprendere due elementi: sottolineare la dimensione umana della sessualità, che deve essere “basata sulla fede in Dio, sul rispetto per sé e per l’altro e sulla speranza per il futuro”, e “una vera amicizia offerta soprattutto a quanti soffrono”.

Questo servizio “compassionevole e generoso” è quello che viene vissuto in Africa “praticamente dall’inizio”: “i malati di Aids hanno in genere trovato accettazione, sollievo e assistenza da parte della Chiesa indipendentemente dal fatto che ne siano membri”.

“La formazione della coscienza e la cura disinteressata vanno di pari passo”, sottolinea. “Una Chiesa che serve instancabilmente i bisognosi è anche credibile nell’insegnamento e nella formazione che offre”.

P. Czerny conclude ricordando che “la maggior parte degli africani, cattolici o meno, è d’accordo” con le parole del Papa, perché ritiene ciò che ha detto “profondo e vero”.

L’Islam spiegato da un sacerdote egiziano (parte II)

Intervista a padre Samir Khalil Samir, S.I.

di Annamarie Adkins

BEIRUT, venerdì, 13 marzo 2009 (ZENIT.org).- Padre Samir Khalil Samir, di origine egiziana e da lungo tempo residente in Medio Oriente, afferma di non temere i musulmani.

Conosce la loro fede e conosce il Vangelo, e sa che il Vangelo non può temere il Corano.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, padre Samir ha illustrato le sue preoccupazioni: l’indifferenza dei cristiani che non conoscono la propria fede e la necessità di attivarsi per cogliere l’occasione di evangelizzazione costituita dall’immigrazione islamica in Occidente.

La prima parte di questa intervista è stata pubblicata il 12 marzo.

Quali sono i più diffusi luoghi comuni sull’Islam che lei ha trovato tra i cristiani praticanti?

Padre Samir: I luoghi comuni più diffusi sono piuttosto negativi: che i musulmani non sono persone moderne, che non sono aperti agli altri, che sono violenti… cose di questo genere.

Peraltro si riscontrano analoghi preconcetti tra i musulmani in relazione ai cristiani: che sono miscredenti, pagani, immorali, aggressivi…

Anche l’idea che essi hanno sugli Stati Uniti è molto negativa: che è un Paese imperialistico, che usa il suo potere per dominare altri popoli, ecc.

Ma questa è una caratteristica comune dell’umanità. Ciascuno vede l’altro dal suo punto di vista e nota le differenze. E le differenze sono spesso viste in senso negativo. Come ha detto Cristo nel sesto capitolo di Luca, versetto 41: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?”.

Dobbiamo quindi imparare a riconoscere che alcune differenze sono negative, ma che altre sono positive.

Abbiamo diversi modi di intendere le cose. Per esempio, la Trinità nel nostro dogma costituisce la più profonda espressione di comunione con Dio stesso: egli è in sé amore e donazione. Ma per i musulmani viene vista come un qualcosa di terribile: tre dei.

Ai loro occhi i cristiani sono come i vecchi pagani, che credono in più di un dio.

Quali sono le domande più frequenti che le vengono rivolte quando parla dell’Islam?

Padre Samir: Il più delle volte mi si chiede se un buon musulmano può essere moderno e fedele allo stesso tempo.

In Europa, sopratutto in Francia, la questione principale è se l’Islam possa essere compatibile con una società laica. Un altra questione è se l’Islam sia in sé violento. Questa domanda non manca mai. Ci si chiede se è un qualcosa di connaturato all’Islam o semplicemente un problema del periodo attuale.

Storicamente, le terre musulmane sono raramente tornate al Cristianesimo o ad altra religione e sono generalmente intolleranti. Oggi assistiamo ad un’esplosione demografica tra le comunità musulmane in terre tradizionalmente cristiane come l’Europa e il Nord America. I cristiani devono temere la crescita dell’Islam? Quale può essere una corretta risposta alla costante espansione della umma musulmana?

Padre Samir: I musulmani raramente si convertono al Cristianesimo o ad altre religioni. Questo è vero. Anche se abbiamo visto, negli ultimi 10 anni, un cambiamento: in Algeria si stanno approvando leggi contro la conversione al Cristianesimo, ma questo non sembra arrestare le conversioni.

Lo stesso, anche se con minore intensità, si sta verificando in Marocco. Nell’Africa meridionale le conversioni sono molto più frequenti.

Su YouTube si può vedere uno spezzone di Al Jazeera in arabo, sul tema delle conversioni di musulmani al Cristianesimo. La risposta dell’imam libico, responsabile della propagazione dell’Islam in Africa, era quella di trovare il modo per fermare le conversioni al Cristianesimo, considerato che sono stati 6 milioni i musulmani che sono passati al Cristianesimo in Africa.

Perché l’Islam è in crescita in Europa e in America? Perché i musulmani fanno figli.

Poco tempo fa ho incontrato un mio ex studente, un musulmano algerino, e gli ho chiesto se si era sposato e se aveva avuto figli. Mi ha risposto che lui e sua moglie avevano tre figli, ma che questo era solo l’inizio della loro famiglia. Nel frattempo, in Occidente, la gente fa uno o due figli ed è convinta che sia sufficiente.

Ciò che io temo è soprattutto l’indifferenza di molti cristiani nei confronti della propria fede. Generalmente i cristiani affermano che non importa se sei cristiano, musulmano o buddista, l’importante è che ci si ami l’un l’altro.

Questo in parte è vero, ma allora bisogna chiedersi: “Come possiamo amarci meglio?”. E la risposta è che amerò meglio se sono un vero cristiano e se vivo secondo il Vangelo.

Non temo i musulmani. Conoscendo la loro fede e conoscendo il Vangelo, il Vangelo non può temere il Corano.

Dopo il famoso discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, ha riscontrato un maggiore interesse nei cristiani di conoscere i musulmani e di promuovere il dialogo, o è piuttosto vero il contrario?

Padre Samir: Ritengo che il famoso discorso di Papa Benedetto a Ratisbona sia stata una tappa fondamentale dell’ultimo decennio.

La prima reazione da parte dei musulmani è stata molto negativa. Molti cristiani e cattolici l’hanno ritenuto un errore. Dopo un po’, quando le acque si sono calmate, i musulmani hanno iniziato a ripensarci. Anche i cristiani hanno iniziato a chiedersi perché il Papa abbia citato quella frase del XIV secolo.

Allora abbiamo tutti, cristiani e musulmani, iniziato a riflettere su ciò che il Papa abbia veramente detto nel suo discorso. Quella singola frase non era sbagliata, ma difficile da spiegare, perché richiede di tornare indietro nella storia, ma il discorso nel suo insieme era di otto pagine.

Molti in Occidente si sono resi conto che era molto positivo e che, in realtà, il Papa aveva toccato un punto essenziale. La fede sta scomparendo in Occidente. La ragione è svuotata della sua originaria accezione spirituale derivante dalla cultura greca. Si tende a pensare che se qualcosa non è materialmente dimostrabile, essa non esiste. Ma oggi la gente inizia nuovamente a riflettere sulla fede.

Nel mondo musulmano è avvenuta la stessa cosa. Centotrentotto persone, guidate dal principe Al-Ghazi di Giordania, hanno sottoscritto una lettera molto importante di risposta al discorso di Ratisbona. Ora sono 300 le persone che hanno firmato questo documento in cui si spiega che l’Islam e il Cristianesimo hanno in comune un duplice principio: l’amore a Dio e l’amore al prossimo.

Dopo due anni, nel novembre del 2008, abbiamo avuto a Roma un incontro fra 30 musulmani e 30 cattolici, per discutere delle questioni sollevate nel discorso di Ratisbona.

È stata una discussione straordinaria. Non è stata sempre facile, ma è stata profonda e aperta, ed ogni partecipante ha dimostrato un grande impegno nell’ascoltare l’altro.

L’ultimo giorno abbiamo scritto un documento congiunto. Ma ad un certo punto era diventato impossibile andare avanti: il contrasto in merito alla libertà di coscienza era diventato insormontabile.

Poco prima della conclusione, e prima dell’incontro con il Papa, il Cardinale Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, ha affermato: “Purtroppo devo annunciare una cosa molto triste: non abbiamo potuto raggiungere una posizione comune”.

Ma un minuto dopo, il Gran Muftì di Sarajevo, l’imam Mustafa Ceric, rappresentante del gruppo musulmano è venuto e ha detto: “Ho buone notizie: diamo la nostra adesione al punto cinque relativo alla libertà di coscienza”. Ha spiegato che il tema era contenuto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sottoscritta da gran parte dei Paesi musulmani, e che pertanto non vi era motivo per i rappresentanti musulmani di rifiutarlo.

Abbiamo compiuto piccoli passi per due giorni e il terzo giorno abbiamo riconosciuto di poter essere d’accordo.

Abbiamo convenuto di avere un incontro ogni due anni, ospitato, alternativamente, una volta dai musulmani e l’altra dai cattolici.

Questa è una risposta a Ratisbona ed è una risposta molto positiva.

Qual è, in base alla sua esperienza, il modo più proficuo per promuovere la pace e la buona volontà tra cristiani e musulmani?

Padre Samir: Come cristiano so che i musulmani sono amati da Dio. Dio li ama. Questo è molto importante. Non sono nemici, non sono stranieri; sono, in quanto credenti sinceri, membri della nostra famiglia.

I musulmani sono persone religiose: un buon musulmano mette Dio al di sopra di ogni altra cosa nella sua vita, normalmente. Lo stesso dovrebbe essere detto per i cristiani, ma bisogna riconoscere che spesso, in Occidente, i cristiani non mettono Dio al di sopra del resto.

Quando ho un incontro con un musulmano, io so che se faccio appello ad un qualcosa di religioso della sua e della mia vita, saremo d’accordo. Saremo d’accordo sui valori perché entrambi sappiamo che essi vengono da Dio.

Siamo tutti fratelli. E non è un’asserzione retorica. È vero. Siamo tutti fratelli. Discendiamo tutti da Adamo. L’intento dell’Islam è di adorare l’unico Dio ed essi credono nel compimento della missione iniziata con Abramo, attraverso i profeti, Mosé e Cristo, e l’Islam.

Per me, come cristiano, è chiaro che il compimento è in Cristo, perché egli è la Parola di Dio. Dopo che Dio ha mandato la sua Parola, non può mandarne un’altra, il Corano, a correzione o compimento della sua precedente Parola, il Cristo.

Non sono d’accordo con i musulmani che affermano che il Corano rappresenta l’ultima parola di Dio e che Maometto è “il sigillo dei profeti”. Per me, il sigillo è Cristo e il Vangelo.

Qui siamo in disaccordo, ma questo disaccordo significa che entrambi cerchiamo la perfezione in Dio. E questo non è un male.

Non esiste esclusione. Io sono convinto che la perfezione e il compimento della perfezione sia nel Vangelo, ma sono anche convinto che il musulmano è protesto verso lo stesso obiettivo e lo stesso Dio.

Nella religione, la fede profonda è fonte di pace tra gli uomini. Questa fede non produce esclusione.

La gente si domanda: “Perché i musulmani si stanno diffondendo e stanno crescendo nei Paesi occidentali? Perché in Europa ci sono 15 milioni di musulmani? Non sarebbe meglio se non ce ne fossero affatto?”.

Ma il fatto che i musulmani siano presenti in Nord America e in Europa significa che essi sono il mio prossimo. Essi possono trovare una Bibbia e leggerla, e trovare Gesù Cristo. Essi possono entrare in una chiesa e partecipare alle nostre preghiere.

La tragedia è quando essi non trovano un cristiano vero che li possa aiutare.

Nel passato abbiamo attraversato gli oceani per convertire i musulmani e spesso era un’impresa quasi impossibile. Ora il musulmano è a casa mia, è mio vicino, e noi non facciamo nulla.

Per me è un peccato. Dopo tutti i nostri sforzi nel corso dei secoli per arrivare ai musulmani, Dio ce li ha portati a casa e noi non cogliamo l’occasione per condividere con loro la realtà più bella che abbiamo: Cristo e il Vangelo.

La presenza dei musulmani in Occidente è la più grande benedizione che avessimo potuto sperare. La questione è se vorremo aprire il nostro cuore e riceverli come fratelli.

Io ho una missione nei loro confronti e loro credono di avere una missione verso di noi. Loro conoscono il Gesù del Corano e io devo mostrargli il Gesù del Vangelo.

Questa è la nostra missione. È una missione straordinaria e ci dovrebbe dare una grande speranza.

Ogni cosa è provvidenziale. Non può essere che questo grande movimento di musulmani nel mondo stia avvenendo solo per motivi economici. È Dio che li sta inviando. Forse è il modo migliore perché loro possano scoprire la vera immagine di Dio; un Dio che è amore.

La nostra missione è di testimoniare che Dio è amore e solo amore.

L’Islam spiegato da un sacerdote egiziano (parte I)

Intervista a padre Samir Khalil Samir, S.I.

di Annamarie Adkins
BEIRUT, giovedì, 12 marzo 2009 (ZENIT.org).- La confusione su cos’è realmente l’Islam e le incomprensioni tra cristiani e musulmani hanno sicuramente toccato l’apice dopo gli attentati dell’11 settembre del 2001, tuttavia molte sono le questioni tuttora irrisolte.

Per questo motivo il sacerdote gesuita padre Samir Khalil Samir ha voluto offrire qualche risposta sull’argomento dall’alto della sua esperienza come studioso islamista, semitologo, orientalista e teologo cattolico, nato in Egitto e da oltre 20 anni residente in Medio Oriente.

Padre Samir insegna Teologia cattolica e Studi islamici presso l’Università San Giuseppe di Beirut, ha fondato il Centro di Documentazione e Ricerche Arabe Cristiane (CEDRAC), e di recente ha scritto il libro “111 Questions on Islam” (Ignatius).
In questa intervista rilasciata a ZENIT, padre Samir parla della sua esperienza e del suo impegno nella costruzione di una reciproca comprensione tra i fedeli delle due religioni abramiche.

Perché ha accettato di scrivere questo libro?

Padre Samir: Per due motivi. Un anno prima dell’11 settembre avevo iniziato a parlare di questo argomento con i giornalisti e a rilasciare interviste. Allora notai una grande ignoranza in Occidente in materia di Islam, sia tra i cristiani ma anche tra i non cristiani che tra i non credenti.

In generale la loro conoscenza dell’Islam era molto scarsa. Ho pensato quindi di dover dare dei chiarimenti. L’ignoranza, peraltro, spingeva alcuni di loro ad atteggiamenti aggressivi e negativi verso i musulmani. Alcuni erano molto ingenui e credevano a tutto ciò che sentivano dire. Altri usavano l’Islam come scusa per essere aggressivi verso il Cristianesimo. Tutto questo, come conseguenza della loro ignoranza.

Il secondo motivo era il desiderio di aiutare i musulmani a riflettere sulla propria religione e la propria fede. Precedentemente avevo avuto modo di constatare, tra i giovani musulmani dei sobborghi parigini, che essi non sapevano quasi nulla della loro religione.

Parlando con diversi musulmani in Europa – in Germania durante l’estate, in Francia dove insegno, o in Italia dove ho vissuto – era sempre lo stesso. D’altra parte, neanche la maggior parte dei cristiani conosce la propria religione.

Ho voluto dare qualche informazione corretta sull’Islam per aiutare le persone a non farsi idee sbagliate e a non alimentare pregiudizi.

Come hanno scelto, gli intervistatori, le 111 domande tra le migliaia che potevano essere formulate?

Padre Samir: I giornalisti con cui ho lavorato avevano già molte domande per conto loro, oltre alle questioni poste da altre persone. Le questioni riguardano la violenza, se i musulmani sarebbero in grado di accogliere la civiltà occidentale, e il problema dell’eguaglianza tra uomini e donne.

Le domande quindi sono indirizzate alla società occidentale, perché questa possa comprendere meglio la realtà dell’Islam.

Ritiene che i musulmani possano ritenersi soddisfatti del grado di oggettività delle sue risposte alle 111 domande?

Padre Samir: Io ho cercato di essere oggettivo. Ci ho provato, ma è impossibile raggiungere veramente un’oggettività perfetta.

Certamente non tutti saranno soddisfatti. Alcuni pensano che l’Islam sia una religione violenta o una religione contro le donne, e quindi non saranno soddisfatti perché riterranno che io non sia stato sufficientemente chiaro sulla violenza e l’ineguaglianza fra i sessi.

Ma neanche le persone che considerano l’Islam una religione di pace e di eguaglianza, e che Maometto abbia elevato lo status delle donne, si riterranno soddisfatte.

Ognuno ha una posizione diversa. Pochi saranno quelli pienamente soddisfatti, sia che siano a favore, sia che siano contro l’Islam.

Ma coloro che desiderano sapere qualcosa di attendibile sull’Islam potranno attingere ai fatti contenuti nel mio libro e farsi un’opinione personale.

L’introduzione al libro osserva che esso è un tentativo di promuovere una reciproca intesa fra cristiani e musulmani. Ma molte delle sue risposte dipingono l’Islam e le sue origini a tinte decisamente fosche. In che modo ritiene che l’opinione del cristiano medio sull’Islam possa cambiare dopo aver letto il libro?

Padre Samir: Io non credo che il libro sia molto negativo, anzi ritengo che non lo sia affatto. La mia intenzione è stata quella di migliorare la conoscenza. Non un sentimento, ma la conoscenza. E’ un qualcosa diretto soprattutto alla mente e solo dopo anche al cuore.

Per promuovere il dialogo e l’intesa reciproca, occorre dare anzitutto informazioni attendibili. Se non si dice tutta la verità, la verità stessa si manifesterà come tale comunque e la situazione sarà peggiore.

Io cerco di costruire una reciproca comprensione, non fondandola su compromessi e informazioni parziali o tendenziose. Il dialogo inizia da informazioni serie, accademiche e oneste sul Cristianesimo e l’Islam.

Le risposte alle domande vogliono veicolare questo tipo di informazioni. Alcune risposte sono negative perché l’argomento stesso è negativo.

Non so cosa pensi il cristiano medio. Oggigiorno suppongo che la maggioranza abbia un’opinione negativa dell’Islam, prima di aver letto qualsiasi libro.

Noi, arabi e musulmani, siamo in crisi. Quando noi arabi – musulmani e cristiani – parliamo insieme, riconosciamo di trovarci in un periodo brutto. Abbiamo avuto un’epoca gloriosa nei secoli passati, ma oggi stiamo toccando il fondo.

Io spero che il libro possa aiutare le persone a comprendere le cose che le riguardano, come il terrorismo; esistono delle spiegazioni, ma non delle giustificazioni. Non posso giustificare il terrorismo, ma posso spiegare il perché altri si sentano indotti a compiere atti terroristici, così come posso mostrare quali siano gli appigli nel Corano e nella Tradizione (la Sunna).

La maggior parte dei musulmani è in favore della pace e della non violenza. Ma il 10% che sceglie la violenza è più forte del restante 90%. Talvolta la parte cattiva dell’umanità, ancorché più piccola, risulta essere quella più forte.

Un’analisi critica della storia islamica e dei suoi sacri testi – che implica un sottoporre la fede alla ragione – è possibile oggi nel mondo musulmano?

Padre Samir: Normalmente, nella tradizione musulmana, la fede si pone al di sopra di ogni altra cosa; quindi anche della ragione.

Se fai notare a un musulmano che il Corano dice qualcosa e che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dice il contrario, il musulmano ti dirà che “dobbiamo seguire la legge e la parola di Dio e non la legge dei diritti umani”.

Nella tradizione cristiana siamo molto più aperti ad un’interpretazione della Bibbia, rispetto a quanto siano aperti a una interpretazione del Corano i musulmani, che hanno avuto un periodo di interpretazione della parola coranica tra il IX e l’XI secolo, seguita successivamente da un’involuzione in questo senso.

Per quanto riguarda il rapporto fra ragione e fede, oggi i musulmani si trovano in un periodo negativo della loro storia. Certamente è possibile che riescano ad unire fede e ragione, ma per farlo dovranno impegnarsi molto. Molti sono i motivi di questa regressione, ma quello principale è riconducibile ad una diffusa ignoranza nel clero musulmano.

[La seconda parte sarà pubblicata domenica 14 marzo]

Cristiano irakeno: l’assoluzione di Tareq Aziz è garanzia di uno Stato di diritto

Il tribunale speciale di Baghdad ha stabilito che non vi sono prove di responsabilità dirette nei massacri. La volontà di “scoprire i fatti” senza “condizionamenti o pressioni politiche”. Sull’ex numero due del regime pende la minaccia di vendette. L’ira della fazione sciita.

Baghdad (AsiaNews) – L’assoluzione di Tareq Aziz è motivata dal fatto che “non vi sono prove di responsabilità dirette negli omicidi” ed è un segnale della volontà del tribunale speciale di Baghdad di “scoprire i fatti” senza “condizionamenti o pressioni politiche”. È il commento rilasciato ad AsiaNews da una fonte cattolica caldea irakena, la quale ricorda che Tareq Aziz era solito “inviare le persone in tribunale, sottoponendole al giudizio della corte, ma non si è mai assunto l’onere di ammazzare o di ordinare uccisioni di massa”.

L’ex vice-premier e ministro degli Esteri del regime di Saddam Hussein, del quale è sempre stato un fedelissimo, è stato assolto nel processo sui “fatti della preghiera del venerdì”. Ieri il tribunale speciale di Baghdad lo ha giudicato innocente della morte di 42 persone, massacrate dalla polizia irakena nel 1999. Essi protestavano contro l’assassinio del leader sciita Muhammad al-Sadiq al-Sadr e di suo figlio: le forze dell’ordine hanno aperto il fuoco sui manifestanti e occultato i cadaveri, rivenuti solo nel 2003 all’indomani della caduta del regime. Nuova condanna a morte, invece, per Ali Hasan Majid, cugino di Saddam e meglio conosciuto come “Ali il Chimico”, ex capo del comando del nord del partito Baaht.

La fonte sottolinea il tentativo del tribunale speciale irakeno di “scoprire la verità dei fatti”, basandosi sui principi di “onestà e trasparenza”. “Tareq Aziz – racconta – era un personaggio particolare. Tutti ricordano il suo essere cristiano, ma la verità è che non si interessava molto di religione. Egli era legato al movimento socialista-marxista ed è sempre rimasto fedele al partito: era una figura politica, portata al dialogo e ai ragionamenti e poco all’azione. Anche per questo non è mai stato coinvolto in prima persona nei massacri. Lo stesso Saddam Hussein non lo considerava la persona giusta per i raid punitivi”.

Tareq Aziz, nato nel 1936 in un villaggio vicino a Mosul, ha sempre vissuto la carriera politica nell’ombra di Saddam Hussein ed è l’unico degli ex collaboratori ad essere stato assolto finora. Il 24 aprile del 2003, alla caduta del regime, si è consegnato nelle mani degli alleati e fin dalla prima udienza ha cercato di commuovere l’opinione pubblica presentandosi in aula in pigiama, malato, compunto. A suo carico vi sono altri due processi e vi è il rischio che possa essere vittima di attentati o rappresaglie. “Nella cultura mediorientale e araba – racconta la fonte – la vendetta è sacra. Se venisse liberato e abbandonato a se stesso, senza protezione, rischia di essere ammazzato. In caso di piena assoluzione anche negli altri procedimenti, egli chiederà asilo politico a qualche nazione occidentale – con le quali ha sempre saputo mantenere buoni rapporti – o al governo irakeno. Molti esponenti della comunità sciita hanno accolto con rabbia la sentenza di assoluzione”.

Dedicata a Eluana

Eluana, piccolo fiore Tu sei la prediletta del Signore.

Tace la tua voce mentre sei distesa sul legno della croce.

La tua luce splende nella notte oscura di un mondo che non comprende.

Il tuo cuore è una sorgente che emana amore sul freddo della gente.

Tu sei un tesoro molto più prezioso di un forziere d’oro.

Una mano che rapina al tuo letto si è avvicinata nella penombra della mattina.

Anche Tu, come Gesù griderai “Ho sete!” prima di volare lassù.

Ottienici in dono quando entrerai in cielo la grazia del perdono.

Padre Livio